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Autore: hotaru    14/06/2009    4 recensioni
"Era piuttosto presto per gli standard estivi, il sole non era ancora alto, e Hinata non incontrò quasi nessuno durante il suo percorso solitario. Il gelato di Hanabi le aveva in qualche modo dato un’idea: quella mattina si era infilata un paio di pantaloncini marroni e una canottiera verde oliva, che sperava sarebbero riusciti a mimetizzarla meglio di un vistoso prendisole bianco.
Giunta alla base di un ben noto muro, si sfilò i sandali, attenta a non fare il benché minimo rumore. Li appoggiò a terra e poi, a piedi nudi, iniziò la scalata.
Pensava che si sarebbe vergognata come un ladro- effettivamente, si stava comportando come tale- invece era in preda ad una strana euforia. Non aveva mai fatto qualcosa che andasse contro le regole, prima."
Kiba/Hinata sul modello de "La Bella e la Bestia".
Dedicata a kibachan
Prima classificata al "Naruto Fairytale Contest" indetto da Lalani
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Altri, Kiba Inuzuka
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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3- Il mandorlo Il mandorlo

-    Sai almeno che albero è quello che hai eletto a tua dimora? – chiese Kiba ad alta voce, per farsi sentire dal suo sgabello di fronte al cavalletto con la tela.
-    Come? – rispose Hinata – No, veramente non me lo sono mai chiesta…
Anche se ogni volta che veniva non poteva fare a meno di ammirarne i rami dolci e le tenere foglie, così delicate, non si era mai chiesta che tipo d’albero fosse, e adesso si scoprì curiosa.
-    È un mandorlo – la informò Kiba.
-    Un mandorlo? Fa le mandorle?
-    Dovrebbe. Ma visto che fra queste mura siamo tutti refrattari alle regole, lui non ne ha praticamente mai fatte.
Lanciò un’occhiata in tralice alla ragazzina. Anche se dal punto in cui era non riusciva a vederla molto bene, era sicuro che un po’ di delusione si fosse dipinta sul suo viso.
-    Ma fa moltissimi fiori – aggiunse, simulando indifferenza.
-    Davvero? – la voce di Hinata suonava speranzosa. Aveva toccato il tasto giusto.
Annuì, anche se non si girò a guardarla. Quel comignolo era sempre un punto ostico, ci volevano mano ferma e concentrazione perché venisse fuori bene.
-    Sì, in primavera ne è talmente pieno che certi rami leggeri si piegano. È un peccato che tu non li abbia visti. Sei arrivata tardi.
Hinata non rispose. Era troppo impegnata ad immaginare le fronde che la circondavano cariche di fiori. Ma fiori… come? A un tratto si rese conto di non sapere assolutamente nulla dei mandorli.
-    E di che colore sono?
-    Mmm… tra il bianco e il rosa chiaro. Un colore molto tenue.
-    Non è che magari non fa frutti perché è una specie ornamentale? – azzardò Hinata.
Kiba si grattò dubbioso la testa con la punta del manico del pennello.
-    Mah! Sai che non ci ho mai pensato? Forse hai ragione.
Hinata sorrise. Stava bene, lì. Così bene che non sarebbe nemmeno tornata a casa.
Per una settimana dopo il temporale non era potuta tornare, visto che tutta quell’acqua le aveva fatto venire una bella influenza. Non aveva mai desiderato così ardentemente di tornare a stare meglio, e aveva seguito più diligentemente del solito le prescrizioni del medico.
Kiba, quando l’aveva vista rispuntare sul ramo del suo albero, aveva commentato:
-    Toh, rieccoti qui! Cominciavo a pensare di averti spaventato più delle altre volte!
Adesso era lì praticamente tutti i giorni. A volte andava a trovare Shino, accompagnava Hanabi in gelateria, faceva un salto in biblioteca… ma il resto del tempo la si poteva trovare lì, appollaiata sul quel ramo che ormai doveva aver preso la forma del suo sedere. All’inizio il didietro le aveva fatto anche male, ma ci si era abituata in fretta. Forse si sarebbe trasformata in un uccello prima della fine dell’estate.
Quando poteva rimaneva tutto il giorno, tanto Kiba restava sempre fuori a dipingere, con in testa un largo cappello di paglia nelle ore più calde.
Tornava a casa solo a pranzo e a cena, tanto per far sapere che era ancora viva, ma nessuno le chiedeva mai dove era stata. Suo padre non c’era a causa del lavoro, e sia sua madre che sua sorella avevano una loro vita. A volte capitava che, a parte “Buongiorno” e “Buon appetito”, non si dicessero altro per un’intera giornata. Era sempre lei ad augurare per prima la buonanotte.
Di conseguenza, era sempre lì.


