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Autore: SomethingWild    27/07/2017    4 recensioni
[Clexa, Ranya, AU]
Lexa dirige una delle società più prestigiose di Wall Street, ma sono poche le persone con cui riesce ad essere realmente se stessa, lasciando da parte la maschera che il passato e il suo ruolo le hanno imposto. Clarke si è trasferita a New York da qualche mese per realizzare il proprio sogno, supportata dalle sue migliori amiche e in fuga da una vita che non le appartiene più.
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa, Octavia Blake, Raven Reyes, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo V

Chi non avrebbe abbassato lo sguardo di fronte a così tanta eleganza, a così tanto portamento? Chi sarebbe riuscito a proferire parola di fronte a quell'aurea di potere e grandezza che emanava una figura così piccola e forte? Chi non sarebbe stato attratto come una calamita da quegli occhi smeraldini che incutevano timore e rispetto, che trasmettevano sicurezza e decisione, ma anche dolcezza e incertezza. Chi avrebbe potuto biasimare il silenzio di Clarke, nella cui testa erano passati tutti questi pensieri nell'attimo stesso in cui i suoi occhi si erano posati su Alexandra Woods? Dal volto della quale sembrava essere sparito il fastidio, quando l'aveva riconosciuta. Quasi come se il blu delle iridi di Clarke avesse spento sul nascere il fuoco che stava per divampare nella foresta che erano i suoi occhi.
Un lungo silenzio gravò sulle spalle di Clarke, in evidente imbarazzo sia per il fatto di aver appena rovesciato del caffè sulla camicia della donna più potente ed influente di New York, sia per aver osato notare quella particolare luce che era passata nei i suoi occhi non appena l'aveva riconosciuta. 
Clarke pensò a quanto fossero assurdi i suoi pensieri, mentre abbassava lo sguardo sulla punta delle proprie scarpe, sperando si aprisse magicamente un varco sotto i suoi piedi.
«Clarke?» 
Sentì il suo nome pronunciato da una voce flebile e decisa, che rimarcava il suono sulla "k". Un brivido le percorse la schiena.
Con tutto il coraggio che le era rimasto, sussurrò delle scuse a malapena comprensibili e una risata leggera le sfiorò l'orecchio. 
Confusa alzò lo sguardo: possibile che Alexandra Woods non solo si ricordasse il suo nome, ma addirittura trovasse divertente il fatto che le fosse stato appena versato del caffè addosso? Clarke vide l'espressione di Lexa tornare immediatamente seria non appena i loro sguardi si incrociarono.
«Miss Woods. Non era mia intenzione.» Clarke iniziò a gesticolare nervosamente con le mani, indicando la camicia della donna. «Intendo: le pagherò la lavanderia ed il disagio in qualunque modo. Sono immensamente mortificata.» 
Clarke odiò il fatto che Lexa non avesse neppure cercato di rassicurarla o di frenare il fiume di parole confuse che avevano preso ad uscire dalla sua bocca. E ancora di più odiò la postura che la donna aveva assunto non appena aveva iniziato a parlare: infatti aveva alzato il mento e aveva iniziato a scrutarla dall'alto al basso. Clarke si sentì improvvisamente a disagio: da quanto tempo la stava fissando in quel modo? E, soprattutto, perché le sembrava di essere nuda di fronte a quegli occhi che la stavano ispezionando da capo a piedi, che sembravano captare ogni sfumatura della sua anima in ogni respiro che esalava? 
In un tentativo disperato di far scomparire il disagio, Clarke parlò di nuovo: «Io sono mortificata. Mi permetta di risolvere con - » Una mano di Alexandra Woods, finalmente, le fece segno di fare silenzio. Per quanto avesse aspettato quel gesto dal momento stesso in cui aveva aperto bocca, il modo in cui la donna aveva alzato la mano le diede immensamente fastidio. 
«Cosa ci fa qui, Miss Griffin?» le chiese con tono autoritario.
Per quale diavolo di motivo Alexandra Woods non aveva inveito contro di lei? Sarebbe stato più semplice di quella pesante indifferenza che le stava, ora, mostrando. Provò a ricordarsi il motivo della sua visita alla Woods Corp.: i documenti, giusto. «Devo consegnare questi documenti ai signori Blake.» Clarke cercò nella borsa il fascicolo per mostrarlo alla donna.
