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Autore: heliodor    24/07/2017    3 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Fiducia

Il livello superiore della fortezza era uguale a quello inferiore. Un lungo corridoio circolare univa le sale scavate nella roccia. Non c'erano magazzini e tutte le porte che incontrò sembravano chiuse a chiave.
Incrociò due stregoni che passeggiavano per il corridoio provenendo dalla direzione opposta. D'istinto si gettò in una delle sale e attese che la superassero. Quando fu certa di averli evitati uscì dal nascondiglio e riprese a muoversi.
Più avanti c'era un altro gruppetto di stregoni. Riconobbe Bordim e Vakla, i due fratelli gemelli che avevano partecipato alla riunione di Roge nei giardini del castello.
I due stregoni stavano parlando con un terzo uomo. A differenza dei due sembrava più anziano.
Indossava la veste di stregone ma i simboli ricamati erano diversi. Un cerchio inscritto in un triangolo. Aveva già visto quel simbolo su alcune casse nel livello inferiore.
Si avvicinò cercando di non fare rumore. Gli occhi degli stregoni sembravano normali. Nessuno di loro sembrava aver lanciato un incantesimo di ultravisione per individuare nemici occultati. Forse non temevano che qualcuno potesse infiltrarsi nella fortezza.
Da quella distanza poteva udire le loro voci.
"Hai notizie di Heva e Karv?" chiese l'uomo con lo strano simbolo sulle vesti.
"No" rispose Vakla. "Ma saranno qui con Roge tra un paio di giorni."
"Possiamo fidarci di loro?"
"Sono con noi fin dall'inizio" disse Bordim.
"Di che hai paura, Pen?" domandò Vakla.
Era quello il nome dell'uomo misterioso?
"Io non ho paura" disse Pen. "E ti prego di non chiamarmi con quel nome."
"Allora come vuoi che ti chiami?" chiese Vakla con tono annoiato.
"Maestro Penlemoth" rispose lui.
Vakla sbuffò. "Qui sei come tutti noi, maestro."
"Io mi sono guadagnato quel titolo" disse Pen con orgoglio.
"Parli come quei nobili" disse Vakla.
"Smettetela di litigare" disse Bordim. "La riunione inizierà tra poco. Che ne direste di avviarci?"
I tre si avviarono per il corridoio. Vakla e Pen continuarono a guardarsi in cagnesco per tutto il tragitto.
Joyce li seguì facendo attenzione a non fare rumore. Anche se invisibile un passo falso poteva tradirla.
 
La riunione, come l'aveva chiamata Bordim, si teneva in un'ampia sala circolare. Lungo una sezione di parete era stata costruita una pedana in legna. Era diverso da tutti gli altri ambienti aperti della fortezza. Era più ampio e il soffitto più alto. Inoltre c'erano altri due corridoi che si dirigevano in direzioni opposte.
Joyce contò una ventina di stregoni, compresi i tre che conosceva.
Chiacchieravano tra di loro a bassa voce e dal punto che aveva scelto, vicino all'entrata, non riusciva a sentire quei discorsi, se non degli spezzoni isolati.
"... ci copriremo di gloria..."
"Chissà che cosa starà facendo adesso Adoc..."
"... l'ultima cosa che dobbiamo..."
"... i dettagli non mi sono del tutto chiari..."
"... dalla nave. Proprio così, da non crederci..."
Joyce non osava correre rischi maggiori. L'ultima volta che aveva spiato un consiglio degli stregoni era stata maledetta e quasi rapita. Non aveva voglia di ripetere l'esperienza.
Wena arrivò da un corridoio laterale. Appena entrò nella sala tutti si azzittirono. "Manca qualcuno?" chiese la strega col solito tono sbrigativo.
"Solo quelli di guardia alle torri e al porto" disse Bordim.
"Allora voi riferirete a loro quello di cui parleremo a questa riunione."
Ci fu un brusio di assenso.
"Mi è appena arrivato un dispaccio" disse Wena senza attendere oltre. "Sembra che Nimlothien stia venendo qui."
Nella sala si levò un brusio più alto di prima.
Joyce non aveva mai sentito quel nome ma decise di tenerlo a mente per il futuro.
