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Autore: BabaYagaIsBack    14/07/2017    1 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo Ottavo - Parte Seconda

Fuga
 

"You'll never feel at home,
Anywhere, anywhere you go,
And when you sit around,
All your questions they start to grow,
They won't give you any answers,
And they lie about what they don't know"

Heavy Prey (Lacey Sturm & Geno Lenardo)

 

Innsbruck, primavera del 1743

Colette le tirò malamente i capelli, facendola mugolare per l'ennesima volta. Il cuoio capelluto stava iniziando a darle fastidio, ma non avrebbe saputo dire se fosse per la brutalità di quelle spazzolate, oppure per qualche altro motivo - ricordava gran poco di ciò che era successo la notte precedente e l'unica certezza rimastele era che si trovassero lì per levarle di dosso i resti di quegli eventi che, purtroppo, si ammassavano sfocati nella mente. Da più di un'ora si erano richiuse in quello che si sarebbe potuto definire come un sottotetto, dove sottilissime linee di luce entravano con timore dalle tegole poggiate male,  illuminando appena l'ambiente. Persino i raggi del sole sembravano riluttanti a sfiorare i loro corpi e, Alexandria, osservandoli, non riuscì a biasimarli: chi avrebbe osato addentrarsi in quel luogo con un monstru come lei presente? 
Volgendo lo sguardo in direzione dell'unico specchio presente, si concesse ancora una volta il raccapricciante lusso di spiare i cambiamenti del proprio corpo. Nuda e rannicchiata in un scomodo catino pieno d'acqua fredda, poteva scorgere ogni dettaglio di ciò che la rendeva simile a un demonio e, quindi, repellente anche per il sole.
I suoi bellissimi capelli dorati stavano virando verso una tonalità cinerea, smunta, malata, mentre le iridi parevano essere macchiate di sangue, non più "ricolme di muschio", come era solita dire bunică Orsòlya. Sotto alla pelle, le vene creavano con maggior intensità arabeschi bluastri che andavano a raggrupparsi nei pressi di lividi più o meno grandi, delineando una percorso a tappe che conduceva al centro del busto, sulla bocca dello stomaco - lì dove un'insolita cicatrice era comparsa. 

La Contessina vi passò sopra le dita.

Sembrava essere vecchia di anni, eppure era la prima volta che la vedeva. Non aveva idea del perché si trovasse su di lei, ma sapeva essere parte di quel cambiamento, della nuova sé - e temette quali altri significati si stessero nascondendo tra le linee di carne frastagliata che si susseguivano l'un l'altra dando forma a un simbolo sconosciuto. Che fosse un sigillo? Il marchio del Diavolo? Che fosse quella la ragione per cui, tutto ciò che Dio aveva creato, persino il sole, sembrava intimorito da lei?

La donna alle sue spalle strattonò ancora, strappandola da quei pensieri nel tentativo di togliere gli ultimi grumi di sangue dalle lunghezze annodate. 
«Santi Numi, sembri uscita dalla trincea... che ti hanno fatto?» La retoricità di Colette era evidente, il suo non era altro che un quesito rivolto a se stessa ad alta voce, ma Alexandria volle ignorarlo. Era morta e risorta in una sola notte, questo era ciò che sapeva, e aveva bisogno di approfondire la questione, di capire. Sentiva il desiderio lacerante di spiegarsi ogni cosa, anche se ne aveva paura - dopotutto le era stato insegnato che eresie del genere potevano solo essere frutto del Maligno in persona e, chiunque ne avesse tratto profitto, sarebbe stato condannato alle fiamme infernali per l'eternità. E lei era tutto, fuorché una peccatrice. Pregava ogni giorno, compiva atti di carità nonostante la precaria situazione familiare; andava in Chiesa, ubbidiva ai propri genitori con accondiscendenza, amava il prossimo senza mai nascondere secondi fini; era casta, altruista, eppure eccola in quella situazione, toccata dal Demonio. Forse non era stata la figlia più fedele del Signore, forse il suo credo aveva vacillato più volte negli anni, soprattutto quelli, ma non per questo si meritava un destino tanto crudele. Sì, le era capitato di desiderare l'uomo altrui, ma solo una volta - una! Era forse giusto punirla così?

Confusa, si strinse le ginocchia al petto, nascondendovi il viso: «Suppongo d'esser stata assassinata» ammise poi, avvertendo i brividi riempirle l'epidermide. Dirlo le parve ancora più irreale di quanto fosse pensarlo, in fin dei conti chi mai avrebbe desiderato la sua morte? Non aveva arrecato torti, né pensava di essere tanto antipatica da meritarsi una simile fine, quindi perché ucciderla? Era forse opera di qualche strozzino con cui suo padre si era indebitato? Una resa dei conti? Oppure si trattava di qualche fanciulla innamorata del suo futuro sposo, accecata dalla gelosia e pronta a tutto pur di restare l'unica ospite del suo talamo?