-    Ah, avevo dimenticato di dirtelo… ho chiuso il buco. Ci ho messo un mattone nuovo, anche se a dire il vero stona un po’ con tutti gli altri, che sono decrepiti – gli venne in mente una volta.
-    Beh, l’importante è che Akamaru non scappi più – rispose Hinata.
-    Tanto fra un po’ non potrà farlo comunque. Quando crescerà non riuscirà più ad infilarci nemmeno il muso!
-    Cosa? – fece la ragazzina, un po’ turbata – Diventerà così grosso?
-    Esattamente – annuì Kiba, compiaciuto – È una razza particolare, i cui cuccioli sono minuscoli e gli adulti delle bestie enormi. L’ho preso apposta.
-    Ah…  - commentò Hinata.
Sentendo il suo tono, Kiba si voltò verso di lei.
-    Che hai? Mi sembri poco convinta. Cos’è quella faccia?
-    È che… non mi piacciono i cani grandi – ammise.
-    Hai paura?
Hinata annuì.
-    Sono stata morsa da un grosso cane quand’ero piccola – disse.
-    Capisco. Ma non devi preoccuparti: lui non ti dimenticherà – le rispose.
-    Davvero?
Kiba la guardò fiducioso.
-    I cani non dimenticano mai nessuno. Non sono come noi.
Hinata lanciò un’occhiata al cagnolino, in quel momento occupato a cercare una lucertola sparita dentro un fitto cespuglio. Di lui era visibile soltanto il didietro scodinzolante. Le riusciva difficile immaginarlo come un maestoso e colossale molosso.



C’era una domanda che Hinata avrebbe tanto voluto fargli, ma non ne aveva mai avuto il coraggio. Nonostante stesse prendendo sempre più confidenza, si sentiva sempre in imbarazzo ad affrontare argomenti personali, le sembrava di ficcare un po' troppo il naso.
Tuttavia il primo giorno di agosto si decise a farlo. Con tono indifferente, buttò lì:
-    Quindi ti piace dipingere?
Kiba scoppiò in una grassa risata, che la fece sobbalzare. Sì, aveva cominciato anche a ridere.
-    Dimmi un po’ – le disse, poggiando il pennello sul bordo del cavalletto e girandosi di un quarto verso di lei – È da giugno che vieni qui, e tutte le volte mi hai visto seduto e con il pennello in mano. Secondo te mi hanno condannato ad un “lavoro forzato” di questo genere?
Hinata arrossì furiosamente. Quanto era stata stupida!
-    Non sei capace di dissimulare – la informò, tornando alla propria tela – Se vuoi chiedermi qualcosa, fallo e basta. Ti ho già detto che non ti mangio.
Quindi poteva?
-    Beh… - la curiosità ebbe la meglio, e prima di rendersene conto chiese: - Perché dipingi sempre casa tua?
-    Brava, vedo che l’hai notato – sghignazzò lui - Scommetto che ti sembrerà l’ennesima follia di un matto carcerato!
A volte le faceva queste battute sulla condizione in cui si trovava, ma erano rare. Non aveva mai parlato di quello che gli era successo prima di tornare lì, del crimine di cui era accusato. Ma lei era solo una ragazzina, in fondo.
      -     Veramente no – rispose gentilmente Hinata – Mi ricorda Monet.
Kiba si girò di nuovo a guardarla, decisamente sorpreso.
-    Scusa, quanti anni hai detto di avere? Tredici? E conosci Monet?
Hinata annuì, arrossendo compiaciuta per essere riuscita a stupirlo, lui che sembrava avere visto tutto.
-    A marzo ci hanno portato in gita a Parigi, e mi ricordo che in un museo  abbiamo visto vari quadri con lo stesso soggetto, ma dipinti in momenti diversi della giornata. Mi sembrava ci fossero una chiesa e dei covoni in un campo…
Il ragazzo annuì col capo, confermando:
-    Sì, “La cattedrale di Rouen” e “Covoni”, per l’appunto – poi si voltò verso la propria tela – Io sto facendo più o meno la stessa cosa. In fondo sono rinchiuso qui notte e giorno, e da dipingere non c’è altro. A parte Akamaru, forse, ma lui non sta fermo un attimo e non ho alcuna voglia di corrergli dietro col pennello.
L’interpellato scodinzolò allegro, totalmente ignaro delle accuse che gli venivano rivolte.
-    Però, sai – continuò Kiba – Forse va bene così. Adesso che sono costretto a guardarla per ore sto scoprendo un sacco di cose. Cose che non avrei mai immaginato…
Hinata avrebbe voluto chiedergli di quali cose si trattasse, ma vedendolo così meditabondo pensò potesse trattarsi di faccende riguardanti la sua famiglia e il suo passato, e se ne rimase zitta.   
-    Li tieni tutti in casa? – chiese invece, cercando di cambiare discorso.
-    Sì. Credo di aver quasi riempito una stanza. Ma tanto prima o poi li brucerò tutti.
Quell’affermazione la sconcertò:
-    Cosa? Perché? Secondo me non dovresti, sono molto belli!
-    Di’ un po’, ma tu cosa puoi vedere dalla tua postazione vegetale?
-    In famiglia abbiamo una buona vista – rispose semplicemente – E poi i tuoi quadri mi hanno davvero colpito. Una notte li ho sognati.
-    Davvero? – Kiba sembrava sorpreso – Ma pensa… spero non fosse un incubo!
-    No, anche se non me lo ricordo molto bene.
-    In ogni caso, anche se li bruciassi non farebbe molta differenza. Magari potrei tenerne uno o due, ma gli altri sono tutti esercizi per riprendere un po’ la mano. Non c’è niente dentro.
-    Dentro?
Kiba le lanciò uno sguardo penetrante.
-    Non c’è un sentimento, un bisogno impellente che mi ha spinto a dipingerli. Non c’è un progetto pensato e ripensato per rendere al meglio l’idea – spiegò – In pratica non hanno alcuna ragione d’esistere.


