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Autore: Stella Dark Star    25/07/2017    1 recensioni
Per Andrea Pazzi e Lucrezia Tornabuoni è amore a prima vista quando s’incontrano nella basilica di San Lorenzo durante il funerale di Giovanni de’ Medici. Il problema è che entrambi sono sposati e per di più le loro famiglie sono nemiche naturali. Ma questo non basterà a fermarli. Tra menzogne e segreti, l’esilio a Venezia cui lei prenderà parte e il ritorno in città della moglie e i figli di lui, sia Andrea che Lucrezia lotteranno con tutte le loro forze per cercare di tenere vivo il sentimento che li lega. Una lotta che riguarderà anche gli Albizzi, in particolar modo Ormanno il quale farà di tutto per dividerli a causa di una profonda gelosia, fino a quando un certo apprendista non entrerà nella sua vita e gli farà capire cos’è il vero amore.
Consiglio dell'autrice: leggete anche "Delfina de' Pazzi - La neve nel cuore", un'intensa e tormentata storia d'amore tra la mia Delfina e Rinaldo degli Albizzi.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo trentanove
Profonda mutazione
 
“Rimanete con me, questa notte.” Lo pregò Rossella, posando una mano sul suo petto. Dolce creatura piena d’amore che lo guardava con quegli occhi di un azzurro limpido. In quegli anni era stata molto più di un’amante, per lui. Era presente nei momenti difficili e lo amava anche quando lui le mancava di rispetto. Aveva preso la decisione giusta e non voleva ripensarci. Ripetendosi questo, Ormanno le sfiorò il viso con una carezza: “Non chiedermelo più, sai già la risposta. Voglio lasciarti di me un ricordo migliore di quelli che ti ho dato.”
Lei gli portò le braccia al collo, incapace di lasciarlo andare: “Che cosa dite? Di voi ho solo bei ricordi! Siete la persona più importante per me!”
“Sei gentile a dirlo.” Le disse sorridendo, ma poi tornò triste e si sciolse dal suo abbraccio: “Questa notte ho davvero bisogno di stare da solo, perdonami.”
“Ma…perché continuate a tormentarvi? Avete detto che vostro padre verrà esiliato, non giustiziato.”
“Ho detto che sono fiducioso che Medici riesca a convincere la Signoria, in verità.” Scosse il capo: “Dio solo sa perché lo sta facendo. La situazione si è come capovolta. I nemici diventato amici e gli amici diventano nemici.” Ripensò a Pazzi e i suoi occhi si velarono ancor più di tristezza. Li chiuse un istante per scacciare il pensiero, quindi tornò a dedicarsi a Rossella e l’avvolse in un caldo abbraccio. Non avrebbe mai negato di volerle bene, di esserle affezionato.
Non appena si sciolsero, Rossella gli chiese con voce tremula: “Vi rivedrò ancora?”
Ormanno rispose sinceramente, per non darle false speranze: “Se mio padre verrà esiliato io partirò con lui, ovunque lo mandino. Se invece verrà giustiziato…” Si bloccò e deglutì: “Porterò mia madre via da questa città e dubito che vi faremo mai ritorno.”
Gli occhi di Rossella si riempirono di lacrime, ma lei cercò di non piangere. Non voleva lasciarlo con quell’ultima immagine di sé. Desiderava che la ricordasse sorridente e felice. Prese respiro e parlò: “Se questo è davvero un addio, voglio che sappiate quanto vi ho amato. Non vi dimenticherò mai, Ormanno. Ma, se avete preso la vostra decisione, vi auguro il meglio.” Si sforzò di sorridere e intrecciò le mani in grembo per non cedere alla tentazione di toccarlo ancora o non sarebbe più riuscita a controllarsi.
“Ti ringrazio di tutto, mia dolce Rossella.” Con queste ultime parole Ormanno si congedò e lasciò la stanza senza voltarsi indietro. Scese le scale trottando, senza curarsi dei clienti che salivano e scendevano. La Casa cominciava ad essere affollata. Era prossimo ad uscire quando una voce lo fermò: “Messer Ormanno.”
