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Autore: hotaru    04/06/2009    2 recensioni
"Era piuttosto presto per gli standard estivi, il sole non era ancora alto, e Hinata non incontrò quasi nessuno durante il suo percorso solitario. Il gelato di Hanabi le aveva in qualche modo dato un’idea: quella mattina si era infilata un paio di pantaloncini marroni e una canottiera verde oliva, che sperava sarebbero riusciti a mimetizzarla meglio di un vistoso prendisole bianco.
Giunta alla base di un ben noto muro, si sfilò i sandali, attenta a non fare il benché minimo rumore. Li appoggiò a terra e poi, a piedi nudi, iniziò la scalata.
Pensava che si sarebbe vergognata come un ladro- effettivamente, si stava comportando come tale- invece era in preda ad una strana euforia. Non aveva mai fatto qualcosa che andasse contro le regole, prima."
Kiba/Hinata sul modello de "La Bella e la Bestia".
Dedicata a kibachan
Prima classificata al "Naruto Fairytale Contest" indetto da Lalani
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Altri, Kiba Inuzuka
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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2- Lo spirito dell'inverno Lo spirito dell’inverno


L’idea brillante che Hinata aveva avuto la portò, non appena poté riprendere a camminare, nell’Ufficio Anagrafe della propria cittadina.
Conosceva l’uomo che vi lavorava: sapeva che il figlio doveva avere più o meno la sua età, e se lo ricordava bene. Era l’unico ragazzino silenzioso e schivo in quella gazzarra vociante costituita da tutti i suoi coetanei.
Hinata sentiva che avrebbero anche potuto andare d’accordo se si fossero frequentati di più, ma gli eventi non lo avevano mai permesso: lei era sempre in collegio, e lui dedicava tutto il suo tempo libero alla collezione degli insetti per cui nutriva tanta passione. Era quasi impossibile riuscire a trovarlo.
Con quella famiglia tanto bizzarra Hinata si sentiva comunque a proprio agio: e non si stupì, quella mattina, quando vide che il signor Aburame indossava un giaccone chiaro in piena estate e degli occhialini da sole anche se non si trovavano all’aperto. Malgrado tutto ciò che le avevano sempre insegnato, non lo trovò maleducato.
Non appena entrò, si rese subito conto che la quantità di mosche presenti era leggermente superiore al normale, ma non vi fece caso più di tanto. Sollevata nel constatare che al momento non c’erano altre persone, si diresse verso il bancone, salutando gentilmente.
Il signor Aburame la riconobbe subito:
-    Oh, la piccola Hyuuga – disse, con una voce atona che a Hinata suonò invece molto cordiale – Di che cosa hai bisogno?
-    Ecco, io… - cominciò la ragazzina, un po’ titubante, mentre sentiva il rossore salirle fino alle orecchie. All’improvviso le vennero un sacco di dubbi: quello che voleva fare era legale? E comunque non avrebbe dovuto disturbare il signor Aburame, che aveva sicuramente molto lavoro da sbrigare…
Gli lanciò un’occhiata veloce, ancora timorosa. Lui era lì ad aspettare, tranquillo, senza alcuna traccia di impazienza. Se avesse avuto dell’altro da fare non sarebbe certo rimasto lì a guardarla, giusto?
Quindi Hinata si fece coraggio e piano piano, tra un balbettio e l’altro, espose la propria richiesta.



Alla fine Hinata dovette constatare che era stato tutto molto più semplice di come se l’era immaginato. Il signor Aburame le aveva spiegato che non era esattamente permesso fare quello che voleva, ma per lei avrebbe fatto un’eccezione. L’aveva guidata nella saletta vicino, dove stavano stipati tanti antichi documenti, e le aveva tirato subito fuori la scartoffia di cui aveva bisogno.
Dopodiché l’aveva lasciata sola, tornandosene al proprio lavoro, al computer il cui ronzio somigliava vagamente a quello di un insetto.