"I nostri informatori hanno visto la strega bianca lasciare la sua fortezza e imbarcarsi sulle navi con una dozzina di stregoni" continuò Wena. "Con il vento e la corrente a favore ci metterà circa cinque giorni per arrivare qui."
Gli stregoni si lanciarono delle occhiate. Alcuni annuivano, altri si limitavano a fissare Wena.
"Roge ha mandato un messaggio, arriverà fra tre giorni."
Quindi suo fratello stava venendo sull'isola?
"Saremo almeno in trenta" continuò Wena. "Più che sufficienti per dare un caldo benvenuto alla strega bianca. È inutile che vi ricordi che si tratta di un'assassina e traditrice che ha ucciso più di dieci stregoni in altrettanti scontri. Si è alleata con Malag subito dopo l'inizio della guerra tradendo il suo circolo con altri stregoni come lei."
Dunque Nimlothien era un'alleata di Malag e stava venendo sull'isola. Joyce però ancora non sapeva il perché di quel viaggio. Perché sembrava così interessata all'isola? La fortezza era isolata dal resto del continente e inutile come base per lanciare un attacco.
Forse le interessava qualcosa che si trovava sull'isola? O una persona?
Sei un'esca.
"Speravo che venisse Gauwalt l'evocatore o magari Malag in persona, ma anche la strega bianca è una buona preda" disse Wena. "Ucciderla ci renderà degli eroi. Aiuteremo la causa e la guerra finirà prima. Il piano con cambia. Verrà qui per prendersi la principessa e finirà in trappola."
Joyce sentì un brivido risalirle lungo la schiena.
"Faremo di tutto per proteggere la figlia di re Andew e gli abitanti del villaggio, ma la priorità è Nimlothien. Se dovete scegliere tra l'incolumità della principessa e assestare un colpo mortale alla strega bianca, non esitate a colpirla anche a costo di subire qualche perdita."
Joyce decise che aveva sentito abbastanza.
Wena era pronta a sacrificare lei e chiunque altro sull'isola per raggiungere il suo scopo: uccidere questa misteriosa strega bianca.
Però non aveva fatto i conti con Joyce. Non aveva alcuna intenzione di fare da esca in quel folle piano. Doveva trovare le chiavi della cella, liberare Oren e gli abitanti del villaggio e fuggire via di lì prima dell'arrivo di Nimlothien.
 
Joyce si allontanò e attese che la riunione si sciogliesse. Gli stregoni andarono via in piccoli gruppi.
Attese che Voada le passasse accanto e si mise a seguirlo.
Lo stregone era piuttosto corpulento e faticava ad arrivargli alla spalla. Adrien non era più alto di lei ed era di corporatura esile. Aveva avuto gioco facile a picchiarlo.
Sarebbe stato facile colpirlo alle spalle con un dardo magico.
Peccato che quel gesto le sarebbe costato la vita. Inoltre non voleva far male a nessuno se non era necessario.
Per quella volta Voada se la sarebbe cavata.
Però Joyce voleva le sue chiavi.
Lo stregone le portava legate a una cinta legata in vita. Era impossibile prendergliele mentre camminava. Doveva aspettare che si togliesse i vestiti.
Joyce lo seguì fino a una porta di legno.
Voada entrò e la richiuse alle spalle.
Attese che si addormentasse. Ogni tanto si avvicinava alla porta per assicurarsi che dall'interno non provenissero dei rumori.
Dopo circa mezz'ora appoggiò l'orecchio alla porta e udì un respiro pesante provenire dall'interno.
Appoggiandosi al pomolo spinse la porta verso l'interno. Uno spiraglio di luce si disegnò sul pavimento.
Lo stregone dormiva su di un giaciglio ricavato da un vecchio letto sgangherato. In quel momento era girato sul fianco.
I vestiti erano stati gettati su una sedia.
Joyce rovistò tra la tunica e il mantello con i simboli del circolo di Valonde. Trovò la cintura e la chiave attaccata a essa.
Era una grossa chiave di ferro mezza arrugginita, proprio come quelle che di solito si trovavano nei romanzi d'avventura.
Joyce avrebbe riso se non si fosse trovata davanti a un pericolo mortale.
Voada emise una specie di grugnito e si girò sull'altro fianco.
