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Autore: Stella Dark Star    29/07/2017    1 recensioni
Per Andrea Pazzi e Lucrezia Tornabuoni è amore a prima vista quando s’incontrano nella basilica di San Lorenzo durante il funerale di Giovanni de’ Medici. Il problema è che entrambi sono sposati e per di più le loro famiglie sono nemiche naturali. Ma questo non basterà a fermarli. Tra menzogne e segreti, l’esilio a Venezia cui lei prenderà parte e il ritorno in città della moglie e i figli di lui, sia Andrea che Lucrezia lotteranno con tutte le loro forze per cercare di tenere vivo il sentimento che li lega. Una lotta che riguarderà anche gli Albizzi, in particolar modo Ormanno il quale farà di tutto per dividerli a causa di una profonda gelosia, fino a quando un certo apprendista non entrerà nella sua vita e gli farà capire cos’è il vero amore.
Consiglio dell'autrice: leggete anche "Delfina de' Pazzi - La neve nel cuore", un'intensa e tormentata storia d'amore tra la mia Delfina e Rinaldo degli Albizzi.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo quaranta
Un sacrificio per la vendetta
 
Lucrezia camminò a passo spedito e capo chino, senza guardare la strada o anche solo pensare a dove si stava recando. Nella sua mente l’immagine vivida di Rinaldo che lascia la città tranquillo in groppa al suo destriero, con un sorriso truce dipinto sul viso e una promessa di vendetta nel cuore. Non poteva sopportarlo!
Si fermò nell’accorgersi di aver raggiunto il Mercato. Si guardò attorno, ma senza focalizzare nulla, con un senso di vertigini che le fece venire voglia di vomitare. Possibile che non vi fosse un modo per fare giustizia?
“Non sembra più lo stesso luogo, vero?”
Lucrezia fremette nell’udire quelle parole all’improvviso. Si voltò di scatto e vide una giovane lavandaia col cesto del bucato sottobraccio, un sorriso gentile e una cuffia bianca che copriva parzialmente una massa di capelli ricci e biondi.
“Come avete detto?” Chiese Lucrezia.
La ragazza accentuò il sorriso: “Il mercato! Ora che non ci sono più i mercenari a terrorizzarci, finalmente potremo riprendere le nostre vite serenamente!”
Già, i mercenari che Cosimo aveva pagato profumatamente affinché se ne andassero. Lucrezia sospirò: “Una piaga gettata su di noi da quel maledetto Albizzi che lascerà la città impunito.”
La lavandaia confermò: “Vero. Non lo trovo giusto. Ma almeno gli Albizzi non ci causeranno più problemi. Ho sentito dire che padre e figlio lasceranno la città domani mattina e spero che dopo di loro partirà anche l’ultimo mercenario.”
Lucrezia strabuzzò gli occhi: “L’ultimo? Volete dire che non se ne sono andati tutti?”
Lei scosse il capo e si avvicinò ancor più per parlarle in segretezza: “Il loro capo è ancora in città. Soggiorna nella locanda subito fuori dal mercato. Io conosco una delle lavandaie che vi lavora e mi ha detto in stretta confidenza che quell’uomo sta riempiendo le tasche alla locandiera ubriacandosi continuamente con ottimo vino e richiedendo la presenza delle più belle sgualdrine della città.”
La notizia era in particolar modo interessante. Uomini come quello erano facili da comprare, quindi forse… Sentì dentro di sé un improvviso vigore. La questione era ancora aperta, dunque.
Simulò un sorriso e disse gentilmente: “Vi ringrazio per esservi confidata. Ora però è meglio che io vi lasci ai vostri doveri, non vorrei mettevi nei guai coi vostri padroni.”
La ragazza ridacchiò: “In effetti Madonna Tarugi non è molto indulgente! Buona giornata a voi!”
Lucrezia la salutò con un cenno del capo e s’incamminò verso la locanda con discrezione, accertandosi di non essere seguita e tenendosi ben nascosta sotto il mantello per non essere riconosciuta.
