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Autore: cristal_93    25/07/2017    3 recensioni
[Alcuni di questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di di Cassandra Clare. La storia è ambientata tra il terzo e il quarto libro di The Mortal Instruments. *Spoiler * da Cronache di Magnus Bane e Le Origini. La protagonista e, più avanti, anche altri personaggi, appartengono a me in qualità di Original Characters; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro]
A Brooklyn, dimora di una delle più grandi concentrazioni di Nascosti del mondo, presto farà la sua comparsa una ragazza proveniente dal lontano Oriente. Il suo nome è Yumi, ed è una strega, figlia di un demone e di un umana, ma è diversa da tutti i suoi simili, e nasconde un grande segreto. Ha viaggiato in lungo e in largo per molto tempo prima di raggiungere la Grande Mela, dove vive l'unica persona in grado di aiutarla. Ma la meta, pur essendo così vicina, in realtà è ancora molto lontana. E Yumi si ritroverà a combattere una dura battaglia, sia contro sè stessa, in cui dovrà scegliere se rivelare il proprio segreto o andare contro i propri principi morali e contro il proprio passato.
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Catarina Loss, Magnus Bane, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Mentire a se stessi è un modo per non soffrire
Ade Becci
 
 
Avere un animale domestico era la cosa migliore del mondo, specie quando avevi bisogno di tenere occupate le mani invece di usarle per riprendere il telefono e farsi venire il nervoso a furia di fissare lo schermo aspettando che succedesse qualcosa per poi rimetterlo sul tavolino dopo pochi secondi e riprenderlo in mano praticamente subito. No, era decisamente meglio tenere le mani affondate nella pelliccia di un gattino viziato che sembrava godere un sacco nel ricevere tutte quelle attenzioni.
Era incurante dello stato emotivo di chi gliele stava fornendo, ma in fondo che importanza aveva finché continuava ad accarezzarlo? Magnus pensò che Presidente fosse davvero un gran ruffiano e che, nel momento in cui avesse smesso, si sarebbe sicuramente arrabbiato e l’avrebbe graffiato, ma non è che poteva stare lì tutto il giorno, prima o poi si sarebbe dovuto fermare, anche se, a dir la verità, non aveva tutta questa voglia di alzarsi e rimettersi al lavoro…

Le dita inanellate dello stregone indugiarono sulla testa del micino che non accontentato si strusciò contro la mano del padrone, che però reagì passivamente e alla fine sospirò e si arrese ad allontanare la mano dal gatto ( che brontolò infastidito ) per allungarsi a prendere il cellulare senza però trovare bustine multimediali  o la cornetta verde di un telefono a lampeggiare sullo schermo. Sospirò, lanciò il cellulare su una sedia e sprofondò nel divano di pelle su cui era spaparanzato ormai da un’ora: appena tornato in casa, si era levato i vestiti con uno schiocco di dita facendoli finire nel cesto della lavanderia e si era buttato sotto la doccia lasciando che il getto caldo e il bagnoschiuma al sandalo lavassero via il sudore e ciò che restava di un make-up ormai irrecuperabile. Purtroppo non avevano avuto lo stesso effetto sulle preoccupazioni che affollavano la sua mente, a causa di cui aveva finito tutto il bagnoschiuma senza rendersene conto ( e senza nemmeno farne apparire uno nuovo direttamente dal supermercato dietro l’angolo), era uscito dalla doccia e si era rivestito con uno schiocco di dita senza far caso all’abbinamento, aveva afferrato il telefono ma l’aveva rimesso giù quasi all’istante, si era buttato sul divano dove era stato presto raggiunto da Presidente Miao, che aveva reclamato le cosce del padrone come proprio dominio assoluto e non si era più mosso di lì, così come lo stregone, che aveva passato l’ora successiva a prendere il telefono, rimetterlo a posto, accarezzare il gatto e riprendere nuovamente in mano il telefono.

Andava avanti così da un’ora, e ormai iniziava a pensare che non sarebbe più riuscito a staccarsi da quel divano, anche perché non aveva nessuna voglia di farlo, così come non sentiva nessun bisogno impellente di sistemarsi i capelli, che gli ricadevano sul davanti oscurandogli il volto e solleticandogli il mento, e nemmeno di truccarsi. Ci aveva provato, a dire il vero, ma dopo essersi infilato il pennello dell’eyeliner nell’occhio per tre volte di fila lo aveva buttato frustato nel lavandino e aveva lasciato perdere, e così ora si trovava completamente struccato come assai raramente era, coi capelli lisci e privi di qualsivoglia sostanza appiccicosa a tenerglieli su e con l’abbigliamento di uno che ha aperto l’armadio al buio e si è buttato addosso la prima cosa senza nemmeno guardare cosa fosse ma non per questo ne era uscito qualcosa di indossabile ( e soprattutto guardabile). Se normalmente avrebbe dato la priorità al proprio aspetto esteriore ancor prima dei propri bisogni primari, per la forse prima volta dopo secoli non sentiva né aveva alcuna fretta di alzarsi e impedire che i suoi clienti o altri che avessero bussato alla sua porta in quel momento lo vedessero spogliato del suo solito sfavillante fulgore, ridotto peggio di una mummia senza bende ma perfettamente conservata; mancavano solo le ragnatele e gli scarafaggi a completare il tutto, ma se continuava così sarebbero arrivati presto.

Odiava l’idea che altri potessero vederlo così esposto, privo di quella che era la sua seconda pelle, ma in quel momento, incredibile ma vero, era proprio l’ultima preoccupazione sulla sua lista delle priorità, che vertevano su cose più importanti, come ad esempio su una vecchia chiesa piuttosto imponente di Manhattan e sui suoi abitanti, centro dei suoi pensieri e causa del malessere che aveva alla testa, piena come una botte di vino e pesante come un putto di Donatello, pensieri che erano la causa del suo blocco mentale e la ragione per cui non riusciva a smettere di prendere continuamente in mano il telefono. Moriva dal bisogno di chiamare Alec, sentire la sua voce, assicurarsi che stesse bene e che fosse tutto a posto, anche se avrebbe preferito di gran lunga averlo lì, a cavalcioni delle sue gambe, accoccolato tra le sue braccia con le sue mani sotto la maglietta che gli lasciavano scie di fuoco sulla pelle e le sue labbra sulle proprie, fuse in uno di quei baci che toglievano il fiato e che riempivano il cuore dello stregone di quelle emozioni che solo il giovane Shadowhunter sapeva regalargli, emozioni che gli scaldavano il cuore e lo facevano sentire come se avesse trovato il suo posto nel mondo, come se fosse nato e avesse vissuto secoli e secoli solo in attesa di quelle mani, di quelle labbra… di quella persona.

