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Autore: wolfymozart    17/07/2017    0 recensioni
Sullo sfondo delle prime rivolte contadine antifeudali, si snoda la vicenda che ha per protagonisti Anna e Antonio. Come i rivoltosi si ribellano alle ingiustizie della società del tempo, allo stesso i due protagonisti, sono alle prese con una personale rivolta contro i propri destini segnati dagli errori, dalle incomprensioni e dalle scelte avventate del passato. La giustizia riuscirà a trionfare o prevarrà l'arroganza della sorte?
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna Ristori, Antonio Ceppi, Elisa Scalzi, Emilia Radicati
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Una nebbia sottile avvolgeva il piazzale sul retro del monastero, la pioggia aveva smesso di cadere, ma il cielo permaneva grigio, presago dell’autunno ormai alle porte. Uno strano silenzio aleggiava intorno alle massicce mura dell’edificio, giungevano soltanto i richiami degli uccelli dal vicino bosco, accompagnati da folate di un fresco vento mattutino. Intorno non si scorgeva anima viva.
-Allora è giunto il momento di salutarci. – ruppe il silenzio Antonio, come per congedarsi, pur essendo questa l’ultima cosa al mondo che avrebbe voluto fare. Anna si sporse per imprimergli un veloce bacio di saluto sulle labbra. Voleva affrettare quei momenti. Se proprio dovevano separarsi, che avvenisse nel modo più veloce possibile: se avesse indugiato, temeva che non avrebbe più avuto il coraggio di andarsene. Gli prese le mani e gli disse:
- Ti raccomando Emilia. Abbi cura di lei. Dille che sua madre tornerà presto. –
- E’ una promessa? – chiese Antonio, scrutando i suoi occhi: era lui stavolta in cerca di rassicurazione.
- Una promessa che manterrò. Tornerò presto da te. Sono sempre stata una persona seria. – rispose lei con tono fermo.
- Lo so. Ed è anche per questo che ti amo. –
- Arrivederci, Antonio. – concluse in fretta. Si calò il cappuccio sul viso e, evitando di incrociare anche solo per un istante gli occhi di lui, fece per voltarsi. Ma Antonio fu svelto ad afferrarle un braccio.
- Ti ammiro, Anna, per il tuo coraggio. Abbi cura di te. – le disse infine con un sguardo insieme dolce ed angosciato, che la marchesa tentò di fuggire. Poi aggiunse: - E torna presto. Me l’hai promesso. –
Anna fece solo un lieve cenno di assenso con il capo prima di avviarsi a passo svelto e deciso verso la carrozza, senza voltarsi nemmeno una volta per un ultimo saluto ad Antonio, rimasto immobile a fissarla mentre si allontanava.
- Marchesa, vi ho atteso tutta la notte. Avevate detto che si trattava di una questione di un paio d’ore al massimo. Che cos’è successo di…- tentò di domandare il cocchiere mezzo assonnato e intorpidito dal freddo.
- Non fare domande. Tu non sai nulla, non hai visto nulla, intesi? Muoviamoci: mio marito mi starà già aspettando da un pezzo – rispose Anna stizzita, sollevando la gonna per salire in carrozza.
Antonio rimase lì, in piedi, immobile, finché la carrozza non sparì, voltando l’angolo. Voleva imprimersi nella mente ogni possibile immagine di lei, non voleva perdersi nemmeno un secondo. Non sapeva quando l’avrebbe rivista. In quel momento si sentì d’un tratto solo ed esausto. Era consapevole che quella notte non costituiva che una pausa serena strappata al corso ingarbugliato che avevano preso le loro vite. Anna sarebbe tornata ai suoi doveri, alla lotta quotidiana contro le prevaricazioni di suo marito: non avrebbe mai lasciato il campo ad Alvise, non avrebbe mai desistito, neppure per amor suo o della figlia. E Antonio temeva che questa strenua resistenza, questa lotta senza esclusione di colpi avrebbe finito per distruggerla nell’animo o peggio nel corpo. In quel momento poi, con i tumulti e le rivolte in atto, il suo timore era duplice. Anche lui sarebbe dovuto tornare al più presto al suo dovere, quello di soccorrere i feriti e gli ammalati che avevano bisogno di lui, ma il pensiero di Anna l’avrebbe accompagnato per tutto il tempo che avrebbero trascorso separati, ne era profondamente certo.

