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Autore: milly92    26/07/2017    1 recensioni
“Io sono Alice, piacere. La mediatrice culturale”.
“La che?”.
Offesa, feci una smorfia: il mio era un mestiere come tanti, non di certo uno di quelli super fighi con il titolo tradotto in inglese giusto per sembrare ancora più irraggiungibili.
“La me-dia-tri-ce culturale” rispiegai pazientemente.
“Ah, mediatrice! A causa del viaggio sto così fuso che avevo capito meretrice, ecco perché ero confuso” ridacchiò, con un palese accento romano. “Salvatore, comunque. Piacere. Faccio questo mestiere da cinque anni e non ho mai sentito parlare di una mediatrice nel team!”.
“E’ un’eccezione, oltre agli inglesi ci sono gli spagnoli e l’azienda aveva bisogno di una traduttrice. Diciamo che è un esperimento... Scusami comunque, mi sono bloccata nel bel mezzo della strada perché ho appena ricordato di aver dimenticato l’adattore e il mio cellulare è appena morto”.
“Azzò, sei perspicace, Alice la Mediatrice. Spero non dimentichi le traduzioni delle parole così come dimentichi le cose essenziali”.
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Day 2: Questione di sostegno

Capitolo 2

Day 2: Questione di sostegno

 

Si stava davvero bene sotto le coperte, al caldo.

Evidentemente, nonostante fosse luglio, fuori c’erano al massimo diciotto gradi.

Mi sembrava di stare su una nuvola, stavo facendo un sogno strano che non avrei mai ricordato...

Mi rigirai sul fianco destro e mi accoccolai meglio sotto il piumone, beandomi di quella sensazione ti tepore e calma.  

Din. Din. Din.Din. Din. Din. Din.

Avendo il sonno leggero, aprii gli occhi di scatto.

Avevo forse cambiato sveglia senza rendermene conto?

Din. Din. Din. Din. Din. Din.

No, non era la mia sveglia, il mio cellulare non stava emettendo alcun suono, erano solo le sei e cinquanta!

Cosa stava succedendo? Era forse una strana sveglia collettiva del college?

Din. Din Din. Din. Din.

Il suono era progressivo, diventava sempre più forte e non era di certo un piacere per le orecchie di chi si è appena svegliato.

Iniziavo a sentire dei passi fuori la porta, delle ragazze che strepitavano e dicevano cose tipo “Incendio” e “Allarme”.

Queste parole mi invasero come un secchio d’acqua ghiacciata, misi le pantofole e aprii la porta di scatto.

Era davvero scoppiato un incendio?

Cosa dovevo fare?

L’edificio era zeppo di ragazzi minorenni ed io non avevo mai frequentato alcun corso di pronto soccorso o simili!

In un battibaleno, mentre ero presa dall’incretezza, mi ritrovai davanti il group leader di Napoli di cui non ricordavo il nome.

“Prova antincendio! Aiutami, dì alla ragazze del tuo piano di uscire dall’edificio!” mi disse concitato.

“Ma sono in pigiama e senza nemmeno il reggiseno!” protestai, con la testa ancora annebbita dalla sonnolenza mista alla paura, ma per fortuna lui era già scomparso e non aveva sentito la mia idiozia delle sei e cinquantacinque.

Presi un bel sospiro pensando “questi inglesi! Prova antincendio il primo giorno!” e iniziai a bussare freneticamente alla porta delle ragazze che non erano ancora uscite dalla stanza.

“Ragazze, è tutto ok, è solo una prova antincendio per la vostra sicurezza” dissi non so quante volte. “Uscite, su!”.

Qualcuna si vergognava a scendere in pigiama, qualcun altra era con l’accappatoio...

Non so come riuscii a farle scendere tutte nel giro di due minuti e ci trovammo il team inglese e quello spagnolo che ci indicavano la via del cortile, dove evidentemente c’erano tutti.

Morta di vergogna per il mio pigiama con Batman disegnato sulla zona del seno che ovviamente pendeva per la mancanza di sostegno e per i miei capelli di sicuro cespugliosi, raggiunsi Saverio e la dottoressa che se ne stavano in un angolo del cortile.