Non ne aveva idea, però non era quella la domanda che più l'assillava, al momento. Ciò che maggiormente la turbava era il come potesse essere ancora viva. Stava respirando, il suo cuore batteva, i sensi percepivano ogni cosa con maggior nitidezza - non c'erano dubbi sul fatto che avesse vinto la morte, peccato che, da quello che aveva studiato sulle Sacre Scritture, solo Lazzaro era stato graziato con un miracolo di tale entità e, a operarlo, era stato Gesù stesso. 

«Supponete bene, cara, ma ciò non toglie che vi abbiano ridotto pietosamente».

Alexandria rimase muta, tornando a fissare lo specchio. Sì, il suo aspetto era terribile, ma forse la donna con lei non si stava riferendo a quello; probabilmente, il suo disappunto era causato solo dalle incrostazioni di sangue.

«Perché voi non avete paura di me Frau Colette?» 
Seppur non si fosse ancora realmente soffermata sulla questione, non poteva negare di averci in parte pensato. Da quando aveva aperto gli occhi nella carrozza di Lord Van der Meer, o dell'uomo che si faceva chiamare con tale nome, nessuna delle persone che aveva incontrato l'aveva guardata con orrore. Niuno si era permesso di additarla come un mostro, men che meno le aveva inveito contro - o quantomeno così le era sembrato, visto che non aveva compreso nemmeno mezza parola dei loro discorsi. Sembrava quasi che per loro fosse normale vedere simili abomini e, se doveva essere del tutto onesta con se stessa, pensando a Levi e ai suoi occhi le parve di capirne il motivo; che fosse a causa sua? Era... anche lui come lei?

Dopo un nuovo tentativo fallito, Colette sbuffò, rinunciando per qualche istante a finire la toiletta. Abbandonando la spazzola a terra, gattonò poi di fronte al catino, frapponendosi tra l'ospite e il suo macabro riflesso. Quelli della donna furono movimenti scoordinati, intralciati dalla lunga sottogonna e il grembiule allacciato in vita, ma le permisero di arrivare a lei in pochi istanti - e solo a quel punto, la Contessina Varàdi, notò quanto grandi e profonde fossero le iridi della sconosciuta con lei e come, nei suoi capelli, si potessero scorgere riflessi bluastri, ammalianti; fu come posare lo sguardo sul piumaggio di un meraviglioso esemplare di corvo, anche se mai si sarebbe permessa di paragonare un simile uccellaccio all'incantevole creatura che aveva di fronte.
Colette era bella, sublime. Sin dal primo momento in cui l'aveva incontrata, nel salotto di quella che sarebbe dovuta diventare sua suocera, Alexandria ne era rimasta affascinata - eppure, a guardarla bene e così da vicino, qualcosa in lei sembrò anche terribilmente minaccioso.

«Di cosa dovrei avere paura, di grazia? Voi ed io, mi preme farvelo notare, siamo uguali. E se ancora non vi fosse chiaro, chiunque in questa casa è esattamente come noi. Siamo la stessa cosa, seppur diversi. Siamo fratelli, Z'èv» allungando una mano verso di lei, e accarezzandole la gamba, la donna pronunciò per la prima volta un nome che la Contessa avrebbe presto imparato a sentire proprio.
Z'év, il Lupo.

 

Venezia, giorni nostri

Fratelli.
Era da loro che doveva tornare, si disse. Restare lì, a metà di una stupida scala a chiocciola, non avrebbe fatto altro che metterla in pericolo. Non aveva idea di come il Cultus intendesse piombare in casa e, se non voleva rischiare la cattura, doveva allontanarsi da quella stanza il prima possibile.

Deglutendo, seppur a fatica, s'impose di riprendere il cammino. Non doveva esitare, non ora che era riuscita a trovare una ragione per vivere ancora qualche tempo. Levi e Zenas la stavano aspettando, confidavano nel suo ritorno così come lei faceva in quello di Salomone - e non poteva deluderli. Non un'altra volta.
Aggrappandosi con forza al corrimano, e premendo sulle punte dei piedi, Alexandria si diede la spinta necessaria per balzare al piano superiore e ruzzolare nel corridoio deserto, dove con la spalla andò a sbattere contro una porta e le ginocchia le ricordarono quanto incoscienti fossero quei movimenti, ma al posto di fermarsi e dare al corpo un po' di tregua, si lanciò senza pietà verso la rampa seguente.