Lexa alzò un sopracciglio, allungando la mano in una tacita richiesta.
«Non credo di - credo siano riservati. Confidenziali» tentò di spiegare Clarke allontanandoli da Lexa. Seriamente? Seriamente aveva appena messo in discussione quella che probabilmente da lì a pochi minuti sarebbe stata la sua nuova datrice di lavoro? 
«Intendo dire. Non-» provò a giustificarsi di nuovo la segretaria, ma ancora Lexa la interruppe, questa volta con la voce. E Clarke gliene fu immensamente grata. 
«Non importa. Li vedrò fra poco.» Lexa le fece segno di seguirla e Clarke si ritrovò a camminare verso quei corridoi che ricordava a malapena.
La schiena di Lexa si muoveva flebilmente davanti a lei, gli occhi di Clarke percorsero il profilo della donna. Clarke scosse la testa in imbarazzo: cosa diavolo stava facendo? Abbassò lo sguardo continuando a seguire la donna.
«Anya, sei tornata.» Clarke sentì la voce di Lexa, ma ci mise troppo tempo a capire che la donna si era fermata. Andò addosso alla sua schiena. Di nuovo. 
Clarke arrossì sentendo il proprio petto toccare la schiena di Lexa. Si allontanò immediatamente, farfugliando quelle che sarebbero dovute essere delle scuse.
Gli occhi di Lexa si posarono su di lei, e per un attimo le parve di notare una punta di divertimento. Ma, ovviamente, lo sguardo della Woods tornò immediatamente serio e autoritario.
Clarke sentì una risata provenire da dietro di loro. Lexa si girò verso quella che doveva essere la sua segretaria, fulminandola con lo sguardo e facendole abbassare la testa. 
«Seguimi» disse Lexa a Clarke, riprendendo a camminare verso una porta. 
Passando accanto alla scrivania di Anya, Clarke notò che la donna la stava fissando divertita con la mano davanti alla bocca nel tentativo di celare le labbra curvate in quello che le sembrava un sorriso malizioso.
Lexa aprì la porta e la fece entrare.
«Accomodati pure» le disse indicandole una poltrona. «Torno non appena ho recuperato una camicia pulita.»
Clarke la ringraziò, prendendo posto. Inevitabilmente il suo sguardo si posò di nuovo sulle curve di Lexa, finché la donna non scomparve oltre la porta. 
Per quale diamine di motivo non riusciva a staccarle gli occhi di dosso? Era come se ogni fibra del suo corpo la invitasse a posare lo sguardo su Alexandra Woods, alla ricerca di quelle forme che i vestiti lasciavano solo intravedere. Sfortunatamente. Clarke si diede un colpetto in testa, pregando la propria mente di smettere di vaneggiare. Decise di far vagare lo sguardo per l'ufficio della donna: ordinato, pulito, elegante. Era così tanto Alexandra Woods. Sbuffò annoiata, alzandosi dalla poltrona e avvicinandosi alle vetrate: lo skyline di New York che si poteva ammirare da quell'altezza era mozzafiato. 
"E non è neppure l'ultimo piano" pensò, voltandosi verso la scrivania di Lexa. In un attimo si immaginò la donna che, stanca da una giornata di lavoro, staccava lo sguardo dal computer e si concedeva una piccola pausa per osservare la città dal proprio ufficio.
Un prurito insistente si impossessò delle mani di Clarke.
Sapeva benissimo che non era né il luogo né il momento per mettersi a disegnare e che avrebbe piuttosto dovuto cercare Bellamy e Octavia, ma il desiderio di rappresentare la scena che si era appena immaginata fu più forte e pochi secondi dopo si ritrovò seduta sulla sedia della scrivania di Alexandra Woods, a disegnare sul proprio blocco.

Lexa si chiuse la porta alle spalle, tentando di ignorare gli occhi di Clarke che la fissavano con insistenza. Non le dispiaceva essere guardata in quel modo - non da Clarke per lo meno - ma l'idea che potesse farle notare, con qualche involontario gesto, che l'attenzione che la bionda aveva riservato alle sue curve non era passata inosservata, la irritava: Clarke avrebbe smesso di guardarla in quel modo e Lexa non poteva farne a meno. Pensò di essere stupida quando vide lo sguardo sornione di Anya. Evidentemente neppure il suo stesso atteggiamento era passato inosservato.