Una rapida occhiata in giro mi diede l’impressione che ero l’unica appena sveglia, tutti erano già vestiti o almeno erano in condizioni decenti, nessuna era in pigiama come me e tutte le loro chiome erano pettinate.

La group leader alta e slanciata era addirittura truccata!
“Buongiornissimo, caffè?” mi prese in giro Saverio, vedendomi  arrivare così sconvolta e con un passo da zombie.

Incrociai le braccia per non mettere in mostra il seno penzolante e lo guardai senza capire.

“Perché gli altri dello staff sembrano...?”.

“Preparati?”.

“Sì”.

Egli annuì con aria grave e la Dottoressa si intromise con un: “Se può consolarti io non ne sapevo niente come te”, anche se era già vestita.

Notando il mio sguardo incredulo dopo aver visto che era in jeans felpa aggiunse: “Stavo medicando una ragazza che ieri si è fatta male”.

“Ah, ok”.

“Ieri in riunione ho congedato Giada dopo aver congedato te e ho annunciato ai GL che ci sarebbe stata questa prova, ho distibuito le chiavi universali per ogni edificio ad ognuno di loro per aprire le porte delle camere dei ragazzi... Avevamo solo cinque minuti per fare tutto. Scusami, ma ho già rischiato dicendolo a loro, nessuno oltre me avrebbe dovuto saperlo, dovevo essere discreto” spiegò Saverio, a voce bassissima, come se il team degli stranieri potesse comprenderlo.

“Va bene” assentii, mogia.

Ecco il primo svantaggio di non essere una group leader, in casi come questi mi sarei ritrovata svantaggiata di fronte all’ignoto mentre tutti già erano al corrente di ciò che sarebbe successo.

Mi voltai e vidi Salvatore che riuniva i suoi ragazzi, proprio come gli altri.

Il GL di Napoli – come si chiamava? Perché ero pessima con i nomi? – batteva il cinque con alcuni ragazzi e sorrideva in maniera rassicurante e in quel momento pensai che avrei tanto voluto avere quella solarità.

Le altre due ragazze invece sembravano stanche e infastidite come me mentre raggruppavano i ragazzi e rispondevano a domande evidentemente sciocche, data la loro espressione falsamente paziente.

“Secondo me siamo fortunate, voglio dire, siamo qui a svolgere la nostra professione senza la responsabilità dei ragazzi, nel senso, sì siamo responsabili, soprattutto io, ma se uno non si trova non è colpa nostra” mi disse Giada, sorridendomi in maniera enigmatica.

“Fidatevi, siete quelle che hanno più responsabilità di tutti” le ricordò Saverio, deciso. “Oh, ecco la tipa della security”.

Una signora che mi ricordava tanto la Signorina Trinciabue del film “Matilda sei mitica!”, con tanto di divisa scura, alta e bella possente, fischiò con il suo fischetto rosso e urlò di prestarle attenzione.

Improvvisamente, il mormorio cessò e i ragazzi smisero di lamentarsi per la sveglia assurda e brutale.

Un lampo di agitazione e ansia dilagò nei nostri sguardi.

“Attenzione per favore! Avete impiegato 317 secondi per evacuare, quasi cinque minuti e mezzo. Qualcuno di voi sarebbe morto di sicuro se fosse stato un vero incendio! Si può sempre migliorare! Buona giornata!” urlò, prima di scomparire nel retro del cortile.

Mi voltai verso Saverio, il quale si passò una mano sulla faccia in un modo che lo rendeva decisamente buffo.

“Ve lo devo tradurre?” disse, ironico.

“La prova si rifarà” borbottai, tetra.

Lui annuì, Giada alzò gli occhi al cielo e io sbuffai.

“GL, raggruppate i ragazzi e conduceteli in camera!” esclamò il direttore, avvicinandosi agli altri con passo da marcia.

Io e Giada stavamo per tornare in camera quando vidi il GL che poco prima mi aveva detto di svegliare le ragazze avvicinarsi a noi, ovviamente ancora sorridente.