Avrebbe dato l’anima per essere lì con Alexander, l’unico capace di trascinarlo in una dimensione parallela semplicemente guardandolo o sorridendogli, l’unico a farlo sentire davvero vivo come mai si era sentito in quattrocento anni di vita, l’unico con cui, quando si trovavano insieme, Magnus aveva l’impressione che il tempo scorresse al ritmo giusto e non a singhiozzo a pesantemente come era accaduto sovente prima che lui entrasse a far parte della sua vita , l’unico che riuscisse a scombussolarlo e ad abbattere le sue difese con pochissimo facendolo sentire vulnerabile… Perso nel tepore che pensare al giovane gli procurava e cominciando a sorridere, prese il telefono quasi senza rendersene conto, ma proprio mentre stava per premere il pulsante di chiamata, quello che era successo all’Istituto arrivò puntualmente a risvegliarlo dal suo sogno ad occhi aperti, a farlo smettere di sorridere, a lanciare di nuovo via il cellulare e a borbottare qualcosa di incomprensibile nella sua lingua natia. Era certo che fosse il caso di lasciare in pace il ragazzo e aspettare che fosse lui a farsi vivo, ma non avere sue notizie lo stava uccidendo ogni minuto di più.

Non sapeva cosa fare, e anche se ormai avrebbe dovuto esserci abituato, non era affatto così, visto che, quando si trattava di Alexander, era una circostanza all’ordine del giorno: con il giovane diventava tutto imprevedibile, non sapeva mai cos’avrebbe detto o come si sarebbe comportato; era così…grande, per la sua età, così adulto e responsabile quando si trattava di compiere il suo dovere o prendersi cura degli altri, ma al tempo stesso era così innocente e inesperto sulla vita e sul mondo che Magnus non sapeva mai come comportarsi con lui.
E anche lui si ritrovava a sentirsi impreparato e inesperto, perché erano esperienze nuove tanto per il giovane quanto per lui. La differenza fondamentale però, era che per Alec lui era il primo per cui avesse mai davvero provato qualcosa di così autentico; Magnus, invece, aveva avuto fior di amanti nella sua vita, ma nessuno come Alec, nessuno che fosse mai riuscito a sorprenderlo, nessuno che l’avesse mai coinvolto così tanto ma al tempo stesso che lo portasse a essere così attento a quello che faceva, a essere così poco… sé stesso. Questo era solo uno dei tanti problemi che aveva con Alec: il fatto che con lui Magnus si ritrovasse inconsciamente a sopprimere parti di sé stesso per lui, la riprova che teneva davvero a quel ragazzo e a ciò che pensava.

Non voleva fare qualcosa che facesse pensare ad Alec che lui voleva accelerare i tempi in qualcosa che non capiva del tutto e con cui era da poco sceso a patti, ed era per questo che cercava di procedere con cautela, anche se era assurdo: lui, che aveva vissuto centinaia di esperienze, si ritrovava a non avere idea di come comportarsi con quel ragazzino imberbe poco più che maggiorenne e ancora vergine sotto qualunque punto di vista. Erano proprio queste caratteristiche a piacergli di Alexander, però lo spaventavano comunque non poco. In altri tempi e con altre persone Magnus non avrebbe avuto la minima vacillazione e avrebbe fatto quello che sentiva di fare, sarebbe stato perfettamente sicuro di sé e del proprio charme… ma Alec non era affatto “altre persone”, non era assolutamente uno dei tanti, lui era…lui. Speciale, innocente, dolce, gentile… unico. Ed era questo il punto: Magnus aveva amato molte volte in vita sua, altrettante era stato ricambiato per poi ritrovarsi a essere lasciato, per un motivo o per l’altro, ma solo poche persone gli erano davvero entrate nel cuore in modo pressoché indelebile. Camille era tra questi, anzi, lei forse era stata l’ultima persona che aveva davvero amato con tutto sé stesso, quella che però gli aveva distrutto il cuore frantumandolo in mille pezzi e per colpa di cui aveva pensato che non sarebbe più stato in grado di innamorarsi nuovamente.

Aveva avuto molte storie dopo di lei, il più delle volte rapporti occasionali, altre invece più duraturi, ma nessuno che fosse rimasto con lui fino alla fine accettando tutto quello che derivava da questa scelta. Da dopo Camille, Magnus pensava di aver smesso di cercare l’amore, continuando, però, a sperare inconsciamente di trovarlo… ed era arrivato, sotto forma dell’ultima persona che mai avrebbe pensato gli avrebbe toccato il cuore, uno Shadowhunter, e per di più facente parte di quella ridicola famiglia di Borgia da quattro soldi che lui aveva sempre guardato con lo stesso apprezzamento che avrebbe riservato ad una cacca di piccione sulla punta delle scarpe.
Se glielo avessero detto qualche anno fa, lui avrebbe riso e si sarebbe buttato sul divano brindando alla salute di quegli stolti con un bel bicchierino di Tequila diluito con acqua tonica e ornato con una fetta di lime sul bordo del bicchiere e un ombrellino colorato, e invece si ritrovava stravacato su un divano, scombinato e struccato, ad arrovellarsi e a rischiare un attacco d’ansia per colpa di un ragazzino Nephilim dai limpidi occhi azzurri che non l’aveva ancora richiamato, neanche fosse stato una ragazzina alla sua prima crisi ormonale. Sospirò e si allungò a prendere il telefono, lo guardò e sbuffò, ributtandolo sul cuscino. Vide il suo gatto fissarlo attentamente e alzò gli occhi al cielo.

« Non sono preoccupato » sbuffò. « Non m’importa assolutamente se non mi ha richiamato, non mi preoccupa per niente quello a cui sta pensando in questo momento… non mi tange che potrebbe avere nuovamente ripensamenti… ».

Il piccolo piegò la testa di lato e ondeggiò mollemente la coda, per nulla turbato dalla melodrammaticità di cui stava dando mostra il suo padrone, che riprese ad accarezzarlo distrattamente. Cercava di sfogare sul gattino la frustrazione che tentava invano di nascondere, ma era inutile se non impossibile mentire: se chiudeva appena gli occhi si ritrovava davanti il viso pallido di Alec, con quei capelli neri scompigliati che sembravano quelli di chi si è appena alzato dal letto, quel viso pallido come la luna che adorava vedere tingersi delle più improbabili sfumature di rosso, quei limpidi occhi azzurri che amava vedere brillare quando il giovane gli sorrideva.