«Se la finissi di guardarmi come se volessi portarmi nella tua stanza da letto, mi faresti un grande favore» le sibilò Lexa, appoggiandosi con i gomiti alla scrivania.
Anya rise, aggiustandosi i capelli. «E tu la finirai di atteggiarti per mostrare la merce?» Le indicò la camicia bianca macchiata di caffè, che lasciava molto poco all'immaginazione.
Lexa si guardò confusa: non si era accorta di quanto fosse diventata attillata con il caffè. Si passò una mano fra i capelli. «Ti prego. Dimmi che c'è qualche camicia nascosta nell'ufficio.» 
«Mi dispiace» le sorrise Anya, come a volersi prendere gioco di lei.
Lexa alzò gli occhi al cielo. «Non posso presentarmi davanti ai Blake così. E non posso neppure girare per la Woods Corp. con solo la giacca del tailleur.»
«Conosco qualcuno che non ne sarebbe dispiaciuto.» Anya mosse la testa in avanti per indicare la figura di Clarke che si era avvicinata alle vetrate esterne. 
«Anya. Dico sul serio.» Lexa le lanciò un altro sguardo torvo.
«Anche io.» Anya alzò un sopracciglio.
Lexa si girò verso l'ufficio alla ricerca di Clarke: si era seduta alla scrivania e stava scarabocchiando su un blocco. 
«Ne ha di fegato per sedersi lì» commentò Anya.
Lexa ignorò l'amica - o, forse, non la sentì per niente - troppo concentrata ad osservare Clarke piegata leggermente sulla scrivania che teneva delicatamente una matita fra le mani: il profilo illuminato dalla luce del sole che stava scomparendo oltre gli edifici più lontani, gli occhi posati sul foglio che seguivano con cura i movimenti della mano, la bocca leggermente storta in una smorfia concentrata. Gli occhi di Clarke si alzarono improvvisamente incontrando i suoi. Lexa distolse subito lo sguardo per evitare ulteriore imbarazzo ad entrambe.
«Lexa» Anya la richiamò preoccupata.
«Sto pensando ad una soluzione.»
«E la troverai sicuramente nella biondina» le fece notare l'amica sarcastica.
Lexa la ignorò.
Forse se avesse trattenuto Clarke nel proprio ufficio per il tempo necessario affinché Anya raggiungesse l'attico per recuperare una camicia pulita, i Blake non si sarebbero accorti dell'arrivo della segretaria, immaginandola bloccata in mezzo al traffico.
«Anya, va' a casa mia e recupera una camicia. Io sto qui e cerco di non far notare la presenza di Clarke ai Blake.»
Anya annuì, alzandosi. 
«Torna il prima possibile» disse Lexa prima che l'amica si allontanasse.
Lexa si sedette sulla sedia di Anya, cercando una posizione che le permettesse di continuare ad osservare Clarke senza che lei lo notasse.
Quando fu certa dell'angolazione, Lexa iniziò a studiare i movimenti della segretaria. Si domandò cosa stesse disegnando, perché la cura che stava mettendo nel tratto sul foglio sembrava, a Lexa, la stessa che metteva un pittore davanti ad una tela, o uno scrittore davanti alla scelta delle parole.
Costia. Scosse la testa per tentare di scacciare quel pensiero. 
Sorrise con amarezza, continuando ad osservare in silenzio Clarke.

