Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: JacquelineKeller01    29/07/2017    2 recensioni
[MOMENTANEAMENTE SOSPESA]
Lea ha diciassette anni quando torna nella sua città natale in seguito ad alcuni problemi familiari. Tutto ciò che vuole, dopo un anno intero passato a guardarsi le spalle, è recuperare il rapporto con suo padre e un po' di sano relax. Ma sin da subito il destino sembra prendere un'altra piega.
Isaac è l'essere più irritante che Lea abbia mai incontrato nella sua vita, con quella sua arroganza e i repentini cambiamenti di umore, porterà novità e scompiglio nella vita della giovane.
Tra un rapporto che fatica ad instaurarsi, vecchie ferite non ancora del tutto sanate ed un patrigno che sembra darle la caccia, Lea si ritroverà ad affrontare sentimenti che non sapeva essere in grado di provare, specialmente non per uno come Isaac Hall.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il giorno del suo ritorno, in quasi tutta la California pioveva.
Era il primo temporale invernale, violento ed improvviso. Li aveva colti a metà della l-5 S ed aveva prolungato il loro ritorno da Santa Clara di altre due ore.
Lea aveva passato tutto il tempo seduta sul sedile posteriore dell’auto, con le gambe strette al petto ed un sorriso da ebete stampato sul volto.
Fremeva all’idea che, di lì a poco, lo avrebbe rivisto.
Aveva sognato, ad occhi aperti, quel momento per giorni e adesso, che era finalmente arrivato, le tremavano le mani.
Gli era stata lontana una sola settimana eppure si era rivelata abbastanza perché la giovane buttasse a terra gran parte di quelle mura che aveva costruito attorno a se, per tenerlo fuori.
Aveva deciso che era arrivato il momento di smettere di guardarsi le spalle in continuazione, di chiudersi nella sua stanza a piangere ogni volta che l’Agente Nolan chiamava per metterla al corrente degli sviluppi sul caso e soprattutto era arrivato il momento di essere felice ed Isaac la rendeva felice…
…La maggior parte del tempo.
«Come ti senti?» Le domandò Red, non appena sorpassarono il confine di Harpool Bay.
Lea la fissò attraverso lo specchietto retrovisore, rivolgendole un ampio sorriso. «Mi sento felice.» Disse semplicemente e, per la prima volta, fu la verità.
Red, al contrario, invece sembrava estremamente triste.
Negli ultimi giorni si era comportata in modo strano; parlava di rado, mangiava poco e spesso e volentieri scoppiava a piangere senza un motivo ben preciso. Lea aveva tentato in tutti i modi di riuscire a farle vuotare il sacco su cosa non andasse, ma la ragazza aveva sempre e solo replicato che stava bene, che era solo più emotiva del solito.
Suo fratello non era stato da meno.
Sembrava su un altro pianeta, sempre distratto.
Più di una volta lo aveva beccato a fare lunghe passeggiate e a parlare da solo; quando gli aveva chiesto che cosa avesse, le aveva detto di farsi gli affari suoi.
Sembrava quasi che facendo chiarezza su se stessa avesse contribuito a far confondere gli altri…
Quando Aiden parcheggiò l’auto nel vialetto, Lea si fiondò fuori senza nemmeno preoccuparsi di prendere l’ombrello o aiutare a scaricare le valige.
Aveva atteso tanto quel momento e non voleva aspettare oltre.
Voleva solo salutare la sua famiglia e raggiungere Isaac il prima possibile.
Aveva così tante cose da dirgli che non sapeva nemmeno da dove incominciare. Poteva parlare dei suoi sentimenti, ma temeva di spaventarlo; poteva raccontargli della sua esperienza, ma aveva seri dubbi gli interessasse oppure poteva parlargli di Manuel…
Meglio di no, ad Isaac non piaceva Manuel.
Oh, al diavolo. Ci avrebbe pensato nel momento in cui se lo sarebbe trovato davanti, adesso doveva occuparsi della sua famiglia.
«Sono a casa!» Esclamò a gran voce, facendo il suo ingresso nel salotto.
Casa sembrava stranamente deserta. Aggrottò le sopracciglia.