Si voltò e vide Madonna Leona venirgli incontro. Con gesto materno, lei gli prese le mani tra le proprie e disse sorridendo: “Buona fortuna, ragazzo. Sono certa che la vostra famiglia potrà cominciare una nuova vita altrove.”
“Che Dio vi benedica, Madonna.” La ringraziò Ormanno, per poi sporgersi su di lei e sussurrare: “Tutto ciò che vi chiedo è di trovare un buon marito a Rossella. Merita una vita migliore.”
“Non temete! Grazie alla vostra generosa donazione non sarà difficile maritarla. E vi prometto che mi accerterò di lasciare quella dolce creatura in buone mani.”
Ormanno le fece un cenno positivo col capo: “So che lo farete.” Sciolse le mani dalle sue e la salutò con un rispettoso inchino, quindi s’incamminò per tornare alla propria dimora.
Quella sera la luna sembrava un disco d’argento che riversava la sua luce candida sulla città. Dopo tanto tempo provò una piacevole sensazione di serenità che lo accompagnò fino a casa. Il primo obiettivo che si era prefissato era stato raggiunto, ora doveva occuparsi del secondo che lo stava aspettando. Più precisamente, lo trovò ad ‘aspettare’ sulla poltrona del salottino privato, beatamente addormentato. Ormanno richiuse la porta senza far rumore, per non svegliarlo, e prese posto sull’altra poltrona. Oh Dio, quel ragazzo era bello anche quando dormiva… Nella sua mente riaffiorò il ricordo del loro primo colloquio in quella stanza. Quella volta gli era parso così timido! Sembrava essere accaduto in un’altra vita. Tommaso era cambiato, era cresciuto, e anche il suo carattere si era rafforzato. Ma ciò che lui amava di più e che avrebbe impresso nella memoria fino alla fine dei propri giorni, erano i suoi bei capelli ondulati e perennemente in disordine e le labbra rosse dall’arco gentile come quelle di una fanciulla.
Tommaso si destò dal sonno, il suo sguardo incontrò quasi subito quello di Ormanno. Si affrettò a ricomporsi: “Perdonatemi, mi ero addormentato.” La voce roca per l’improvviso risveglio.
“Ho fatto tardi, ti chiedo scusa. E’ che Rossella non voleva lasciarmi andare!” Scherzò.
Tommaso rimase serio: “Avreste dovuto chiederle di partire con voi.”
Ormanno accennò un mezzo sorriso, scostò lo sguardo: “Capisco a cosa alludi. Ma io non sono innamorato di lei, non potrei sposarla. Sarebbe una crudele menzogna e la farei soffrire. Ho fatto la cosa giusta, Tommaso. Madonna Leona le troverà un buon marito e lei vivrà una vita più dignitosa.”
Ci fu qualche istante di silenzio tra loro, fino a quando Ormanno non batté la mano sul bracciolo ed esordì: “Non penserai che mi sia dimenticato di te, vero? Non ho intenzione di lasciarti nell’indigenza!”
Ancora una volta Tommaso non condivise il suo buonumore, ma ora fu a causa dei sensi di colpa. Da quando aveva accettato la proposta di Pazzi si sentiva un meschino traditore, anche se non aveva avuto scelta. Se Ormanno gli avesse chiesto di partire con lui, avrebbe rifiutato, perché la sua vita era a Firenze e non avrebbe lasciato quella città per nulla al mondo.
“Sai cosa sono questi?” Gli chiese Ormanno, puntando il dito su tre fogli di pergamena arrotolati e riposti sul tavolino di fronte a loro.
Tommaso scosse il capo, ovviamente, quindi Ormanno suggerì: “Prendine uno e leggilo.”
Lui scelse il primo e lo spiegò. Dopo appena le prime due righe il suo volto sbiancò e lui sollevò lo sguardo colmo di sorpresa su Ormanno.