Era ormai passata mezz'ora da quando aveva incrociato lo sguardo di Alexandra Woods oltre le vetrate. Era stato strano, pensò Clarke, il modo in cui si era diffuso un leggero imbarazzo sulle gote della donna, che prontamente aveva abbassato lo sguardo. Cioè: Alexandra Woods, la donna più stronza, fredda e cinica di tutta New York - anche se, a questo punto, Clarke iniziava a dubitarne - aveva abbassato lo sguardo di fronte ad una segretaria qualunque, come se le avesse appena fatto notare un enorme errore o un irrimediabile difetto. Clarke aveva mosso il mouse del computer per vedere l'ora: possibile che non ci fosse neppure un orologio in quella stanza? Il salvaschermo del computer le fece perdere un battito: una foto non molto recente in cui un'Alexandra Woods di qualche anno più giovane sorrideva abbracciando una ragazza che rideva felicemente. Era bella, pensò Clarke, osservandola, e accanto a lei la dirigente della Woods Corp. splendeva di luce propria, quasi come se quella ragazza fosse in grado di sciogliere ogni sua barriera di ghiaccio. Per un attimo provò invidia verso di lei, ma osservando con più attenzione gli occhi verdi privi di sofferenza e pieni di affetto sentì uno strano calore scaldarle il petto. Avrebbe tanto voluto che Alexandra Woods le riservasse quello sguardo. Non sapeva darsi un motivo, sentiva solo questo immenso desiderio crescerle nel petto. Clarke sospirò: forse si era spinta troppo oltre in quell'ufficio. Stava letteralmente violando la privacy di Alexandra Woods. Si alzò dalla sedia e fece vagare lo sguardo lungo le quattro pareti della stanza. Accanto alla poltrona su cui l'aveva fatta accomodare Lexa era appoggiata al muro una grande libreria; non che prima non l'avesse notata, semplicemente aveva pensato - superficialmente ammise - che gli unici libri che avrebbe potuto trovare sarebbero riguardati unicamente la finanza e i numeri. Clarke si avvicinò, attirata da un libro dalla copertina rossa. Lo sfiorò con le dita: era "La teoria dei colori". Goethe.
Si ritrovò a captare sempre più dettagli dell'ufficio, a cui prima non aveva fatto caso. E più notava qualcosa che la potesse aiutare a capire la donna, più cercava altro. Era diventato un gioco, una gara contro se stessa a capire meglio Alexandra Woods dai pochi indizi da lei lasciati: la maniacale posizione delle penne, le candele su uno scaffale accanto alla scrivania, le bustine di tè riposte con cura in una piccola scatola di legno, una rose velvet delicatamente poggiata su un mobiletto con delle foto - fra cui riuscì a riconoscere Alexandra, la ragazza del salvaschermo, la segretaria di poco prima, Lincoln White e un ragazzo biondo. 
Quanto si poteva capire di una persona guardando solo il suo ufficio? Clarke, con un leggero sorriso, si risedette alla scrivania e riprese a disegnare. Ora avrebbe potuto rappresentare meglio la figura di Alexandra, avendone colto una piccola parte dell'anima. Molto piccola, pensò amareggiata. 
Mentre stava iniziando ad abbozzare la linea degli occhi, mordendosi leggermente il labbro inferiore per concentrarsi, il suo telefono suonò, riportandola alla realtà. Lasciò la matita sulla scrivania, senza accorgersi che stava rotolando sotto alcuni fascicoli. Prese il telefono: Bellamy. 
«Clarke, dove sei?»
«Oh, Bellamy, scusa io mi sono dimentic - Sono qui. Sono nell'uff -»
Un rumore fece sobbalzare Clarke. Alexandra Woods aveva aperto di scatto la porta con lo sguardo allarmato e si stava avvicinando a lei, facendole segno, con un dito sulla bocca, di non parlare. Clarke la guardò confusa: un attimo prima non c'era ed ora era lì, di fronte a lei, con la camicia ancora sporca e con un velo di panico sul volto. Panico? Clarke scossa la testa e rispose a Bellamy che, dall'altro capo del telefono, la chiamava preoccupato: «No, Bellamy. C'è un po' di traffico. Dammi - » Lexa fece un veloce gesto con la mano per suggerirle un orario. «Mezz'ora. Sì, mezz'ora. Penso che fra mezz'ora sarò lì.»
«Sei sicura Clarke? Non credo Alexandra Woods -  »
«Sì, ne sono sicura. Tranquillo. A dopo.»
Clarke attaccò senza salutare, fissando confusa Alexandra Woods che, invece, stava guardando un punto imprecisato sulla scrivania. Clarke seguì il suo sguardo e si ricordò di ciò che aveva abbandonato nella fretta di rispondere. Con un improvviso scatto si allungò verso la scrivania prendendo il blocco e chiudendolo di fronte agli occhi spaesati e stupiti di Lexa che, per fortuna di Clarke, ebbe la decenza di non fare domande. 
Clarke, invece, dopo aver riposto il blocco nella borsa, non trattenne la domanda che, ormai, era rimasta in sospeso: «Che cosa sta succedendo?» 
Dopo un attimo di incertezza da parte di Lexa, - e a questo punto Clarke era veramente confusa - la donna alzò il mento e, incrociando le mani dietro la schiena, tornò al solito atteggiamento glaciale: «Nulla di cui ti debba preoccupare, Clarke.»
