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Autore: ClaireOwen    01/08/2017    2 recensioni
[Bellarke - Modern.AU]
“Mi dispiace.”
Sussurra timidamente.
E sa che dovrebbe porgere le sue scuse ad ognuno di loro ma vuole essere sicura che sia proprio lui ad udirle per primo.
Ad ogni modo se c'è una cosa che Bellamy Blake sa fare è stupire e stavolta lo fa riservandole un sorriso docile, spiazzante; china leggermente il capo, prega che nessuno si sia reso conto di quella sua impercettibile reazione perché di certo non è riconosciuto dagli altri come una di quelle persone affabili e gioiose, effettivamente non è dispensando sorrisi che il maggiore dei fratelli Blake si è guadagnato il rispetto da quel branco di scapestrati.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Octavia Blake, Raven Reyes, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XI
 
 
“Pensi che possa andare bene?”
Clarke osserva Raven rimanendo estasiata dalla sua eleganza.
La giovane donna è avvolta in un fine vestito blu notte, la stoffa in raso riflette in sgargianti sfumature ogni fascio di luce che incontri sul suo sentiero ed illumina in modo unico il volto tutt’altro che rilassato della moretta.
Annuisce, incapace di esprimersi, poi decide di prendersi ancora un attimo per guardarla: non l’ha mai vista così, la Raven sempre sicura di sé e spavalda ha lasciato spazio ad innumerevoli insicurezze e a una fragilità che non credeva potesse appartenerle.
Ma non c’è nulla di negativo in questo, Clarke infatti fa caso solo all’estrema tenerezza che avvolge la ragazza e forse prova un filo d’invidia nei confronti di quell’emozione così pura e genuina che l’amica proprio non riesce a nascondere.
“Sei perfetta Rav’.”
Sussurra quasi esterrefatta e sfoggiando un sorriso sincero.
Senza aspettare alcuna reazione la giovane Griffin poggia le sue labbra sulla guancia dell’amica e cerca di rassicurarla
“Andrà tutto bene. E se John dovesse fare qualche stupidaggine ne pagherà le conseguenze, posso assicurartelo.”
Raven annuisce, sul suo viso domina di nuovo la solita espressione decisa e determinata anche se la bionda sa che presto quel briciolo di fiducia in sé stessa scomparirà nuovamente.
“Ora però devo andare, non sei l’unica a doversi rendere presentabile.”
La mora annuisce e prima che l’altra possa abbandonare la stanza le afferra una mano.
“Grazie per tutto Clarke. Non so come avrei fatto senza di te, a dire il vero non so proprio cosa mi stia accadendo…”
Un velo di preoccupazione avvolge la frase e la bionda scuote appena la testa.
“Non pensarci nemmeno, non devi ringraziarmi.”
 
Mentre compie a ritroso la strada che la porterà a casa Clarke Griffin ripensa a Raven e all’ultima frase da lei pronunciata.
La sua mente fa il resto, ripercorre in modo fedele il dialogo affrontato pochi giorni prima con l’amica quando le ha svelato i dettagli che l’hanno portata ad accettare l’invito di Murphy.
 
“Non so dirti nemmeno io cosa sia scattato dentro me. Ho sempre visto John come un idiota, voglio dire, non ho tutti i torti non trovi? Ricordi com’era da ragazzino?”
“Decisamente insopportabile…”
Aveva semplicemente accennato Clarke ridacchiando.
“Ecco. Per me John è sempre stato solo ed esclusivamente quello. Quel ragazzo dagli occhi glaciali che se ne stava seduto in un angolo e guardava tutti dall’alto con scherno e plateale superiorità. Non importa cosa facevi, lui riusciva sempre a deriderti e a farti sembrare un perfetto idiota.”
Allora la bionda aveva annuito, non esistevano parole più aderenti per descriverlo ma dentro sé sentiva crescere la curiosità, voleva capire davvero cosa avesse visto poi l’amica in quel ragazzaccio che non si era mai soffermata a tentare di comprendere.
Effettivamente non si era dedicata molto a Murphy, lo aveva sempre visto solo come l’amico  esuberante di Bellamy e quando aveva iniziato a frequentare il suo gruppo non era di certo a lui che aveva rivolto la sua attenzione.
Il maggiore dei Blake infatti le aveva reso difficile tentare di soffermarsi sugli altri dato che riusciva a calamitare sempre l’attenzione su sé stesso, in particolare con lei, visto che non le aveva mai lasciato un attimo di pace.
Era stata talmente assorta dal combattere la sua battaglia personale contro l’arroganza e l’astio unico riservatole dal moro che per un lungo periodo tutto il resto della comitiva non era stato che di contorno.
 