Hinata si guardò intorno. Ogni volta le sembrava di vedere quel posto per la prima volta, tanto lo amava. Quella sera d’agosto una leggera brezza s’insinuava tra le fronde e i suoi capelli, regalandole una piacevole frescura al posto dell’abituale afa.
Fece una panoramica della porzione di giardino che le era possibile vedere dalla propria posizione. Ormai la sognava anche di notte, ma voleva imprimersela bene nella mente, per essere sicura di continuare a farlo. Dato che da lì a una settimana sarebbe partita.
Non era mai scesa dall’albero. Non aveva mai toccato con i propri piedi la terra del giardino, né tanto meno era entrata in casa, ma era felice così.
Sapeva che doveva dirglielo, ma non riusciva a trovare un modo per iniziare il discorso. “Tra l’altro, non è detto che gli importi qualcosa” pensò “Certo, non mi ha più cacciata, ma magari si è stancato di avermi intorno tutto il santo giorno. Forse non vede l’ora che me ne vada, quindi gli farei solo un gran favore a sparire da un giorno all’altro”.
Tuttavia l’occasione gliela presentò proprio lui, il giorno dopo, quando con tono tranquillo le chiese:
-    E la scuola? Fra un po’ ricomincia, eh? Cosa racconterai se ti faranno fare uno di quegli stupidi temi sulle vacanze estive? Che sei rimasta appollaiata su un albero per tre mesi?
-    Non credo che ci faranno fare temi così. Non sono più alle medie.
-    Oh, giusto, è vero. Che scuola hai scelto? – chiese.
Scelto. Parola grossa. Suo padre aveva provveduto all’iscrizione e alla prima retta e gliel’aveva comunicato. Tutto lì.
-    È un collegio. Femminile. Dovrò stare via tutto l’anno fino a giugno.
Kiba mise giù il pennello e si voltò a guardarla:
-    E ti hanno chiesto cosa ne pensavi, prima di sbatterti là a forza?
Hinata arrossì, pensando che in un secondo lui aveva già capito tutto, mentre suo padre non si era nemmeno chiesto se lei avesse voluto andarci o meno. O forse lo sapeva, che cosa ne pensava lei, ma non gli importava.
-    In fondo non importa. Non avevo un’idea particolare – disse remissiva.
-    Avere un sacco di soldi ha anche i suoi svantaggi – commentò lui – Ne so qualcosa anch’io.
Hinata annuì mesta, lo sguardo basso. Kiba se ne accorse e cambiò prontamente discorso:
-    È tutta l’estate che mi chiedo come fai a startene delle ore seduta lì sopra. Non sei caduta nemmeno una volta. Lo sai che una volta mia sorella, arrampicandosi, è caduta proprio da quell’albero? Non ci giurerei, ma mi sembra che il ramo fosse proprio quello dove sei seduta tu.
Questo le fece alzare la testa e dimenticare i propri problemi. Era la prima volta che parlava della sua famiglia, non aveva mai nominato nemmeno sua madre.
-    Hai una sorella? – chiese.
-    L’avevo – puntualizzò lui – Non so se ce l’ho ancora, può darsi di sì. Era più vecchia di me di qualche anno.
Diede un paio di pennellate, poi sbuffò.
-    I fratelli maggiori sono la razza peggiore del mondo – sbottò.
-    Io sono la sorella maggiore – rise Hinata.
-    Davvero? Credevo fossi figlia unica.
-    No, ho una sorellina – rispose – Però non parliamo molto.
Kiba annuì.
-    Sì, lo immagino. Sai, quando eravamo piccoli lei era davvero forte: faceva un sacco di cose, e mi coinvolgeva sempre. Non mi ha mai visto come una palla al piede.
-    Cosa facevate? – chiese Hinata curiosa.
-    Le piacevano un sacco gli animali – rispose lui incrociando le braccia dietro la testa, perso nei ricordi – Ogni volta che trovava un cane per strada o una cucciolata di gattini abbandonati doveva per forza soccorrerli. Nostra madre non voleva, ma la casa era grande a sufficienza da poterli nascondere. Fu proprio per rimettere un uccellino nel nido da cui era precipitato che cadde dall’albero.
Hinata si guardò intorno, e per un istante le sembrò di vedere una giovane Inuzuka scalare il tronco con un uccellino in mano, negli occhi lo stesso sprezzo del pericolo del fratello. Doveva essere una ragazza coraggiosa, altruista e avventurosa. Esattamente il contrario di ciò che era lei.
-    Forse avrebbe dovuto fare la veterinaria – azzardò.
-    Forse lo è diventata – rispose lui, riprendendo in mano il pennello con uno sbuffo – Non è più un problema mio, ormai.
Mentre lo guardava rimettersi al lavoro, Hinata si chiese se anche lei un giorno avrebbe detto che Hanabi “non era più un problema suo”. Si diventava così crescendo? Essere fratelli non significava più nulla?
Si sentì amareggiata più del dovuto da quella conversazione, e in silenzio saltò sul muro e se ne andò, senza salutare.
Quella sera portò ad Hanabi una vaschetta di gelato dai gusti misti, che mangiarono a cucchiaiate guardando un film e giocando a carte. Sua sorella non aveva niente da fare e sembrava abbastanza di buonumore, tanto che alla fine si addormentarono nello stesso letto raccontandosi vecchie storie.
Prima che il sonno scendesse su di loro, Hanabi sussurrò:
-    Hinata? Hai mai… baciato qualcuno?
-    Come? – gli occhi di Hinata si spalancarono nella notte afosa e buia.
-    L’hai mai fatto? – insisté Hanabi.
-    Beh… no – rispose lei, arrossendo notevolmente.
-    Io sì – la voce di Hanabi suonava come se le labbra si fossero distese in un sorriso – Ieri.
-    E come… è successo? – chiese Hinata, curiosa suo malgrado.
-    È stato Konohamaru – bisbigliò la più piccola.
-    Quel ragazzino che gioca spesso a calcio in piazza? È per questo che vuoi sempre andare a prendere il gelato là?
Hanabi tirò su il leggero lenzuolo che le ricopriva.
-    No, certo che no. Figurati se farei una cosa del genere! Sono io che piaccio a lui, non il contrario. Ho lasciato che mi baciasse solo perché ero curiosa di vedere cosa si prova – rispose piccata, difendendo strenuamente il proprio orgoglio. Ma Hinata sapeva di aver colto nel segno.
-    E… com’è? – si ritrovò a chiedere la più grande, arrossendo come un papavero e quasi  vergognandosi della curiosità che provava.
A questo punto la testa di Hanabi sparì completamente sotto le lenzuola, borbottando qualcosa come “Ho sonno, sono stanchissima” e rigirandosi dall’altra parte.
Hinata sospirò silenziosamente, ma capì. La mancanza di un’amica intima aveva portato la sorella a confidarsi con lei, ma dubitava che lei stessa sarebbe stata più ciarliera se si fosse trovata nei suoi panni. Anzi, forse non l’avrebbe detto a nessuno.
“E così, mia sorella ha già baciato qualcuno” pensò “Cosa che a me non accadrà ancora per molto, molto tempo. Ma forse è meglio così, non credo che ne avrei il coraggio”.
La presenza di Hanabi scaldava metà del letto, cosicché presto entrambe si ritrovarono in un bagno di sudore. Ma nessuna delle due si spostò di lì, anche se sarebbe stata questione di due minuti alzarsi e andare a dormire nella stanza accanto.
La mattina dopo entrambe si svegliarono con la pelle appiccicaticcia e i capelli madidi di sudore, ma nessuna delle due se ne lamentò. Fecero colazione insieme, poi ciascuna andò per la propria strada. Almeno per quel giorno.

