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Autore: Stella Dark Star    01/08/2017    1 recensioni
Per Andrea Pazzi e Lucrezia Tornabuoni è amore a prima vista quando s’incontrano nella basilica di San Lorenzo durante il funerale di Giovanni de’ Medici. Il problema è che entrambi sono sposati e per di più le loro famiglie sono nemiche naturali. Ma questo non basterà a fermarli. Tra menzogne e segreti, l’esilio a Venezia cui lei prenderà parte e il ritorno in città della moglie e i figli di lui, sia Andrea che Lucrezia lotteranno con tutte le loro forze per cercare di tenere vivo il sentimento che li lega. Una lotta che riguarderà anche gli Albizzi, in particolar modo Ormanno il quale farà di tutto per dividerli a causa di una profonda gelosia, fino a quando un certo apprendista non entrerà nella sua vita e gli farà capire cos’è il vero amore.
Consiglio dell'autrice: leggete anche "Delfina de' Pazzi - La neve nel cuore", un'intensa e tormentata storia d'amore tra la mia Delfina e Rinaldo degli Albizzi.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo quarantuno
Bianco bagliore
 
Rinaldo e Alessandra uscirono dalle stanze di lui, mano nella mano. I loro volti erano così pallidi e sciupati e i loro sguardi velati di tristezza. Era stato concesso loro solo una notte prima della partenza, poi Alessandra avrebbe raggiunto marito e figlio dopo alcune settimane assieme ai loro averi e qualche servitore. Rinaldo baciò la mano della moglie e disse piano: “Tu scendi, io vado a vedere se Ormanno è sveglio e se vuole unirsi a noi per la colazione.”
Alessandra fece un cenno affermativo col capo e cercò di sorridere, seppur a fatica. Presero due direzioni opposte nel corridoio, ma prima che lui potesse raggiungere le stanze di Ormanno, qualcuno lo precedette. Era Tommaso. Vedendolo entrare senza prima aver bussato, si sorprese di tanta sfacciataggine. Notò che la porta era rimasta socchiusa, perciò si avvicinò e ne approfittò per origliare.
Tommaso, dopo aver educatamente salutato,  si ritrovò immobile a causa del disagio e Ormanno se ne accorse. Gli chiese con premura: “Va tutto bene?”
Tommaso si morse le labbra, le mani che si torturavano. Al fine prese respiro e parlò: “Dovrei parlarvi, Ormanno.”
Lui si avvicinò: “Ma certo. Di qualunque cosa si tratti, puoi parlare liberamente.”
“Io… Ecco… Volevo ringraziarvi sinceramente. Quello che avete fatto per me va oltre  qualunque forma di gentilezza e di amicizia e io non potrò mai sdebitarmi.”
Ormanno sorrise: “Per quanto mi riguarda sono ancora io ad essere in debito. Non avevo appreso cosa fosse il vero amore fino a quando ho incontrato te.”
Rinaldo aggrottò le sopracciglia. Aveva capito bene? No, di certo stavano parlando di qualcosa che gli era sfuggito.
Tommaso prese respiro ancora una volta: “Sono qui anche per chiedervi perdono. Per il fatto di non ricambiare i vostri sentimenti, intendo. E’ solo che io…” S’interruppe quando si ritrovò due dita di Ormanno posate sulle labbra e il suo sguardo nel proprio: “Va bene così, Tommaso. Tra noi, sono io quello sbagliato.”
Da dietro la porta, Rinaldo cominciò ad agitarsi. Quella conversazione era inverosimile. Evidentemente continuava ad ignorare chi fosse il vero soggetto, poiché era impossibile che si trattasse di suo figlio.
Tommaso si fece coraggio, prese con gentilezza la mano di Ormanno nella propria: “Mi sentirei un ingrato se vi lasciassi partire così, senza avervi dato niente. Per questo sono qui, adesso. Per darvi il permesso di dirmi addio secondo il vostro desiderio.”