La bionda allora si ritrova a strizzare gli occhi, si spreme le meningi e cerca di riesumare ricordi che comprendano il giovanissimo John Murphy.
Nella sua mente però ancora una volta riesce ad intravedere solo la figura longilinea di Bellamy Blake.
Così lo ricorda mentre sbuffa ed alza gli occhi al cielo quando lei, per la primissima volta, si siede al loro tavolo a mensa.
O intento a sbattersi rumorosamente alle spalle la porta della sua camera lasciando fuori lei ed Octavia.
Lo rivede cambiare espressione, irrigidirsi, nascondere il suo sorriso ogni qual volta i loro occhi s’incontrano per poi fuggire in sguardi lontani e piccati.
Riconosce il tono della voce scostante e pregno di sarcasmo, pronto a controbattere ogni sua proposta per passare un sabato sera differente dai soliti.
Nulla.
Ricorda John solo come la spalla del maggiore dei Blake, pronto a prendersi gioco di chiunque sia sotto la mira dell’amico ma nulla più.
Poi però le parole di Raven la conducono nuovamente nella giusta direzione, l’aiutano a far sfumare l’immagine di Bellamy.
 
“Le cose però sono cambiate quando i fratelli Blake sono andati via. Tu all’epoca non eri ancora sempre con noi e forse non sei riuscita a cogliere pienamente ciò che è successo a John. E’ come se solo dopo la partenza di Bell fosse riuscito a ritrovarsi. Improvvisamente si è fatto carico di tutto ciò a cui aveva sempre pensato Bellamy. Ci ha tenuti uniti, sai? Si è persino preoccupato per te…”
Clarke aveva alzato un sopracciglio e la sua espressione aveva preso le forme della sorpresa, lei non si era curata mai abbastanza di lui e quel ragazzo aveva persino mostrato una sorta di interesse nei suoi confronti.
“E’ stato lui a pregarci di non lasciarti indietro. Ricordi quando t’invitavamo alle feste del college? O quando organizzavamo le serate-cinema a casa di Jasper? Era sempre John a ricordarci di scriverti o chiamarti.”
Nel dire ciò Raven si era morsa un labbro, era evidente che provava un seppur sottile senso di colpa ma Clarke non era riuscita a biasimarla.
Nemmeno lei li aveva cercati del resto, non così tanto.
Erano più grandi, facevano una vita differente e soprattutto erano stati suoi amici solo per via di Octavia e Bellamy. Se non fosse stato per i fratelli Blake chissà, forse lei non si sarebbe mai avvicinata a dei tipi così.
Perciò era rimasta in silenzio, aveva annuito appena e si era preoccupata di comunicare con i suoi occhi che ormai non c’era nulla di cui vergognarsi, ne era passato di tempo e le cose, nel bene o nel male, si erano sistemate.
“Pensava ad ogni cosa e lo faceva in modo silenzioso, mantenendo per tutto il resto del tempo la sua abituale maschera da guastafeste patentato. Continuava a rendersi insopportabile con le sue battute stupide, i suoi sbeffeggiamenti e la sua aria da ‘nessuno può ferirmi, sono John Murphy, diamine! Ma io si che posso fregarvi… E lo farò a dovere’. E alla fine abbiamo capito che quel suo modo di essere era tutto ciò che ci teneva uniti. Quando ci annoiavamo a morte e restavamo bivaccati per ore sul divano di Harper lui tirava fuori una qualsiasi osservazione idiota, offensiva nella maggior parte dei casi, ma che alla fine ci faceva ridere a crepapelle, o quanto meno ci risvegliava dal torpore perché poi qualcuno finiva sempre per alzarsi provando ad acciuffarlo, per ricordargli che no, non poteva fregarci, non sempre. Solitamente ero io a farlo…”
A quel punto la moretta aveva abbassato lo sguardo e un leggero sorriso aveva rivolto all’insù il profilo delle sue labbra carnose.
Effettivamente era vero, Raven era l’unica che da sempre era riuscita a tener testa all’esuberanza di John Murphy.
A Bellamy bastava uno sguardo per azzittirlo o bloccarlo ma quella era un’altra storia, il subordinamento di uno all’altro era un risultato naturale e spontaneo dovuto probabilmente alla stima che John nutriva nei confronti dell’innata ed innegabile indole da leader che il maggiore dei Blake sfoggiava con un certo vanto e con la giusta dose di spontaneità.
Per Raven era diverso.
La sua forza caratteriale, il suo amore per la collettività, la sua forza interiore si era sempre contrapposta al cieco arrivismo di Murphy, al bieco egoismo di quel ragazzo snello e dagli occhi chiari e pungenti che tanto si divertiva a farsi beffa degli altri se non per cattiveria – quello non era certo un aggettivo adatto alla sua persona – almeno per banale noia.
Ed ora, finalmente Clarke riusciva a captare i dettagli delle sue memorie, in ognuna di esse la sua amica era effettivamente l’unica che tentava e riusciva a tener testa alle innumerevoli fuoriuscite del giovane Murphy.
Erano bastati quei pochi istanti e subito la giovane Reyes, dopo aver inspirato profondamente, ricominciò da dove si era interrotta