Mentre stava assorto, immerso disperatamente in queste riflessioni, lo sguardo perso nel vuoto, una voce lo fece sussultare:
-Dottor Ceppi! Siete voi il dottor Ceppi, non è vero? –
Un ragazzino sbucò tutt’un tratto dalla siepe che cingeva il piazzale. Da quanto tempo era lì? Si chiese subito Antonio. Aveva assistito a tutta la scena? Chi lo mandava? Il marchese? Era forse il suo compito quello di controllare Anna? Più che mai ansioso, gli si rivolse con un tono brusco che non gli apparteneva:
- Chi sei? Che vuoi? –
Mentre il ragazzino si avvicinava, ebbe modo di studiarlo meglio. Le vesti logore in più punti, i capelli scompigliati, i piedi nudi e infangati. No, si disse, il marchese non sarebbe mai ricorso ad un ragazzo del genere per le sue losche manovre: aveva ribrezzo della povertà, anche quando si trattava di servirsene.
-Siete dunque voi il dottor Ceppi? – riprese con aria per nulla intimorita.
- Sì, sono io. – annuì Antonio, impaziente.
- Ne ero sicuro! – gioì soddisfatto della sua corretta intuizione. – Ecco, questo è per voi – continuò porgendogli un foglio spiegazzato che estrasse da una tasca.
- Di che cosa si tratta? – chiese il medico togliendogli di mano quel pezzo di carta.
- Non saprei. Io non so leggere. – rispose alzando le spalle.
Antonio spiegò il foglio. Scorse una grafia a lui ben nota e non poté non lasciarsi sfuggire un sorriso.
 
 
Fabrizio è tornato. Tra poco sarà al convento, resistete ancora per qualche ora. Tutti saranno liberati. Il marchese la pagherà cara. Ce l’abbiamo fatta, Antonio.
Elisa 
P.s.: Emilia ti manda un saluto, si augura di vederti presto.


Ripiegò svelto il foglio, congedò il ragazzo offrendogli qualche moneta e ritornò sollevato al suo lavoro.
 
 
-Mi ha ingannato! Questa volta ci sono cascato in pieno: non dovevo darle il permesso. Quella strega di mia moglie! Ne sa una più del diavolo! Ma non la passerà liscia, la scoverò e allora saranno guai! – bofonchiava Alvise mentre la carrozza si avvicinava al monastero.
-Suvvia, mio caro! Si sarà trattenuta più del previsto a cantare le lodi del Signore…E’ una donna così noiosamente pia! Ognuno impiega il tempo come vuole. Certo, se sapesse come l’abbiamo impiegato noi questa notte, sarebbe molto invidiosa…- ribatté Betta melliflua, strusciandosi addosso a lui.
- Mia dolce Betta, come fai ad avere sempre le parole giuste per ogni occasione? Hai proprio ragione, mia moglie è una povera bigotta, ma ho paura che mi nasconda dell’altro. Che cosa ci è stata a fare fino a mattino inoltrato dai suoi preti? Che sia andata da Emilia? Che sia fuggita con quel pezzente? –
- In ogni caso lo scopriremo presto, mio adorato! –
- Quanta verità, quanta verità! – concluse Alvise estasiato dalla notevole acutezza della sua giovane amante, e suggellò la sua ammirazione con un bacio scollacciato, degno della sua smodata libidine.
 
Anna si era assopita durante il tragitto: la nebbia non le permetteva di ammirare il paesaggio e le tutte emozioni di quella notte l’avevano sfinita. Nel dormiveglia non poteva smettere di pensare ad Antonio, a quanto fosse stato difficile staccarsi di nuovo da lui, a quanto avrebbe desiderato essere lì, in quel convento o dovunque egli fosse. Ma tutt’a un tratto i dolci ricordi lasciarono il posto ad un fosco presagio. Alvise. Si era già accorto della sua assenza? Era ormai mattino inoltrato, non poteva che essere così. Lo vide affannarsi nella ricerca di lei, lo vide spalancare con rabbia la porta della sua stanza, minacciare i servitori, trotterellare nelle stalle per sincerarsi che la sua carrozza fosse al solito posto. Ne immaginò la reazione alla vista della sua mancanza. Ne avvertì le urla rabbiose, gli insulti, gli ordini imperiosi con cui chiedeva che gli fosse preparata un’altra carrozza per raggiungerla al monastero. O forse era ancora bellamente arenato fra le coperte, stordito dal vino e dai piaceri, tra le braccia di quella ragazzina sconcia e impertinente? Quanto si augurava che fosse così! Ma qualcosa, un presentimento tanto forte da stringerle lo stomaco, le diceva il contrario. Alvise era a conoscenza del fatto che quella notte non fosse rientrata. Forse era già al convento. Forse aveva già trovato Antonio. Forse aveva cercato di estorcergli dove lei si trovasse. Forse l’aveva fatto di nuovo picchiare. Forse…No, non voleva pensarci. Si riscosse del tutto dal sonno, sudata, angosciata. Si portò una mano sulla fronte: non avrebbe mai dovuto lasciare Antonio, sarebbe dovuta fuggire con lui. Ma in quel momento ecco apparire in lontananza il suo palazzo. Era a casa. Capì che aveva fatto la scelta giusta: lottare fino all’ultimo per difendere quello che era suo e della sua famiglia.
 