L’ambiente non si presentò sudicio come immaginava, anche se l’odore di sudore mescolato a quello del lardo sciolto, per un momento le tolse il respiro. Esaminò velocemente gli uomini che vi erano nella grande sala, giusto per vedere se riconosceva uno dei volti visti qualche giorno prima.
“Posso aiutarvi?” Le chiese, tutt’altro che gentilmente, una donna dal volto sciupato e abiti dalla stoffa consumata e stinta. Doveva essere la locandiera.
Lucrezia abbassò lo sguardo e cercò di inscenare un atteggiamento timido: “Ehm, credo di sì, Signora. Io…vedete…sto cercando un uomo, un mercenario. Dovrebbe essere qui.”
“Non sono sicura di potervelo dire, a meno che non mi diciate il vostro nome e il motivo per cui siete qui.” Precisò la locandiera.
“Perdonatemi ma temo di non poterlo fare. Vedete, sono la sua amante e desidero che la mia identità rimanga segreta. Se mio marito venisse a sapere che incontro un altro uomo sarei rovinata. Mi capite?” Sperò che la storia facesse effetto, altrimenti sarebbe stato tutto inutile.
La donna la squadrò malfidente: “Forse.” Ma poi schioccò la lingua e allungò il braccio in direzione di una scalinata: “Secondo piano, terza porta sulla sinistra. Comunque, lasciate che vi dica una cosa. Quell’uomo non vi merita. Da quando è qui non fa altro che ubriacarsi e non esce mai dalla stanza, se non per chiedere piacevole compagnia. Potete trovare di meglio, credetemi.”
“Siete molto gentile, Signora. Farò tesoro del vostro consiglio.” Fece un inchino e si recò dove indicato.
Giunta alla porta, vi accostò l’orecchio per origliare. Sarebbe stato tremendamente imbarazzante trovarlo in compagnia. Non sentendo rumore alcuno, però, cominciò a temere che la stanza fosse vuota, o peggio, che l’uomo avesse esalato il suo ultimo respiro a causa degli eccessi. Fu questo pensiero a spingerla ad aprire la porta senza più temporeggiare.
“Ma che Diavolo…?” Sbraitò, giustamente, l’uomo all’interno della stanza.
Lucrezia riconobbe il volto, un viso magro dalla carnagione olivastra e una barba bruna e folta. Però la sua nudità rischiò di metterla a disagio. Non aveva visto altri uomini nudi ad eccezione di Piero, Andrea e… Scosse il capo, non era il momento di soffermarsi su certe sciocchezze. Fece sbattere la porta alle proprie spalle e camminò fino ad arrivare ai piedi del letto, quindi  si tolse il cappuccio.
Il mercenario, superato il momento di sorpresa, osservò bene la nuova arrivata e il suo sguardo cambiò radicalmente, facendosi molto più interessato: “Un bocconcino prelibato! Questa volta la locandiera ha svolto bene il proprio lavoro!”
Lucrezia lo squadrò con disgusto: “Siete solo un lurido maiale. E per giunta uno di quelli che non rispettano i patti.” 
Lui aggrottò le sopracciglia: “Non mi piace questo tono, bellezza. Non pago per farmi insultare.”
“Tenetevi stretto il vostro denaro, voglio ben altro da voi.” Lucrezia camminò attorno al letto e si fermò sul fianco per poter guardare il mercenario bene in faccia. Aveva la situazione in mano e questo le diede la forza di affrontare il discorso: “Cosimo de’ Medici sarebbe molto contrariato se sapesse che non avete ancora lasciato la città come d’accordo.”
Il mercenario sbiancò e si sentì drizzare i peli della folta barba che stonava maledettamente coi capelli troppo corti: “Ma voi chi s…?”