Quel suo modo di liquidare le faccende importanti stava facendo innervosire Clarke, che non tentò di mascherare un certo fastidio: «Nulla di cui mi debba preoccupare? Ho appena mentito al mio capo.»
«Non è più il tuo capo.» Lexa le impedì di continuare a parlare.
Clarke non stava capendo niente: un attimo prima era la persona più dolce del mondo con quell'aria allarmata e supplichevole, un attimo dopo era tornata la persona fredda e cinica di cui tutti parlavano. 
«Lexa, sono arrivata. Qui c'è la tua camicia.» Anya era entrata nell'ufficio interrompendo e spezzando quell'attimo di tensione. Vide Lexa sospirare di sollievo prima di girarsi verso la segretaria. 
«Grazie Anya.» Lexa si avvicinò all'uscita prendendo la camicia. Anya uscì dalla porta rivolgendo un piccolo sorriso alla mora e un cenno del capo alla bionda.
Clarke, sentendosi di troppo si affiancò a Lexa: «Direi che ora posso andare.»
Alexandra Woods annuì leggermente. 
Clarke aprì la porta e, prima che potesse uscire, sentì la voce di Lexa raggiungerla: «Grazie, Clarke.»
Il tono gentile e riconoscente fece rabbrividire la bionda, che si limitò a varcare la soglia, mentre sentiva lo sguardo verde di Alexandra Woods sulla propria schiena.

Lexa finì di allacciare gli ultimi bottoni della camicia con le mani tremanti: era bastato così poco a Clarke per captare qualcosa di lei, e ciò la faceva sentire a disagio. L'aveva vista mentre ispezionava ogni angolo del suo ufficio, mentre sfiorava i libri che tanto amava perché le ricordavano tutti qualcosa.
Sorrise. Chissà che idea si era fatta di lei, Clarke, osservando quella stanza in cui aveva lasciato qualcosa di se stessa, si chiese, mettendosi la giacca del tailleur. Avrebbe dovuto sentirsi irritata, offesa da quel tentativo di valicare le sue difese, invece si sentiva sollevata dal fatto che qualcuno, dopo tanti anni, non si fosse fermato alla maschera da Commander: Clarke aveva provato a riprodurre la sua anima in quel disegno che Lexa aveva avuto modo di vedere per pochi secondi.
Il telefono suonò e Lexa si affrettò a premere un tasto. 
«Dimmi, Anya.»
«I Blake ti aspettano per firmare.»
«Arrivo.» 
Lexa riagganciò la chiamata e si avviò verso l'uscita, superando Anya senza guardarla, in fondo era ancora arrabbiata con lei per essere sparita per più di due ore. Chissà se Clarke era rimasta o se n'era andata. Questo pensiero la spaventò tanto che tornò sui propri passi avvicinandosi ad Anya.
La segretaria alzò lo sguardo, divertita. «Paura, Woods?»
Lexa scosse la testa, quasi pentendosi di essere tornata indietro. Anya le sorrise affettuosamente: «Vengo con te?» Sapeva che non glielo avrebbe mai chiesto per il troppo orgoglio, quindi la segretaria anticipò l'amica. Era diventata brava a farlo dopo tutti quegli anni, infatti Lexa annuì.
Camminarono insieme verso la sala riunioni e, quando raggiunsero la stanza, notarono che insieme ai fratelli Blake, oltre le vetrate, era seduta una terza figura. 
«Sarà una frima con la tua stupenda segretaria presente. Non vedo cosa ti possa andare storto» commentò Anya, tentando di tranquillizzare l'amica, inutilmente.
Lexa prese un lungo sospiro senza riuscire a nascondere l'agitazione ad Anya, che immediatamente le sfiorò la mano, rassicurandola: «Andrà tutto bene. Stai tranquilla.»
Ormai Lexa era un libro aperto per Anya, e di ciò le era molto grata. La mora si voltò verso la segretaria annuendo e sorridendo, in un tacito ringraziamento. 
Entrarono nella stanza senza bussare. Lexa aveva di nuovo assunto la solita espressione fredda. Anya tentò di imitarla: in fondo non erano così tanto differenti. 
«Vogliamo firmare» ruppe il silenzio la minore dei fratelli Blake.