“Ciao, Luca” disse la dottoressa.

Ah, ecco come si chiamava!

“Ciao Giada. Ri-ciao, Alice. Volevo ringraziarti per aver svegliato le ragazze del tuo piano, probabilmente senza il tuo aiuto i 317 secondi sarebbero stati 370 e di sicuro la signorina Trinciabue ci avrebbe ammazzato!” esclamò.

“Anche tu l’hai associata alla Trinciabue?” domandai, colpita.

“Sì, è identica!”.

“Vero! Figurati comunque, quando posso sono lieta di darvi una mano, il vostro lavoro davvero deve essere pesantissimo” dissi, continuando a tenere le braccia incrociate sul petto.

“Esatto, vale lo stesso per me” si aggregò Giada, cordiale.

Luca scrollò le spalle.

“Ma dai, di sicuro sarete cariche di lavoro anche voi. Ci vediamo a colazione!” si congedò, prima di raggiungere i suoi ragazzi al centro del cortile.

Io e Giada, così, tornammo sui nostri passi.

“Luca è sempre così sorridente, come fa? Abbiamo viaggiato insieme, ci siamo incontrati allo scalo a Bologna ed era super energico nonostante avesse già un volo alle spalle con venticinque ragazzi sotto la sua responsabilità” mi raccontò, mentre superavamo orde di adolescenti in fila che protestavano per la mancanza di tempo per prepararsi prima di colazione.

“Non saprei, onestamente non ricordavo nemmeno il suo viso e  il suo nome. Sono una frana, i ricordi di ieri sono offuscati” ammisi con una smorfia di vergogna.

“E’ normale, poi hai viaggiato da sola, non sei stata a contatto con nessuno di noi. Mi sa che oggi ci conosceremo meglio, le altre ragazze mi sembrano simpatiche!” osservò, cordiale.

“Sì, anche a me. E’ bello lavorare insieme se ci si trova bene”.

“Esatto! Beh, io corro in camera, sto nella N, ci vediamo tra poco a mensa”.

“Certo, a dopo”.

La salutai con la mano, pensando che fosse alla mano e simpatica, e svoltai a destra verso l’edificio E.

La giornata era iniziata in maniera decisamente movimentata.

 

 

“Vediamo chi siete in realtà, colleghi...”.

Erano le nove e dieci del tre luglio, io e il resto dello staff eravamo nel nostro piccolo ufficio e aspettavamo l’arrivo di Saverio ed Elena per ricevere le istruzioni su cosa fare ora che i ragazzi stavano svolgendo il test di inglese, seguito da quello di spagnolo, per dare prova delle proprie conoscenze ed essere smistati in una classe del proprio livello.

Mario, che sembrava una bomba di energia peggio di Luca, si era seduto su una sedia ed aveva iniziato a prendere i nostri curricula da una cartella.

“Alice Sebastiani, nata l’otto luglio del novantadue, laureata con centosette su centodieci in Lingue e Culture straniere.... Che noia” sentenziò, facendomi una linguaccia come se fosse un bambino dispettoso. 

“Ma quindi tra cinque giorni compi gli anni?” disse Nadia, incuriosita.

“Sì”.

“Preparati, offri da bere a tutti, eh” disse Salvatore.

“Eh, minimo, mi raccomando!” aggiunse Clara.

“Dipende... Non vi conosco, se mi sarete simpatici sì, altrimenti mi ubriacherò da sola” li presi in giro.

Fingevo di fregarmene, invece per me quella era una questione di vitale importanza dato che ogni compleanno mi ritrovavo con il mio gruppo di amici e mangiavamo qualcosa insieme mentre ripercorrevamo le tappe dell’anno appena trascorso.

Questa volta sarei stata da sola, in un altro Paese, con gente che conoscevo da meno di una settimana.

“Ci amerai!” stabilì Mario, prima di prendere un altro curriculum. “Giada De Stefano, Dottoressa in Medicina con centocinque su centodieci, nata il sette settembre dell’ottantanove... Noia. Ma un curriculum divertente, qui? Niente?”.