L’immagine del Cacciatore che gli affiorava davanti agli occhi in quel momento però non era né imbarazzata, né timida, né felice, ma anzi era triste, spenta, quasi… timorosa. Non l’aveva guardato come di suo solito, ma come se fosse stato un perfetto estraneo, come tutte quelle volte che aveva negato davanti ai suoi familiari di essere innamorato di lui; erano già passati attraverso quella fase, credeva che ormai l’avessero superata, e invece sembrava come se non fosse cambiato niente dal giorno in cui Alec l’aveva baciato a Idris. Era diverso, però, adesso: i primi tempi era stato perché non si era sentito ancora pronto a uscire allo scoperto e aveva cercato di difendere sé stesso, era perché ancora non sapeva davvero chi fosse; adesso invece riguardava il non sapere chi fosse il suo ragazzo.

Anche se non lo aveva detto ad alta voce, Magnus glielo aveva letto negli occhi, aveva visto la sua confusione e la presa di consapevolezza di non conoscere in realtà proprio per niente il proprio fidanzato , non tanto perché Magnus non gli aveva mai raccontato niente ma piuttosto perché il giovane sembrava non aver mai preso in considerazione parecchie parti riguardanti lo stregone, specie tenendo conto degli ultimi venti anni e forse anche secoli, argomenti che non avevano mai tirato in ballo da quando si conoscevano ma che il Nascosto aveva dato per scontato che il giovane conoscesse. Da un lato Magnus era lieto di non essersi trovato ad affrontare l’argomento, ma dall’altra aveva dato per scontato che Alec l’avesse volutamente accantonato per il suo bene, e invece la sua reazione era stata una palese riprova del contrario di quanto pensava il Nascosto. Anche nel caso se ne fossero mai trovati a discutere, comunque, Magnus avrebbe cercato di sviare l’argomento in tutti i modi, meno ne parlava più felice sarebbe stato. Se era con Alec, poi… non voleva che lo vedesse sotto quella luce.

Sin dal primo giorno, Alec non si era mai rivolto a lui come ad un Nascosto qualunque o chiamandolo col nome della sua razza pronunciandolo con disprezzo come facevano di norma gli Shadowhunters, come se quella parola da sola non fosse solo un appellativo ma l’insieme di tutto l’odio e il disprezzo verso la sua gente riversata in un unico termine. L’aveva sempre chiamato per nome, anche se c’era stato quel breve periodo in cui era stato più Cacciatore che Alexander e lo aveva trattato come avrebbe fatto qualunque altro suo simile. Magnus aveva odiato quel periodo, ancor più aveva detestato l’idea che Alec non lo vedesse come Magnus ma solo come il Sommo Stregone di Brooklyn, o, alla peggio, uno stregone qualsiasi. Almeno per lui non gli dispiaceva essere solo Magnus, essere altro oltre al Sommo Stregone, essere una persona che voleva solo trascorrere della piacevoli in compagnia del ragazzo di cui era innamorato.

Magnus aveva sopportato stoicamente il prendi-e-molla di Alec, speranzoso che, alla fine, avrebbe capito e accettato la propria sessualità e i sentimenti che provava per lui, e così era stato: quando l’aveva colto di sorpresa baciandolo nella sala degli Accordi davanti a tutta Idris, Magnus si era sentito sciogliere dalla felicità, aveva pensato seriamente che sarebbe morto in quel momento, e non avrebbe avuto alcun rimpianto se fosse successo davvero. Da dopo quel giorno, pur sempre con qualche piccolo alto e basso, le cose tra loro erano procedute a gonfie vele, e pensava sarebbe durata così per ancora molto e molto tempo, e invece il destino aveva voluto interferire di nuovo con la sua vita e rovinare la sua felicità: ora che finalmente Alec sembrava aver accettato sé stesso e i suoi sentimenti, il fragile equilibrio che avevano raggiunto tanto faticosamente era stato di nuovo messo in crisi, anche se stavolta non era colpa di nessuno dei due, e nemmeno dei genitori di Alec…o quantomeno, non direttamente.

Chiuse di nuovo gli occhi, ma stavolta ad apparargli non fu il volto di Alec, bensì quello sempre pallido di qualcuno con capelli sempre neri ma raccolti in una lunga treccia che incorniciavano un viso a forma di cuore su cui spiccavano due occhi a mandorla di un blu acceso, come di due zaffiri incastonati in una maschera di alabastro, completamente differenti da quelli cristallini e limpidi del giovane Cacciatore, occhi che erano l’altro motivo dell’inquietudine dello stregone, che si sentiva estremamente scocciato ogni secondo che passava.

Quella mocciosa mutaforma… aveva sentito quanto fosse ingovernabile, ma c’era un abisso tra il conoscere qualcuno sentendone solo parlare e incontrarlo di persona. Non avrebbe mai pensato che potesse avere una tale grinta, quella mostrata lì da lui a confronto era stato solo uno sparuto assaggio, il misero boccone di una modella anoressica a dieta paragonata a ciò di cui aveva dato mostra all’Istituto. L’appellativo di “Tigre Nera” non se l’era certo guadagnato coi punti del supermercato, era davvero una tigre in tutto e per tutto: orgogliosa, indipendente, piuttosto graffiante e mordace, sia in senso letterale che metaforico ( sventolò soprappensiero la mano che gli aveva morso e ringraziò che non fosse stata così profonda da lasciargli segni sulla pelle), che reagiva se minacciata ma si dimostrava docile e mansueta se trattata con la giusta gentilezza ( anche se dubitava che offrirle una scatola di croccantini avrebbe sortito lo stesso effetto che aveva sulla palla di pelo viziata che in quel momento si stava crogiolando nelle sue carezze).

Il fatto che fosse vegetariana però non imponeva il conseguente “non ho l’abitudine di fare a brandelli chi osa mettersi sulla mia strada”, e Magnus si riteneva fortunato ad essere riuscito a scampare ad una futura sorte da striscioline di bacon affumicato servite in un hamburger da Mc Donald. Incredibile a considerarsi, ma Magnus aveva avuto paura di lei, la vera paura, quella che ti fa salire il cuore in gola, che ti provoca violenti tremori e ti fa temere per la tua stessa vita . Anche se era riuscito a non farle perdere il controllo e a impedirle di fare un macello, Magnus si era sentito come un tacchino del giorno del Ringraziamento servito su un piatto d’argento pronto per essere sbranato. Ne aveva avuto paura davvero, sia per sé stesso che per Alec, a cui fortunatamente non era successo niente, ma se non ci fosse stato quel lupo a bloccare Yumi chissà cos’altro sarebbe potuto succedere.