“Non l’ho notato subito, sai? Ci è voluto tempo, anni direi. Siamo cresciuti insieme, tanto da non rendercene davvero conto, non subito. Poi un giorno, all’improvviso ti svegli e ti accorgi di quanto tutto il mondo attorno a te sia cambiato, di quanto ogni singola persona sia maturata. John è stato il primo forse, il primo a trovarsi un lavoro vero, un posto fisso. A comprarsi un buco lontano da quella periferia nella quale siamo cresciuti e a renderlo una casa presentabile, tanto da invitarci a cena, ti ricordi?”
Era stata una domanda retorica la sua, una pausa enfatica durante la quale però Clarke non aveva potuto fare a meno di annuire.
“Era stato così premuroso da includere Lexa nell’invito.”
La bionda aveva deglutito rumorosamente allora, quel dettaglio le squarciava in due il petto ravvivandole la memoria più del dovuto.
Ma Raven che se ne era prontamente accorta, in fretta e furia aveva ripreso il discorso
“Vedi, il fatto è che John non ha voluto renderlo manifesto ma è stato il primo a diventare adulto, a lasciarsi alle spalle il passato e soprattutto a farsi carico di tutto ciò che comportava una scelta simile. Nessuno lo ha notato perché lui è stato maledettamente bravo a non farcelo pesare…”
A quel punto Clarke aveva notato le mani di Raven, le dita affusolate non riuscivano a star ferme, si muovevano da sole intrecciandosi, incontrandosi e contorcendosi tra loro in una danza dominata dall’imbarazzo e da una lieve ansia.
“Stai serena Rav’. Non c’è bisogno che tu vada oltre. Credo di aver capito.”
“Qualche sera fa siamo rimasti soli al pub. Monty e Harper hanno tagliato la corda quasi subito, Jasper non era venuto e Bellamy è tornato a casa prima preoccupato per Octavia che a quanto pare ha deciso di snobbarci tutti…”
Clarke si era umettata le labbra, sapeva che O’ non stava evitando tutti ma lei e, volente o nolente, lei stava imitando il suo identico gioco.
“Comunque per o motivo o per l’altro ci siamo ritrovati soli. In condizioni normali saremmo tornati a casa un po’ avviliti ma è stato strano, tutt’altro che normale. Non avevamo affatto sonno e così abbiamo deciso di prenderci l’ultima birra e abbiamo cominciato a camminare senza una vera meta. Ci siamo ritrovati al belvedere, dall’altra parte della città, senza nemmeno rendercene conto. Abbiamo parlato talmente tanto che il tempo ha cominciato a divenire un po’ meno universale. Mi sembravano passati minuti ed invece eravamo lì da ore. John mi ha raccontato così tanto di sé ed io non sapevo nulla. E’ come se prima dell’altro giorno non lo avessi mai conosciuto realmente. Per esempio non sapevo che da bambino era stato per un periodo in affido; suo padre era un piccolo criminale, un ladruncolo da quel che mi ha detto e sua madre per qualche anno ha tentato di redimerlo, lasciandosi tutto alle spalle, persino lui. Finalmente sono riuscita a capire e se vuoi a giustificare alcuni lati dei suoi atteggiamenti peggiori. Non lo so Clarke… E’ come se improvvisamente di fronte a me fosse apparsa una persona completamente differente, o meglio, lui è stato sempre lì, non è diverso, solo molto più profondo rispetto a ciò che ama dimostrarci e nessuno di noi è stato davvero in grado di osservarlo per quello che è.”
Le frasi uscivano dalla bocca di Raven alla velocità della luce tanto che Clarke Griffin aveva provato a tranquillizzarla ancora una volta.
“Respira Rav’, non vado da nessuna parte…”
Sapeva che quella velocità e quell’agitazione erano causate più dall’emozione che da qualsiasi altra cosa, si notava dal modo in cui Raven scandiva ogni parola, sembrava fremere, era come se non vedesse l’ora di arrivare alla fine della sua personalissima odissea con Murphy.
Quindi quando aveva ascoltato l’amica rassicurarla, aveva semplicemente annuito più volte sbattendo in fretta le palpebre.
Aveva poi ripreso piuttosto in fretta, come del tutto incapace di mettere in pratica il consiglio della Griffin.
“Così è arrivata l’alba e allora sì, ci siamo finalmente stancati. Quando il sole ha invaso la città, illuminando i nostri visi tirati per la nottata insonne appena trascorsa, ci siamo guardati come se prima di quel giorno non l’avessimo mai fatto. Al buio è facile raccontarsi, parlarsi; è quando viene il giorno che ci vuole un gran fegato. E John a quel punto mi ha chiesto di andare con lui alla reunion, sempre se non avessi altri progetti. Ed io ho riso perché andiamo, quali altri progetti potevo avere? E ho detto sì, non ci ho pensato, capisci? E’ stato del tutto spontaneo, in un certo senso credevo di averlo sempre desiderato…”
“E adesso?”
Clarke odiava rovinare i momenti ma Rav era una delle sue più care amiche e non poteva permettersi di vederla soffrire, egoisticamente, temeva che se anche lei si fosse fatta male, sarebbero andate a fondo insieme.
“E adesso… Non so, ho solo paura di non riuscire a trovare ancora quella magia ma cerco di essere confidente.”
E allora la bionda l’aveva abbracciata forte sorridendo, Raven si meritava davvero quella felicità che trepidava dalle sue parole, che scoppiettava riempiendo la stanza di aspettative e sogni e quell’abbraccio voleva essere un porta fortuna.
 