“Leggici il tuo!” propose Luca.

“Nah, io manco ce l’ho il curriculum, troppa fatica”.

“Salve ragazzi, eccoci, scusate il ritardo, abbiamo avuto la conferma che la prova antincendio si terrà tra una settimana esatta” ci interruppe Saverio, entrando in ufficio con Elena al suo fianco.

Entrambi posarono gli zaini su delle sedie e ci invitarono a prendere posto, così ci sedemmo in posti a caso meglio che potemmo visto che le sedie a disposizione erano insufficienti.

Io finii sulla moquette polverosa tra Nadia e Salvatore, mentre Mario prese posto sulla scrivania dove c’era il computer e gli altri se ne stavano seduti sulle sedie.

Il silenzio era teso, si vedeva che nonostante gli sforzi di creare un ambiente informale ci conoscevamo da troppo poco tempo per stare del tutto tranquilli.

“Mario, alzati e fai mettere Alice al tuo posto, mi serve vicino al computer” disse rapidamente Saverio.

Mi alzai di scatto, resistendo all’impulso di scacciare via la polvere dai miei pantaloni neri, e Mario mi diede una pacca sulla spalla.

Da come si comportava dedussi che aveva già lavorato con il capo in passato.

“Bene, iniziamo. Parlando della prova antincendio, per me siete stati bravi, è la prima volta che la fate e siete stati rapidi contando che non conoscete i ragazzi e che l’allarme è scattato dieci minuti prima dell’ora concordata. Tra sette giorni, però, mi raccomando, dovrà essere la perfezione!”.

Annuimmo seppur scoraggiati al pensiero di dover iniziare di nuovo la giornata così, poi lui ed Elena passarono ad elencare le attività del giorno e gli orari per i GL.

Sarebbe stata una giornata tranquilla: test di lingua, pranzo, laboratorio di fotografia o di basket, cena, serata a tema.

Il bello sarebbe iniziato il giorno successivo con la prima escursione di un giorno.

“Quindi ora chi ieri è arrivato tardi firmerà i contratti e tutto il resto, poi durante la pausa sorveglierete i ragazzi e li accompagnerete di nuovo in classe per il test di spagnolo. Mario, tu pensa alla serata, prepara qualcosa di decente! Alice, tu invece hai solo un semplice ma importante ruolo per stamattina... Entra nella mia casella di posta, stampa tutte le mail in spagnolo e su un post it mi scrivi un breve riassunto e me lo lasci sulla mia scrivania. Chiaro?”.

Deglutii prima di annuire fermamente.

“Chiaro. Quanto tempo ho?”.

“Tranquilla, tutta la mattinata. Oggi invece di nuovo riunione con la Rosales, ti deve presentare il team della Santo Domingo”.

“Va bene”.

Mi passò un foglio con le credenziali del suo account email e mi indicò il computer aziendale.

Sentivo gli occhi dello staff su di me, mi sembrava strano dover svolgere un ruolo totalmente diverso da quello degli altri, però mi finsi disinvolta e mi apprestai ad accendere il computer.

Nel giro di venti minuti Clara e Luca ricevettero lo zaino e le varie maglie rosse dopo aver firmato il contratto per ultimi, essendo arrivati tardi la sera precedente, e mostrarono felici le loro divise.

“Corro un attimo in bagno per cambiarmi” esclamò entusiasta Clara, esibendo la polo come se fosse un trofeo.

Alzai lo sguardo dal computer e le sorrisi, intenerita da quella scena.

“Vi invidio, la vorrei anche io!”.

Dal canto suo, Luca scrollò le spalle, si tolse la maglia blu che l’azienda aveva fornito loro per il viaggio e indossò quella rossa.

Notai che non era magro, aveva un po’di pancetta ed era bello robusto, cosa che non si vedeva da vestito.

Ero così presa da questa analisi che non mi accorsi che mi aveva lanciato la polo blu dicendo “Allora tieni!” con una risata.

Imbarazzata, con la maglia che quasi mi copriva la testa, mi ridestai e protestai con un: “Ma anche no!” e gliela rilanciai.