 
-    Domani parto – riuscì ad annunciare Hinata, stentando a riconoscere la propria voce fattasi improvvisamente atona.
-    Ah, sì? – fece Kiba, con un tono indifferente che inaspettatamente la ferì – E che ci fai qui? Non dovresti essere a casa tua a preparare i bagagli?
-    È già tutto a posto – lo informò, anche se controvoglia – Ci ha pensato ieri la cameriera.  
-    Come immaginavo – sbottò Kiba, alzando un angolo della bocca – Fai bene ad andartene. Lo farei anch’io, se potessi.
Qualcosa non andava. Sembrava essere tornato il ragazzo diffidente dei primi tempi, con lo stesso ghigno stampato in faccia e le stesse parole affilate. Perché faceva così?
-    Però tornerò a Natale – azzardò Hinata, non capendo bene nemmeno lei perché lo stesse dicendo.
-    Ah, lo spero bene: dovrebbe essere un collegio, mica una prigione. Anche se la differenza è piuttosto labile…
-    Posso tornare anche qua… - la voce della ragazzina si fece piccola piccola, quasi un sussurro.
-    E arrampicarti anche con la neve? Scordatelo, sarebbe la volta buona per romperti una gamba – il tono si era fatto aspro.
-    Magari l’estate prossima…
-    Fa’ quello che vuoi – la liquidò Kiba, alzando le spalle.
A questo punto Hinata aveva veramente le lacrime agli occhi. Il cielo si stava ormai arrossando della luce languida dei tramonti di fine estate, e avrebbe dovuto tornare a casa. Per tutto il pomeriggio aveva pensato ad un modo per salutare quello che, in fondo, pensava fosse diventato un amico, ma si era resa conto di essere comunque e soltanto una mocciosa.
Sentiva di essere ormai prossima al pianto, tanto che avrebbe voluto voltarsi e scappare via. Ma proprio in quel momento Akamaru si diresse verso di lei, appoggiando le zampe anteriori sul tronco del mandorlo e alzandosi in tutta la sua lunghezza.
Hinata sorrise, mentre sentiva una lacrima calda scivolare giù. Veloce come uno scoiattolo, raggiunse il tronco e scese a terra, malgrado fosse la prima volta che effettivamente lo faceva. Prese in braccio il cane e gli diede una grattatina dolce dietro le orecchie, prima di riprendere la via silvestre.
Non perse nemmeno un momento a pensare che quella era stata la prima volta che era scesa a toccare la terra del giardino con i propri piedi, perché in men che non si dica saltò sul muro e sparì dall’altra parte.
Parecchi minuti dopo, quando ormai il sole era scomparso oltre l’orizzonte, Kiba iniziò a mettere via i propri arnesi per dipingere. Akamaru lo raggiunse e si sedette accanto a lui, scodinzolando piano.
-    Non sperarci – lo avvisò il giovane – E non tenerci troppo, perché non la rivedrai. Sarà cresciuta, e non tornerà più. Vedi di abituarti all’idea.