“Vi prometto che non lo saprà mai, se accetterete di fare quanto vi dirò.” Si sporse su di lui e sussurrò: “Uccidete Albizzi e lasciate per sempre questa città.”
Suo malgrado, l’uomo lasciò una risata: “Potrei farlo, ma vi sono due cose da chiarire. La prima, ho saputo che con lui partirà anche suo figlio. Come faccio ad uccidere Rinaldo con lui tra i piedi? Il ragazzo sa usare bene le armi, nel caso non lo sappiate.”
Lucrezia fece spallucce: “Con l’aiuto dei vostri uomini non sarà difficile tenerlo occupato mentre voi vi occupate di suo padre. E non ditemi che non sapete dove si trovano perché sono convinta del contrario.”
La ragazza sapeva il fatto suo, doveva ammetterlo!
“La seconda, quanto mi pagherete?”
“Cosimo vi ha pagato profumatamente.” Ribatté lei.
“Per lasciare la città.” Precisò lui. Si mise più comodo sul giaciglio, infischiandosene di essere nudo come un verme, quindi lanciò uno sguardo carico di malizia a lei: “Prima mi avete sorpreso, sì, ma in fondo non siete nella condizione di avanzare pretese. Non potete ricattarmi, dolcezza. Se voi dite a Cosimo che io mi trovo in città, io farò sapere a tutta la Signoria che mi avete chiesto di assassinare Albizzi. Anche se non conosco il vostro nome sono in grado di descrivervi e far fare un disegno del vostro volto. E allora chi di noi due verrà punito, secondo voi?”
Lucrezia strinse i pugni. Non aveva pensato che quell’uomo potesse essere così furbo e manipolatore. Ma ormai era tardi per tirarsi indietro. Prese respiro e disse stizzita: “Non ho denaro con me e non credo di riuscire a procurarmelo.”
Il mercenario allungò una mano sulla scollatura dell’abito e sfiorò le rotondità dei suoi seni: “Siete davvero una bella donna. Farò quanto mi avete chiesto in cambio di una galoppata.”
Lucrezia deglutì. Sarebbe stata in grado di arrivare a tanto? Non aveva altra scelta. Tentò di parlare, ma la voce le morì in gola, quindi si limitò a fare un cenno di assenso col capo.
“Farò in fretta, non mi piacciono le donne difficili.” L’aiutò a salire sul letto e la fece stendere. Senza attendere oltre, le sollevò le gonne e la prese.
In passato, Lucrezia aveva avuto modo di ascoltare il racconto di qualche donna vittima di violenza carnale, ma ora che lo stava vivendo sulla propria pelle era ancora peggio e non contava il fatto che lei avesse acconsentito, poiché era stata costretta a farlo. Si sentì privata di ogni rispetto, usata come un pezzo di carne. Una sensazione terribile. Chiuse gli occhi nella speranza di isolarsi dal presente e perdere il senso del contatto con quell’animale senz’anima. Dio, come si era ridotta… Tentò di pensare ai volti di chi voleva bene, ma ottenne un pessimo risultato. Suo marito provava affetto per lei, però non era altro che un bambino capriccioso e privo di spina dorsale. Sua suocera Contessina era una vipera travestita da Signora che riversava sugli altri le proprie frustrazioni di moglie infelice e insoddisfatta. Cosimo era un dannato egoista che pensava solo al proprio tornaconto. Se non avesse preso le difese di Rinaldo la giustizia avrebbe trionfato e tutto si sarebbe risolto. E Andrea, che da buon amante si era poi rivelato un meschino bugiardo, e poi si era dimostrato totalmente negato per la vita politica. Era anche colpa sua se ora lei si trovava in una situazione così penosa, essendo stato incapace di tenere testa a Cosimo durante il processo. E quel maledetto Rinaldo, essere spietato e perverso che non si era fatto scrupoli ad avvelenare una donna incinta solo per gelosia o chissà cos’altro. Meritava molto più che bruciare all’Inferno, doveva diventare polvere e poi svanire, era tutto ciò che meritava. E Ormanno… Da bambini lei lo adorava e sognava di poter diventare la sua sposa, un giorno. Ma poi… No, anche lui meritava il suo odio per averle spezzato il cuore quando…quando…
Chiuse la porta a quel ricordo prima che le entrasse nella mente. Dover sopportare il peso anche di quella sofferenza sarebbe stato davvero troppo. Lasciò che l’odio avesse il sopravvento e che le si iniettasse a fondo nel cuore. Rinaldo e Ormanno non meritavano niente!