Hinata si era seduta ad un tavolo, studiando con reverenza ciò che teneva in mano. Si sentiva quasi in colpa a ficcare il naso così, sapeva che a rigor di logica era profondamente sbagliato, eppure… eppure una vocina, da qualche parte, le stava dicendo che quella era la cosa giusta. L’unica.
Quindi iniziò a leggere il foglio che aveva davanti, e scoprì tante cose interessanti. Innanzitutto, che il giovane Inuzuka portava come primo nome Kiba- poteva sembrare assurdo, ma nessun giornale si era degnato di inserire il suo nome in uno dei tanti articoli a lui dedicati- e che era nato nella casa in cui viveva quasi venticinque anni prima.
Fu quel quasi ad accenderle una lampadina in testa. O, nel suo caso, forse si trattava solo di una timida candelina, ma era sufficiente. Tornò nell’ufficio, restituì il documento al signor Aburame e lo ringraziò calorosamente, con un sorriso sincero.
Lui le fece solamente un cenno con la mano, il cui significato poteva andare dal “Ciao” al “Felice di esserti stato utile”. E tornò al proprio lavoro.



Visto però che le cose non vanno mai come dovrebbero, la mattina del sette luglio una vecchia zia fece visita a Hinata, sua madre e sua sorella. Perciò dovette rimanersene buona e tranquilla tutta la mattina, sorridendo gentile e rispondendo solo se interpellata. Cosa normalmente non troppo difficile, perlomeno per lei, ma quella volta Hinata fremeva.
Per fortuna nel pomeriggio, quando la zia andò a fare il suo pisolino, fu finalmente libera.
Si diresse quasi di corsa verso la casa e, giunta di fronte al famoso muro coperto d’edera, dovette fermarsi un momento a riprendere fiato. Il fiatone avrebbe potuto tradirla, doveva stare attenta.
Si tolse ancora una volta i sandali e si arrampicò, per poi saltare direttamente sul ramo una volta arrivata in cima. Era diventata una vera esperta, ormai.
Tuttavia si era talmente impegnata a fare tutto nel maggior silenzio possibile che aveva dimenticato di dare un’occhiata al giardino, tanto per essere sicura che non ci fosse nessuno o che nessuno la vedesse. Di solito lo faceva, ma quella volta lo scordò.
E- accidenti!- quando se ne ricordò fu troppo tardi.
Perché il pittore misantropo se ne stava tranquillo sotto il suo ramo prediletto, con le braccia incrociate, i capelli spettinati e un ghigno beffardo stampato in faccia.
Quando lo vide, Hinata rimase talmente sbalordita che dimenticò di spaventarsi. Forse avrebbe dovuto voltarsi e andarsene all’istante, ma non riuscì a fare altro che rimanere lì a guardarlo, totalmente stupefatta.
Per qualche momento nessuno dei due aprì bocca. Ad interrompere il silenzio pensò il minuscolo cagnolino color panna, che arrivò trotterellando con il suo festoso “yap!” e si sistemò scodinzolante sotto il ramo su cui se ne stava Hinata, ancora immobile.
Il ragazzo gli rivolse un’occhiata bieca, sospirando rassegnato, per poi rialzare lo sguardo verso la ragazzina e commentare:
      -     Bene, mocciosa, sei decisamente fortunata. Visto che ad Akamaru stai così simpatica,
             non ti beccherai né una denuncia per violazione di domicilio né qualche altro metodo più
            drastico… anche se sappi che in sala da pranzo c’è ancora una baionetta del Settecento… -
             alzò leggermente un sopracciglio, assottigliando gli occhi, per vedere se la minaccia   
             stesse facendo effetto. Sembrava una ragazzina impressionabile, non ci doveva volere
             molto per spaventarla a dovere. Anche se, in realtà, pensava che la prima volta sarebbe
             bastata, e invece…
      -     Comunque sia – riprese - mi auguro solo che tu non vada in giro a vantarti di essere l’unica ad entrare nella
             proprietà della “Bestia”… come a quanto pare hanno cominciato a chiamarmi.
