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Autore: Lady1990    31/07/2017    3 recensioni
[Questa storia è il seguito di "Nell", di cui si consiglia la lettura per un'adeguata comprensione.]
Sono trascorsi poco più di vent'anni dalla scomparsa di Ysril. Nell, dopo aver atteso invano il suo ritorno, ha lasciato la valle di Mesil e si è messo sulle sue tracce. In compagnia di Reeven, un improbabile ladro che somiglia in modo inquietante al suo amato demone, e altri compagni, dovrà scoprire cosa è successo a Ysril e salvarlo da una minaccia ancor più grande della guerra che incombe sul mondo intero. E se una strega arriva a complicare le cose, la missione non si profila certo una passeggiata.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutti!
Allora, piccola nota tecnica: da questo capitolo compreso in poi Nell e i demoni parlano in rak'shra tra di loro, ma non starò ad indicarlo con il grassetto, perché ho notato che mi ferisce gli occhi. E poi non posso fare mezzo capitolo in grassetto, orrore! 
Detto ciò, enjoy ^^







 
Nell tentava di non pensare ai muscoli intorpiditi e si sforzava di ignorare lo spiacevole ronzio nelle orecchie, come il frequente pulsare delle tempie e la nausea. Si era imposto di mantenere un certo contegno per non dare ai demoni alcuna scusa per abbandonarlo a marcire tra le rocce, lontano da qualsiasi sentiero battuto dove nessuno lo avrebbe mai trovato. Davvero, ce la stava mettendo tutta. Ma l’essere continuamente sballottato non aiutava, ogni secondo che passava si sentiva sempre più vicino al collasso o a vomitare le interiora. 
Non c’era niente che fungesse da distrazione, seppur minima, eccetto il cielo terso o le fattezze grottesche e ributtanti dei suoi accompagnatori, in particolare quello che lo stava trasportando. Si chiamava Shregal, se aveva capito bene. Era molto alto, come gli altri, e imponente nonostante la malsana magrezza che sfoggiava. La sua pelle era grigia e sottile come quella di un morto, la testa calva, piccola e leggermente appuntita nella parte alta della nuca, le orecchie simili a punte di freccia e le guance orrendamente incavate, tanto che le ossa affilate al di sotto parevano lottare per stracciare il fine strato di epidermide che le ricopriva. Ma il dettaglio che faceva rabbrividire Nell, più dell’alito nauseabondo e della chiostra di zanne gialle in bella mostra a causa dell’assenza di labbra, era la cavità rossastra dai bordi frastagliati al posto del naso, che fremeva quando captava gli odori. A completare il quadro, due occhi piccoli e rotondi, color argento, incastonati in due orbite grinzose e violacee. Non un bel vedere. E questo se non considerava i quattro arti che lo sorreggevano, altrimenti detti “braccia”, che però somigliavano più a degli stecchi rugosi e duri, per terminare in una pallida imitazione di mani con tre dita adunche e artigli marroni con venature bianche. La parte inferiore avrebbe meritato un trattato di cento pagine, tanto era difficile da descrivere, ma Nell aveva risolto associandola a quella di una lucertola. Senza le squame.
Schifo.
Nell sapeva di aver assunto un colorito verdognolo. Il suo stomaco si contrasse per l’ennesima volta, così si obbligò a volgere lo sguardo verso il cielo azzurro.
“L’umano sta male.” udì dire da un demone alle sue spalle, Runkra, se non errava.
Costui rivaleggiava con Shregal in termini di aspetto. Il suo corpo ricordava quello di un essere umano, con due spalle robuste, due braccia muscolose e due gambe, che finivano in zampe pelose complete di artigli. Tuttavia, la sua faccia era qualcosa di abominevole. Non aveva occhi, solo due bulbi ricoperti di pelle. Dalle tempie sbucavano due corna ritorte dello stesso colore dell’epidermide, sottile come quella di Shregal, e le orecchie a punta erano grandi e a sventola. Gli zigomi prominenti erano messi ancor più in risalto dall’incavo delle guance e dai muscoli della mandibola. Il naso era costituito da un forellino, distante un pollice dalla voragine zannuta che era la bocca. Le gengive erano pronunciate e rosse, le labbra inesistenti.
Doppio schifo.
“Ha perso molto sangue.” rispose Shregal scrollando le spalle.
“Ho fame.”
“Perché hai sempre così fame?”
“E tu perché sei sempre così brutto?”
“Finitela.” li sedò Druk, perdendo bava dalla bocca.
Druk, se possibile, era inguardabile, l’incarnazione del mostro per antonomasia. Almeno a parere di Nell. Quando lo aveva scorto la prima volta appena fuori dal castello di re Sylas, era svenuto.