Lo stregone si era sentito spaventato come poche volte in vita sua, aveva avuto il terrore che non sarebbe riuscito a contrastare la ragazza, anche se era riuscito a mantenere i nervi saldi e a risolvere la situazione senza che ci fossero vittime ( salvo la sua fronte, su cui sospettava cappeggiasse il bernoccolo del secolo, lo sentiva pulsare fastidiosamente ). Niente però svaniva senza lasciare traccia, e le parole di Yumi avevano lasciato il segno ancor più che la sua testa dura e le zanne affilate, e ora lui e Alec ne stavano pagando le conseguenze ognuno per conto proprio, cosa che stava distruggendo lo stregone dentro e gli stava facendo meditare di affogare quella gattina impertinente nel lago di Central Park e trasformare il predatore naturale dei pesci nel loro mangime più prelibato.
Buttarla nel lago però forse lo avrebbe fatto evaporare e lessato i pesci, la mocciosa era letteralmente una tale testa calda che ci si sarebbero potuto cuocere le uova sopra.

Pur se arrabbiato con Yumi per quello che aveva scatenato, però, Magnus la stimava: il coraggio e l’impeto orgoglioso con cui veniva sempre decantata non erano affatto pettegolezzi fastidiosi. Anche se aveva rischiato di far volare qualche testa, non aveva avuto alcun timore a sbattere in faccia a Maryse quelli che erano i pensieri di tutto il Mondo Invisibile, condivisi non solo dai Nascosti ma anche da parecchi Shadowhunters che però avevano il timore a esporli. Persino lui, che pure aveva sempre ribadito il concetto più e più volte, sentiva i propri discorsi come fossero stati i patetici tentativi di un bambino che cerca di farsi valere coi bulli per difendersi ma che finiva solo per peggiorare la situazione e prenderne ancora, non poteva assolutamente mettersi allo stesso livello della ragazza, che aveva parlato come se la verità fosse stata rivelata da lei soltanto nell’arco di secoli e secoli per la prima volta, e non come un discorso ripetuto allo sfinimento da centinaia e centinaia di persone prima di lei.

Era essenzialmente il modo in cui l’aveva detto, infatti, ad aver fatto la differenza, l’energia e la passione che la ragazza aveva messo nelle sue parole gli avevano dato l’impressione di essere stato schiacciato in un vasetto sottovuoto. Aveva sì incontrato molte persone coraggiose in vita sua, ma nessuno era come lei; persino Raphael, che anche se insopportabile, intrattabile, scontroso e con un rigetto verso il divertimento che era la spina nel fianco di Magnus e solo uno dei tanti motivi per cui preferiva avere a che fare con il vampiro il meno possibile, aveva sempre dato prova di una grande forza di volontà, si avvicinava a malapena a lei. Magnus però aveva anche capito che in realtà, pur se così forte e coraggiosa, Yumi era molto più fragile di quanto non volesse lasciar intendere, ma in questo non poteva mettere bocca, visto che era una caratteristica nota in molte persone che conosceva, persino lui lo era, anche se si sforzava continuamente di nasconderlo persino a sé stesso.
Ciononostante, da che ne ricordava aveva sempre provato una forte ammirazione nei confronti della ragazza, e si aspettato spesso, nel corso degli anni, di sentire che era infine diventata un Sommo Stregone, ma non era mai successo. Chiedendo in giro, aveva scoperto perché: pur se con un tale caratteraccio, a Yumi non importava affatto essere al centro della scena e ammirata da tutto e da tutti, e questo aveva portato Magnus a pensare che lei fosse quel genere di persona che viveva poco per il proprio benessere ma molto per quello degli altri.

Conosceva solo un’altra collega stregona con la sua stessa indole, che aveva sempre pensato essere unica nel suo genere e che non ce ne fossero altre con simili propensioni verso il prossimo, e questo servì solo ad aumentare la sua voglia di conoscere meglio Yumi. Sospirò: era stato serio quando le aveva chiesto se le andava di approfondire la loro conoscenza, ma di tutti i momenti in cui le loro vite avrebbero potuto incrociarsi, proprio in quello era dovuta capitare, proprio quando la sua vita aveva preso una svolta inaspettata e totalmente diversa da qualunque altra avesse mai intrapreso in tutta la sua esistenza e che necessitava di tutta la sua materia grigia, senza negligenze a dirottarla. Ora che finalmente gli era stata data l’opportunità di veder realizzato il suo desiderio più grande, non poteva ancora vederlo esaudito perché aveva ben due problemi a cui far fronte, uno che portava il nome di Alexander e l’altro di Yumi, uno con cui non sapeva cosa fare e l’altro che era la causa del motivo cui sopra, che lo aveva pure rimproverato di essere più rispettoso nei confronti del ragazzo.

Una cosa che quei due avevano in comune: Magnus era talmente abituato a prendersi tutto quello che voleva, se desiderava qualcosa doveva ottenerla a qualunque costo e con ogni mezzo, senza “ma” né “però”; con Alec, invece, che pure rappresentava ciò a cui aveva ambito per troppo tempo, non poteva attuare il suo intento, perché sapeva e voleva procedere con cautela. Lo stesso valeva per Yumi, con cui però aveva il problema diametralmente opposto: la ragazza doveva essere presa con le pinze e trattata col guanto di velluto, sì, ma lì dove con Alec bisognava essere cauti per non distruggerlo, con Yumi bisognava stare attenti a non farsi distruggere.
In nessuno dei due casi però Magnus era vicino a ottenere davvero ciò che voleva senza non sentire la paura di fare qualcosa di sbagliato e rovinare tutto. Ammirava davvero la ragazza per aver saputo tener testa a Maryse, ma un po' si sentiva arrabbiato con lei, specie per aver indotto la Cacciatrice a dire quelle cose.

A pensarci bene, però… era giusto essere arrabbiato con Yumi? Non aveva certo detto quelle cose per fare volutamente del male a qualcuno, aveva solo dato voce a ciò che aveva nel cuore, non a qualcosa ideato sul momento e messo in scena per causare problemi. Purtroppo però ci era riuscita comunque, e solo perché le sue parole erano state la pura e incontestabile verità. La verità faceva sempre male, in qualunque situazione, e anche se mentire è doloroso, alle volte diventa necessario, perché la verità fa molto ma molto più male. Magnus lo sapeva meglio di chiunque altro, lui che mentiva persino a sé stesso da secoli e secoli.
Pur però essendo una verità conosciuta da tutti, ribadita allo sfinimento e riproposta in tutte le salse, mai era stata pronunciata in modo così schietto, ardito e intenso, anche. Trattandosi di Yumi, però, e ripensando alle supposizioni precedentemente avute su di lei, era giusto ipotizzare che forse per lei il dolore della sua gente era il suo dolore e che lei tenesse a tutti i Nascosti del mondo indistintamente, non importa se sconosciuti o meno, come se fossero parte di un’unica famiglia, una grande famiglia che lei amava più di ogni altra cosa e che voleva proteggere a tutti i costi.