Mario la afferrò e disse: “Bella Luca, quando non vuoi fare la ronda facciamo indossare questa maglia a un cuscino e ti sostituiamo”.

“Perché non farlo già ora?”.

Avevano più o meno lo stesso accento campano, nulla di troppo marcato, anzi, ma sentirtli parlare mi metteva allegria e mi ricordava le estati passate da mia zia a Sorrento quando ero adolescente, prima che si ammalasse.

L’arrivo di un’email mi ridestò e mi fece tornare al mio lavoro e cercai di concentrarmi sul mio lavoro, senza badare ai due Napoletani che iniziavano a legare e cercavano di trovare posti e conoscenze in comune.

 

 

Dodici email dopo, il cortile del college si riempì di adolescenti reduci dal test di ingresso di inglese.

Sbadigliai sonoramente senza riuscire a controllarmi e feci un po’ di stretching con la schiena.

“Prenditi una pausa, vuoi un caffè?” mi domandò Saverio, che aveva iniziato a leggere le note che gli avevo lasciato.

Se ne stava seduto dall’altra parte della scrivania, di fronte a me, e la sua aria era sempre più perplessa mano a mano che leggeva il contenuto della posta.

“Sì, magari. Lo vuoi anche tu?”.

“Lo prenderò con gli inglesi tra poco, grazie. Prenditi pure tutta la durata della pausa, non sto ricevendo altro, finisci qui, io incontro gli inglesi e poi andiamo dagli spagnoli. Davvero, se senti di avere bisogno di cinque minuti interrompi pure, non voglio tenerti incollata qui per sempre. Fumi?”.

“No...”.

“Inizia ora così avrai la scusa della pausa sigaretta, quella è sacra. E non farmi un discorso sui polmoni che si danneggiano che ti licenzio!”.

“Assolutamente, dopotutto il fumo uccide solo, come recitano i pacchetti di sigarette”.

“Così mi piaci”.

Mi alzai, presi lo zaino e lo salutai, agognando un po’ di aria fresca e un caffè.

Certo, non avrei assaggiato l’espresso di casa mia, ma in quel momento avevo bisogno di caffeina in qualsiasi forma e in qualsiasi modo.

Ero appena uscita dal bar del college, un po’ rigenerata, che mi ritrovai Luca e Clara davanti, in uno stato evidente di preoccupazione.

“Non riusciamo a trovare Chiara” disse subito Clara, guardandosi intorno come se aspettasse di vederla spuntare da un momento all’altro.

“Cosa? Non era in classe?”.

“Sì ma le amiche dicono di averla vista in ansia dopo il test di inglese e non la trovano...” disse Luca.

“Il campus è grande!” aggiunse Clara, sempre più ansiosa.

“Ragazzi, tranquilli, sarà in bagno”.

“No, abbiamo controllato”.

“Se mi dite come è fatta questa ragazza vi do una mano, la pausa è appena iniziata” provai ad incoraggiarli.

Stranamente non mi sentivo agitata, forse perché Chiara non faceva parte del mio gruppo e non era mio dovere assicurarmi che stesse in un determinato posto in un determinato momento.

“E’ Veneta, ha i capelli rossi e ricci, abbastanza minuta” mi informò Luca.

Annuii, pur non capendo come potesse essermi d’aiuto la sua provenienza. Forse per l’accento?

“Non ci sono molte rosse, no? E’ più facile da trovare. Scambiamoci i numeri e dividiamoci, così ci avvisiamo se è qualcosa”.

“Saverio ha creato il gruppo Whatsapp”.

“Perfetto, non ho avuto modo di vedere...”.

Clara andò verso i giardini, io andai verso i piani superiori e Luca verso quelli inferiori.

Non ebbi nemmeno il tempo di dirmi “sto praticamente passando la mia pausa svolgendo il lavoro altrui”, in quel momento trovare Chiara sembrava la mia priorità.

Non la conoscevo, non l’avevo mai vista, eppure sentivo che compiere quel  gesto mi avrebbe aiutato a integrarmi e a vivere meglio quell’esperienza lavorativa.