«È per questo che siamo qui, no?» chiese retoricamente Lexa sedendosi di fronte a Clarke, immediatamente imitata da Anya. 
Bellamy le porse il contratto: «Prima lei, Miss Woods.»
Lexa prese la penna che Clarke le stava porgendo. Le loro mani si sfiorarono e Lexa fece fatica a reprimere un leggero brivido, celandolo agli altri presenti nella stanza. Con una punta di divertimento notò che anche Clarke aveva reagito a quel contatto. Scosse la testa mascherando il sorriso che aveva rivolto per pochi istanti solo a Clarke. 
Mentre apponeva il proprio nome sul contratto, Lexa sentiva lo sguardo blu di Clarke seguire i movimenti della sua mano. 
«A voi» disse Lexa ai Blake, girando il contratto e porgendolo loro.
Octavia Blake fu la prima a firmare, con un sorriso di ringraziamento. Bellamy Blake, più titubante, appose il proprio nome prima di guardare Clarke e sorriderle. L'azione non passò inosservata a Lexa: una fitta di gelosia per quello scambio di sguardi fugace e non celato, come quelli a cui era abituata con lei, le prese la bocca dello stomaco. 
"È questo l'effetto che mi fai, Clarke Griffin?" si domandò con la gola secca e tentando di riassumere il controllo, prima che qualcuno si accorgesse del suo tentennamento. 
«Bene, complimenti Miss Woods. Ha concluso l'acquisizione.» Octavia Blake si alzò dalla sedia porgendole la mano.
Lexa si alzò a propria volta ricambiando la stretta di mano: «Benvenuti alla Woods Corp.» Tentò un sorriso forzato.
Anche Anya, Clarke e Bellamy si alzarono, iniziando i convenevoli per i saluti. Lexa stava solo aspettando di stringere la mano di Clarke ed incrociare di nuovo i suoi occhi. 
Quando Clarke le porse la mano, Lexa la strinse delicatamente ma con decisione, cercando di controllare il calore che dalle guance stava passando allo stomaco e al ventre e puntando gli occhi in quelli di Clarke. Lexa si soffermò ad osservare la sfumatura delle iridi blu della bionda, mentre quel contatto veniva interrotto da Clarke, che aveva spostato gli occhi su Bellamy e poco dopo aveva sciolto la presa dalla sua mano, senza rivolgerle ulteriori attenzioni.
«Arrivederci, Miss Woods.»
I Blake e Clarke uscirono dalla stanza e si diressero verso l'ascensore.
Confusa Lexa uscì di corsa dalla stanza e si chiuse nel proprio ufficio. Stava impazzendo. Se non questo, cosa? Si passò una mano sulla fronte avvicinandosi alle vetrate cercando la figura di Clarke. 
La trovò subito: camminava accanto a Bellamy Blake, che le aveva circondato le spalle con un braccio. 
Lexa strinse i denti. Stupida, pensò di sé, ricordando Clarke intenta a disegnarla e a curiosare nel suo ufficio, pochi minuti prima. 
Esausta si avvicinò alla scrivania raccogliendo i documenti. Sentì qualcosa cadere a terra. Si piegò alla ricerca dell'oggetto. E, nonostante la scena appena vista, quando lo vide, si concesse di sorridere: la matita di Clarke era lì, a pochi centimetri da lei. La prese fra le mani con la sensazione del calore di Clarke a contatto con la propria pelle come quando si erano strette la mano, come quando era finita contro la sua schiena. 
"Debolezza". Lexa strinse forte la matita, su cui erano incise le iniziali di Clarke.




N.d.A
Ecco l'incontro fra Clarke e Lexa, a cui è dedicato tutto il capitolo. O, meglio, il capitolo è dedicato alle conseguenze del caffè rovesciato.
So che alcune cose potrebbero sembrare irrilevanti nella descrizione dell'ufficio, ma torneranno in seguito e servivano a Clarke - e magari anche a noi - per conoscere un pochino meglio Lexa, che invece non ha capito praticamente nulla della bionda, tanto da essere, a fine capitolo, confusa da ciò che ha visto e provato. 
Spero che l'attesa dell'incontro sia valsa la pena. 
Grazie mille di nuovo a chi legge e segue la storia e a chi si ferma a lasciare qualche riga.
Alla prossima, 
Chiara

   
 
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