Per questo aveva reagito in quel modo, aveva parlato non per sé ma si era fatta portavoce del pensiero di ogni Nascosto sulla Terra: non era stata solo Yumi Shin a parlare a Maryse Lightwood, in quel momento la voce della ragazza era stata la voce di centinaia di persone unite in un unico accordo e in una sola persona, ed era per questo che il suo discorso era sembrato diverso da qualunque altro mai esposto fino a quel momento. Se si fossero trovati in un altro tipo di situazione, Magnus non avrebbe esitato a schierarsi con lei e darle man forte, ma purtroppo era stato presente anche Alexander, che aveva sperato non rimanesse impressionato dalle parole di Yumi, non dopo tutto quello che era successo ultimamente. Il modo sbalordito e confuso con cui Alec aveva guardato Yumi, però, aveva lasciato ben poco spazio all’immaginazione, e Magnus era certo di quello che doveva essere passato per la testa del giovane, come ne aveva ricevuto conferma dal modo inespressivo con cui dopo lo aveva guardato e gli aveva chiesto chi fosse Yumi.

Magnus aveva sentito la verità emergere prepotentemente su per la sua gola e ci era voluto uno sforzo immane per ricacciarla giù; non poteva dirglielo, non era giusto, ma anche se si era sentito malissimo a non potergli dare una risposta degna di questo nome, si era imposto di non farlo, sarebbe stato troppo lungo e difficile da spiegare al giovane, ancor più da comprendere, senza contare poi che sarebbe stato anche alquanto doloroso, e lui non voleva dar mostra di quel lato di sé ad Alexander, specie poi davanti ai suoi amici, che ancor meno avevano diritto di vederlo vulnerabile.  A dispetto della circostanza, non avrebbe permesso che accadesse:  Alec era a conoscenza solo di alcuni lati della personalità dello stregone, quelli di cui dava mostra abitualmente e che erano conosciuti da tutti e pochissimi altri a cui solo il ragazzo aveva avuto modo di assistere, ma a Magnus andava bene così, e sperava che anche ad Alec sarebbe bastato avere quell’immagine presente di lui, senza ricordarsi che lui era un Nascosto che in passato aveva dovuto fare i conti con le persecuzioni degli Shadowhunters e che aveva validissimi motivi per odiare i guerrieri di Raziel, tra cui il fatto di essere quasi morto per colpa del Circolo, più molte altre cose riguardanti il suo passato che preferiva non rimembrare.

Aveva sempre cercato di non pensarci perché voleva dimenticare i brutti ricordi, e forse la sua era sicuramente codardia, una scorciatoia per non soffrire ancora, ma non poteva farci niente: aveva passato la vita a proteggersi in quella maniera, non si poteva smettere dall’oggi al domani qualcosa che aveva fatto parte della tua vita per anni, neanche per qualcuno speciale come Alec. C’era ancora molto del suo passato, segregato nei più reconditi meandri del suo animo, cose che lo terrorizzavano e che non voleva rivangare e permettere che riemergessero, non era pronto a offrirlo ad Alec e mai lo era o lo sarebbe stato: era certo che, se per un malaugurato caso, Alec ne fosse venuto a conoscenza, non l’avrebbe più guardato allo stesso modo e non avrebbe fatto altro che disprezzarlo dal profondo del cuore. Magnus pregava che non accadesse mai, ma ora che quella ragazzina era in circolazione, che scommetteva sapere fin troppe cose sul suo conto, e aveva una lingua affilata, era diretta e senza la benché minima possessione di filtri, avrebbe dovuto stare molto attento e soprattutto trovare un modo per tapparle la bocca, o quantomeno per chiederle di regolarsi, ma dopo quello che era successo all’Istituto si prospettava un’impresa difficile se non impossibile.

Anche per questo voleva trovarla e cercare di conquistarsi la sua fiducia: se avesse continuato a sparlare ai quattro venti dell’odio dei Nascosti verso gli Shadowhunters, dieci a uno che Alec un giorno si sarebbe presentato a casa sua con arco e frecce e gli avrebbe trafitto il cuor senza pensarci troppo, volto solo alla salvaguardia del mondo e della sua famiglia, e questo NON sarebbe dovuto accadere assolutamente. Anche se stava cambiando giorno dopo giorno, Magnus era sicuro che Alec fosse ancora più ligio al dovere di quanto non lo fosse nel pensare ai propri affetti, e per questo sentiva che, quando e se fosse arrivato il momento, dopo le incertezze iniziali il giovane avrebbe sicuramente convenuto a fare ciò che era più sicuro per la propria famiglia, e loro due sarebbero diventati nemici.
Era una prospettiva terrorizzante, ma anche che gli Shadowhunters potessero decidere di annullare gli Accordi e tornare a com’era prima che venissero stipulati non lo riempiva esattamente di gioia.

Era un’idea alquanto improbabile, però: come aveva giustamente fatto notare Yumi, senza l’Alleanza coi Nascosti gli Shadowhunters erano capaci di fare ben poco, e anche se avessero cercato di stanarli, i Nascosti erano nettamente superiori numericamente e abilmente, era da stupidi abbracciare un’idea folle e suicida come quella, era evidente che avrebbe segnato la fine degli Shadowhunters. Avrebbero potuto farlo anche durante gli anni del Circolo, ma non era successo; anche riguardo Yumi, per molto tempo, era stato creduto che ambisse al soppiantamento degli Shadowhunters, ma così non era stato, e Magnus come molti altri ringraziavano che non fosse accaduto. Non che avesse a cuore il destino dei Cacciatori, ma odiava le guerre, e ancor più i spargimenti di sangue, non portavano a niente se non ad altro odio e sofferenza.

Chiarito questo punto, però, la domanda restava: cosa voleva veramente Yumi? Che i diritti dei Nascosti venissero riconosciuti? Benissimo, in quel caso sarebbe stato più che felice di appoggiarla nella sua campagna elettorale, e se glielo avesse permesso avrebbe anche contribuito con manifesti e striscioni colorati di protesta, con tanto di parata di camion pubblicitari muniti di altoparlanti per la propaganda. Anche se si fosse trattato di altro, però, avrebbe voluto aiutarla comunque, quantomeno a non perdere le staffe e mandare al diavolo il suo duro lavoro per colpa di una scintilla di troppo, sarebbe stata una buona cosa da chiederle, appena gli fosse di nuovo capitata tra i piedi.