Mi sentivo sicura, l’istinto per fortuna non mi suggerì nessuna idea assurda in cui Chiara se ne fuggiva senza dire nulla.

Forse la prova antincendio a sorpresa aveva esaurito la mia dose di ansia e pessimismo per quella giornata.

Seguii le indicazioni della toilette del terzo piano e lo trovai vuoto, così mi azzardai verso l’ultimo piano, il quarto.

Il corridoio era vuoto, non c’erano lezioni lì, eppure ebbi appena il tempo di girare a destra che vidi una ragazzina dai capelli rossi con una camicia in tartan blu che se ne stava seduta per terra, con le braccia che circondavano le gambe.

Scrissi un rapido “trovata, quarto piano” nel gruppo e poi mi avvicinai con cautela, accennando un saluto con la mano.

Quando lei mi vide esitò un secondo, poi rilassò le gambe e le incrociò.

“Chiara, giusto?” domandai, sedendomi al suo fianco.

Lei alzò lo sguardò e annuì.

“Luca e Clara ti cercavano” dissi semplicemente.

“Sei un’altra group leader?” chiese, con una vocina fin troppo bassa.

“No, sono la mediatrice culturale, per mediare tra noi e gli spagnoli”.

“Ah ok. Io non so niente di spagnolo... Non voglio fare il test”.

“Cosa? Per questo sei qui?” azzardai, sforzandomi di non avere il tono di chi giudica ma semplicemente quello di una persona curiosa e che vuole fare conversazione.

“Io ho finito il primo anno di scientifico con tutti nove in pagella e odio non sapere niente di spagnolo. Non voglio fare figuracce!” si lamentò Chiara, battendo un pugno sulla gamba.

Spalancai gli occhi e mi sforzai di rimanere pacata. Dovevo ricordare che Chiara poteva avere al massimo quindici anni, dieci anni in meno a me, che anche io a quell’età avevo una percezione sbagliata delle cose...

Il fatto che si stesse aprendo con me senza il minimo sforzo, poi, mi dava sicurezza.

Forse era proprio il mio non essere una GL che la faceva sentire più a suo agio.

“Chiara, lo spagnolo è stato introdotto come sperimentazione, nessuno lo parla, qui. Pensa che sono qui proprio per questo motivo! Quindi nessuno si aspetta che tu risponda bene alle domande. Verrai inserita nel livello A1 e brava come sei dopo due settimane di studio porterai a casa un A2, ne sono sicura” la incoraggiai.

Eppure, la ragazza non diceva niente.

Guardava fisso di fronte a sé, con un’aria fin troppo pensierosa, poi tirò su con il naso e mi guardò in un modo che quasi mi metteva in soggezione.

“Ti svelo un segreto” aggiunsi, seria più che mai.

Immediatamente, Chiara mutò atteggiamento, cambiò posizione e mi guardò, in attesa.

“Ora il mio lavoro è tradurre, ma al primo compito in classe, al primo anno di liceo, presi quattro e mezzo!”.

La rossa sgranò gli occhi, incredula.

“Ma davvero?”.

“Sì. Fu una batosta, così mi impegnai e migliorai. Io partivo da quattro e mezzo ma tu devi ancora iniziare a studiare questa lingua! Quindi figurati, andrai benissimo e io posso aiutarti se vuoi, sono a tua disposizione”.

Improvvisamente, la ragazza mi sorrise apertamente, animata da una nuova speranza.

Non so cosa cambiò, so solo che si alzò e io la imitai, seppur con un po’ di difficoltà perché mi si era addormentata una gamba.

In quell’istante comparve Luca, piuttosto agitato e con il fiatone.

Ci guardava, sollevato e confuso allo stesso tempo perché Chiara sembrava più calma.

“Dove si tiene il test?” gli domandò semplicemente, come se non avesse cercato di nascondersi da tutti contemplando di non sostenerlo.

“Al primo piano, aula 123”.

“Ok, vado. Grazie, Alice!”.

Chiara scomparve in direzione delle scale e Luca mi guardò senza capire mentre trovavo un modo poco imbarazzante per combattere la gamba addormentata.