 



A me questo capitolo piace molto. È una storia lenta, lo so, ma volevo che fosse così. Volevo far capire come le barriere cadono piano, senza quasi che i due se ne accorgano.
I pochi episodi descritti avvengono in diversi momenti nel corso di tutta l’estate: si prende lentamente confidenza finché non vengono fuori i pensieri più nascosti, quelli che non si rivelerebbero mai. Kiba che riesce a parlare di sé, Hinata che si sente talmente a suo agio da fargli delle domande personali.
Ho voluto inserire anche un accenno alle due sorelle Hyuuga, a cui personalmente tengo molto. A mio parere, i fratelli di solito sono persone con un carattere diversissimo fra loro, eppure riescono a intendersi per il solo fatto di convivere sotto lo stesso tetto, di usare lo stesso bagno.
Ci si può allontanare, non parlarsi più, ma ciò non cambia il fatto che al mondo c’è qualcuno con il tuo stesso sangue e i tuoi stessi geni. Per questo Hana fa ancora parte della vita di Kiba, e Hanabi non smetterà mai di essere in quella di Hinata.
Liberi di pensarla come volete, ma questo fa parte della mia “poetica”.

… sono anch’io una sorella maggiore. Di tre fratelli. E mi è sempre piaciuto essere il “capo” quando mia madre non c’è. xD


Aurychan: sono contenta che la mia storia ti sembri piena di sentimento… grazie mille!

   
 
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