“Quello, amico mio, è l’atto di proprietà della bottega appartenuta al tuo Maestro.” Spiegò Ormanno e, visto che lui restò ancora muto, proseguì indicando uno alla volta anche gli altri due documenti: “Questa è la tua autorizzazione ad esercitare la professione di speziale. Invece questa è la somma di denaro che ti servirà per avviare la tua attività.”
Con gesto rapido, Tommaso afferrò quel foglio e, nel leggere la somma, sbiancò ancora di più: “Con tutti questi soldi potrei aprirne tre di botteghe. Sono troppi per me.”
Ormanno ridacchiò: “Allora diciamo che ho aggiunto qualcosa come dono di nozze! Così potrai far avere alla tua sposa un bel corredo.”
Tommaso volse lo sguardo su di lui: “Ma come è possibile tutto questo? Credevo che il patrimonio della vostra famiglia fosse bloccato fino alla sentenza.”
“Vero. Ma giusto un paio di giorni fa ho parlato con Messer Guadagni e…diciamo che mi ha dato un grande aiuto. Che Dio lo benedica. Ora quel denaro e quella proprietà sono tuoi e nessuno te li può sottrarre. Se devo essere onesto, sono felice di sapere che sono in mano tua.”
Tommaso si sentì come se avesse ricevuto un pugno in pieno stomaco. Posò i documenti sul tavolino: “Non posso accettare. Non merito tanta generosità.”
“Devi accettare!” Ormanno si sporse e appoggiò una mano sul ginocchio di lui, amichevolmente: “E’ il mio modo per ringraziarti. Forse non te ne rendi conto ma per me hai fatto molto. Mi hai donato la tua amicizia e la tua lealtà.”
Tommaso si batté un pugno sulla coscia e confessò: “E invece sono un gran bastardo! Ho pensato solo a me stesso quando ho accettato di servire Pazzi.” Strinse i denti, aveva voglia di piangere per il disprezzo che provava nei propri confronti.
Sulle prime Ormanno si fece serio, il suo sguardo divenne inespressivo. Certo una simile confessione non era cosa da poco, specialmente perché riguardante l’uomo che gli aveva fatto da secondo padre e che poi aveva tradito la sua famiglia. Ma poi si rasserenò, non avrebbe avuto senso adirarsi, non ne aveva la forza. Accennò un sorriso: “Ora non sei più costretto a sottometterti. Hai tutto ciò che ti serve per provvedere a te stesso. Sei libero Tommaso.” Lo guardò malizioso e aggiunse: “Mi dispiace solo di non essere presente quando dirai a Pazzi di andare al Diavolo!”
Scambiarono una risata complice. Bastò un attimo perché tornassero i ragazzi che erano fino a poco tempo prima, quando credevano di avere il mondo in mano. Tommaso dovette riconoscere che il suo Signore era davvero un grande uomo, quando voleva. Si accorse della sua mano poggiata sul ginocchio, la prese e se la portò alle labbra per baciarne il dorso con umiltà.
Ormanno rise: “Suvvia, non sono più il tuo Signore, oramai!”
“Lo sarete fino a domani. E anche dopo, perché ovunque andrete resterete sempre la persona a cui devo tutto.” Gli disse Tommaso, con riconoscenza.
Ormanno dovette trattenere l’impulso di rubargli un bacio, non voleva rovinare un momento così perfetto. Ritirò la mano e chiuse il discorso: “Ora prendi i documenti e vai. Stella sarà felice di sentire le novità.”
Tommaso balzò in piedi come un grillo, raggiante: “Lo sarà senz’altro!” Prese le pergamene e se le strinse al petto come fossero stati dei bebè, quindi chinò il capo in segno di rispetto e corse fuori dalla sala.