“E’ la classica ragazza brava a scuola che ha paura di fallire di fronte all’ignoto. Doveva solo essere rassicurata” minimizzai, guardando l’orologio, salvo poi ritrovarmi su una gamba sola, come poi mi consgliava sempre la nonna in questi casi.

“Ma come hai fatto?! Cioè, è venuta fin qui, era ovvio che non volesse essere trovata!” constatò Luca, così preso dall’accaduto da non badare alle mie mosse buffe.

“In questi casi forse una non- group leader può fare magie, cosa devo dirti”.

La situazione era troppo divertente, Luca sembrava non capacitarsi della situazione e io mi sentivo rinvigorita dall’accaduto mentre me ne stavo su una gamba a mò di gru, come se Chiara mi avesse trasmesso un po’ più di fiducia in me stessa.

“Le ho detto che posso aiutarla se ha problemi con la nuova lingua” minimizzai.

“Boh. Comunque, cosa cavolo stai facendo su una gamba sola?” disse, ridendo.

“Gamba addormentata”.

“Ah, tutto regolare. Davvero, come hai fatto...”.

Era bello vederlo pieno di dubbi, non so perché mi stavo divertendo un mondo e ciò continuò quando incontrammo una Clara sorpresa che ci disse di aver trovato Chiara al primo piano fuori l’aula del test.

“Dovremmo chiamarlo “Effetto Alice”, Clara” ironizzò Luca, prima di lasciarmi spiegare nuovamente la situazione.

 

 

Dopo la riunione con la Rosales in cui conobbi Javier, Alejandro, María e Paula, il pranzo, altre email da tradurre e la cena ero davvero K.O.

Agognavo il mio letto come se fosse qualcosa che non vedevo da secoli e mi sentivo stupida nel vedere i GL ancora pieni di energie, o almeno così sembrava.

Ci trovavamo in una sala del campus adibita a discoteca in occasione della serata organizzata per i ragazzi e per fortuna le sedie erano decisamente comode, non come quella dell’ufficio su cui ero stata seduta ore ed ore.

“Per me si drogano, non c’è altra soluzione” disse Giada mentre guardava i GL che se ne stavano con i ragazzi, seduta al mio fianco all’inzio della serata “C’è posta per te” in cui i ragazzi si scrivevano messaggi tra un ballo e l’altro.

“Probabile. Come ti è andata oggi? Tante visite?” domandai, giusto per tenermi sveglia.

Giada annuì, sconsolata.

“Una col mal di gola, una con la febbre, una con la medicazione da cambiare, uno che si è ferito dopo la partita di basket...”.

“Ed è solo il primo giorno”.

“Ecco, hai capito!”.

“Ragazze, prendete, attaccatevi alla maglietta un bigliettino con un nome fasullo, partecipate anche voi al gioco!” ci interruppe Mario, attaccandoci di malo modo degli adesivi su una spalla.

Abbassai lo sguardo e lessi “Giulietta”, mentre a Giada era capitata “Elettra”.

“Uh, cose da letterati, in pratica” osservai.

“Che bello essere associata a un complesso, come se non ne avessi già abbastanza” ironizzò la dottoressa, alzando gli occhi al cielo.

“Per tua fortuna pochi lo sanno, invece la mia Giulietta è più soggetta a battutine...”.

“Ahò, da meretrice a Gulietta, che salto de qualità! Vabbè, conta che tutti toccano le zinne a Giulietta come porta fortuna quindi stiamo là” s’intromise Salvatore, che si era appena seduto al nostro tavolo.

Alle sue spalle, Saverio si stava sganasciando dalle risate e Mario aggiunse: “Per non parlare del famoso “Giulietta è una zoccola” detto dai tifosi napoletani in una partita contro il Verona....”.

“Vi giuro che sto sentendo Shakespeare che si rivolta nella tomba” sentenziai, sospirando.

“Se siete così intelligenti vi sfido a fare battute su Andromaca!” disse Nadia, che era appena arrivata e evidentemente non aveva apprezzato la scenetta.