La sua pelle era candida come il latte, ma sottile e grinzosa come quella di un vecchio, molle, come un mantello appoggiato sulle ossa. Si tendeva solo in prossimità delle mani con quattro dita, delle giunture che collegavano il busto alle gambe e dei piedi deformi. Perlomeno il numero di arti era giusto secondo un’ottica umana, cioè due braccia e due gambe, anche se più lunghe del normale. La posizione di queste ultime era strana: partivano dal bacino e si piegavano all’indietro, come le zampe di un animale, però l’angolo era troppo accentuato, poiché le ginocchia raggiungevano le spalle. Da dietro. Nell aveva intuito che la posa naturale del demone era quella accucciata, gli arti inferiori troppo secchi e fragili per sostenere tutto il peso. Sembrava di guardare qualcuno camminare sui talloni con le ginocchia al petto, solo con il busto al contrario. Un busto che, all’occorrenza, poteva compiere un giro completo sulla struttura di cartilagine della vita.
La testa, poi, era una palla tonda e calva, il collo un cilindro grosso quanto la mandibola, e, come Shregal, Druk aveva le zanne esposte e niente naso; gli occhi erano due biglie lattiginose ai lati della faccia e non aveva le orecchie.
Triplo schifo.
“Siamo arrivati?” chiese Nell, ormai allo stremo.
I demoni scoppiarono a ridere. Con la vista periferica, colse il movimento delle zanne del suo chaperon e si concentrò sulle sue parole, cercando di rimanere lucido.
“La strada è lunga, mucchietto d’ossa. Siamo solo a due ore di marcia da Dun’har. Il portale dista almeno cinque giorni, quattro se non ci fermiamo a riposare. Rilassati.”
“Devo vomitare.” rispose invece il ragazzo.
Gli arti che lo tenevano sospeso in aria si ritrassero subito e Nell precipitò al suolo con un tonfo e un grugnito sofferente. Aveva battuto l’osso sacro. Per qualche secondo non respirò. Poi la testa gli spedì una fitta talmente forte da farlo boccheggiare, quasi qualcuno gli stesse aprendo il cranio a mani nude per frugare nel suo cervello, ma per fortuna, o forse no, un conato giunse tempestivo a distogliere la sua attenzione. Rotolò su un fianco, le mani premute sulla pancia, e sputò saliva mista a bile sul terreno brullo. Non aveva nulla nello stomaco, troppi giorni erano trascorsi dall’ultima volta che aveva mangiato, ma ciò non rese l’intera situazione più piacevole.
“È debole, non ce la farà ad attraversare il portale. Dico che dovremmo mangiarlo.” disse Runkra.
“Nell non si mangia!” replicò Druk, “Alla regina potrebbe serv-”
“Zitto o ti taglio la lingua!” lo ammonì Shregal.
Nell era troppo preso a tenere a bada le contrazioni addominali per prestare ascolto all’incessante chiacchiericcio dei demoni, perciò si perse totalmente l’ultimo scambio di battute. Restò acciambellato in posizione fetale per svariati minuti finché il dolore non divenne un martellare sordo, segno che il suo corpo si era abituato. 
Aveva sete, ma qualcosa gli disse che non avrebbe scovato un rivolo d’acqua neanche a pagarlo oro, quindi era meglio se si faceva passare la voglia. I monti Lerisa erano aridi, nessuno vi si avventurava senza provviste. Nessuno, a parte Nell, evidentemente. E non c’entrava la sfortuna, stavolta. Era stato uno stupido. Per un eccessivo numero di anni aveva fatto affidamento sulle proprie capacità acquisite, e ora non sapeva più decifrare i segnali del suo corpo. Da quanto non si regalava un pasto degno di tale nome? Da quanto non dormiva? Era sempre più facile dimenticarsi di essere un umano, e questo in passato lo aveva cacciato nei guai, sull’orlo della morte, solo per essersi trascurato. Credeva di aver imparato la lezione, ma la frenesia dell’ultimo mese lo aveva distratto e non si era preso la giusta cura di se stesso. Ed ecco il risultato.
“Sto bene…” gracchiò, piegando le labbra in una smorfia disgustata quando il sapore della bile gli accarezzò il palato.
“Se lo dici tu.” commentò sarcastico Runkra.
Nell si sentì sollevare di nuovo e la marcia ricominciò. Si aggrappò alla certezza che a Lankara avrebbe rivisto Ysril, e alla sola idea il suo cuore si riempì di serenità. Finalmente, presto, sarebbe stato ripagato di tutti gli anni spesi a viaggiare in solitudine, di tutte le peripezie a cui era sopravvissuto, di tutti i cadaveri che si era lasciato alle spalle per proseguire lungo il cammino; di tutti gli incubi, le urla e i lamenti che lo tormentavano non appena osava addormentarsi; di tutto il dolore subito. E quando avrebbe riabbracciato Ysril, insieme sarebbero tornati a Dun’har per recuperare il corpo di Selis dalle prigioni, lo avrebbero riportato a Rocca Smeralda e seppellito accanto ai suoi cari.