Un vento umido spazzava il cortile antistante il monastero, sollevando turbini di polvere e foglie secche, ululando agli angoli delle mura; ma una gradita sorpresa mise di buon umore Alvise, che si dimenticò per un attimo del suo rancore verso Anna. Scese dalla carrozza appoggiando maldestramente il proprio ingente peso al bastone, prese Betta a braccetto e si avviò con passo malfermo verso l’entrata del chiostro. Si fermò d’un tratto quando scorse un drappello di uomini in armi. Avvicinandosi notò il governatore parlare fitto fitto con l’abate. Un ghigno compiaciuto gli comparve sul viso.
- Avete visto, Betta? Mi ha dato ascoltato, alla fine, quel sant’uomo dell’abate! Che Dio l’abbia in gloria! – esclamò compiaciuto e soddisfatto.
-E come ci si potrebbe rifiutare di ascoltarvi, caro Alvise! – gli rispose Betta, civettando come suo solito e stringendosi a lui con fare lascivo.
- Governatore, vedo con estremo piacere che i miei avvertimenti non sono rimasti inascoltati, siete accorso solerte a riportare un po’ di giustizia da queste parti! –
- Marchese Radicati, – s’inchinò il governatore salutandolo – il piacere è mio. Non si dica nel regno che le legittime richieste di un nobile d’antico casato come voi restino inadempiute. Conosco la vostra lealtà nei confronti della corona. Mi sbaglio forse?  -domandò retorico, con un accenno di sarcasmo – La mia carica di governatore non mi consentiva dunque prendere atto dei fatti disdicevoli e criminali che si sono verificati in nella vostra contea senza colpo ferire. Anche le autorità ecclesiastiche, interpellate dal nostro abate, si son indignate per quanto avvenuto e si sono mostrate concordi sulla necessità di porre fine a questa situazione, e assicurare alla giustizia questi ribaldi. –
In piedi, con atteggiamento fiero, il governatore fissava impettito ora il marchese ora i suoi uomini sull’attenti dietro di lui, le mostrine ben in mostra sulla sua casacca. L’anziano abate si torceva le mani, taceva, indeciso sul da farsi.
- Che cosa passa per la mente a questi mentecatti, a questi ominicchi?! Si rifiutano di consegnare la parte di raccolto dovuta e hanno anche la pretesa di incendiare palazzi, bruciare documenti secolari!- si intromise Alvise, manifestando tutta la sua rabbia, il suo disappunto.
- Non andate in collera, marchese. Non temete, ciascuno avrà quanto gli spetta. Faremo rispettare le leggi, i diritti padronali non possono essere violati. Non è facendo un falò coi documenti degli archivi che riusciranno a sovvertire l’ordine costituito! Sua Maestà vi sarà riconoscente, e con lui l’aristocrazia tutta per la fermezza con cui avete gestito questo frangente delicato, senza cedere a certe bieche rivendicazioni. Avete messo il regno al riparo da pericolosi precedenti. –
-Sgomberate la chiesa! – a questo comando le guardie si gettarono contro le porte dell’edificio e le sfondarono.
- Chiaramente tutto con il vostro permesso, abate – precisò a mo’ di scusa il governatore, mentre l’abate annuiva tremante.
In poco tempo tutti i ribelli vennero fatti sloggiare dalla chiesetta in cui si rifugiavano, vennero incatenati e spostati a suon di calci al centro del piazzale. Ci furono alcune urla, qualche tentativo di resistenza ma gli animi vennero ben presto sedati. Tutto sarebbe risultato vano, di fronte ad un folto plotone di guardie armate.
-Ecco a voi, marchese, questo branco di criminali. Che cosa intendiamo farne?- domandò il governatore mentre con un ampio gesto della mano mostrava orgogliosamente la schiera degli arrestati, con l’aria spaesata ma agguerrita e  i vestiti a brandelli.
Alvise li passò uno ad uno in rassegna. Con una smorfia di disgusto rivolta ai dipendenti che avevano avuto l’ardire di sfidare lui e l’ordine costituito, chiese: - Governatore, non ho certo intenzione di sostituirmi alla giustizia di Sua Maestà, ma, se mi sarà concesso da voi e dal Re, vorrei avere l’onore di fare eseguire io stesso la condanna a morte di questi zotici, sulla pubblica piazza. Che sia una punizione esemplare, un monito per tutti gli altri straccioni della loro specie. –