Da quando Marìa Elèna e suo padre si erano sposati, casa sua non era mai, e dico mai, stata vuota. Era sempre sotto l’assedio di amici e parenti di cui lei non ricordava nemmeno l’esistenza; la malattia non aveva che peggiorato la situazione.
Con tutto quel silenzio non sapeva se dirsi sollevata o preoccupata.
Che fosse successo qualcosa?
«Papà? Marìa Elèna? Carmensa?» Chiamò, passandosi una mano tra i capelli fradici.
«Siamo in cucina.» Rispose la piccola di casa Wilson seccata.
Sempre di buon umore, pensò Lea.
Di casa le era mancato tutto, dalla colazione in famiglia al braccetto della doccia. Tutto ad eccezion della sorellastra. No, decisamente lei non le era mancata.
La cucina era immersa nel silenzio.
Quando Lea fece il suo ingresso lì trovò tutti immobili con le loro tazze di thé tra le dita.
L’aria era tesa.
C’era qualcosa che non andava. Qualcosa di grosso.
«Lea?» Chiamò qualcuno alle sue spalle.
Le servì voltarsi per riuscire a riconoscere quella voce.
Quasi non si strozzò con la sua stessa saliva quando due occhi color ghiaccio incrociarono i suoi.
«E tu che ci fai qui?»




Lea fissò Rebecca negli occhi.
Tra tutte le persone che si sarebbe aspettata di trovare sedute nella sua cucina, a bere thé con la sua famiglia, la giovane Gordon era certamente sul fondo della lista, preceduta persino da il Presidente Obama o da Hitler…
Suo padre le aveva detto che si era presentata lì poco prima del suo arrivo. Aveva chiesto di lei, affermando che fosse una cosa di vita o di morte; Lea era scettica su questo punto, ma aveva comunque deciso, nonostante il fastidio iniziale nel saperla ancora lì, di ascoltare cosa avesse da dire.
Sospettava di non piacerle ed aveva indizi non indifferenti per affermare la sua tesi, se, quindi, si era ridotta a chiederle aiuto, qualcosa di grosso doveva pur esserci dietro.
«Allora?» Domandò, passandosi la lingua sul labbro inferiore.
Erano chiuse nella sua stanza da una buona manciata di minuti e la bionda non aveva ancora aperto bocca sul vero motivo per cui si trovava lì.
Lea, dal canto suo, stava incominciando a spazientirsi.
Aveva visto tutti i suoi progetti crollare a terra per l’ennesima volta e non era certo in vena di compagnia. Voleva solo che Rebecca se ne andasse il prima possibile e la lasciasse sola a deprimersi.
Insomma, aveva passato gli ultimi due giorni felice come una pasqua, non voleva certo perdere l’allenamento…
«Si tratta di Isaac!» Sputò, finalmente, fuori l’altra, emettendo un lungo sospiro.
La giovane Wilson si irrigidì sulla sedia.
Sapeva per certo si trattasse di lui dal primo momento in cui aveva posato i suoi occhi sulla ragazza; era l’unico vero motivo che potesse legarle in qualche modo. Ma pensarlo era un conto, saperlo per certo era tutt’altro.
«E’ successo qualcosa?» Domandò in un veno tentativo di nascondere l’urgenza nella sua voce.
«E’ successo di tutto.» Replicò l’altra.
Rebecca le raccontò tutto.
Di come si fosse svegliata al mattino e non avesse trovato Isaac al suo fianco, del post it attaccato sulla scatola di cereali dove le diceva che si sarebbe passato da lei nel pomeriggio e di come avesse trovato Norman Hall, seduto sul prato davanti alla fontana di Rodeo Park, in preda ai singulti.
«Quando l’ho portato qui, Isaac mi ha detto di abbandonarlo in autostrada come si fa con gli animali. E’ stato tuo padre a spiegarmi il resto della storia.» Concluse.
Lea aveva ascoltato con estrema attenzione l’intera vicenda ed aveva sentito il cuore scivolarle nello stomaco.
Adesso si sentiva ancora più in colpa per essersene andata.
Non poteva prevedere il futuro, questo era vero, ma se solo fosse stata più coraggiosa, se non si fosse lasciata spaventare dai suoi sentimenti così facilmente, forse le cose sarebbero andate diversamente. Non che la sua presenza potesse in qualche modo condizionare il corso degli eventi, però, forse…
«Ed io, esattamente, come potrei esserti d’aiuto?» Era questa la parte che non riusciva a capire.