All’improvviso, avvertì le ultime briciole di energia venire risucchiate in un buco nero in mezzo al petto. Sbarrò gli occhi, scontrandosi con altri quattro che lo fissavano preoccupati, precisamente quelli di Shregal e Druk - gli altri demoni, chissà perché, si erano tenuti sempre a debita distanza da quando si erano messi in marcia. 
Non si accorse che la piccola comitiva aveva arrestato il passo. Erano tutti immobili e lo osservavano confusi. 
Nell serrò di scatto le palpebre e spalancò la bocca per gridare, ma non emise un suono. Inarcò la schiena senza preavviso, le membra scosse da violenti spasmi che strapparono l’aria dai polmoni. Cadde carponi a terra, la gola in fiamme e le guance rigate di lacrime. Non riusciva a respirare.
Il panico lo pervase. 
Cinque anni prima aveva corso il rischio di morire asfissiato. Il momento si era impresso a fuoco nella sua memoria come un marchio, e il solo ripensarci gli provocava sempre forti attacchi. Aveva provato a più riprese a respingere i ricordi nel subconscio, ma a volte essi lo coglievano di sorpresa e lo costringevano a rivivere tutto, ancora e ancora, finché non crollava esausto e febbricitante. 
Stava attraversando i deserti del sud in compagnia di un manipolo di mercenari, i quali non si erano dimostrati molto contenti di dargli un passaggio verso la città-mercato di Gorat in cambio di una piccola manciata di monete d’argento. Nell, consapevole di non essere il benvenuto, aveva adottato un profilo basso, contribuendo come poteva alla manutenzione della carovana e al nutrimento degli animali senza mai lamentarsi o ribellarsi agli ordini. D’altronde era un ospite, per giunta sgradito, nonché l’ultima ruota del carro, e una sua eventuale sfida non sarebbe stata accolta nel migliore dei modi. 
Erano in viaggio da un paio di settimane, quando una notte quattro mercenari entrarono di soppiatto nella sua tenda, convinti che dormisse. Lo assalirono rapidamente, Nell non ebbe il tempo di reagire, e ridussero i suoi vestiti a brandelli con dei pugnali. Uno si portò alle sue spalle e gli premette la mano sulla bocca per camuffare le urla allarmate, mentre gli arti gli legarono i polsi e gli aprirono le gambe nude, snocciolando i loro apprezzamenti. Il mercenario dietro di lui, però, nell’euforia non si rese conto di aver spostato il palmo quanto bastava per ostruirgli tutte le vie respiratorie. Solo quando le convulsioni presero in ostaggio il corpo del biondo, l’attacco si fermò e la mano venne rimossa. Nell si rannicchiò in un angolo e tossì per minuti interi, ignaro di ciò che succedeva intorno a sé. Più tardi scoprì che il capo della carovana, un uomo severo, cinico, ma giusto, era accorso sulla scena richiamato dai versi strozzati di Nell. Dopodiché aveva legato gli assalitori a dei pali al centro del campo e affibbiato loro venti frustate a testa. A quanto pare, non li puniva per aver tentato uno stupro, ma per aver tentato di stuprare lui, Nell, un ospite che aveva pagato per un servizio tutto sommato semplice e che svolgeva bene i compiti che gli venivano assegnati. Per il resto del tragitto aveva dormito nella tenda del capo. 
Da quella fatidica notte, per quasi un anno non aveva parlato, il trauma troppo violento e fresco per sperare di superarlo. E quando chiudeva gli occhi, gli sembrava si percepire una mano premuta sulla bocca e sul naso, i polmoni in fiamme e la testa in procinto di scoppiare. Gli ci era voluto parecchio per tornare in sé. Tuttavia, quando aveva riacquisito il controllo della propria vita, non era più stato lo stesso.
Adesso si sentiva esattamente come allora. La paura gli gelava il sangue e gli annodava le viscere, e in un attimo fu di nuovo in quella tenda, l’aria notturna che filtrava attraverso gli spiragli nei panni logori, mani estranee che lo toccavano e una callosa premuta forte sulla faccia. Stava iperventilando. Sapeva che doveva calmarsi, ma non ci riusciva. Il buco nero nel suo petto si allargava velocemente, senza concedergli la possibilità di capire cosa stesse accadendo.
Udì il cuore rallentare e comprimersi nel petto in una morsa fredda. Ciascun battito pareva l’ultimo, rimbombava nelle sue orecchie come un conto alla rovescia che non poteva fermare. Poi, dal nulla, nella sua mente emerse un volto familiare: capelli biondi, occhi rossi e un sorriso sbarazzino. Per un secondo pensò ad Ysril, ma la sua coscienza gli suggerì un altro nome.
Reeven!
Incapace di resistere oltre, svenne con un singhiozzo rantolante.