 
-
 
 
Guarda Octavia dirigersi verso la macchina ed i suoi occhi riescono ad essere solo pieni di orgoglio.
Non sarebbe mai andato a quell’inutile pagliacciata, altresì detta ‘festa’, se non fosse per lei ma vederle quello sguardo addosso sta ripagando il suo sacrificio più di ogni altra cosa.
Sua sorella apre la portiera e subito l’aria si riempie di una strana ed elettrizzante gioia.
“Wow.”
Sibila lei osservandolo attentamente.
Bellamy sorregge il suo sguardo alla perfezione, quasi con fierezza.
“Sembri una persona nuova.”
Constata lei ridacchiando.
Deve essere per via di quella stupida camicia celeste polvere che suo padre lo ha letteralmente obbligato ad indossare.
“Anche tu non scherzi sorellina.”
E fa per avvicinarsi e scompigliarle appena i capelli con la mano, un gesto che risale alle origini di quel rapporto fraterno così elementare, ma la ragazza dai riflessi più che pronti lo precede e gli blocca il polso con una presa decisa e forte, più di quanto potesse aspettarsi.
“Non provarci nemmeno Bell, sai quanto ci ho messo a fare questa maledetta piega?”
E allora il maggiore dei Blake si ritrova a ridere e forse comincia quasi ad essere felice di aver compiuto quel ‘sacrificio’ che tanto ha cercato di far pesare ad O’ nelle giornate precedenti.
“Andiamo?”
Continua lei, dopo aver riaccompagnato la mano del giovane sul volante con una mossa delicata.
Lui inspira, l’aria fresca e leggera della sera gli riempie i polmoni ed annuisce.
“Dannato di un John.”
Borbotta.
Octavia gli rivolge uno sguardo curioso.
“Non sono più abituato a guidare così.”
Otto anni in Australia hanno sortito il loro effetto e guidare a destra risulta adesso una sfida infernale per il maggiore dei Blake.
Tuttavia il giovane uomo mette in moto prima che possa ripensarci, ingrana la prima e parte, lasciandosi alle spalle dimora e tramonto.
“A proposito sei riuscito a scoprire con chi ci tradisce Murphy?”
Oh sì che lo ha scoperto.
Vorrebbe sfoggiare un sorriso furbo da chi la sa lunga ma invece tiene lo sguardo fisso sulla strada e si morde il labbro superiore.
 
 
Quando John lo ha invitato a cena l’altra sera, dopo il corso di Clarke, non si aspettava nulla di tutto ciò che poi è accaduto.
Immaginava semplicemente la solita serata dominata da junk food  e dall’unica cosa di qualità che si riesce a trovare nell’appartamento del suo migliore amico: una classica e mai deludente bottiglia di Scotch.
Invece quando ha messo piede nella piccola casa, John lo ha accolto di spalle, intento a non far scuocere gli spaghetti.
Era incredibile ma un profumino niente male aleggiava per tutta la stanza.
“Cosa sta succedendo J.? Sicuro di stare bene?”
Bellamy Blake del resto era ancora l’unica persona in grado di sbeffeggiarlo a dovere.
“Molto divertente Blake. Davvero. Qui c’è chi si sbatte per tirar su una cenetta da leccarsi i baffi e tu ringrazi così?”
La risposta era stata una pacca sulla spalla, poi il moro senza chiedere permesso – non ce n’era davvero bisogno – aveva preso posto sedendosi sul pianale della cucina a penisola e osservando le sue gambe penzolare aveva chiesto
“Quindi a cosa dobbiamo tutta questa roba da adulti?”
Murphy allora aveva alzato gli occhi al cielo e Bellamy era riuscito subito ad intuire che quindi c’era davvero qualcosa per cui festeggiare.
Solo poco dopo aveva ripensato alle parole di Octavia Il fatto è che Murphy ci ha dato buca.
Il punto è che il maggiore dei Blake aveva avuto altro a cui pensare e per un po’ aveva deliberatamente dimenticato tutto il resto.
Il pomeriggio era stato denso.
C’era stata quella ragazzina: Charlotte e poi Clarke con il suo dolore.
No, nella sua mente non c’era stato molto spazio per altro.
Non aveva fatto altro che ripensare a quell’episodio, allo scontro iniziale, alla pena repressa di quella ragazza che era ancora maledettamente in grado di avere su di lui un ascendente fin troppo forte.
Si era sentito in colpa quando lei gli aveva detto che le cose con la sua ragazza non andavano bene, quella frase gli aveva donato un’insolita speranza e si odiava per quello.
Clarke era visibilmente provata e lui, sebbene sentisse il peso della sua sofferenza, non riusciva ad essere triste per lei.
Non che fosse felice ovviamente, come poteva esserlo?
In verità vederla così lo aveva distrutto eppure non si poteva dire disperato, anzi egoisticamente si sentiva sollevato, nella sua testa tutta quella faccenda aveva preso un solo significato: forse, chissà quando, avrebbero potuto ricominciare, riprendere da dove tutto era iniziato, da dove ogni cosa si era bruscamente interrotta, colmare quella distanza logorata dagli anni e dai chilometri.
Non era certo pronto ad ammetterlo a voce alta ma riconosceva perfettamente che una parte di sé, non trascurabile, nutriva ardentemente quella speranza, vi si aggrappava con tutte le forze.
Ma ora, almeno per quella sera, avrebbe dovuto mettere da parte le sue congetture e concentrarsi sull’amico.
 