Hinata avrebbe voluto chiedergli come facesse a conoscere questo dettaglio delle voci che correvano su di lui, dato che era sempre chiuso lì dentro, ma naturalmente si sarebbe seppellita viva piuttosto di farlo.
Si impose invece di non pensare- almeno per qualche secondo- giusto il tempo di riuscire a fare ciò per cui era venuta.
Inspirò profondamente e, prima di avere il tempo di vergognarsi o anche solo di pensarci due volte, disse d’un fiato, pronunciando con cura ogni parola a voce alta:
-    Buon compleanno.
Lui la guardò decisamente sorpreso e, dopo qualche secondo, per la prima volta sorrise. O perlomeno quella fu l’impressione che Hinata ne ebbe, anche se esteriormente sembrava soltanto un ghigno un po’ meno aggressivo del solito.
Trascorse qualche istante di silenzio, che il ragazzo ruppe chiedendo:
-    Tu quando sei nata, invece?
La ragazzina rimane un po’ sbigottita, ma rispose in fretta:
-    Il ventisette dicembre.
Il giovane sembrò studiarla un attimo, per poi asserire convinto:
-    Ci avrei scommesso. Effettivamente un fantasma pallido come te sullo sfondo dell’estate è decisamente fuori posto… di' un po’, che classe fai?
-    Ho f-finito le medie…
-    Sei una mocciosetta di tredici anni, allora. Ti facevo più piccola… - commentò il ragazzo con un sorriso obliquo.
Il volto di Hinata prese fuoco.
-    Io… veramente quest’anno ne compio quattordici…
Lui rimase ad osservarla, non commentando l’ultima affermazione della ragazzina e senza dare adito di averla nemmeno sentita.
-    Sì… effettivamente hai proprio l’aspetto dello spirito dell’inverno – articolò piano, quasi assorto.
Hinata non era sicura di aver capito bene:
-    C-come? Io…
Ma il giovane sembrò essersi improvvisamente stancato di quella conversazione che lo costringeva a stare perennemente a testa in su, e in due parole la liquidò:
-    Bene, immagino tu abbia compiuto la tua missione. Adesso puoi anche andartene.
La ragazzina avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma quando l’altro girò sui tacchi, diretto verso l’immancabile cavalletto, si rese conto che per quel giorno aveva già avuto abbastanza fortuna.
Rivolse un sorriso al cagnolino e saltò sul muro, per poi tornare verso casa. Per una volta non a rotta di collo e senza il cuore in gola.


Passò qualche giorno, durante i quali Hinata rimuginò a lungo per decidere se tornare o no alla casa.
Lì nella cittadina, in quell’estate senza compiti, non aveva praticamente niente da fare, ma sentiva che non era la semplice noia a spingerla laggiù.
Per quasi una settimana cercò di distrarsi: si offrì di andare a fare la spesa al supermercato, per esempio. Ci pensava già la loro domestica, ma un po’ di frutta poteva sempre andare a prenderla. Il fatto che ogni volta tendesse le orecchie per riuscire a cogliere qualche commento sul miglior cliente del negozio, però, era solo un dettaglio.
Un pomeriggio andò anche a trovare il figlio del signor Aburame. Trascorse con lui delle ore davvero interessanti, in giro per la campagna attorno alla cittadina, alla ricerca di insetti.
Potrebbe sembrare noioso, ma per lei non lo fu affatto: passeggiarono per ore, Shino ben attento al minimo movimento- malgrado i piccoli occhiali da sole- Hinata che si godeva il paesaggio che li circondava.
Quando trovavano qualcosa il ragazzino glielo mostrava come fosse il suo più grande tesoro, era in grado di parlarle di uno scarabeo come della creatura più stupefacente dell’universo. A Hinata piaceva ascoltarlo, ed era contenta che quando parlava con lei scegliesse tutti i dettagli più interessanti da raccontarle.