Rimasto solo, Ormanno si adagiò sullo schienale della poltrona e sorrise al nulla: “Ho reso felice una persona che amo. Che splendida sensazione.” Avrebbe voluto che la gioia nel suo cuore non se ne andasse più. Così, con la pace nell’anima e il silenzio della stanza infranto solo dallo scoppiettio del fuoco nel camino, Ormanno chiuse gli occhi e si addormentò sereno.
*
Erano trascorsi minuti o ore? Non lo sapeva nemmeno lei. Non faceva che camminare avanti e indietro per il corridoio principale stropicciandosi le mani nervosamente, tanto era ansiosa di sapere quale sentenza era stata emessa. Avrebbe voluto presenziare e vedere la faccia di quel verme di Rinaldo nel sentirsi dichiarare colpevole, ma purtroppo era vietato l’accesso alle donne a Palazzo della Signoria e di certo lei non aveva il coraggio di fare un ingresso teatrale come quello di Contessina tempo addietro. Non poteva far altro che aspettare il ritorno del marito e del suocero. Anche se non era un comportamento cristiano, nel suo cuore desiderava ardentemente che dichiarassero a morte Rinaldo. Aveva bisogno morale e fisico di ottenere vendetta per ciò che quell’uomo aveva fatto a lei e al bambino che aveva perso.
Nell’udire il rumore della porta d’ingresso si bloccò, il cuore le mancò un battito. Era giunto il momento. Si voltò e corse per raggiungere i due uomini prima che si dileguassero da qualche parte, come di consueto.
“Allora?” Gli occhi spalancati sul suocero, ma fu Piero a darle una risposta: “Le parole di mio padre hanno avuto l’effetto sperato. Albizzi è stato esiliato.”
“Che cosa?” Trasalì lei, rivolgendosi di nuovo a Cosimo: “Ma perché l’hai fatto? Quell’uomo non merita di vivere!”
Lui la osservò alcuni istanti con quella sua espressione ‘inespressiva’ che lo caratterizzava e che lei aveva sempre trovato snervante. Quando si decise a rivolgerle la parola fu anche peggio: “Qualunque uomo merita una seconda possibilità. Albizzi avrà modo di scontare le sue colpe nella città di Trani.”
Lucrezia insistette: “Trani? Nemmeno se fosse stato mandato in capo al mondo sarebbe abbastanza. Come hai potuto prendere le sue difese?”
Piero, vedendo che la situazione si stava facendo ardente, pensò bene di intervenire: “Lucrezia, non hai motivo di parlare in questo modo. Vorrei che la smettessi.”
Cosimo ne approfittò per dileguarsi, liquidando la faccenda con un irritante: “Piero, occupati di tua moglie. Io ho del lavoro da portare avanti.”
“Certo, padre.” Rispose lui, obbediente e sottomesso come un bambino. Ma bastò che Cosimo voltasse l’angolo per cambiare atteggiamento. Si rivolse a Lucrezia con severità: “Che cosa ti è preso? Mio padre ha fatto la cosa giusta ed è diventato un esempio per la Signoria. Sei l’unica a criticarlo.”
Lucrezia lo attaccò: “Tu e la tua stupida infatuazione per tuo padre! E il maledetto desiderio di gloria di voi Medici!” Gli puntò un dito contro e continuò a parlare a ruota libera: “Per tua informazione, non sono affatto l’unica. Messer Pazzi gli si è opposto affinché trionfasse la giustizia, ma tuo padre ha rovinato tutto.”
Piero le lanciò uno sguardo interrogativo: “Pazzi? E tu che ne sai? Non lo conosci nemmeno.”
Lucrezia si sentì fremere. Sarebbe bastato così poco per vomitargli addosso la verità e distruggerlo. Ma a che pro?  Sarebbe stata ripudiata e cacciata.
“Lascia perdere.” Disse tra i denti, per poi afferrare un mantello lasciato all’ingresso da qualcuno e indossarlo infischiandosene altamente. Lasciò il palazzo in uno stato d’animo allarmante. Era furiosa.
  
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