Così non lo aveva spinto a parlare, non subito almeno, per un po’ era riuscito a nascondere la sua curiosità, ad aspettare che John fosse pronto.
E l’attesa valse la sorpresa.
Avevano finito di mangiare da un pezzo quando Murphy, solo dopo aver sorseggiato una discreta quantità di whiskey, si decise a sputare fuori il rospo.
“Volevo un tuo parere su una cosa.”
Bellamy si stava passando tra le mani il bicchierino contenente il liquido ambrato, era restio ad ingurgitarne il contenuto, dopotutto bere non era più la sua cosa preferita da quando la vicenda di Mike aveva scombussolato a dovere la vita dell’intera famiglia Blake.
“Dimmi ma sappi che mi stai facendo preoccupare!”
Non era serio, ancora una volta stava utilizzando l’ironia per stemperare il clima che appariva esageratamente solenne.
“Qualche sera fa avrei chiesto a Raven di venire con me al decennale.”
A quell’annuncio Bellamy aveva aggrottato le sopracciglia, era un’informazione piuttosto semplice da immagazzinare eppure stava facendo un’immensa fatica.
“Aspetta… Avresti o hai?”
John era stato veloce a far cadere il suo sguardo limpido sulle sue dita che ticchettavano velocemente sul vetro del bicchiere.
“La seconda.”
A quel punto il maggiore dei Blake era piuttosto confuso ma decise di non darlo a vedere.
Non solo vedeva l’accoppiata Reyes-Murphy come un qualcosa di metafisico ma inevitabilmente i suoi pensieri lo avevano riportato a quando, accidentalmente, lui e Raven erano inciampati nello stesso letto durante un festino all’inizio del quarto anno.
Una cosa da niente, decisamente influenzata dall’eccessivo tasso alcolico nel loro sangue ma comunque non del tutto trascurabile, non in quel caso almeno.
“E quindi vorresti la mia opinione.”
Murphy aveva annuito e tenendo ancora lo sguardo lontano da lui aveva precisato
“Si. Voglio dire sei l’unico che ha avuto con lei un qualche rapporto.”
“Dio… Frena un attimo J. Stiamo parlando di quasi dieci anni fa appunto… E poi non definirei come ‘relazionarsi’ quello che c’è stato tra me e lei…”
Ai suoi occhi sembrava davvero un’eternità e non riusciva a capire come a Murphy fosse venuto in mente di riesumare un tale periodo della sua vita.
“Appunto, vorrei solo capire perché tra voi non è andata, chiedo troppo?”
Bellamy aveva sospirato e alla fine si era abbandonato al sapore forte dello Scotch, ne aveva dannatamente bisogno o non sarebbe mai riuscito a fornire una risposta decente al suo amico.
Si stava massaggiando le tempie in cerca di una spiegazione convincente… Sapeva bene cos’è che non avrebbe mai potuto funzionare tra lui e Raven e la risposta, ancora una volta, vantava un nome ed un cognome: Clarke Griffin.
 