Ormanno sentì il respiro spezzarsi in gola. Forse in un’altra situazione avrebbe rifiutato l’offerta, si sarebbe comportato in modo adeguato, ma… Dio Santo, non l’avrebbe più rivisto. Che cosa gli sarebbe rimasto di lui? Di cosa avrebbe vissuto negli anni a venire se non di rimpianti? I suoi occhi si persero in quelli scuri di lui, sollevò l’altra mano fino ad arrivare a sfiorare la ciocca di capelli che gli ricadeva sulla guancia.
“Dio misericordioso, fammi vivere di questo momento per il resto dei miei giorni.” Pregò nella propria mente, un attimo prima di impossessarsi delle sue labbra con un bacio.  Si sentiva come se fosse assetato nel deserto e quelle labbra fossero l’unica fonte da cui dissetarsi. Il loro sapore e la loro morbidezza erano dettagli che voleva imprimere nella mente a fuoco, come anche le curve armoniose dei capelli con cui stava giocherellando con le dita. Si distolse dalle sue labbra per riprendere fiato un istante e subito affondò il viso sull’incavo della sua spalla, dove la pelle profumava di sapone ed era più calda. La risucchiò come la polpa di un frutto, mentre col senso dell’udito faceva armonia del respiro di lui, un respiro che nonostante tutto racchiudeva anche leggeri gemiti di piacere. Sarebbe ricorso a tutti questi ricordi nelle lunghe notti insonni che già sapeva lo avrebbero colto nella nuova città e nella nuova dimora. E mentre lui si nutriva di emozioni positive, suo padre guardava dallo spiraglio della porta, pietrificato, ancora più pallido di quanto già non fosse e con gli occhi sbarrati che sembravano tremare.
Non poteva essere reale. Se ne sarebbe accorto se suo figlio fosse stato uno sporco sodomita. Ormanno, suo figlio, un ragazzo coraggioso, un combattente ardito, un sostegno in campo politico. Era quello il figlio che aveva cresciuto, non l’abominio che stava scambiando effusioni con un servo. Ma come negare l’evidenza? Che fosse lui il responsabile, in qualche modo? Forse l’aveva tenuto troppo lontano dalle donne impedendogli di trovarsi un’amante? Era quella la causa di un simile cambiamento? Facendo appello a tutte le forze che aveva, si scostò da quella maledetta porta che fungeva da passaggio per l’inferno. Improvvisamente si sentì come se non conoscesse più il suo stesso figlio.
Nel frattempo, all’interno della stanza, Ormanno aveva concentrato ancora le attenzioni sulle labbra di Tommaso e le stava assaporando fino in fondo. Le loro mani strette l’una nell’altra e il suo braccio a cingere i fianchi di lui. Quando sentì di essere soddisfatto, pose fine al bacio, ma rimase comunque a contatto con lui e posò la fronte contro la sua. Entrambi avevano il respiro affannato e le gote arrossate.
“Non dimenticare mai quanto ti amo.” Sussurrò.
“Mai.” Promise Tommaso sia a lui che a se stesso.
Passarono un paio di minuti senza che dicessero o facessero alcun che, poi fu Ormanno il primo a reagire. Fece scivolare la mano di lui dalle proprie dita, allontanò l’altra mano dal suo corpo. Accennò un sorriso di gratitudine. Si voltò ed ecco che le sue labbra ricaddero in un broncio e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Deglutì, sperando che la voce non s’incrinasse: “Ti prego di non venire a salutarmi all’ingresso. Non riuscirei a dirti addio una seconda volta.”
Le labbra ancora pulsanti per la forza dei baci che aveva ricevuto, Tommaso rispose semplicemente: “Come desiderate, Ormanno.” Lo osservò mentre raggiungeva la porta, lo guardò andarsene. Nel suo cuore la gioia e la tristezza erano in lotta. La gioia del futuro felice che lo attendeva e la tristezza di sapere che non avrebbe mai più rivisto il suo Signore e amico. Non lo avrebbe mai dimenticato.