Era ammirevole che impegnasse sé stessa in una battaglia così ardua contro il resto del mondo, e se ce l’avevano fatta dei comuni mortali non dubitava che avrebbe potuto riuscirci anche lei, però andava avanti da secoli e secoli, e Magnus non era molto ottimista riguardo al fatto che le cose sarebbero cambiate per davvero per i Nascosti. Se fosse successo davvero, però, avrebbe fatto erigere un monumento eguagliabile alla statua della Libertà nel pieno centro di New York con una targhetta celebrativa a immagine e somiglianza di Yumi; fintanto però che la cosa fosse stata in fase di svolgimento, Magnus le avrebbe dato il proprio appoggio, non importava se lei lo avrebbe voluto o meno. Anche se… forse era meglio non essere precipitosi e fare promesse che non poteva mantenere: aveva già mancato all’impegno all’Istituto, come poteva pensare di poter invece prenderlo con il resto del mondo?

Fece una smorfia: gli seccava ammetterlo, ma aveva avuto ragione, Yumi, a zittirlo. Non era mentendo ad Alec che sarebbe riuscito a proteggerlo, doveva capire da solo come stavano le cose e poi decidere cosa fare. Solo che era più facile dirsi che a farsi, Magnus non si sentiva affatto pronto a questo; aveva fiducia in lui, però, e avrebbe appoggiato qualunque sua decisione, fosse stato anche chiedergli di uscire per sempre dalla sua vita e non farsi più vedere. Gli si sarebbe spezzato il cuore, ma lo amava troppo, e voleva solo il suo bene, quindi avrebbe fatto come gli avrebbe chiesto. Tutto ora però stava nel vedere quanto ci avrebbe messo a prendere una decisione in merito alla situazione attuale e come avrebbe fatto soprattutto, se avrebbe preso le parole di Yumi come oro colato o invece avrebbe riflettuto attentamente, prima di trarre conclusioni affrettate.

Alec però non era stupido né tantomeno incapace, e poteva prendersi tutto il tempo che voleva, Magnus sarebbe sempre stato lì ad aspettarlo, assicurandosi, nel frattempo, che il giovane non soffrisse a causa di Yumi, sperando che la ragazza non fosse il tipo da infliggere male spontaneamente per creare scompiglio, anche se di questo dubitava fortemente. Dall’altra parte, però, la stava odiando per averlo messo in quella situazione, perché doveva sempre essere tutto così complicato per lui?
Sospirò nuovamente e si passò la mano tra i capelli, distraendosi un attimo quando non sentì la ruvidezza del gel di cui li impregnava di solito: quante volte aveva già pensato a Yumi? Ancor più che ad Alec, e non riusciva a spiegarsi perché: non la conosceva, eppure aveva sentito e sentiva tuttora un forte bisogno di impedirle di compiere pazzie, di aiutarla, di…proteggerla. Non tanto fisicamente, non ne aveva di certo bisogno ( e provava pena per quei poveri malcapitati che avrebbero cercato di adescarla in un vicolo buio) ma più che altro come se lei fosse stata fatta di frammenti di vetro che si sforzava di tenere uniti accusando i colpi e ignorando le crepe sulla sua superficie ma a cui sarebbe bastato un movimento più brusco degli altri per romperli definitivamente.

E questo non aveva senso: non era certo la prima immortale che incontrava ad essere così, bene o male era una condizione comune a tutti loro ( per un attimo il suo pensiero andò a Camille, ma riuscì a scacciarlo appena in tempo)… ma allora perché con lei era diverso? Perché percepiva il bisogno di aiutarla in modo così intenso? Forse… forse era dovuto a… no, impossibile.
Non c’entrava niente la promessa, ne era sicuro, era qualcosa di molto più spontaneo. Era come… come non aveva sentito per cent’anni quando, durante una notte tempestosa, un giovane e bellissimo ragazzo con occhi azzurri carichi di estrema sofferenza era andato da lui in cerca di aiuto, aiuto che Magnus gli aveva concesso perché aveva percepito qualcosa in lui, sotto la sua bellezza, qualcosa di misterioso, intrigante e affascinante.

Era riuscito a conoscerlo meglio e capire cos’era che aveva visto in lui e che aveva contribuito a farglielo piacere ancora di più, a considerarlo un amico e a volergli bene; per Yumi avvertiva una sintonia simile, anche se lei non aveva chiesto niente, ma dopo averla guardata negli occhi Magnus non nutriva alcun dubbio al riguardo. Magnus aveva sentito spesso parlare del filo del destino, che univa le persone che sono destinate a incontrarsi, indipendentemente dal tempo, dal luogo e dalle circostanze. Forse era stato quel filo a portare quel ragazzo in una notte di tempesta… e forse era quello stesso filo ad aver condotto Yumi lì, a New York, da lui. Però non aveva senso lo stesso, c’era già quel lupo a prendersi cura della ragazza, lei non aveva di certo bisogno di un estraneo per stare bene.

Magnus aveva osservato bene il modo in cui lui e la compagna si erano guardati: conosceva quello sguardo, lo aveva visto riflesso in molte persone, ero lo sguardo che si rivolgeva a chi era ciò che di più importante avevi al mondo e che creava una connessione speciale tra quelle persone, portandole a isolarsi dal mondo e a non accorgersi di altro se non della presenza reciproca, non importa se in una stanza, in uno sgabuzzino o in un paesaggio brullo e desolato, per loro era sufficiente incontrare gli occhi dell’altro per sentirsi a casa, era lo sguardo che intercorreva tra chi non aveva segreti, conosceva fin nel più minuscolo dettaglio l’intimità dell’animo dell’altro e su cui sapeva di poter aggrapparsi e contare in qualunque momento.

Era contento che anche Yumi avesse la fortuna di avere qualcuno di così speciale al suo fianco, anche se un pochino lo infastidiva, così come lo stava infastidendo notare che le somiglianze con Alexander, che credeva inesistenti in due persone apparentemente così diverse, stessero aumentando mano a mano che ci pensava, somiglianze che, oltretutto, erano stato presenti anche nel suo vecchio amico: tutti e tre con capelli neri e occhi blu carichi di sofferenza, tutti e tre con grandi pesi che gravavano sulle loro spalle ma tutti e tre con qualcuno al loro fianco pronto a farsene carico al posto loro, qualcuno che era ben più che un semplice amico, come se fosse stato un’estensione del proprio corpo, la parte mancante della loro anima che li completava e senza cui non potevano vivere.