Noara ritrasse la mano dal torace di Reeven e osservò la pelle richiudersi attorno alle sue dita, intatta. Aveva dovuto attingere in modo rude all’energia del biondo, perché non si fidava a mettere in pratica nuovamente il rituale, col rischio che Reeven si destasse e la ferisse, e ammise che non era affatto l’ideale neanche come piano di riserva. Malauguratamente, non ne aveva altri.
Roteò le spalle e si massaggiò il collo, sazia e in gran forma, anche se sapeva che quello stato di grazia sarebbe durato a malapena altre tre ore. Alzò un braccio per permettere a Jemma di appollaiarvisi sopra e levò lo sguardo al cielo terso, le sopracciglia aggrottate e i lineamenti delicati del viso tesi. 
Più si avvicinava al portale, più si indeboliva velocemente, un costante bisogno di rimpinguare la sua scorta di potere a dilaniarle gli organi interni a intervalli alterni. Per fortuna aveva Reeven, che fungeva da dispensatore, come una mucca da mungere. Però doveva stare attenta e non essere troppo ingorda, altrimenti lo avrebbe prosciugato prima di arrivare a destinazione. Era meglio procedere con cautela, nutrendosi a piccole dosi, dal momento che Reeven era un ibrido: per quanto forte, non aveva idea di quanto a lungo avrebbe resistito prima di spegnersi. Purtroppo, Noara avvertiva l’influenza del portale sempre di più, ogni passo era pesante, ogni movimento faticoso, e non poteva concedere a Reeven il tempo necessario per rigenerarsi completamente.
Trasse un profondo respiro, fletté le dita e guardò il corpo di Reeven galleggiare a mezz’aria. Quindi fece cenno al suo famiglio di precederla e riprese ad avanzare in mezzo a un paesaggio monotono costituito da rocce e terreno brullo. Pareva sospeso nel tempo, solo il movimento del sole scandiva le ore e i giorni. 
Chiuse gli occhi e si concentrò, individuando l’energia sprigionata dal portale. Sbuffò e ricominciò a camminare, i lamenti petulanti di Jemma nelle orecchie.
“Uff… coraggio, non siamo poi così lontani.”

I demoni osservarono in silenzio, le espressioni indecifrabili e le membra pietrificate. Per incalcolabili minuti nessuno parlò, nessuno osò muoversi. 
Tutti avevano colto il bagliore sanguigno nelle iridi di Nell, un attimo prima che perdesse i sensi. A quella vista, una parte del loro essere aveva riconosciuto il giovane come uno della loro specie. Anzi, il ronzio sordo che ribolliva nei loro nuclei ruggì, dichiarando che Nell era più in alto nella gerarchia, e perciò dovevano proteggerlo e portargli rispetto. Ma questo non aveva il benché minimo senso, perché la regina aveva detto che Nell era un semplice umano. Uno che poteva usare la magia e parlare fluentemente il rak’shra, ma nulla di straordinario o inaudito. Le emozioni che provavano ora, quelle sì che erano inaudite. E pure inquietanti. Il loro istinto li spingeva a inchinarsi, ma la ragione si rifiutava di dargli ascolto. Un demone non si inchinava di fronte a un umano, mai, o almeno non di sua spontanea volontà.
Alla fine, si mossero tutti in sincrono, precipitandosi verso il corpo inerte di Nell. Lo tastarono, lo esaminarono, gli aprirono le palpebre e la bocca, ma non notarono niente di strano. In seguito, Shregal condusse un artiglio perpendicolare al braccio del ragazzo e applicò un taglio sulla pelle, per poi affrettarsi a raccogliere le poche stille di sangue e portarsele sulla lingua. Gli altri lo fissarono impazienti, sperando in una risposta che spiegasse come mai all’improvviso la loro prospettiva fosse cambiata tanto bruscamente.
“Sangue umano. Buono, dolce, ma non è speciale.” proferì dopo il primo assaggio, “Percepisco una nota speziata.”
“Fa’ provare me.” intervenne un altro demone, la pelle spessa e ruvida come corteccia e il torso avvolto da quattro grossi tentacoli viola.
I suoi otto occhi, quattro per lato, si assottigliarono e guizzarono in anticipo, pregustando sul palato il sapore denso e pastoso del sangue umano, di cui non era mai sazio.
“Zyr, tieni i tuoi tentacoli lontani!” ringhiò Druk, “Shregal è il cacciatore più abile fra di noi, è stato addestrato apposta, e se dice che nel sangue di Nell non c’è nulla, allora non c’è nulla.”
“Quand’è che abbiamo deciso che il capo sei tu, Druk? Dal momento in cui abbiamo lasciato le prigioni ti sei messo a darci ordini!” si arrabbiò Zyr e scosse la testa squamosa, da cui spuntavano quattro piccole corna in posizioni speculari.
“Perché sono il più intelligente.”
“Ah! Questa è buona.”
“Più intelligente di te di sicuro.”