*
In capo ad un’ora, padre e figlio montarono a cavallo e uscirono dalla porta sud della città accompagnati dal silenzio attorno a loro e dalle grida nelle loro menti. Rinaldo si sentiva a disagio come non mai, quasi si trovasse al fianco di un completo estraneo. Non aveva il coraggio di dire una parola, non avrebbe saputo cosa dire. Non poteva dirgli ciò che aveva visto e non aveva il coraggio di chiedergli spiegazioni.  
Dal canto suo, Ormanno era taciturno perché perso nei propri pensieri. Era lieto che al padre fosse stata risparmiata la vita, ma era comunque difficile trovare la forza per lasciarsi tutto alle spalle e guardare avanti. Avere addosso il marchio del tradimento, il timore di non essere bene accetto nemmeno nella città dove si stavano recando. Ma almeno la sua famiglia si sarebbe presto riunita e forse insieme sarebbero riusciti giorno dopo giorno a ritrovare la pace. Si distolse da quel pensiero nel rendersi conto che tutto attorno era davvero silenzioso. Troppo silenzioso, per essere un bosco. Nessun canto di uccello, nessun fruscio tra i cespugli, nessun ramo spezzato. Nulla. Silenzio di tomba e la nebbia che si sollevava dal terreno rendendo pessima la visuale.
Rinaldo allungò un braccio verso di lui in un tacito ordine di fermare il cavallo. Ovviamente anche lui aveva capito che qualcosa non andava. Rimasero in attesa di un qualunque rumore, Ormanno si guardò attorno furtivo e Rinaldo mise mano alla spada. All’improvviso dal folto di un cespuglio arrivò una freccia che si conficcò dritta  nel petto di Ormanno. Mancò il cuore di poco.
“Ormanno! Da questa parte. Seguimi!” Gridò Rinaldo.
Ormanno, troppo turbato per provare dolore, si ritrovò ad eseguire l’ordine del padre automaticamente. Entrambi tirarono le redini per far cambiare direzione ai cavalli e poi li incitarono al galoppo. Avanzarono di un buon tratto, convinti di essersi lasciati alle spalle la minaccia. Qualunque essa fosse. Ma la realtà li contraddisse quando si ritrovarono davanti un gruppo di uomini armati che purtroppo entrambi riconobbero. Erano alcuni dei mercenari che Rinaldo aveva assoldato durante il governo della città. Uno fece uso dell’ascia per infliggere una ferita mortale al cavallo di Ormanno, il quale cadde a terra. Ormanno sbalzò dalla sella e rotolò sul terreno, la freccia che aveva sul petto si spezzò, ma la parte restante andò ancora più a fondo nella sua carne. Il dolore fu lancinante. Riuscì a tirarsi su, a sostenersi sulle ginocchia e i palmi delle mani. Non riusciva a pensare con lucidità, l’unica cosa che sapeva era che doveva mettersi in salvo. Ma ecco che ricevette un colpo di lancia nella schiena, tanto forte da farlo gridare e ricadere al suolo. Sentì il sapore del sangue salire dalla gola e uscirgli dalla bocca in un rivolo. Una mano lo afferrò alla spalla e lo costrinse a voltarsi. In una frazione di secondo poté vedere suo padre lottare con foga, spada alla mano, mentre quei vigliacchi dei mercenari lo accerchiavano e facevano di tutto per colpirlo, ma subito quell’immagine venne infranta da un dolore indescrivibile. Una lama gli attraversò l’addome col suo freddo metallo. Tutti i muscoli del corpo si tesero all’impatto, il viso divenne paonazzo e i suoi occhi si spalancarono. Il mondo attorno a lui divenne confuso, indistinto, e i suoni si fecero ovattati.
“Perché?” Fu tutto ciò che riuscì a chiedersi con la voce della mente. I suoi occhi incontrarono la luce del sole, il suo bianco bagliore gli tolse la vista. O forse gliene donò una nuova. Gli parve di scorgere una figura familiare all’interno di quella luce. Vi concentrò tutta la propria attenzione, come dimentico delle ferite e del dolore, fino a quando quella figura non divenne più nitida. Ora lo vedeva, Tommaso era là e lo stava guardando coi suoi occhi penetranti e un po’ da bambino. Aveva temuto di non rivederlo mia più e invece era proprio là. Era là per lui. Immerso in quella paradisiaca gioia, Ormanno perse coscienza del mondo terreno. Un guizzo di gioia gli attraversò gli occhi e dalle labbra esalò l’ultimo respiro.
