Questa storia partecipa alla challenge "La Notte di Tanabata" a cura di Fanwriter.it
*Numero parole: 961
*Prompt: n° 23 (Ogni anno A esprime lo stesso desiderio durante Tanabata. Che sia l'anno buono perchè si realizzi?)
*Bonus: Desiderio su carta, bacio rubato
The Last Tears of the Black Princess
Quando
Sigyn
entrò, nel Grande Salone cadde un silenzio tombale.
Centinaia di sguardi erano
puntati su di lei -la Vedova, la Principessa in Nero, la Fedele al
Nulla; così la
chiamavano ultimamente – scrutandola in tutto il suo dolore.
Erano
passati più di tre anni da quando Loki si era lasciato
cadere nel vuoto dello
Spazio, tre anni da quando lo aveva visto perdere ogni speranza, tre
anni dal
suo ultimo sorriso. Eppure portava ancora il lutto, non riusciva a
rassegnarsi
della sua scomparsa.
Ogni volta che chiudeva gli
occhi, Sigyn
rivedeva quell'orribile momento sul Bifrost.
“Ci
sarei riuscito Padre…. Ci sarei
riuscito per tutti noi!”
“No
Loki, non potevi" rispose
Odino, pacatamente.
“Addio
Sigyn, mia unica luce” le
ultime parole, prima di lasciarsi ingoiare in quell'eterno mare scuro.
Sigyn
si
scosse, prendendo posto in disparte ad uno dei tavoli della sala.
Quando i
sovrani entrarono non si preoccupò neppure di alzarsi e fare
una riverenza: li
odiava, li odiava tutti. Era colpa loro se Loki non c'era
più, era per causa
loro se la sua vita era andata in frantumi.
Per
di più
quella maledetta mortale invaghita di Thor ora sedeva al posto d'onore
di
fianco al re, un posto sul quale ci sarebbe stata lei, come moglie del
legittimo erede al trono, se Loki fosse stato lì.
E non
solo
la mortale le aveva rubato quel diritto, ma aveva persino osato portare
delle
festività midgardiane nel cuore di Asgard. Come quella sera,
in cui tutta la
corte stava festeggiando la notte di Tanabata, il settimo giorno del
settimo
mese, un elogio alle stelle Altair e Vega, le quali si trovavano
dall’altra
parte dell’universo e che nessun Asgardiano sarebbe mai
riuscito a vedere in cielo.
Il
Grande
Salone era stato decorato con luci e lampade di carta e ovunque
spuntavano
canne di bambù -un'orribile pianta che la Midgardiana aveva
deciso di
portare con sé – mentre le persone indossavano
strani abiti colorati che
diedero a Sigyn il voltastomaco.
-Perdonatemi,
mia Signora – un servo interruppe i suoi tristi pensieri
avvicinandosi
timidamente -E’ il momento della cerimonia dei Tanzaku
–
Sigyn
alzò
gli occhi con fare estremamente irritato, ma senza obiettare si
alzò dal suo
tavolo e seguì il servo.
Ecco
un’altra stupida tradizione di un altrettanto stupida festa:
bisognava
esprimere un desiderio, scriverlo su un lembo di stoffa – il
tanzaku, appunto –
e legarlo con del filo sulle canne del Grande Bambù al
centro del palazzo, sperando che si avveri.
A
Sigyn era
sempre sembrata una grandissima stupidaggine, ma il re la aveva sempre
costretta a prendere parte ai festeggiamenti e alle tradizioni, per
compiacere
quell’insopportabile midgardiana che era sua moglie.
Come
ogni
anno, espresse lo stesso desiderio, attaccò il suo Tanzaku
al bambù e rimase a
guardare il cielo notturno e le sue stelle luminose fino a quando anche
l’ultimo invitato non se ne fu andato.
Quando
fu
sicura di essere rimasta sola, si avvicinò alle canne e
sfiorò delicatamente il
lembo di stoffa contenente il suo desiderio.
-Vorrei
tanto che tu fossi ancora qui, mio sposo… -
sospirò la dea, trattenendo a
stento le lacrime.
Ogni
anno
desiderava che Loki tornasse da lei, ogni anno cercava di convincersi
che non
fosse morto e alla fine, ogni anno, si ritrovava a versare migliaia di
lacrime,
chiusa nella sua stanza, cercando di ricordare il profumo del suo
amato, quando
la notte la stringeva tra le sue braccia.
Ma
era tutto
vano e oramai Sigyn lo sapeva bene. Era giunto il momento di
rassegnarsi.
Si
accovacciò a terra, stringendo le gambe alle ginocchia e
pianse come non aveva
mai fatto.
Poi una voce, forse un sussurro del vento.
-Perché
la
mia amata piange disperatamente? –
Sigyn
non sapeva se si trattasse della sua
fantasia o della realtà. Quella voce cristallina,
ingannevole e seducente
risuonò chiara nell’aria per la prima volta dopo
tre anni.
Sigyn
alzò
la testa e dinnanzi a lei apparve il Dio dell’Inganno, il suo
sposo, la sua
forza, il suo cuore. Loki stava in piedi, guardandola con aria
preoccupata, ma
con un’ombra di sarcasmo sul viso, tipica sua.
-L…
Loki? –
Sigyn era terrorizzata -Sei tu? –
-E
chi mai
dovrei essere, di grazia? – domandò lui, pacato.
Sigyn
si
alzò in piedi e iniziò a scrutare il marito negli
occhi, in cerca di qualche
trucco. Eppure sembrava reale, con la sua pelle diafana, gli occhi
color
smeraldo e i capelli neri come ali di corvo.
Era
il suo
Loki. Ed era vivo.
D’istinto
la
dea gettò le braccia al collo del marito, baciandolo sulle
sue pallide labbra.
Sentì di nuovo il suo profumo, la sua forte stretta attorno
alla sua schiena
mentre ricambiava il bacio ed uno spiraglio di luce di luce illuminarle
il
cuore dopo tanti giorni passati nell’ombra.
In
quel
momento Sigyn sentì scivolare via tre anni di tristezza e
malinconia, come se
una correntre impetuosa li avesse trascinati con sé. Non
aveva bisogno di
nient’altro ora che sapeva che Loki era vivo.
-Voglio
sapere tutto – disse lei seria, staccandosi riluttante da
quelle labbra
sottili.
Loki
sghignazzò, accarezzandole i lunghi capelli dorati: -Abbiamo
tutta l’eternità
per parlare – le prese dolcemente la mano, baciandogliela con
galanteria -Che
ne dici se prima mi aiuti a riprenderci ciò che ci spetta?
–
-Una
vendetta? – domandò ironica Sigyn, ben conoscendo
la risposta.
Sul
viso di
Loki spuntò un sorriso sadico, di quelli che la maggior
parte delle persone
troverebbe inquietante, ma non Sigyn: -Noto con piacere che sei sempre
sveglia,
mia cara. Ci riprenderemo il regno e il trono, è una
promessa –
Sigyn
lanciò
uno sguardo al suo Tanzaku, prima di stracciarlo e gettarlo ai mille
venti: il
suo desiderio si era finalmente avverato.
Loki
era
tornato, e con lui la vendetta tanto agognata.
E fu solo in
quel momento che Sigyn sentì di essere finalmente rinata.