 
Quando Bellamy aveva accolto tra le sue braccia una giovanissima Reyes era del tutto andato, le immagini di quella notte infatti apparivano ormai tutt’altro che lucide.
Ricordava ancora il modo in cui Raven gli aveva ordinato di togliersi i vestiti, la voce impastata e la pelle lucida, imperlata dal sudore ricavato da un ballo sfrenato nel quale i due si erano immersi.
Rammentava anche il calore del corpo sinuoso della ragazza colmo di rabbia per chissà quale torto subito da chissà quale ragazzo, all’epoca i due non erano dei gran chiacchieroni e in quel momento avevano completamente evitato qualsiasi commento.
Gli tornavano alla mente i baci umidi, ancora inesperti dominati da un istinto ormonale più che sentimentale.
Poi più nulla, durante quell’incontro - o forse sarebbe stato meglio definirlo scontro - di corpi la sua mente si era completamente spenta e, a distanza di anni, non riusciva a recuperare più nulla.
Ricordava però ciò che era accaduto subito dopo: la fretta con cui Raven si era rivestita, le lenzuola ancora umide, il suo corpo rimasto nudo al buio per un tempo che appariva indecifrabile e il silenzio assordante che dominava la casa.
La moretta se n’era andata chiudendosi la porta alle spalle con nonchalance, non lo aveva degnato di uno sguardo, non aveva parlato, si era solo scostata da lui freddamente e in punta di piedi lo aveva lasciato indietro.
Chi affermava che il sesso si basa sull’intimità tra due persone doveva essere fuori di testa, ecco cosa si era permesso di pensare dopo quell’assurda esperienza.
Rimasto solo però aveva dovuto far fronte alla verità: Raven Reyes era bellissima, perfetta, un uragano di passione ed energia ma lui non era riuscito a godere della sua sensualità nemmeno un po’, tutto ciò che aveva fatto con lei era stato meccanico, quasi cinicamente calcolato. Eppure qualunque ragazzo del loro anno avrebbe dato qualsiasi cosa per passare una notte simile e invece alla fine Bellamy si era semplicemente ritrovato disteso su quel letto freddo senza riuscire a provare nulla, non un battito fuori posto, non un sospiro, zero.
A quel punto sapeva che il sonno sarebbe sopraggiunto da un momento all’altro, non aveva la più pallida idea di che ore fossero ma era ben conscio che quando lui e la giovane Reyes si erano allontanati dalla combriccola, la festa stava giungendo alla fase crepuscolare.
Percepiva solo il suo corpo intorpidito e pian piano sentì gli occhi farsi più pesanti.
Fu in quel momento, mentre la sua mente attraversava il limbo tra la veglia e i sogni, che i ricordi risalenti a nemmeno un mese prima vennero a fargli visita.
Improvvisamente si ritrovò catapultato nel prato del parco dei Platani, quello dove la loro corsa contro il tempo era terminata quando Clarke Griffin li aveva messi nei guai.
Riusciva a riconoscere la sensazione dell’erba che solleticava la sua pelle, poi vide due occhi enormi e limpidi dalle sfumature azzurre irrompere nella sua memoria e tutto perse importanza.
Quegli occhi lo condussero lontano, gli donarono un fremito, lo stesso che Raven gli aveva negato seppur inconsapevolmente e gli fecero perdere definitivamente il contatto con la realtà circostante.
 
 
“Non eravamo compatibili John ed è stato un bene capirlo al volo.”
Le labbra del suo amico si erano fatte sottili, il suo sguardo finalmente era risalito a quello del giovane Blake
“Quindi non sei infastidito o che so io?”
Per poco Bellamy non si era ritrovato a sputare su tutto il tavolo l’ultimo sorso che aveva deciso di concedersi prima di tagliare la corda definitivamente.
“Oh Cristo santo Murphy! Come ti viene in mente? Devo ancora ripeterti che stiamo parlando di una cosa accaduta più di nove anni fa?”
L’altro aveva risposto annuendo e un sorriso sghembo si era fatto largo sulla sua bocca.
Inevitabilmente il maggiore dei Blake si era ritrovato a chiedersi se il suo amico potesse   davvero essersi invaghito di Raven Reyes a tal punto ma subito dopo aveva deciso di non indagare oltre, di non forzare la mano, del resto non ce n’era bisogno.
 
 
Bellamy ritorna al presente solo quando sua sorella gli regala un pizzicotto sulla guancia
“Allora sai qualcosa: si o no?”
Il maggiore dei Blake scuote la testa.
Eccola un’altra innocente bugia.
“Immagino che lo scopriremo presto però!”
 