“Pensi solo con lo stomaco, Zyr. Druk ha ragione.” si intromise Runkra.
“Toh, senti chi parla.”
“State zitti.” sibilò Shregal, chinandosi a lappare altro sangue dalla ferita sul braccio di Nell, “Mmm… qualunque cosa sia, non è nel suo sangue. Anche se devo dire che è decisamente squisito… mai assaggiato nulla di simile.”
“Hai qualche teoria?” domandò Druk, squadrandolo attentamente.
“Sembra quasi…” cominciò, ma si bloccò subito, “No, non è possibile.”
“Cosa? Sembra quasi cosa?”
“Come le streghe quando succhiano la nostra energia. Questa non va nel loro sangue, nutre esclusivamente il loro potere spirituale. Potrebbe spiegare come mai nel suo sangue non c’è traccia di essenza demoniaca e al contempo come mai sa usare la magia.”
“Va bene, sì, ma no. Uno, le streghe sono solo femmine umane, i maschi non hanno la magia. Due, alle streghe non vengono gli occhi rossi quando ci mangiano.” elencò Runkra.
“Lo so, grazie. Ma Nell sa usare la magia, lo abbiamo visto tutti. Nella storia umana ci sono stati degli stregoni potenti, non dimentichiamolo. Sono casi rarissimi, ma non meno reali. C’è una possibilità che Nell sia uno stregone in fasce. Non posso spiegare il colore dei suoi occhi, ma riflettete: questo umano ha giaciuto con Ysril per vent’anni e solo tramite il sesso una strega può assorbire la nostra energia. Inoltre, conoscendo Ysril, lo avrà preso più di una volta a notte, scopandoselo in tutte le posizioni.” sputò Shregal disgustato, “Forse Ysril non si è mai accorto delle potenzialità della sua preda e inconsapevolmente gli ha fornito nutrimento in maniera costante. Mh, sì, Ysril non lo sa. Se lo avesse saputo, non avrebbe potuto nasconderlo alla regina.”
“Dobbiamo avvertirla! Non possiamo metterla in pericolo!” squittì Zyr, agitando i tentacoli.
“Concordo.” disse Shregal, “Ma riuscite a sentirlo?”
“Cosa?”
“L’idea di fare del male a Nell mi ripugna.”
I demoni guardarono il ragazzo e uno ad uno si trovarono ad annuire, le facce cupe e combattute.
“Come con la regina.” bisbigliò Druk.
“Sì, come con la regina.” ripeté Shregal.
“Questo è profondamente sbagliato. Contro natura. Nell è umano.”
“Non credo. Ysril è convinto che sia umano, quindi anche la regina ne è convinta. Secondo me, è uno stregone.”
“Shregal, la tua teoria è interessante, ma ti ricordo ancora che gli stregoni, o le streghe, non hanno gli occhi rossi come noi. Nell è… qualcos’altro. Non è un ibrido, perché è nato umano, ma… qualcosa del genere?”
“Grazie per il tuo arguto intervento, Zyr. Druk, cosa stai pensando?” indagò Shregal, rivolgendosi al demone alla sua destra.
“Forse…” esordì Druk, ma poi sospirò stanco, “Non lo so. È azzardato.”
“Beh, noi abbiamo terminato le idee. Qual è la tua?”
“Ysril ha giaciuto con Nell per vent’anni.” pronunciò in tono neutro.
“Sì, lo sappiamo.”
“No, non capite. Ysril ha giaciuto con Nell per vent’anni.” scandì tra le zanne, scrutandoli con aria grave.
“Dove vuoi arrivare?”
Druk roteò gli occhi esasperato e scrocchiò le giunture del bacino: “Nessuna strega giace con noi per più di una notte! Immaginate cosa sarebbero in grado di fare se le nutrissimo di energia per vent’anni di fila, dando loro minimo tre pasti al giorno!”
Gli sguardi dei compagni si illuminarono di un’orribile consapevolezza.
“E poi… e poi su, ammettiamolo. L’unica tipologia di umani da cui siamo attratti sono le streghe. Possiamo negarlo quanto vogliamo, ma non appena una strega mette le sue grinfie su di noi, non è che ci ribelliamo così tanto. Siamo attratti dal loro potere tanto quanto loro sono attratte dalla nostra energia. Ysril deve aver fiutato Nell, deve aver fiutato il suo potere allo stato grezzo senza realizzarlo. La sua storia ha fatto scalpore perché tutti abbiamo creduto Nell un banale umano, e quindi lo abbiamo subito etichettato come indegno di vivere al fianco di Ysril. Ma se invece non lo fosse mai stato? Ysril è un demone potente, il nostro principe da quando ha ucciso Radek in quella grotta. Pensate sul serio che avrebbe potuto provare attrazione per un umano ordinario?” 