Andava molto d’accordo con lui, ma sapeva anche che non avrebbe dovuto disturbarlo più di tanto. Forse qualche volta avrebbe potuto accompagnarlo ancora nei suoi giri, tuttavia si sarebbe trattato di episodi sporadici. Perché in fondo erano l’unica cosa che potevano condividere; Hinata sapeva che lei non sarebbe mai riuscita a proporgli niente che lo interessasse. Forse avrebbe potuto accettare per farle piacere, ma la ragazzina sentiva che non era così che doveva andare.
Lei non aveva mai avuto una passione per qualcosa, e forse per questo le piacevano le persone il cui animo s’infervorava per una qualche attività. Persone che riuscivano a trascorrere ore ed ore del loro tempo più prezioso- il tempo libero- a fare all’incirca sempre la stessa cosa. Lei non aveva mai provato nulla del genere.
Le piacevano le persone che coltivavano le proprie passioni. Fossero esse gli insetti o la pittura.


L’occasione, se vogliamo chiamarla così, le si presentò in un tardo pomeriggio di luglio, il cui cielo violaceo minacciava un temporale imminente.
Hinata stava dando una mano al giardiniere a ritirare le sedie e il tavolino da esterno sotto il portico, al riparo, quando fra l’erba sferzata dal vento vide una macchia color panna che saltellava.
-    Akamaru! – esclamò sottovoce, per non farsi udire dall’uomo.
In pochi passi lo raggiunse e lo prese tra le braccia.
-    Che ci fai qui? – gli chiese stupita. Come faceva a sapere dove abitava? C’era finito per caso? O aveva seguito la traccia del suo odore?
Hinata alzò gli occhi al cielo: si faceva sempre più scuro, con saettanti lampi che di tanto in tanto lo illuminavano per un istante, o per meglio dire evidenziavano quanto fosse livido.
Sicuramente erano entrati tutti in casa. Lei invece strinse Akamaru a sé e corse fuori.
Corse a perdifiato lungo tutta la strada, che conosceva ormai a memoria. Cercò di fare più in fretta che poté, ma la pioggia la sorprese comunque: iniziarono a cadere le prime gocce quando era ancora a metà strada. Grasse gocce d’acqua che la inzupparono fino al midollo, mentre i tuoni si scatenavano. L’unica cosa che Hinata sperava era che non si mettesse a grandinare.
Sapeva che non era sicuro ripararsi sotto gli alberi durante i temporali, perciò non lo fece. L’unica cosa che trovò fu una pensilina ad una fermata dell’autobus, che fu sufficiente perché lo scroscio più violento non li investisse in pieno.
Non appena i rovesci d’acqua si quietarono a sufficienza, Hinata lasciò il rifugio. Cadeva ancora una pioggerellina leggera, che sembrava aver risvegliato tutti gli odori delle piante e della terra.
Giunta a destinazione, la ragazzina fece il giro del muro attorno alla casa. Se ricordava bene, doveva esserci un buco da qualche parte...
    Eccolo! - esclamò, non appena l'ebbe trovato.
Fece scendere Akamaru e lo spinse gentilmente verso l’apertura. Lui sembrò capire, perché si infilò rapidamente nel pertugio, il didietro all’insù, e in breve sparì dall’altra parte.
Hinata strappò un po’ d’edera dal muro e ve la infilò, giusto per coprire il buco.
Dopodichè si diresse verso la sua entrata personale, salì sul muro e saltò sull’albero, giusto in tempo per sentire Akamaru abbaiare festoso. Sembrava divertirsi un mondo, sotto la pioggia.
Hinata vide il giovane uscire di casa senza ombrello e correre incontro al cane, chinandosi per accarezzarlo. Mentre l’animale gli faceva allegramente le feste, il ragazzo esclamò sorridendo:
-    Ehi, ma dov’eri? Mi hai fatto preoccupare, lo sai?