 
-
 
Quando entra nel locale, poco distante dal loro vecchio liceo e troppo lontano da casa sua, Clarke si sente subito fuori luogo, completamente a disagio.
La musica è forte, rimbomba nelle sue orecchie rendendole quasi impossibile sentire il suono dei suoi stessi pensieri.
Un’orda di gente l’accoglie, percepisce l’odore aspro che ogni singolo corpo in movimento emana mischiato ai forti aromi tipici dei long-drinks; le luci basse poi le rendono difficile orientarsi e la testa le gira già senza il bisogno di essere aiutata da alcuna sostanza alcolica.
Mentre meccanicamente si dirige verso quello che deve essere il guardaroba, rimpiange di aver mantenuto la promessa fatta a Raven.
Si toglie la giacca in fretta e furia, lasciandola al custode in cambio del solito bigliettino verde numerato: 100.
Il tempismo non è mai stato il suo forte e non si stupisce se già altri novantanove ex compagni di liceo l’abbiano preceduta.
Si chiede subito se ci sia qualcuno di sua conoscenza.
L’idea di essere sola la spaventa a morte, si sente vulnerabile e tremendamente impacciata.
Inevitabilmente percepisce quella stessa identica sensazione provata anni addietro al Senior Prom: può rivedersi seduta sugli spalti della scuola con un bicchiere di punch in mano, annoiata e pentita per non non aver scelto di rimanere a casa.
Quella sera però le cose andarono fin troppo bene, conobbe Lexa…
Ma non ha bisogno di rammentarlo, la sua memoria in quei giorni ha dimostrato di essere molto tenace per certe cose e Clarke Griffin in quel preciso istante vorrebbe solo perderla del tutto.
Ricordare la sua ex proprio adesso, l’unica persona ad essere stata in grado di starle accanto in qualsiasi situazione, quando tutti i suoi amici invece sembrano pronti a voltare pagina, ad inseguire nuove ed improbabili presenze nelle loro vite, le fa sentire ancora di più quella solitudine opprimente che si avverte soprattutto quando ci si ritrova isolati in mezzo ad una folla gremita di persone pronte a divertirsi.
Le sue gambe, probabilmente stimolate dalla moltitudine di pensieri affatto positivi, l’hanno condotta senza chiedere alcun permesso dritta al bancone.
Qui una ragazza esile, mora con gli occhi di un colore indefinibile le chiede cortesemente
“Cosa posso prepararti?”
Clarke la scruta, è incredibile che la sola persona che le abbia rivolto la parola in modo gentile in quel luogo sia una perfetta sconosciuta, sa benissimo che è tenuta ad essere cortese, del resto è il suo lavoro ma continua a pensarci mentre in modo non altrettanto cordiale sillaba
“Un Bourbon… Liscio, senza ghiaccio.”
La ragazza allora aggrotta le sopracciglia e la giovane Griffin capisce subito cosa la turba.
Nessuno chiede un Bourbon ad una festa che dovrebbe ricordare i bei tempi andati del liceo, la consuetudine vuole che ci si accontenti di qualche cocktail classico, gli stessi che si prendevano da minorenni con i documenti falsi e di cui si conoscevano i nomi alla perfezione, sapevano tutti che indugiare avrebbe portato allo scoperto.
Ma nonostante una prima esitazione la giovane si appresta a servire la bevanda richiesta e Clarke sorride compiaciuta, non vorrebbe, ma è spontaneo e non ha la forza di ricomporsi.
“Sono l’unico a pensare che il dj sia davvero un incapace?”
La bionda a quel punto non ha bisogno di voltarsi per riconoscere il proprietario di quel pensiero e si ritrova a tirare un sospiro di sollievo.
“Non potrei essere più d’accordo Jas’!”
Si volta alzando il bicchiere in aria ed il ragazzo scrolla le spalle
“Non si brinda soli, aspetta un attimo.”
Il giovane Jordan s’impossessa dello sgabello posto affianco all’amica e poggia con un gesto teatrale e deciso i gomiti sul bancone in legno lucido.
Per pochi istanti non si cura di lei e volge la sua attenzione al di là del bar, poi come folgorato si volta e guarda Clarke sorridendo esageratamente.
“Che c’è?”
Quella domanda è mossa da naturale curiosità ed il giovane si avvicina a lei per sussurrare qualcosa al suo orecchio.
“La domanda più precisa sarebbe chi. No dico, ma l’hai vista?!”
La bionda si allontana appena e rivolge il suo sguardo dove Jasper l’ha appena invitata a concentrarsi.
Ci vogliono pochi secondi perché capisca a cosa, o meglio a chi, si stia riferendo il ragazzo: la barman moretta che l’ha servita poco prima deve essere la sua nuovissima preda.
In pochi istanti il soggetto di tante attenzioni è nuovamente al loro cospetto e Jordan non perde un attimo
Si sporge verso di lei per leggere la spilla con il nome che la ragazza tiene appuntata sulla polo da cameriera.
“Maya giusto?”
Lei annuisce sorridendo
“Bene Maya, lascio a te la scelta, mi fido delle tue capacità: stupiscimi con il tuo miglior cocktail.”
Clarke vorrebbe sotterrarsi, aveva rimosso quanto fosse imbarazzante guardare gli altri flirtare e lo realizza quando la giovane Maya abbassa il suo sguardo rapita dalle parole di Jasper e gli sorride più del dovuto.
L’amico invece sembra non far caso al lieve fastidio che la Griffin cerca di nascondere educatamente e riprende velocemente il discorso
“Insomma, come va? Non ti ho vista molto in giro ultimamente.”
“Effettivamente ho avuto un gran da fare…”
“Bhè stasera però non bisogna pensarci!”
Ridacchia entusiasmato e Clarke vorrebbe assecondarlo, provare anche un millesimo di quella spensieratezza ma non riesce proprio a condividere la sua gioia e così si ritrova ad annuire in modo poco motivato.
“Allora…” Riprende lui il discorso apparentemente noncurante della reazione poco coinvolta dell’amica e continuando a fissare il vero soggetto del suo interesse
 “Verrà anche Lexa stasera?”
La leggerezza con cui Jasper avanza quella domanda provoca dentro Clarke il doppio dello strazio che finora ha tentato di scacciare insistentemente.
Le sue difese ora sono troppo basse e sente l’aria mancarle, non riesce a provare nient’altro che pena mentre butta giù il residuo nel suo bicchiere e cerca mentalmente una via di fuga.
Fortunatamente il tempismo di Maya riesce a salvarla, proprio mentre sta richiamando l’attenzione del giovane Jordan per avvertirlo che il cocktail è pronto, la bionda riesce a svignarsela con una scusa classica e indolore
“Scusa Jas’ devo assolutamente andare in bagno, ti lascio in buona compagnia tanto, no?”
Non si prende il tempo per ascoltare la risposta del ragazzo, in pochi secondi riesce a visualizzare solo un luogo: la porta di accesso di quel sudicio locale.
Ha solo bisogno di aria fresca si convince, di respirare e soprattutto di un po’ di silenzio.
Clarke Griffin allora corre, sperando con tutta sé stessa che la meta sia in grado di fornirle la tanto desiderata serenità.
 