La storia sembrava aver preso una piega totalmente autoconclusiva. Quale sarebbe dovuto essere il suo ruolo in tutto quel teatrino?
«Mi farebbe piacere se parlassi con Isaac.»
Lea inarcò un sopracciglio verso l’alto. «Se non ha voluto parlare con te perché dovrebbe voler parlare con me?»
«Perché in questo momento non ha bisogno della sua ragazza, ma della sua migliore amica.»
Quell’ultima parola fu come uno schiaffo in pieno volto. A Lea non era certo sfuggito il tono leggermente cantilenante e canzonatorio con cui aveva pronunciato quella frase.
Quindi lei sapeva. Sapeva dei suoi sentimenti e non aveva realmente bisogno di aiuto, almeno non solo: Rebecca Gordon voleva tracciare un confine.
Deglutì a vuoto.
«Che razza di stronza.» Mormorò tra se e se, mordendosi l’interno guancia.
L’aveva appena messa con le spalle al muro.



Prima di quel momento, Lea non era mai stata alla gola.
Dopo la morte di Dean, quello era diventato per tutti un luogo tabù.
Lei, dal canto suo, non aveva mai sentito veramente il bisogno di visitare il luogo dove suo fratello era morto, di fermarsi ad immaginare come fosse successe o quante cose sarebbero potute andare diversamente solo se avesse fatto qualcosa di diverso.
Quando gli avevano detto che era esattamente lì che Isaac si trovava in quel momento, il respiro le si era mozzato in gola.
Due parti della sua vita che non era sicura di voler affrontare, non ancora.
Lea prese posto a sedere su un masso poco distante dalla riva.
Aveva smesso di piovere da poco, ma i grigi nuvoloni in cielo minacciavano un secondo violento acquazzone. Isaac non sembrava essersene accorto, nuotava tranquillamente.
Era estremamente distante dalla sponda, gli sarebbero bastate poche bracciate per riuscire a toccare l’altra parete rocciosa; inevitabilmente Lea si ritrovò a pensare che quella distanza era la stessa che sentiva tra di loro.
Non avrebbe saputo dire quando era successo, sapeva solo che si era svegliata una mattina e niente era stato più come prima e, per questo, non poteva incolpare nessuno se non se stessa.
«Posticino inquietante per una nuotata, dico bene?» Domandò la giovane, lasciandosi scappare un risolino imbarazzato.
Quando era uscito dall’acqua, Isaac non l’aveva notata. Aveva continuato a camminare con lo sguardo basso e l’aria arrabbiata; Lea si era chiesta se fosse o meno il caso di rivolgergli la parola, poi il suo subconscio le aveva dato un vero e proprio schiaffo morale e si era convinta: lui le era rimasto accanto per ogni minima stronzata, lei non aveva fatto altro che voltargli le spalle. Ogni volta.
Il ragazzo alzò il capo, colpito da quella voce.
Non si aspettava di rivederla tanto presto, tanto meno in un posto come quello.
«Che ci fai qui?» Domandò atono.
Quello era il posto dove si rifugiava ogni volta che voleva restare da solo, quando la realtà si faceva troppo opprimente e nemmeno la corsa riusciva a sfoltire tutti i pensieri che aveva per la testa. L’idea che lei fosse lì, nel suo porto sicuro, lo metteva a disagio oltre che irritarlo terribilmente.
In quel momento Lea Wilson era l’ultima persona al mondo che voleva trovarsi davanti.
«Sono venuta a vedere come stavi!» Rispose semplicemente la giovane.
«Sto bene, puoi andartene, adesso.»
«Isaac non escludermi, per favore.»
«Hai saputo vero? E’ per questo che sei qui?» Lea mosse un passo all’indietro, mordendosi il labbro inferiore. Si sentiva in estremo imbarazzo, quasi fosse stata beccata a rubare in chiesa. Dalle labbra del giovane uscì una risata gutturale. «Che c’è? La notizia ha già fatto il giro della città e sei qui per i dettagli scabrosi?»
Voleva che se ne andasse, glielo leggeva negli occhi, ma lei non era disposta a lasciarlo andare. Se avesse mosso ritirata, quello avrebbe sancito la fine effettiva del loro rapporto; Lea non era pronta a rinunciare a lui.