Era un tipo di rapporto che aveva sempre affascinato Magnus e che sempre aveva guardato con stupore, oltre che con un pizzico d’invidia, anche: nemmeno con Catarina, che pure lo conosceva praticamente da tutta la vita, che gli era stata vicina sia nei momenti più difficili che in quelli più allegri, che conosceva ogni sfaccettatura della sua vita passata e presente, aveva mai avvertito quella sensazione di completezza che sia Alec che Yumi sembravano avere quando guardavano Jace e Ryuu. Ancora non aveva smesso di chiedersi come dovesse essere, anche se un po' riusciva a immaginarlo benissimo. Immaginare una cosa e saperla, però, erano due casi completamente diversi, ancora più riuscire a comprenderla e mettersi nei panni di chi sapeva benissimo com’era e cosa si provava senza sentirsi infastidito dalla presenza costante e inopportuna che rappresentava l’altro per la persona che amavi.

Non importava quanto stesse accrescendo il suo rapporto con Alec, non sarebbe mai riuscito a escludere Jace e a evitarsi di sentirsi geloso quando Alec riservava quello sguardo al suo parabatai, loro che avevano passato molto tempo insieme e si conoscevano alla perfezione tanto da intuire i pensieri dell’altro semplicemente guardandosi: se voleva che funzionasse, avrebbe dovuto tenersi tutto il pacchetto, biondo tinto incluso, anche se era seccatura.

Con Yumi, però… aveva diritto di sentirsi infastidito? Si erano conosciuti da poco, e indipendentemente dal fatto che erano decenni che sentiva parlare di lei, non bastava certo per poter affermare di conoscerla davvero. A casa sua però aveva avuto l’impressione di aver stabilito una certa connessione con lei, e anche prima l’aveva avvertito, ma alla fine… era un’estranea che non conosceva per niente; non poteva certo competere con Ryuu e avere la presunzione di affermare di aver instaurato una qualche sorta di legame con la sua amica solo perché si erano visti per qualche minuto.

Aveva visto quei due per poco, però era stato sufficiente per fargli capire che dovevano avere un profondo legame anche a livello emotivo, come testimoniava il fatto che Ryuu sembrava capace di indovinare lo stato d’animo della ragazza anche senza guardarla e darle il suo muto appoggio esattamente quando lei ne aveva bisogno. Trovava sorprendente che un legame simile potesse esistere tra una persona e un animale, anche se, a guardarlo, Ryuu sembrava avere uno sguardo fin troppo intelligente e sapiente per un lupo comune, e a Magnus era sembrato di vedere un vecchio saggio piuttosto che un animale.

Non dubitava che fosse più anziano di quanto sembrasse, i suoi erano gli occhi di chi aveva anni e anni di vita sulle spalle, e l’aveva capito benissimo anche se erano stati rivolti altrove. Sicuramente aveva sofferto molto anche lui, forse sobbarcandosi pure il peso del dolore di Yumi, sgravandoglielo dalle spalle per renderglielo più leggero, come aveva fatti anche all’Istituto. Aveva guardato anche la ragazza: i suoi occhi avevano espresso una profonda sofferenza agli insulti di Maryse. Forse aveva provato sulle proprie spalle cosa significava essere una madre e per questo rievocare il ricordo l’aveva fatta soffrire. O forse c’era qualcos’altro, celato in quegli occhi profondi come l’oceano in cui Ryuu si era immerso più volte e per cui era l’unico a conoscere alla perfezione cos’era nascosto in quelle profondità , da cui anche Magnus si sentiva attratto e avrebbe voluto esplorare per portare in superficie ciò che contenevano, proprio com’era successo quella volta… Si riscosse scosse vigorosamente la testa: doveva smetterla di pensare a cose assurde.

Anche se caratterialmente Yumi era più vicina al suo vecchio amico che ad Alec, non era lui, e quindi non poteva pensare che le cose con lei si sarebbero risolte nella stessa maniera. Senza contare poi che stavolta era necessario, per Magnus, riuscire a farsi amica Yumi, anche se non aveva idea di come avrebbe fatto a instaurare un rapporto con lei senza ferire Alexander e contemporaneamente essere fatto a pezzi da Yumi: si sentiva come su un sentiero di carboni ardenti, una minima distrazione e sarebbe abbrustolito. Già, Alexander… alla fine non aveva ancora deciso cosa fare con lui. Odiava sentirsi così debole, lui era il Sommo Stregone di Brooklyn, non un Nascosto qualunque, non era tipo da lasciarsi  coinvolgere e sconvolgere, eppure eccolo a rimuginare sulle preoccupazioni che due ragazzini gli stavano causando e che lo stavano facendo diventare letteralmente matto, chi in un verso chi nell’altro.

Riprese il telefono e scorse i contatti fino alla lettera “C”, fermandosi però prima di premere il tasto verde di chiamata, sospirando e mettendo giù il telefono: no, non l’avrebbe chiamata, non era giusto. Catarina era la sua migliore amica, era l’unica famiglia che aveva, e anche se aveva un cuore d’oro ed era sempre pronta ad aiutarlo nei suoi momenti di massimo sconforto, non era il suo confessore, non poteva disturbarla così ogni volta che non sapeva come cavarsela sa solo, non era per niente carino nei suoi confronti. Senza contare, poi, che era lavoro come sempre, ed erano davvero rare le volte in cui si era presa una pausa degna di questo nome e aveva pensato a sé stessa piuttosto che agli altri, sarebbe stato più facile arginare il traffico di New York che convincere quella testarda a prendersi un giorno libero.

Il suo pensiero andò a Ragnor, e il suo volto si rabbuiò: lui sì che avrebbe saputo come fare, aveva saputo prendersi cura di lei meglio di chiunque altro. Magnus si sentiva ancora malissimo quando ripensava a quanto lo avesse ucciso non essere stato in grado di allievare la sofferenza di Catarina quando le aveva dato notizia della morte di Ragnor, anche se era la medesima sofferenza che aveva provato anche lui stesso.

Il ricordo del dolore provato alla morte del suo amico era assai peggio di qualunque cosa avesse mai provato in vita sua: essendo immortali, gli stregoni erano condannati per natura a dover soffrire per la perdita di coloro che amano e che non sono, purtroppo, immortali come loro, ma anche se lancinante riescono a superare il dolore ed andare avanti, e non perché questo passa ma perché imparano ad accettarlo e a conviverci. Accettare la morte di qualcuno che credevi sarebbe vissuto per sempre e su cui sapevi che avresti potuto contare perché ci sarebbe sempre stato, però, era molto, molto peggio.

E Magnus doveva ancora riprendersi adesso, per non parlare poi di Catarina, che però evitava di parlare dell’argomento, e d’altro canto neanche lui smaniava di doverlo affrontare: non avrebbe risolto niente e avrebbe solo aumentato il loro dolore e la loro rabbia, mentre invece dovevano cercare di farsi forza e superarlo imparando a conviverci, come sempre. Ma non era per niente facile: anche se Ragnor era stato una spina nel fianco per tutta la vita, sempre pronto a dargli addosso al minimo accenno di una qualunque idea Magnus avrebbe partorito, considerandola “pazza” a prescindere, sempre pronto a mettergli i bastoni tra le ruote e ostacolare i suoi piani divertimento e sempre pronto a mettere becco nelle sue scelte amorose, era stato comunque il suo migliore amico, una delle pochissime persone al mondo a conoscerlo meglio di chiunque altro.