“Dannazione! Avremmo dovuto capirlo! Solo il fatto che Nell sia stato scelto in mezzo a una moltitudine di umani avrebbe dovuto dirci qualcosa! Siamo stati ingenui. Tutti. Noi, Ysril, la regina… e il risveglio di Xion è ormai prossimo! Non possiamo permetterci errori.” concluse Zyr con voce roca e lamentosa.
I demoni emisero squittii e ringhi, spaventati dalle inaspettate implicazioni.
“Calmatevi, agitarci non ci sarà di alcun aiuto.” li placò Shregal.
“Questo non era nei piani!” esclamò Zyr, facendo mulinare i quattro tentacoli sul torso, “Gli ordini erano farci catturare dagli umani e attendere l’arrivo di Nell a Dun’har, fingerci tonti, guadagnarci la sua fiducia e scortarlo al cospetto della regina, per poi usarlo come leva per obbligare Ysril a collaborare al risveglio di Xion. Ma se Nell è uno stregone così potente come dice Druk, dato che ha assorbito l’energia di Ysril per tanto tempo da esserne ricolmo e risvegliare in noi l’istinto protettivo, potrebbe addirittura sconfiggere la regina e mandare tutto all’aria!”
“Allora cosa proponi di fare?!” sbraitò Shregal.
“Che domande: lo uccidiamo. Adesso. E al nostro ritorno, racconteremo la verità alla regina. Sono certo che apprezzerà il nostro gesto e la nostra lealtà, ci ricompenserà per aver eliminato una minaccia.”
“Imbecille. Se lo uccidiamo, la regina non avrà niente per convincere Ysril! Nell è l’unica pedina che può sfruttare per ottenere ciò che vuole. Senza Nell, Ysril non cederà mai. E se Ysril non cede di sua volontà, Xion non potrà svegliarsi.”
“Quindi non abbiamo scelta.” mormorò Druk.
“Temo di no. Lo porteremo a Lankara e, una volta lì, la regina deciderà il da farsi.”
“È rischioso. Non possiamo mettere in pericolo il piano, men che meno la regina. Cosa succederebbe se Nell decidesse di usare il suo potere contro di lei?”
“Non penso che lo farà. Se Nell fosse stato consapevole delle sue capacità, a quest’ora avrebbe già liberato Ysril. E se sapesse cosa è in grado di fare, non avrebbe atteso tanto per trovare un modo per attraversare il portale: il suo potere lo avrebbe condotto sulla soglia e oltre facilmente. Credo.”
“Soltanto la Sylmaran ne è capace, e ormai è scomparsa da millenni. Dubito che Nell sia forte quanto lei.”
“Non conosciamo i limiti del potere di Nell. Dentro di lui albergano venti lunghi anni di energia demoniaca pura. Per quel che ne sappiamo, potrebbe spazzarci via tutti con uno schiocco di dita. Questo umano è in tutto e per tutto un’incognita. Comprendo che è rischioso condurlo tra le nostre mura, ma ci serve. Il piano si basa sulla sua presenza. Se Ysril si ribellasse adesso, dovremo aspettare chissà quante altre ere prima di riprovarci.” puntualizzò Shregal.
“Sono d’accordo.” disse Gerk, parlando per la prima volta, e sospirando si lisciò i corni sulle braccia, “Però suggerisco di prendere delle precauzioni.”
“Cioè?”
“È meglio mantenerlo incosciente per tutto il tragitto, così non potrà usare alcun incantesimo. In questo modo dovremmo essere al sicuro.”
“Approvato.” assentì Shregal.
“E come pensi di fare, Gerk?” si intromise Zyr. 
“Berremo il suo sangue via via. Così resterà debole, ma non morirà.”
“Oh, sì, mi piace avere del cibo a portata di zanne!”
“Va bene, in marcia. Facciamo in fretta.” li esortò Druk, andando in testa al gruppo.
Gli altri si misero in formazione circondando Shregal, che teneva in braccio Nell, e dopo un rapido scambio di sguardi partirono alla volta del portale.

Dopo la fuga del ragazzino e dei demoni, Dorevan aveva deciso di prendere in mano la situazione. Era furioso, anzi di più. Era così accecato dalla rabbia che la ragione e la prudenza lo avevano abbandonato. 
Una parte del suo piano era andata in fumo, non avrebbe più potuto usare i demoni come sua piccola scorta personale e rovesciare lo status quo, perciò doveva agire da solo e in fretta, recuperare il vantaggio perduto. Non aveva aspettato secoli, tramando nell’ombra, per venire messo al tappeto da un ragazzino con un incantesimo da quattro soldi. La sconfitta gli bruciava, ma soprattutto era il suo ego ad aver subito un duro colpo. Come aveva potuto cadere nella trappola come un novellino?
Digrignò i denti e lasciò che i suoi occhi diventassero completamente neri per una frazione di secondo. Poi bussò alle porte degli appartamenti reali e attese il permesso di essere ricevuto.