Joyce si bloccò temendo che si fosse svegliato. Anche invisibile avrebbe notato la porta aperta e i vestiti sospesi nell'aria e avrebbe capito.
Lo stregone continuò a dormire.
Joyce prese la chiave e se la infilò in tasca.
Uscì in punta di piedi e richiuse la porta.
Erano passate un paio d'ore al massimo da quando aveva lasciato la sua cella. Si era fatta spiegare da Adrien dove si trovava la cella di Oren, prima di andare da lui tornò al magazzino dove aveva incontrato il ragazzo.
Adrien era lì e la stava aspettando.
"Se mi scoprono qui mi puniranno" disse.
"Ci metterò solo un minuto. Devi dire agli abitanti del villaggio di prepararsi alla fuga. Fra tre giorni ce ne andremo."
"Non ci sono navi per lasciare l'isola."
"Ci sarà." Roge non arriverà in volo, pensò.
"Come farai a farci scappare?"
"Ho un piano. Adesso torna di sotto e di' a tutti di aspettare. Mantenete il segreto e andrà tutto bene." Sperò di essere stata convincente, perché nemmeno lei era sicura del suo piano.
Fece per andarsene.
"Dove vai?" chiese Adrien.
"Devo parlare con una persona."
 
La cella di Oren era sul suo stesso livello ma sette sale più avanti. Non era sorvegliata proprio come la sua.
Joyce si avvicinò e aprì la porta.
All'interno era buio.
Un'ombra si mosse verso di lei, l'afferrò per il braccio e la gettò a terra.
Joyce urlò per il dolore e la sorpresa.
Aveva sbagliato cella? Preparò un dardo magico. Alla luce scintillante dell'incantesimo riconobbe il viso di Oren.
"Aspetta" disse tornando visibile. "Sono io, Sibyl."
Oren la lasciò andare.
Indossava una blusa e dei pantaloni leggeri. Il giaciglio che usava come letto era appena smosso. "Perché non sono sorpreso di vederti?"
Joyce accostò la porta dopo essersi assicurata che nessuno stesse arrivando. "Sono venuto per aiutarti."
"Sta diventando un abitudine" disse con tono diffidente.
"Che ti prende? Pensavo fossimo amici" disse Joyce sorpresa dal suo comportamento.
"Stanno cominciando a venirmi dei dubbi."
"Forse so come andarcene di qui."
"Intanto spiegami come ci sei arrivata. Siamo a centinaia di miglia da Valonde."
Joyce aveva pensato a varie scuse. Disse la migliore che le era venuta in mente: "Sono salita sulla nave prima che partisse."
"E sei venuta fin qui per aiutare me?"
"Ho una missione."
Oren incrociò le braccia sul petto. "Ti ascolto."
"È un segreto."
Oren sbuffò. "Non lo dirò a nessuno."
Stava iniziando a perdere la pazienza. "Vorrei che fosse così semplice. E vorrei potermi fidare di te..."
"Ma puoi" disse Oren.
Joyce scosse la testa. "Un giorno... forse ti spiegherò."
"Io ho bisogno ora di spiegazioni."
"Se non ce ne andremo da quest'isola entro tre giorni, faremo tutti una brutta fine. Tu, io, la principessa e tutti gli abitanti del villaggio che sono prigionieri nella fortezza."
"Scusa ma non mi fido di te."
"Cosa? Ti ho salvato la vita."
"Da quando sei apparsa la vita della principessa è stata costantemente in pericolo."
Non sai quanto, pensò Joyce.
"È una coincidenza?"
Joyce non sapeva cosa rispondere. "Vuoi aiutarmi o no?"
"Lo farò se mi dai un buon motivo."
"Fidati di me" lo implorò lei.
"Tu non ti fidi di me. Io non posso fidarmi di te." Oren si alzò e andò alla porta. "Mi sentite?" gridò. La sua voce rimbombò nei corridoi rimbalzando sulle pareti di pietra.
Joyce scattò in piedi. "Ma che fai?"
"C'è un intruso qui" gridò.
"Sei impazzito? Li farai arrivare."
"È quello che voglio" disse Oren tornando verso il giaciglio.