Non avevo avuto modo di parlarle molto in quelle ventiquattro ore ma la mia gratitudine nei suoi confronti crebbe esponenzialmente.

I ragazzi fissarono il nome sulla sua maglietta, imbarazzati, ma ovviamente a guastare la festa ci pensò Luca.

“No dai, non tocchiamo Andromaca, poverina. Ragazzi, avete visto “Troy”?”.

“Luca, ti ringrazio ma evita che con questo titolo ambiguo ci ritroviamo l’ennesima battutina sulla questione Mediatrice- Meretrice” lo stoppai, sorridendo in maniera falsamente gentile.

Lui alzò le mani.

“Come vuoi... Giulietta”.

“Non si può fare nemmeno una battuta, oh” si lamentò Salvatore, guardandomi male.

“Dai ragazzi, Lasciamo stare in pace Alice... Andiamo a prendere in giro Clara che si è beccata Saffo!”.

“No vi prego...” biascicai, ma parlai al vento visto che i ragazzi erano andati in direzione di Clara che stava ballando con alcuni dei suoi ragazzi e avevano iniziato a farle degli scherzi.

“Dici che è così che si tengono svegli?” mormorai, scioccata.

“Probabile. Andiamo a prenderci un bicchiere d’acqua e illudiamoci che sia un drink, dai” propose Giada, alzandosi.

Annuii, seguendola fino al bar dove un barman ci passò dell’acqua in un bicchiere da drink con tanto di cannuccia colorata e fazzoletto, quasi come per darci la parvenza di un contenuto alcolico, e ci fermammo a bere con tutta tranquillità vicino a un gruppo di ragazzi che aveva deciso di non ballare.

Mario in quel momento prese una valanga di messaggi da un cilindro appogiato sul tavolo centrale e andò verso il microfono, iniziando a leggere i nuovi contenuti.

Di colpo, tutti i ragazzi smisero di ballare e si posizionarono attorno a lui, curiosi al massimo.

Romeo, ti conosco da poco ma già mi piaci! Ooooh! Amleto, sei fidanzato? Brave ragazze, dritte al sodo! Gertrude, ma quanto te la credi? Calme ragazze, mi raccomando! Oh, questa è bella! Grazie, Giulietta, oggi mi hai salvato due volte, se fosse dipeso da te Romeo non sarebbe morto. Grazie per il tuo sostegno. Ragazzi, Giulietta è del nostro staff, ehehe....”.

Ovviamente, tutti i ragazzi iniziarono a curiosare i nomi delle ragazze dello staff, qualcuno mi indicò, altri ridevano, il tutto mentre io mi dicevo di non arrossire e mi portavo una mano alla bocca.

Senza sapere come, incrociai lo sguardo di Luca che se ne stava a pochi passi me.

Lui alzò il pollice in mia direzione e mi fece l’occhiolino, con tanto di sorriso incoraggiante.  

 

*°*°*°*

Ed eccoci qui con il capitolo due!

Prima di tutto, ci tenevo a ringraziare di cuore chi mi ha dedicato un po’ del suo tempo per farmi conoscere le sue impressioni sul primo capitolo e chi ha letto/iniziato a seguire la storia :D

Sono stata così contenta che in questi giorni, anche grazie all’ispirazione, ho scritto moltissimo e mi sono portata avanti in vista della partenza di agosto.

Detto ciò... Che dire, la situazione piano piano sta ingranando, tutti si iniziano a conoscere e Alice ha avuto modo di dare il suo contributo al gruppo tra una prova antincendio e una ragazzina momentaneamente introvabile.

Dal capitolo 3 entreremo nel vivo dell’azione, promesso!

Come sempre, eccovi un’anticipazione:

 

Io me ne stavo dietro a tutto vicino Clara, la quale non perse tempo per avvicinarsi.

“Mi è dispiaciuto sentire ciò che ti ha detto Luca” bisbigliò.

 

Cosa succederà?

E cosa ne pensate dei personaggi conosciuti fino ad ora?

Fatemi sapere ^_^

A Lunedì :D

 

Milly.

  
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