 
-
 
 
Bellamy spegne la macchina di suo padre assaporando l’ultimo momento di tranquillità.
Alle sue orecchie arriva il rumore indistinto della musica che rimbomba tra le pareti del locale.
E’ solo nel parcheggio buio, sua sorella gli ha dato a stento il tempo di arrivare che subito è scesa dall’autovettura correndo verso l’entrata del locale.
Il ragazzo controlla velocemente il cellulare sperando di trovare un messaggio di John ma ovviamente del suo amico non c’è alcuna notizia.
Cerca di sorridere, dovrebbe essere felice per lui ma sente un principio d’ansia impossessarsi del suo corpo che gli impedisce di reagire come vorrebbe.
Bellamy Blake ha solo un problema, lo ha sempre avuto da quando ne ha memoria: non sopporta l’incognito e si da il caso che questa serata incarni esattamente il suo timore.
Non sa cosa aspettarsi, non sa chi rivedrà, con chi si ritroverà a parlare della propria vita ed odia la sensazione di non avere tutto sotto il suo controllo.
Cosa succederebbe se incontrasse Echo o Atom?
Cos’è che dovrebbe raccontare?
I suoi fallimenti?
Il suo aver passato ben otto anni a rimediare ai problemi altrui?
La sua mente sembra fare l’impossibile per allontanarlo da quel luogo, potrebbe fare marcia indietro, tornare a casa, non c’è spazio per lui lì, ne è convinto, ognuno ha trovato il suo fottutissimo posto al mondo ormai, ha la sua vita da sfoggiare con orgoglio e di cui vantarsi, tutti… tranne lui.
Ma nonostante ciò le sue gambe avanzano, Bellamy Blake non si tira certo indietro, non importa se sia perseguitato dalla paura del fallimento, non può arrendersi senza combattere.
Varca così il cancello del locale e rimane fermo lì ancora per qualche istante, i piedi ben aderenti sul terriccio, dondolandosi appena si guarda intorno: un’orda di persone è accalcata vicino la porta d’ingresso ed il maggiore dei Blake decide di concedersi un sospiro prima di rimettersi in marcia.
 
Eppure, prima che possa realizzarlo, accade qualcosa: basta una frazione di secondo affinché tutto cambi, ogni dubbio, ogni incertezza, ogni domanda scompaiono velocemente.
Sente una nuova pressione sul suo cuore.
La vista si offusca ed un calore improvviso lo avvolge.
Un impatto forte ed impetuoso lo ha fatto proprio e adesso sente due mani stringersi al proprio collo, poi un profumo lo inebria all’istante:
fiori d’arancio.
Si permette di aprire gli occhi solo ora, non si era nemmeno reso conto di averli tenuti chiusi, riconosce la capigliatura dorata che disordinatamente sfiora le spalle di Clarke e s’incastra tra il proprio petto ed il suo collo.
Le braccia che ha tenuto lungo il suo profilo per tutto il tempo adesso decidono di avvinghiarsi su quel corpo, di rispondere a quel contatto così inaspettato, così fisico e straripante di bisogni.

In quel momento non esiste più nulla, sente i pensieri spegnersi ed il cuore pulsare.


Angolo autrice:
Non riesco ad essere puntuale e voi dovete perdonarmi.
Non credevo di metterci tanto ma così è stato per i più vari motivi: da partenze improvvisate sino all'immancabile crisi d'ispirazione - ho preferito aspettare piuttosto che forzare le cose!
Ma ora ci siamo e spero che questo capitolo non vi abbia deluso.
L'idea iniziale era quella di concentrarmi solo sul party ma, non volevo lasciare in sospeso le altre storyline e ci meritavamo tutti un approfondimento sui Murven, giusto?
Volevo solo dirvi che nel prossimo capitolo verranno chiarite un po' di cose ma vi anticipo ciò che mi sta più a cuore ovvero l'abbraccio Bellarke.
Vi prego di non leggerlo come un ripiego da parte di Clarke perché non è affatto così anche se potrebbe sembrare!
Bellamy è l'unica persona in grado di sostenerla in un tale momento di crisi ed il fato si è occupato del resto, posso dire solo questo ma ci tenevo a farlo presente :)
Per il resto aspetto qualsiasi vostra reazione!
Nel frattempo vi abbraccio e vi ringrazio tuttitutti.

Vostra Chiara.



 

 
   
 
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