Joyce si precipitò fuori dalla cella. Sentiva avvicinarsi delle voci. Qualcuno stava correndo verso di loro da un punto alla sua destra.
Senza pensarci oltre si diresse nella direzione opposta.
 
Stupido, testardo e testone pensò Joyce mentre correva per raggiungere la sua stanza prima degli inseguitori.
Non osava voltarsi per vedere se era seguita. Perché non aveva messo un marchio vicino alla sua cella? Avrebbe potuto usare il richiamo per arrivarci subito invece di doverci andare di corsa.
Quando raggiunse la cella il corridoio era ancora vuoto, ma sentiva le voci avvicinarsi. Qualcuno stava venendo a controllare.
Infilò la chiave nella porta e pregò. Se era quella sbagliata...
La serratura scattò. Spalancò la porta ed entrò nella cella, quindi chiuse a chiave.
Le voci erano vicine. Sentì rumore di passi dietro la porta.
"La principessa" urlò qualcuno.
"Controllate che sia tutto a posto" gridò una voce femminile.
In preda al panico Joyce si tolse i vestiti e li gettò nel baule, quindi nascose la chiave sotto il letto e si gettò addosso una vestaglia. L'ultima cosa che fece fu annullare la trasfigurazione per tornare se stessa.
Giusto in tempo. La porta di aprì in quel momento e Wena entrò.
Joyce era ancora in piedi, come in attesa.
"È successo qualcosa? Ho sentito delle grida..." disse sperando di essere convincente.
"Sembra che ci sia un intruso nella fortezza. Forse una spia di Malag." La strega dovette notare che il letto era ancora in ordine. "Non stavi dormendo?"
"Stavo per mettermi a letto."
Wena diede un'occhiata veloce alla cella. "Metterò due guardie qui fuori, giusto per stare tranquilli. Ma se c'è un intruso lo troveremo."
Marciò fuori dalla cella. La porta venne richiusa con due mandate.
Joyce, esausta e spaventata, si concesse un lungo sospiro mentre crollava sul letto. Non aveva più alcun marchio da usare. Adesso era davvero prigioniera.
 
La notte passò senza altri incidenti. Rimasta sola Joyce avvolse la chiave della cella in un giacchetto e lo mise in fondo al baule. Sperava che lì nessuno l'avrebbe trovata.
Wena era stata di parola e aveva lasciato due stregoni di guardia alla cella. Appoggiando l'orecchio alla porta poteva sentirli chiacchierare tra di loro.
Joyce sospirò.
Ma che gli era preso a Oren?
Pensava di aver conquistato la sua fiducia e invece gli aveva voltato la faccia nel momento del bisogno.
Era arrabbiata con lui, ma non riusciva a smettere di pensare di essere lei la responsabile di quello che era accaduto.
Se non si fosse messa a giocare con la magia tutto quello non sarebbe mai successo.
Però Oren sarebbe stato mangiato dal troll.
No, una pattuglia l'avrebbe trovato e salvato in ogni caso, si disse. La sua era stata solo fortuna.
Doveva aver esaurito la sua scorta di fortuna. Poteva aprire la porta che la rinchiudeva quando voleva, ma le guardie l'attendevano fuori nel corridoio.
Pensò a un modo per evadere usando l'invisibilità, ma anche in quel caso ogni volta veniva scoperta a usare la magia contro natura. Non voleva dare a Wena una buona scusa per farle del male.
Cosa le restava da fare se non attendere gli eventi?
Decise di utilizzare quel tempo a disposizione per fare delle prove. Non aveva ancora scoperto quali erano i limiti di alcuni incantesimi.
Quanti poteva utilizzarne prima di dover riposare?
Cercò di ricordare quello che sapeva sugli stregoni. Ognuno di loro aveva un numero preciso di incantesimi, di solito cinque o dieci. Più rari erano i casi di chi ne sviluppava quindici o venti, come sua sorella Bryce.
Nel corso dei secoli gli incantesimi erano stati divisi in undici domini precisi. Joyce li aveva imparati a memoria ancor prima di trovare il libro. La maggior parte degli stregoni riusciva a controllare gli incantesimi di uno o due domini, ma c'era chi arrivava a tre.
Anche in quel caso Bryce era l'eccezione alla regola, avendo dimostrato di poterne controllare quattro.