Le suole schiacciarono alcune schegge di vetro cadute poco prima, infastidendole l'udito. Intorno a lei iniziavano a esserci troppi rumori, troppo caos - e temette di non percepire in tempo il pericolo. Sentiva il battito del cuore aumentare a ogni falcata, lo scricchiolare delle assi sotto al suo peso; percepiva il proprio respiro grosso, il frantumarsi dei resti a terra, i colpi lontani di quei luridi, finti alchimisti farsi sempre più insistenti e si sentì vacillare. Non ricordava di essersi sentita tanto minacciata come in quell'istante, anche se era certa fosse già successo prima - ma come per ogni cosa, la memoria tendeva a giocarle brutti scherzi.
Così, forse in balìa dell'ansia o del timore di essere troppo lenta, il corpo reagì contro la sua volontà, iniziando a mutare in modo da darle più forza.
Il viso si allungò appena, assumendo connotati ferini; le ossa scricchiolarono lievemente, rompendosi e ricomponendosi in brevissimo tempo, assumendo posizioni tutt'altro che armoniose e tirando la stoffa dei vestiti quasi al limite. Le unghie divennero veri e propri artigli e, se qualcuno avesse potuto vederla in quel momento, avrebbe erroneamente pensato di essere al cospetto di un lupo mannaro - ma quelli, purtroppo, altro non erano che i risultati degli esperimenti e delle mutazioni che Salomone aveva compiuto su di lei. Ecco come l'alchimia si era piegata al desiderio di un Re folle, capriccioso ed eccessivamente curioso, deturpando la giovane donna che era stata.

Z'èv si agganciò al legno di alcuni scalini, si issò e, prima che se ne potesse rendere conto, fu nuovamente nella mansarda, a un passo dal tetto su cui segretamente sperò di trovare ancora i fratelli, in attesa. 
Presa dalla foga, e incurante del fatto che con un simile aspetto avrebbe potuto attirare su di sé le attenzioni meno desiderate, si concesse un nuovo balzo, afferrando i bordi zigrinati del lucernario e facendo leva sulle braccia doloranti. 
Sentì il vetro tagliente impigliarsi nella stoffa dei vestiti, minacciare la giacca dove aveva nascosto il suo bottino e, allora, cercò di rallentare i movimenti, anche a costo di diminuire il vantaggio sugli alchimisti - dopotutto le ɛvɛn erano ben più importanti di qualche istante di ritardo. 
Ringhiando e scalciando, si sforzò di trovare la forza necessaria per uscire da quel buco e, appena ci riuscì, si ritrovò ad arrancare sulle tegole. Non lo avrebbe ammesso, non di fronte ai fratelli, ma sentiva di essere sul punto di avere un capogiro. Stava davvero rischiando grosso, eppure non era intenzionata a confessare le sue reali condizioni; l'avrebbero lasciata indietro, ne era certa. Chi, in una situazione del genere, si sarebbe assunto la responsabilità di portarsi dietro un peso morto? Chi, nella loro condizione, avrebbe messo a repentaglio ogni cosa per un'unica persona?

Levi la strattonò, costringendola a mettersi dritta: «Che cazzo ti è saltato in mente?!» Nel suo tono c'era una rabbia inusuale, una preoccupazione che le fece schizzare il cuore in gola: «Il Cultus ci è addosso e tu ti preoccupi di... cosa? La giacchetta?»
Alex si morse il labbro, lasciando che il corpo tornasse alla sua forma più umana. Non sapeva che dire, ma era certa di dover rispondere in fretta; non poteva correre il rischio che si accorgesse di ciò che aveva rubato, men che meno che credesse fosse un'incosciente - così alzò il braccio dove, malamente, pendeva la targhetta: «Non potevamo lasciarla indietro, ci avrebbero trovati. O avrebbero trovato lui» ansimò.

Il Generale spostò lo sguardo dal viso della sorella all'oggetto, aggrottando le sopracciglia. Ci mise qualche istante prima di mollare la presa su di lei e, poi, con un grugnito, le diede le spalle.

«Dovevi dirmelo».
«Non avremmo fatto in tempo, Levi. Stanno per entrare, dobbiamo agire svelti e... e quella era la soluzione più rapida».

«Ma non la più saggia! Dannazione!» Portandosi le mani al viso, l'uomo cercò di nascondere il proprio fastidio, ma ogni suo muscolo ne tradiva il tentativo - e Z'èv se ne sentì in colpa. Odiava sapersi il motivo di tanta frustrazione, detestava l'idea di averlo fatto agitare a quel modo per una semplice noncuranza; se se ne fossero accorti prima, era ovvio, non avrebbe dovuto rischiare la cattura. 
Fece per aprir bocca e giustificare la decisione presa, ma prima che potesse proferir parola Zenas si mise in mezzo: «Okay, fanculo! Ha agito da sciocca, può succedere, ora però abbiamo altro di cui preoccuparci, quindi che ne pensate d'iniziare a correre?»

E, silenziosamente, nel sentire il fratello riportare l'attenzione sulla vera minaccia, Alex lo ringraziò. Involontariamente le stava evitando d'affrontare un'inutile e fastidiosa discussione, un dibattito che era quasi certa di perdere.
 


 

Monstru: mostro (rumeno)

Bunică: nonna (rumeno)

Frau: signora (tedesco)

 
 
 
   
 
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