E gli mancava, maledizione, eccome se gli mancava: gli mancava vederlo storcere il naso e brontolare di fronte alle sue proposte e alle sue scelte di vita, sentirsi rimproverare da lui per ogni cosa, vederlo ridere e scherzare con Raphael e vederli coalizzati contro di lui pronti a rovinargli la festa, prenderlo in giro e vedere la sua carnagione diventare verde bottiglia rasente il nero, vedere il suo sorriso quando parlava con Catarina… tutto di lui gli mancava, anche le cose più piccole e insignificanti, come le differenti tonalità di verde che la sua pelle assumeva a seconda del suo umore, la sua mania dell’ordine o l’attenzione estrema che regalava al vaso di peonie che una volta aveva sul davanzale di camera sua.

Due persone non potevano passare praticamente tutta la vita insieme e ritenere sufficiente la morte di uno dei per liberarsi dell’altro: Ragnor c’era sempre stato, e anche se ora non faceva più parte di quel mondo, per Magnus era come se fosse stato ancora lì, percepiva la sua presenza ovunque e comunque, sentiva la sua voce in tutto quello che faceva e vedeva la sua faccia corrucciata ovunque andasse. Era incredibile come una persona potesse continuare a essere fastidiosa in morte così come lo era stata in vita, certe volte aveva l’impressione di vederlo stravacato sul suo divano, pronto a brontolare di qualsivoglia cosa l’amico avesse combinato, fosse stato anche l’aver combinato un paio di bermuda con una camicia veneziana o colorato le tende di rosa shocking invece che marrone o bianco latte.

Magnus però avrebbe voluto vederlo davvero, non avere solo l’impressione di farlo: lo voleva lì in carne ed ossa nel suo salotto, con quell’aria strafottente, le braccia incrociate e la brillante carnagione verde, voleva parlargli, chiedergli di aiutarlo con Catarina e anche col problema che ormai da giorni assillava la sua mente. Forse avrebbe potuto evocarlo, da qualche parte avrebbe dovuto avere un libro sull’evocazione degli spettri… o forse era meglio lasciar perdere: per evocare un defunto dall’altro mondo servivano i poteri di un vero Negromante; i poteri di Magnus gli permettevano di evocare demoni, ma non avrebbero sortito lo stesso esito con un fantasma.

Anni prima, però, aveva sentito parlare di una strega piuttosto potente, dotata di grandi poteri negromantici, anche se non sapeva assolutamente niente di lei, né che aspetto avesse né dove si trovasse; se solo fosse riuscito a trovare un modo per contattarla, forse avrebbe potuto… Si rizzò di colpo sul divano e si passò una mano sul viso sospirando stancamente: ma come gli era potuta venire in mente un’idea così folle? Persino lui, che sì aveva compiuto le più mirabolanti e pazze imprese che si potessero immaginare, sentiva che quella era la peggiore a cui avesse mai pensato, ancor peggio di accendere un fuoco in salotto per tenere viva una cucciolata di lucertole cornute sperando che queste ci stessero buone dentro e non saltassero sul divano bruciandogli così la tappezzeria  ( cosa che infatti era successo, e anche dopo averla cambiata, il puzzo di bruciato aveva permeato la casa per tre giorni): partendo dal presupposto che aveva cose più importanti a cui pensare che a perdere tempo a cercare alla cieca una tizia di cui non conosceva né il volto né il nome… non poteva evocare Ragnor.

Lo stregone l’aveva caricato di quell’impegno perché si era fidato di lui, e richiamare il suo fantasma per chiedergli di aiutarlo a risolverlo sarebbe stato come tradire la sua fiducia, senza contare poi che lo avrebbe deluso e rovinato la loro amicizia. No, non poteva deluderlo, non voleva, deluderlo. Si era preso un impegno e lo avrebbe portato a termine, a costo di attraversare l’Inferno per riuscirci… sperando che il suddetto impegno non gli rendesse davvero la vita un Inferno. Non avrebbe coinvolto nemmeno Catarina, non questa volta, anche se sperava che, al momento giusto, appena avesse avuto la possibilità di spiegarle ogni cosa, lei avrebbe capito e lo avrebbe perdonato.

Ripensando a Cat, Magnus si rese conto che assomigliava davvero tanto a Yumi, anche se era molto meno mordace ma non per questo meno pericolosa. Se si fossero incontrate, quelle due sarebbero sicuramene diventate amiche… ma forse era meglio evitare. Motivi? Sì che ce n’erano: l’incognita non risolta sul come avrebbe dovuto comportarsi con Yumi adesso, e il grande pericolo a cui lui sarebbe andato incontro se quelle due si fossero conosciute e Catarina fosse arrivata ad affezionarsi a Yumi.

La verità però era che non ce la faceva ad affrontare Catarina, si sentiva in colpa nei suoi confronti: non le aveva detto tutta la verità riguardo a quello che era successo il giorno della morte di Ragnor, ma non aveva voluto darle ulteriori preoccupazioni. Aveva già abbastanza a cui pensare, anche se ovviamente non gli andava a genio avere dei segreti con lei.

« Accidenti a te, baccello di fagioli… » borbottò inveendo  contro lo spirito di Ragnor, sperando quasi che potesse sentirlo davvero. Presidente si sdraiò di schiena e osservò il padrone con curiosità.

« Tu che ne dici? » chiese quello al gatto. « Cosa dovrei fare? ».

Il piccolino ruotò il musetto da una parte all’altra, poi si acciambellò sulle gambe del padrone e non si mosse più.

« Grazie infinite per il tuo prezioso consiglio… » borbottò Magnus.

Sempre tenendo il gatto sulle gambe, posò la testa sullo schienale e si assopì, cadendo poi in un sonno profondo. I suoi ultimi pensieri furono un giovane Cacciatore triste e confuso e una gattina ultracentenaria indipendente e orgogliosa.

 
*Angolo autrice

In origine questo capitolo avrebbe dovuto contenere sia le preoccupazioni di Magnus che quelle di Alec, ma siccome come al solito mi sono fatta prendere la mano, la parte di Alec l’ho slittata al capitolo successivo, che arriverà a breve. Purtroppo anche per questa storia è arrivata l’ora degli angst, ma non preoccupatevi, se ne riparlerà tra un bel po', e non saranno pesanti. Mata ne, a presto!
   
 
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