Hinata sorrise. Niente ghigni, stavolta. Sul suo viso c’era solo un sorriso sincero e sollevato per il proprio amico.
-    Chissà come fai a scappare… forse passi attraverso le sbarre del cancello…
-    No, non è così.
Il giovane si voltò, decisamente sorpreso, verso il punto da cui proveniva la voce. E stavolta rimase veramente senza parole. Perché la solita ragazzina era lì, sullo stesso ramo dello stesso albero, indifferente alla pioggerella che continuava a scendere, incurante dei vestiti zuppi e dei capelli madidi appiccicati al viso. I suoi occhi avevano lo stesso colore della pioggia, se la pioggia ha un colore.
-    Ma si può sapere chi sei? – articolò piano.
Hinata arrossì un po’, imbarazzata.
-    C’è un buco nel muro – riprese – Proprio là.
Indicò col braccio una direzione alle spalle del ragazzo.
-    Credo che manchi un mattone. Ci ho infilato dentro un po’ d’edera, ma non basta. Se non viene chiuso continuerà a scappare.
Il giovane si era lentamente avvicinato, evitando movimenti bruschi per non spaventarla.
-    Come ti chiami? – chiese, quando si trovò sotto il ramo.
Sorpresa soprattutto per il suo tono né minaccioso né ringhiante, Hinata ci mise un momento a rispondere.
-    Ehi! Guarda che non mordo mica, anche se abbaio! – scherzò il ragazzo accennando a un sorriso.
Quel tentativo di metterla a suo agio la rincuorò, e rispose:
-    Hinata.
-    Hinata… - ripeté il giovane, come assaporandone il suono – Io sono Kiba.
-    Sì, lo so – rispose d’istinto Hinata, mordendosi la lingua l’istante dopo vedendo che il viso del ragazzo si era rabbuiato.
-    Già, lo immagino – fece lui.
La ragazzina fece per andarsene, sicura di aver tirato troppo la corda anche quella volta, ma fu fermata dalla voce dell’altro che le disse:
-    Visto che quest’albero sembra piacerti molto, puoi anche tornarci. Non ti caccerò.
Hinata non rispose, incredula per quello che aveva appena sentito.
-    V-vuol dire che… - balbettò.
-    Che puoi venire quando vuoi. Non ti accoglierò con lo schioppo in mano, stai tranquilla. E sistemerò anche quel buco. Se i tuoi venissero a sapere che pur di riportarmi il cane sei disposta ad inzupparti come un pulcino, mi beccherei un’altra denuncia.
Detto questo si congedò, dirigendosi verso la casa tallonato da Akamaru.
Hinata ancora non riusciva a credere quelle parole.
Non riuscì a crederci nemmeno quando rimise i piedi per terra, neanche quando si incamminò a passo lento verso casa.
Ma a metà strada, quando la pioggia smise e il cielo iniziò a rischiarare, mostrando un accenno di arcobaleno tra le nuvole, fu finalmente certa di ciò che aveva sentito.
Poteva tornarci! Ora sì che il problema della noia estiva era finalmente risolto.   




sushiprecotto_chan: il primo capitolo ha fatto più che altro da introduzione alla storia. Vedrai che i personaggi verranno maggiormente approfonditi man mano che la fic va avanti. ^^
Nemmeno a me, da piccola, piaceva molto “La Bella e la Bestia” (il mio mito è sempre stato “Il Re Leone”!), ma grazie a questo contest l’ho riscoperto. Mi sono resa conto che quelli della Disney sono dei geni, perché da una storia insipida quale è “La Bella e la Bestia” originale (la fiaba) hanno tirato fuori un film dai particolari magistrali.
Mi sono ricreduta, insomma!
Clahp: in realtà a me “La Bella e la Bestia” non è mai piaciuto particolarmente (preferivo di gran lunga “Il Re Leone”… XD), ma grazie a questo contest l’ho riscoperto. E mi sono accorta che è bellissimo!
Grazie a Lalani per aver inserito il giudizio del contest.
   
 
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