Rinaldo lo vide, steso al suolo, privo di vita. Gli bastò un istante per capire che non gliene importava niente di chi o cosa fosse suo figlio. E che avrebbe voluto tornare indietro per rimediare ai propri errori, per dargli più affetto, più libertà. Tutto ciò che sapeva, ormai, era che non poteva scappare. I mercenari lo colpirono senza pietà, i suoi occhi si svuotarono. La fine giunse anche per lui.
*
Tommaso allungò il braccio e puntò il dito indice: “La vedi quella finestra? Là c’è la sala da giorno, mentre quella accanto è la cucina. Dalla parte opposta invece, sul retro, si trovano le camere la letto e…”
“Tommaso, tra poco lo vedrò personalmente!” Rise Stella, felice e divertita dalla situazione. Da quando erano usciti da Palazzo degli Albizzi, mano nella mano, lui l’aveva praticamente trascinata tanto era ansioso di rivedere la bottega in cui sarebbero andati ad abitare molto presto. Non vi aveva più messo piede dalla notte in cui morì lo speziale e non sapeva che cosa vi avrebbe trovato all’interno, però rivedere il luogo in cui era cresciuto lo riempiva di entusiasmo.
Giunsero alla porta dopo aver percorso l’ultimo tratto di corsa, entrambi ridendo come bambini. Tommaso mise mano alla cintola a cui aveva appeso la pesante chiave e fece per infilarla nella serratura quando udì delle voci che lo bloccarono.
“Ma allora è tutto vero?”
“Ti dico di sì! Il carro sta portando i corpi alla Cattedrale.”
“Oh povero ragazzo, almeno lui potevano risparmiarlo. In fondo non era colpevole come suo padre.”
Tommaso e Stella si scambiarono un’occhiata di sospetto.
“Non penserai che…?” Chiese lei, con un filo di voce.
Tommaso l’afferrò per la mano: “Andiamo.”
Si diedero alla corsa  e in un paio di minuti giunsero nei pressi della Cattedrale dove una folla si era riunita. Tra i bisbigli udirono chiaramente un lamento di donna. Si fecero spazio per riuscire ad avanzare e vedere di cosa si trattava. Stava passando un carro, seguito da un corteo di persone. Riconobbero Madonna Alessandra. Era in lacrime e una donna la stava sostenendo perché non cadesse a terra. Stella si portò una mano al petto, quando capì la situazione.
La mente di Tommaso, al contrario, si rifiutò di capire, ma quando il suo sguardo si posò sui due corpi privi di vita che erano dentro il carro, dovette guardare in faccia alla realtà. Gli mancò il respiro, si sentì tremare da capo a piedi.
Dalla parte opposta di dove si trovavano loro, all’ingresso della Cattedrale, vi erano le famiglie che avevano appena presenziato alla messa e che all’uscita si erano ritrovate di fronte quello spettacolo di morte. Fra loro anche i coniugi Pazzi. Con lo sguardo fisso e il corpo come pietrificato, Andrea sentiva il cuore rimbombargli nelle orecchie. Un rumore fastidioso, un susseguirsi di colpi che quasi gli ferivano la mente. Il cuore straziato dai sensi di colpa nei confronti di Ormanno per averlo tradito, per avergli voltato le spalle a causa di suo padre e per non aver nemmeno avuto la decenza di dirgli una parola gentile prima che se ne andasse.
A poca distanza, anche Lucrezia faceva da spettatrice. Avrebbe dovuto sentirsi realizzata, magari addirittura lieta di vedere la propria volontà esaudita, la propria vendetta ottenuta, invece tutto ciò che provava era una sensazione di freddo su ogni fibra del proprio corpo. Avrebbe voluto sprofondare in un mare di pentimento. Dio del cielo, che cosa aveva fatto?
  
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