Sarebbe rimasta lì, avrebbe incassato qualunque insulto senza replicare.
In quel momento esisteva solamente Isaac; se avesse voluto parlare, avrebbero parlato. Se avesse voluto urlare, avrebbero urlato. Se avesse voluto sedersi in riva alla gola ad aspettare la pioggia, allora si sarebbero seduti in riva alla gola ad aspettare la pioggia.
Non gli avrebbe voltato le spalle un’altra volta.
«Ho saputo…» Ammise, dopo un breve istante di silenzio. «Ma non sono qui per sapere niente. Sono qui per te.»
Il viso del ragazzo si contrasse in una smorfia sprezzante. Scosse il capo. «Sei qui per me? Tu mi hai lasciato.»
Pretendeva forse, da lei, delle giustificazioni? Lea non ne aveva di valide…
«Non ti ho lasciato, Isaac. Avevo solo bisogno di un momento per me, dovevo fare chiarezza su delle cose. Averti vicino non mi avrebbe certo aiutata.»
Quella frase era uscita dalle sue labbra incontrastata, come fosse la cosa più naturale del mondo.
Avrebbe voluto mordersi la lingua, prendersi a schiaffi, ma oramai il danno era fatto.
Isaac la fissava.
Lo sguardo duro era imperscrutabile.
Per la prima volta, quegli occhi azzurri, quelli che l’avevano tranquillizzata milione di volte prima di allora, le parvero nemici, le misero soggezione.
«Ci sei riuscita?» Questa volta il suo tono di voce era più docile, ma le era comunque estraneo. Annuì. «E quali sono state le tue conclusioni?»
Lea sorrise mestamente, spostando lo sguardo altrove. Tirò su con il naso, ricacciando indietro le lacrime. «Non hanno più importanza adesso.»
Quando aveva visto Rebecca avrebbe voluto urlare.
Non lo aveva realizzato subito, le ci era voluto qualche istante per mettere fuoco alla situazione e poi era arrivato quell’opprimente bisogno di gridare. Grida che le erano, però, morte in gola.
Aveva pian piano razionalizzato il tutto e, alla fine, era sopraggiunta una verità che le aveva incrinato le costole: se lei era lì, era perché Isaac le aveva chiesto di restare.
“Quante cose sarebbero cambiate se, quella sera, sul molo, io, ti avessi baciato?”
Sospirò.
Pensarci troppo non avrebbe certamente migliorato le cose. Aveva perso la sua occasione, non le restava che farsene una ragione.
Restarono qualche istante a fissarsi in silenzio.
Nella loro relazione era qualcosa di ricorrente, succedeva spesso provassero dei sentimenti impossibili da esprimere a voce e quindi se ne restavano semplicemente lì, a guardarsi negli occhi in attesa che l’altro capisse.
Questa volta però era diverso. Lea non percepiva, davanti a se, una connessione bensì uno spesso muro di ghiaccio impossibile da buttare giù.
«Chi ti ha detto che ero qui?» Domandò Isaac.
Quella situazione era soffocante, per lui.
Lea era stata la prima persona capace, negli ultimi anni, di fargli provare qualcosa di puro. Averla così vicina eppure sentirla così lontana era una tortura, eppure, non riusciva a guardarla senza vedere l’auto di Aiden che scompariva dietro l’angolo.
«Nina.» Rispose la ragazza, avvicinandosi di qualche passo. Isaac, istintivamente, ne mosse altrettanti all’indietro.
«Ti ha per caso detto anche che quando vengo qui è perché voglio stare da solo?»
«Ti ho per caso detto che non me ne frega niente?»
«Lea, per favore, vattene.»
«Mi dispiace ma non posso farlo. Stare solo non migliorerà le cose.»
Il giovane Hall trattenne il respiro.
Era stato lui a dirgli quelle stesse parole, la sera in cui avevano raggiunto Santa Monica. La sera in cui l’aveva quasi baciata.
Quella notte sarebbe stato il più grande rimpianto della sua vita.
Sospirò, passandosi una mano sul volto.
«Sei la mia rovina, Lea Wilson.» Nella sua voce non c’era alcuna traccia di divertim
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: JacquelineKeller01