Quando la voce del re lo invitò a entrare, avanzò spedito nel salotto lussuoso senza badare allo sfarzo dell’arredamento, a cui era ormai abituato. Mobili e oggetti finemente fregiati e intarsiati ricoprivano le pareti come baluardi di un’era che stava per giungere al termine, e Dorevan ghignò al pensiero di distruggerli, sapendo quanto Sylas fosse affezionato ai cimeli raccolti nel corso delle epoche dai suoi antenati.
Il re era seduto su uno scranno, dietro a una grande scrivania in mogano. Sulla superficie lucida erano appoggiati vari libri e fermacarte, assieme a calamai e piume consumate. Dorevan studiò l’uomo e percepì una scossa di adrenalina serpeggiargli nelle vene. Finalmente lo avrebbe sgozzato. Aveva trascorso anni preziosi a fingere di essere uno zelante soldato, ma tra poco avrebbe guardato il sovrano a cui aveva giurato fedeltà perire sotto la sua spada, affogando nel suo stesso sangue.
“Dorevan, a cosa devo il piacere della tua visita?” esordì Sylas, senza distogliere l’attenzione dal tomo che stava sfogliando.
Dorevan adocchiò immediatamente l’Occhio di Xion, adagiato su un cuscino riposto su un piccolo altare di legno dietro al re.
“Volevo sapere se posso esservi utile, sire. Mi annoio.”
“Hai già ultimato le tue mansioni?”
“Sì, altrimenti non sarei qui.” rispose acido.
“Se non fossi tu, ti avrei fatto decapitare anni fa.” ridacchiò divertito e gli fece cenno di avvicinarsi, “Magari puoi aiutarmi a capire cosa significa questo passaggio. Il dialetto del sud non è il mio forte, faccio fatica a cogliere le sfumature.”
“Certo, sire. Di cosa si tratta?”
“Il Fratello del Sole che me lo ha consegnato - Hodren, mi pare - ha detto che è uno dei diari del grande Andorev, lo stregone che debellò il potere dell’Occhio. Se riusciremo a decifrarlo, potremo invertire il processo e scatenarlo contro i nostri nemici.”
Dorevan ascoltò impietrito, gli occhi incollati al tomo. Il suo diario. Quello che aveva perso durante uno dei tanti viaggi.
Si riscosse dallo shock e trattenne a stento un sorriso. Quante probabilità c’erano che il suo prezioso diario finisse nelle mani di Sylas proprio nel momento in cui ne aveva più bisogno? Si sarebbe messo a saltellare per la stanza se non avesse avuto il contegno di un soldato. 
Che tu sia benedetto, Hodren, vecchio brontolone!
“Conosco il dialetto del sud, sire, sono nato lì.”
“Lo so, per questo ti ho chiesto di aiutarmi.”
“Allora, di grazia, permettetemi.”
“Accomodati.”
Sylas gli fece spazio dietro la scrivania, spostano lo scranno di qualche passo. Dorevan girò attorno al mobile, impugnò l’elsa del coltello che scivolò nel suo palmo da sotto la manica e, prima che il re intuisse le sue intenzioni, lo trafisse sul collo con un movimento fulmineo. Il sangue zampillò copioso dalla carotide recisa, imbrattando le vesti reali e il tappeto. 
Sylas boccheggiò smarrito, pallido come uno spettro. Cercò di articolare delle parole, insulti, ordini, ma il sangue gli allagava la gola. Si portò le mani al collo, tentando di fermare l’emorragia, sebbene sapesse che ogni sforzo sarebbe stato vano. Lo sentiva nelle ossa. Sentì la morte raggiungerlo, allungare i suoi artigli e strattonarlo nell’oblio, sorda alle sue silenziose suppliche. Lanciò uno sguardo intriso di odio verso il capitano delle sue guardie, consapevole del tradimento ma ignaro dei motivi, e infine cadde sul pavimento come una bambola rotta. Il suo corpo si contorse in brevi spasmi, gli occhi si rivoltarono nel cranio e dopo un minuto che durò un’eternità giacque morto ai piedi del suo assassino in una pozza scarlatta e viscosa.
Dorevan si concesse un sospiro beato. Mentre ancora assaporava la piccola rivincita, il suo travestimento mutò. L’armatura venne rimpiazzata da una tunica rossa con ricami dorati, stretta in vita da un cinturone di cuoio nero a cui erano appesi amuleti di varia grandezza. Le maniche si strinsero sugli avambracci e i polsi, la stoffa si tese e raggiunse il medio di ciascuna mano, avvolgendolo come un anello. Gli stivali da soldato lasciarono il posto a un altro paio molto più comodi e pratici. I capelli si ritrassero fino a liberare il cranio, sul quale campeggiavano tatuaggi tribali, e la barba sparì. Soltanto gli occhi rimasero identici, due pozzi neri come catrame, e sulla schiena la sua fidata spada a due mani faceva bella mostra di sé al sicuro nel fodero.