Suo fratello Roge non era mai andato oltre al primo e tutti i suoi familiari si erano fermati a due.
Gli stregoni si allenavano per diventare abili nel lanciare gli incantesimi, ma con l'abitudine aumentava anche il loro numero.
Uno stregone alle prime armi poteva arrivare a lanciarne cinque, ma quelli più esperti potevano arrivare a venti o trenta.
Bryce, com'era ovvio, viaggiava sui trenta fin da quando aveva la sua età.
Però anche lei aveva dei limiti.
Ogni volta che uno stregone lanciava un incantesimo, intaccava una parte delle sue riserve di energia. Queste si ripristinavano concedendosi alcune ore di sonno e di riposo.
Se uno stregone dava fondo a tutte le sue energie, poteva ancora lanciare incantesimi, ma a suo rischio e pericolo.
C'erano leggende che circolavano su stregoni che avevano lanciato più incantesimi di quelli che avrebbero potuto ed erano morti, consumati dalla magia stessa. A detta di tutti era una morte orribile che non lasciava scampo.
Gli stregoni sapevano sempre qual era il loro limite. In qualche modo lo avvertivano e se ne rendevano conto. Diventavano più deboli mano a mano che vi si avvicinavano.
Joyce si era chiesta da dove provenisse l'energia che lei usava per lanciare gli incantesimi. Se gli stregoni ricevevano la loro dal dono, lei che era nata senza come sopperiva a quella mancanza?
Nel compendio magico non c'era nessuna spiegazione. Ogni capitolo del libro, anche quelli che non aveva ancora tradotto, sembravano parlare di incantesimi e formule da recitare a memoria.
Forse la spiegazione stava nelle note lasciate dallo sconosciuto - non sapeva in che altro modo definirlo - ma erano scritte in codice e non aveva idea di come tradurle.
O forse ogni volta che lanciava un incantesimo rischiava di consumare tutte le sue energie e morire in modo orribile?
Era questo il destino che l'attendeva?
Tutte le leggende sui maghi cattivi erano concordi sul fatto che venissero consumati dalla loro stessa magia.
Sarebbe successo anche a lei?
Un giorno avrebbe lanciato un globo luminoso e sarebbe stramazzata al suolo senza vita?
Si ripromise di studiare tutto quello che poteva sui maghi delle leggende. Qualcosa doveva essere sopravvissuta alla grande guerra che li aveva visti soccombere agli stregoni.
Qualsiasi informazione le sarebbe stata utile.
Nell'attesa si mise a tradurre un nuovo capitolo del libro di Lacey. Traducendolo dall'alto valondiano scoprì che trattava di illusioni. La formula era complicata e impiegò due giorni per pronunciarla nel modo corretto.
Quando si sentì pronta, attesa la notte per fare una prova.
Si piazzò in mezzo alla stanza e sussurrò: "Sin Otac Dobro."
La stanza piombò nel buio.
Presa dal panico Joyce annaspò con le mani protese in avanti cercando qualcosa a cui aggrapparsi. Trovò la spalliera del letto e la strinse.
Il buio che l'avvolgeva era qualcosa di solido, reale. Una specie di nebbia che aleggiava sopra e attorno a lei.
Evocò un globo luminoso ma la situazione non migliorò di molto. La luce emessa dal globo veniva assorbita dall'oscurità.
Vincendo la paura si mosse verso il lato opposto della stanza. Il buio si attenuò e riuscì a scorgere alcuni particolari del muro. Facendo attenzione a dove metteva i piedi si avvicinò alla porta. In quel punto le tenebre cedevano il passo alla luce delle torce.
Volgendo lo sguardo verso il centro della stanza lo vide avvolto da una densa cortina di buio.
Se qualcuno fosse entrato in quel momento...
Il buio si dissolse in un attimo. Tutto non era durato più di due o tre minuti. Era quello il limite di tempo dell'incantesimo.
Per quella sera ne aveva abbastanza. Chiuse il compendio e lo nascose nel baule, quindi si cambiò per andare a dormire.
Prima di addormentarsi, pensò che quel giorno, per la prima volta da molte settimane, non aveva affatto pensato a Vyncent.

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