La voce le uscì in un sibilo sinistro nel pronunciare le parole: “Uccideteli. Uccideteli entrambi.”
L’uomo le lanciò un’occhiata interrogativa, ma subito deviò lo sguardo, sentendo il piacere impossessarsi di lui. Emise un ringhio rivolto al vuoto, il viso contratto e arrossato. Rotolò sul fianco e giacque esausto. Era tutto finito.
Lucrezia scivolò via da lui e uscì dal letto in velocità, cercando di ignorare il dolore al basso ventre. Non appena uscì dalla stanza prese un respiro profondo. Avrebbe avuto la sua vendetta, finalmente.  
*
Andrea era chino sul tavolo, la schiena ricurva e lo sguardo vuoto. Il silenzio della stanza infranto dall’incessante ticchettio della punta della penna battuta sul foglio di pergamena che ormai era un cumulo di schizzi d’inchiostro. Si sentiva svuotato.  Cosimo aveva vinto, come sempre, e lui aveva mancato a quella tacita promessa che si era fatto. Il suo pensiero andava a quel figlio senza volto e senza nome che non aveva mai visto la luce e non aveva potuto emettere il primo vagito. Non era stato in grado di dargli giustizia.  Aveva fallito sia come padre che come uomo.
All’improvviso la sua mano si fermò e il suo sguardo tornò presente. Vide il foglio schizzato d’inchiostro, lo stropicciò nel pugno facendone una palla e lo lanciò dentro al caminetto. Prese un altro foglio dalla pila che era sul tavolo. Aveva fatto portare tutto il materiale da scrittura lì nel salottino privato, nella speranza di riuscire di nuovo a lavorare, invece era ancora bloccato. Erano accadute troppe cose in poco tempo e quella che più gli faceva male era di aver perso Lucrezia e il suo amore. Dio solo sapeva quanto aveva bisogno di lei in quel momento…
Immerse la punta della penna nella boccetta d’inchiostro e riportò la mano sopra il foglio. Era inutile continuare a scappare, l’unica soluzione era affrontare il demone che lo tormentava. Avvicinò la punta al foglio e cominciò a scrivere. Poche e semplici parole che al loro interno contenevano tutto ciò che aveva bisogno di dire.
Amore mio,
ho fallito.”
“E’ un biglietto per mia madre?”
Quella voce lo fece trasalire, al punto che la penna gli cadde di mano: “Francesco! Non ti avevo sentito.”
Il ragazzino abbassò lo sguardo, con aria colpevole: “Perdonami, padre. Ho dimenticato di bussare.”
Andrea accennò un sorriso: “Sei proprio come tua madre!” Lasciò un sospiro e si affrettò a stracciare anche quel foglio prima che Francesco facesse altre domande a cui non avrebbe saputo cosa rispondere per mascherare la verità.
“Ho saputo della sentenza. I Medici ti hanno oscurato ancora una volta. Ma avrai modo di recuperare, ne sono certo.” Disse il ragazzino.
“Grazie, figliolo. E’ quello che spero anch’io.” Spinto da uno slancio paterno, Andrea avvolse il figlio in un caldo abbraccio. Sì, avrebbe ritrovato la forza per andare avanti. Lo avrebbe fatto per lui, per renderlo fiero di suo padre e del nome che portava. Ormai era l’unica cosa per la quale valeva la pena lottare.
  
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