Lo stregone Andorev accarezzò distrattamente i ciondoli della collana che tintinnavano sul torace, altri amuleti protettivi che aveva plasmato lui stesso, e rivolse l’attenzione su ciò che aveva desiderato per innumerevoli lustri, tanto da perderci il senno.
L’Occhio di Xion decise allora di brillare, quasi lo avesse riconosciuto.
“Ciao, piccoletto. Mi sei mancato.” chiocciò stupidamente, quasi stesse parlando ad un cucciolo, “Direi che è ora di finire quello che abbiamo iniziato.”
Protese le dita e sfiorò la gemma con reverenza. Essa brillò di nuovo e lo stregone non poté esimersi dal ridacchiare soddisfatto. Esitò un attimo, poi chiuse la mano sulla sfera, stringendola per familiarizzare ancora una volta con la sua forma e il calore intossicante che emanava.
“Andiamo a seminare il caos, ti va?” gongolò, le iridi adesso dello stesso colore dell’Occhio, un blu profondo e vivo.
“Non che abbia qualcosa contro il caos, ma non pensi che Xion apprezzerebbe un po’ d’azione?”
Andorev si girò di scatto e non nascose lo stupore nell’imbattersi in un Fratello del Sole, uno che conosceva assai bene, benché non gli avesse mai creato molti problemi.
“Hodren, che piacere. Che ci fai qui? Non ti avevano relegato nel tempio per cattiva condotta?” lo salutò, una vena sarcastica nella voce.
“Cosa vuoi farci, sono sempre stato un ribelle. Piuttosto dovrei domandarti cosa ci fai qui tu, Andorev.” ghignò il monaco, scrutandolo dall’alto in basso con cipiglio supponente.
Lo stregone perse un battito e si irrigidì. Lo guardò inebetito, pallido e d’un tratto vigile.
Questa è proprio la giornata delle sorprese.
“Come conosci il mio nome?” indagò incredulo.
“Oh, io so molte cose. Più di quelle che vorrei sapere, in realtà.”
Andorev abbandonò del tutto il sorriso e incenerì Hodren con un’occhiata minacciosa: “Chi sei?”
“Un’amica.”
“Eh? Amic-a? Non credevo avessi dubbi sulla tua sessualità, vecchio mio.”
Il sorriso sulle labbra di Hodren si ampliò, tanto da divenire inquietante. Andorev avvertì un brivido percorrergli la spina dorsale e rizzargli i capelli sulla nuca. L’anziano monaco aveva qualcosa di strano.
“D’accordo, non sono tua amica. Ma nemmeno tua nemica.” si corresse Hodren, scandendo bene.
Lo stregone notò subito come il timbro della sua voce cambiò, partendo da quello baritonale di un uomo per virare in uno inconfutabilmente femminile, benché gracchiante e roco, sulla parola “nemica”. Assistette ammutolito alla trasformazione, incapace di pensare ad altro che non fosse la totale assurdità delle ultime ore. 
Una manciata di istanti più tardi, davanti a lui non c’era più Hodren, ma una donna vecchia e rugosa, con i seni cascanti, la pelle flaccida e le ossa appuntite. I capelli grigi, lunghi, folti e crespi come la criniera di un leone, erano legati in elaborate trecce con perline e amuleti. Tutto il suo corpo era costellato di tatuaggi arcani, che si intrecciavano a comporre disegni complessi. Una gonna sporca e logora, tenuta su da una cintura a cui erano appesi i teschi di diverse creature, le avvolgeva i fianchi e nascondeva le gambe fino alle ginocchia, mentre una fascia dello stesso materiale le proteggeva il seno. I piedi scalzi, adornati da anellini e cavigliere, poggiavano sul soffice tappeto del salotto. Nella mano destra impugnava un bastone pieno di fregi con in cima una gemma nera, che secondo la leggenda era composta da tre tipologie differenti di pietre, ossia l’onice, l’opale e l’ossidiana, fuse insieme dal sangue di colei che le brandiva. L’onice veniva considerato la pietra delle divinità per eccellenza dai primi uomini e aveva la proprietà di allontanare l’energia negativa; l’opale rappresentava i quattro elementi, il potere della memoria e la saggezza; l’ossidiana, fin dai tempi antichi, veniva usata per i rituali di purificazione e proteggeva dagli influssi negativi, e alcuni ritenevano che potesse stimolare il dono della profezia. Non era un mito. Era reale.
Andorev deglutì e si impose di scollare lo sguardo dal bastone. Fissò la donna negli occhi, affilati e glaciali come spilli, e indietreggiò, realizzando appieno l’identità della figura che gli stava di fronte. Era vecchia, rattrappita, bassa, ossuta, ma pareva un gigante, tanto era il potere che sprigionava. Era qualcuno che si era sempre augurato di non incontrare mai.
“Sylmaran.”









 
  
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