- Si faccia come dite. – permise – Avete piena facoltà di amministrare la giustizia nella vostra contea. A Sua Maestà parlerò della nostra familiarità e della dedizione alla corona che avete sempre manifestato. Vi accorderà senz’altro il suo consenso e il suo apprezzamento. –
- Avete sentito, Betta, mia cara? Capite ora quanto io sia considerato a corte? –bisbigliò con la sua solita boria all’orecchio della marchesina Maffei. Poi, forte delle esternazioni di stima del governatore, tronfio e  sfrontato, gli si rivolse con una particolare, e da lui molto sentita, richiesta: - In nome della nostra consuetudine, della familiarità, o, se preferite, in nome della reciproca stima, vorrei avanzare una richiesta –
- Dite –
- Ecco, governatore, dovete sapere che l’abate proprio ieri mi parlò di altri fuggiaschi nascosti all’interno del monastero, si tratta di feriti …-
Non fece nemmeno in tempo ad ultimare la frase che il governatore ordinò: – Guardie! –
-Sarà mia cura perlustrare l’interno e fare sgomberare tutti. – aggiunse poi.
- Ma la mia richiesta è di altro tipo. Dovrebbe essere nascosto insieme a loro un medico, loro complice! Un medicastro di campagna, nobile decaduto in cerca di riscatto, che ha partecipato alle sommosse! Ha un grande ascendente sui quei popolani ignoranti, è lui la mente pensante che sta dietro a tutti questi disordini, ne sono certo. Vorrei poterlo giustiziare io stesso. Vedete, un elemento del genere non può restare a piede libero. –
-Mi state parlando di un medico? –
- Esattamente-
- Dunque, non di un mezzadro, di un servo, di un dipendente: pertanto non avete alcun diritto di giudicarlo e giustiziarlo, sono spiacente. Non avete alcun potere su di lui, spetta a Sua Maestà assicurarlo al patibolo, nel caso in cui fosse provata la sua colpevolezza. -
- Governatore, ascoltatemi. Mia figlia è scomparsa, non si trova più da settimane. Potete immaginare la mia preoccupazione, la mia angoscia…E, ne son certo, dietro a tutto questo ci stanno i miei servi e questo losco figuro. Non potete non concedermi la facoltà di…-
Il governatore seguitò a negare risolutamente, scuotendo il capo quasi spazientito. Il marchese dal canto suo stava perdendo le staffe:
- Ma insomma! Quest’uomo, con le sue idee balzane da intellettuale da quattro soldi, ha fomentato una sommossa nella mia proprietà, insieme ai miei servi ha messo in pericolo la mia tenuta, la mia famiglia! Sua maestà non può negarmi il permesso di punire come si deve questo arruffapopolo. E poi…la nostra familiarità, governatore! –
- Volete che chiuda un occhio su questa vicenda, insomma…-
- Lungi da me corrompervi! Si tratta soltanto di concedere a un amico di poter servire al meglio la causa dell’aristocrazia e riportare un po’ di giustizia nella sua contea! –
- Abate, confermate quanto dice il marchese riguardo a quest’uomo? – chiese il governatore
- Mi era parso una persona onesta ma…- cercò di rispondere l’abate ma Alvise gli tolse la parola di bocca con la sua solita protervia:
 - Ma quale persona onesta! È un facinoroso, un sovvertitore dell’ordine sociale!- esclamò paonazzo in volto, lanciando un’occhiata minacciosa al povero abate.
- Se siete a conoscenza di reati commessi da quest’individuo di cui mi parlate a danno vostro e della vostra famiglia, vi accordo il permesso. Ve lo consegnerò. Gli farete confessare quel che sa in merito alla scomparsa di vostra figlia. Ma non vi sarà permesso di giustiziarlo, questo spetta, eventualmente, solo al tribunale regio. -
- Non dubitatene, governatore! Vi sarò eternamente riconoscente! - assicurò Alvise raggiante, giungendo le mani in segno di gratitudine.
- E ora, marchese, gli impegni di governo mi reclamano. Il capitano si prenderà l’incarico di traslare i prigionieri, farà sgomberare anche gli ultimi feriti rimasti. – 
Così dicendo, seguito da un ristretto manipolo di guardie, montò a cavallo, alla volta della capitale. Mentre le guardie agli ordini del capitano restavano schierate sul piazzale.
- Molto bene, mia adorata Betta! A noi, dottorino! Ora vedremo chi la spunterà! – si sfregò le mani soddisfatto Alvise.
 – Non c’è ombra di dubbio, mio caro, la spunterete voi! – lo compiacque la giovane in tono civettuolo.
 
   
 
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