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Autore: JacquelineKeller01    02/08/2017    2 recensioni
[MOMENTANEAMENTE SOSPESA]
Lea ha diciassette anni quando torna nella sua città natale in seguito ad alcuni problemi familiari. Tutto ciò che vuole, dopo un anno intero passato a guardarsi le spalle, è recuperare il rapporto con suo padre e un po' di sano relax. Ma sin da subito il destino sembra prendere un'altra piega.
Isaac è l'essere più irritante che Lea abbia mai incontrato nella sua vita, con quella sua arroganza e i repentini cambiamenti di umore, porterà novità e scompiglio nella vita della giovane.
Tra un rapporto che fatica ad instaurarsi, vecchie ferite non ancora del tutto sanate ed un patrigno che sembra darle la caccia, Lea si ritroverà ad affrontare sentimenti che non sapeva essere in grado di provare, specialmente non per uno come Isaac Hall.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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«Sei la mia rovina, Lea Wilson.»
Lea boccheggiò per un istante, distogliendo lo sguardo.
In altre occasioni non le sarebbe rimasto tanto difficile crederlo, era già pienamente consapevole di portare orrore e disastro ovunque andasse, ma in quel determinato momento sapeva bene Isaac stava parlando solo ed esclusivamente per rabbia. Scaricava su di lei tutto il risentimento che provava contro suo padre e contro Norman Hall.
…Questo, però, non significava facesse meno male.
«Se allontanarmi è quello che stai cercando di fare, sappi che non funzionerà.» Esclamò perentoria, muovendo nuovamente un passo all’avanti. Questa volta il giovane restò dove era. «Per tutto questo tempo, non ho fatto altro che scappare davanti alla prima difficoltà, ma adesso basta. Sono stanca di scappare. Se vuoi che me ne vada, dovrai portarmi a forza via di qui.»
Isaac si passò una mano sul mento, spostando lo sguardo altrove.
Provava sentimenti contrastanti nei suoi confronti. Il petto gli diceva di mandarla al diavolo ed andarsene lui, la testa gli suggeriva di pensare razionalmente e non scaricare su di lei lo sbaglio di qualcun altro…
Cosa avrebbe dovuto fare?
«Perché lo fai?» Domandò, dopo una breve pausa. Il suo tono di voce era rabbioso ed aggressivo. Un mastino pronto all’attacco. «Sono per caso la tua buona azione del mese? Un atto di beneficenza?» Non voleva accanto a se qualcun altro che lo compatisse.
La mano della giovane colpì la sua guancia con una forza tale da fargli voltare il capo dall’altra parte.
Si portò una mano al viso, incapace di trattenere un’espressione stupita.
Lea, in tutta la sua vita, non si era mai sentita tanto umiliata.
Come poteva, Isaac, anche solo pensare una cosa del genere?
Lei era sempre stata l’unica a guardarlo negli occhi e riconoscere un ragazzino pieno di sogni infranti e non un teppista di strada o un violento. Era stata l’unica a non averlo mai giudicato per il passato di suo padre, ad esserselo preso e fatto piacere così come era.
Come poteva pensare una cosa del genere di lei? La sua Lea?
«Lo faccio perché sei mio amico ed io sono…» Cotta di te. Si morse la lingua. «…preoccupata per te. Io ti voglio bene.»
Le era quasi scappato.
Isaac aprì la bocca, ma il rombo di un tuono attutì le sue parole. Non si prese la briga di ripetere. Più semplicemente, si abbassò ad allacciare le scarpe e a raccogliere la maglietta. Qualche istante dopo si sedette vicino alla riva.
Lei fece lo stesso.
In tutti quegli anni, quel posto, se lo era immaginato diverso.
Nella sua mente, la gola di Harpool Bay aveva un aspetto infimo e cattivo, con strapiombi altissimi e massi acuminati. Mai avrebbe immaginato che fosse in realtà un così bel posto.
«Non me lo ero mai immaginata così!» Mormorò, spostando lo sguardo sulla cima della scogliera.
Suo fratello era scivolato da là.
Un volo di quattro metri nel vuoto, la sua testa aveva colpito le pietre e poco dopo era morto. Se qualcuno fosse rimasto e lo avesse trascinato fuori dall’acqua sarebbe stato ancora vivo, un solo passo in avanti e sarebbe caduto in acqua…
Deglutì a vuoto.
…Era proprio questo ciò che avrebbe voluto evitare.
«A Dean non sei mai piaciuto.» Esclamò la giovane, dopo qualche istante di silenzio, riportando lo sguardo sul ragazzo. Sorprendentemente lo trovò a fissarla.
Un mezzo sorriso sghembo si dipinse sul volto di Isaac, prima che questi si costringesse a tornare serio. «Nemmeno io provavo troppa simpatia per lui!» Brontolò.
Non aveva conosciuto abbastanza il più grande dei fratelli Wilson da poter esprimere un vero e proprio giudizio. Ricordava solamente che, quando era bambino, quel ragazzo gli stava sullo stomaco.
Si credeva il re del mondo con quei suoi vestiti scuri e la chitarra in spalla.
…Con il senno di poi sembravano esser diventati più simili di quanto gli sarebbe piaciuto ammettere. Non essere figli dell’uomo che chiamavano padre compreso.
Lea sorrise, da qualcuno come Isaac non si sarebbe certo aspettata altrimenti. Anzi, si sarebbe preoccupata se avesse detto il contrario.
«Diceva che eri un idiota e che se non ti fossi dato una bella svegliata avresti fatto la fine di tuo padre, se non ti avesse ucciso prima.» Fece una breve pausa. All’epoca era troppo piccola per dare peso ad avvenimenti del genere e, poi, con gli anni, quelle parole erano scivolate nel dimenticatoio per poi tornare a galla tutte assieme. «Papà si arrabbiava così tanto quando diceva certe cose. Già allora ti considerava come un figlio.»
«Stai cercando di giustificarlo?»
«Voglio solo dire che per tutta la vita, tutto quello che ha fatto è stato prendersi cura di te. Se ha sbagliato lo ha fatto in buona fede.»
«Non aveva comunque il diritto di continuare a tenermelo nascosto, così come tu non hai il diritto di startene qui a raccontarmi queste stronzate di cui, francamente, non me ne frega niente.»
Lea sospirò ed una goccia le colpì la punta del naso.
Aveva lasciato un amico e, adesso, trovava davanti a se ad un muro.
Forse se lo meritava, sarebbe dovuta rimanere quando ne aveva l’occasione e non pretendere di potersene andare e tornare senza subirne le conseguenze. Avrebbe dovuto essere lì, con lui, quando quell’inferno era scoppiato e non trenta chilometri altrove a fare chiarezza su un sentimento di cui aveva già la completa certezza…
«Quindi finisce così?» Inquisì la giovane.
«Finisce così, cosa?» Replicò Isaac, visibilmente scocciato.
«Tutto. La tua vita, la tua famiglia, noi…»
«Non c’è mai stato un “noi”, Lea.»
«Questo perché tu hai deciso che non era il caso di provarci.»
Lea non riusciva a credere che fossero realmente arrivati a discutere di una possibile relazione. Con quella frase la giovane Wilson avrebbe voluto spingerlo a pensare, a chiedersi se fosse il caso di rinunciare a tutte le sicurezze di una vita a causa di una notizia, a questo punto, alquanto relativa.
Isaac aveva oramai quasi vent’anni, non aveva bisogno di un padre.
Voleva fargli realizzare che un figlio non è di chi lo fa, ma di chi lo cresce e che chiunque fosse il suo vero padre, evitando di prendersi cura di lui quando più ne aveva avuto bisogno, non poteva che definirsi un uomo all’altezza dello stesso Norman Hall, se non persino più in basso. Il vecchio Hall, a modo suo, perlomeno, c’aveva provato a crescerlo, quel figlio non suo. Invece il ragazzo aveva preso una sola, singola, informazione, la più irrilevante al momento, e gliel’aveva sbattuta in faccia.
«Vuoi incolpare me?» Domandò Isaac, assottigliando lo sguardo. «Ogni volta che ho provato a fare un passo verso di te, tu ne hai fatti cento indietro. Cosa avrei dovuto fare? Rincorrerti?»
«Sarebbe bastato chiedermi di restare.» Un lampo spezzò il cielo e subito dopo, il rombo di un tuono, precedette la pioggia più violenta e rabbiosa che Lea avesse mai visto in tutta la sua vita. Una chiara rappresentazione del loro stato d’animo. «Hai chiesto a lei di restare, una ragazza che conosci da quanto? Tre settimane? Lo hai chiesto a lei e non lo hai chiesto a me. Perché?»
«Perché non saresti rimasta.»
Lea boccheggiò. Non avrebbe saputo dire perché, ma quella frase piena di risentimento e sconfitta aveva avuto il potere di lasciarla spiazzata. «Ti sbagli, sarei rimasta.» Balbettò.
Il ragazzo scosse il capo, rivolgendole uno sguardo raggelante. «Non saresti rimasta. Perché non sono abbastanza. Non sono abbastanza per far restare nessuno. Né te, né mia madre…
Puoi stare tranquilla, non te ne sto facendo una colpa. Persino il mio vero padre ha deciso di bidonarmi, non vedo il motivo per cui non avresti dovuto farlo tu.»
Lea giurò di non aver mai sentito niente più triste in tutta la sua vita.



«Ti avevo chiesto di tranquillizzarlo, convincerlo a parlare, invece a quanto vedo hai fatto solamente peggio.» Brontolò Rebecca, portando le braccia conserte al petto.
Dopo l’ultimo commento del giovane, Lea non era stata in grado di replicare e quando se ne era andato, lasciandola sola sotto la pioggia, la giovane era stata capace solo di starsene lì a guardarlo scomparire oltre le fronde degli alberi.
Gli era parso più solo che mai e sapere di aver contribuito a renderlo tale era un merito soffocante.
Aveva pianto mentre tornava a casa.
Aveva pianto per debolezza, tristezza, solitudine e persino per il cuore spezzato.
Lo aveva detestato quando se ne era andato, quando aveva raccolto le sue cose e l’aveva lasciata indietro, eppure, anche volendo, non riusciva ad odiarlo. Sentiva solamente un profondo senso di vuoto. Che lui si fosse sentito così ogni volta che lei lo aveva allontanato?
Sperò di no, era una sensazione che non avrebbe augurato nemmeno al suo peggior nemico.
Avrebbe dovuto aiutarlo ed invece aveva solo peggiorato le cose. Aveva ridotto in pezzi tutto ciò che era rimasto di salvabile tra loro.
Quando era rientrata a casa, aveva trovato Rebecca sulla veranda.
Aveva pensato – sperato – che se ne fosse andata, oramai, invece era ancora lì come un avvoltoio a ricordarle in cosa aveva fallito. Sembrava quasi che ci provasse divertimento nel vederla stare male.
Lea ignorò il suo commento acido e prese a frugare nelle tasche della felpa alla ricerca del mazzo di chiavi, quando questa parlò di nuovo.
«Allora che cosa ti ha detto? Che ha intenzione di fare con suo padre? E con me? Ti ha detto niente?»
«Oh, ma va al diavolo!» Replicò la giovane Wilson sbattendole il portone in faccia.
Che si cercasse le sue dannate risposte da sola, lei non era il dannato intermediario di nessuno.
   
 
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