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Autore: ayamehana    05/08/2017    7 recensioni
Certi amori sono destinati a durare in eterno; altri a bruciare e a estinguersi come la fiamma di una candela ormai consumata. Ranma e Akane hanno dovuto impararlo a loro spese, quando la loro relazione è terminata a pochi giorni dal matrimonio che li avrebbe legati per tutta la vita. Una rottura nata da un imbroglio, ma che l’erede della palestra Tendo ha interpretato come un «non siamo fatti per stare insieme».
Troppe parole, però, sono rimaste in sospeso. Sono passati sei lunghi anni; Akane è cresciuta ed è in procinto di sposare l’uomo di cui è innamorata… tuttavia, si è dimenticata di fare i conti con un’unica cosa: certi amori sono destinati a finire, solamente per ritornare ancora più forti.
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Non erano mai andati molto d’accordo, loro due; si erano amati con quella caparbietà tipica degli adolescenti… ma la loro relazione era stata fragile, si era incrinata con eccessiva facilità. Se si sforzava, riusciva ancora a vederne le crepe… in una fidanzata di troppo, nelle pressioni di due genitori invadenti… nella propria impulsività e nella timidezza intrinseca di Ranma.
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[MOMENTANEAMENTE SOSPESA]
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome, Shan-pu, Shinnosuke
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Note dell'autrice: Ciao a tutti e ben ritrovati! È già passato un mese, caspita! Innanzitutto, volevo ringraziare tutte le persone che stanno continuando a seguirmi! Siete in 17 e non riesco a crederci che siate così tanti!
Comunque, passiamo alla storia vera e propria, vi lascio un breve glossario perché, verso la fine del capitolo, ho utilizzato dei termini tecnici e vorrei che fosse tutto chiaro!


Budou: spazio riservato agli allenamenti nel dojo.
Kamiza: ‘sede dello spirito’, è lo spazio principale di un dojo. Il kamiza è usato come piccolo tempio di riverenza, rispetto e purezza.
Kagaribi: lampadari per candele.
Ofuda: amuleto che rappresenta lo spirito che risiede nel kamiza; fornisce buona fortuna e protezione.
O-miki: sakè purificato come offerta ai kami.


Infine, ringrazio la mia beta, Napee, per le sue continue revisioni e vi consiglio caldamente le sue fanfiction! Ci leggiamo a fine capitolo!


CAPITOLO IV

TUBI DELL'ACQUA E DOCCE CALDE



«Accidentaccio», biascicò Akane, trattenendo una fascetta di plastica tra le labbra. Quella mattina, la tubatura dell’acqua aveva deciso di abbandonarla definitivamente e dal soffione della doccia non era uscita una singola goccia! Così, armata di tanta pazienza e di una guida sui piccoli lavori ‘fai da te’, aveva deciso di provare ad aggiustare il guasto da sé, anche se con scarsi risultati.
 
Stringi di qua, tieni fermo di là… e ora… il tubo scricchiolò sotto le sue mani e le spruzzò in faccia un getto di acqua fredda. «Dannazione», imprecò a denti stretti, mollando a terra fascette e attrezzi, per andare a recuperare uno straccio. Ecco, ora sì che il danno è irreparabile, pensò, guardando, sconsolata, la pozzanghera che si era già formata ai suoi piedi.

Chiuse la valvola dell’acqua, facendo estinguere il getto, e tamponò il pavimento bagnato alla bell’è meglio. Uscì, quindi, dal bagno e prese la cornetta del telefono.

«Qui parla l’idraulico Sakamoto, come posso aiutarla?» le rispose una voce maschile dall’altra parte dell’apparecchio.

«Buongiorno, Signor Sakamoto! Sono Akane Tendo!» disse lei, giocherellando con il filo del telefono.

«Oh, Akane, è un piacere risentirti! Hai avuto qualche problema con il tubo dell’acqua, come al solito?» esclamò l’idraulico, gioviale.

Akane si grattò una guancia. «Già… Era da qualche giorno che scricchiolava e oggi ha deciso di abbandonarmi del tutto! Ho provato ad aggiustarlo, ma ho finito con l’allagare casa!»

Sakamoto scoppiò a ridere. «Sei un disastro! Hai chiuso la valvola dell’acqua, prima di metterti a trafficare con i tubi?»

«Ehm… in verità, no. Me ne sono dimenticata», ammise, sconsolata. Era davvero una frana in quel genere di lavori! Mantenere una casa non faceva proprio per lei!

«Bene…» mormorò l’idraulico, ironico. «Più tardi, passerò da te a dare un’occhiata al danno. Sei a casa, per caso?»

«No, ma dirò a Kasumi di venire ad aprirle. Ha una copia delle chiavi, quindi non dovrebbe essere un problema.»

«Perfetto, allora passerò nel pomeriggio. Buona giornata, Akane!»

«Altrettanto!» rispose lei, riagganciando. Quel giorno, avrebbe lavorato nel primo pomeriggio, quindi avrebbe avuto tutto il tempo per andare in un onsen a farsi un bagno caldo. Afferrò una borsa e, dopo aver arraffato lo shampoo, il bagnoschiuma, un pettine, un asciugamano pulito… se la caricò in spalla. Ecco, era pronta per andare.
 

Circa un’ora dopo, Akane uscì dal bagno pubblico, lavata e con dei vestiti asciutti. Si sentiva davvero bene! Prese un elastico e si legò i lunghi capelli scuri in una coda di cavallo, poi, frugò in borsa alla ricerca del portafoglio. Ah, ho finito tutti gli spiccioli che mi rimanevano! pensò, guardando il portamonete. Per fortuna, ho l’abbonamento per la metro! Quasi quasi, vado da Ucchan a fare colazione! Non romperà le scatole, se le dico che pagherò la prossima volta! si disse, imboccando la strada che portava alla stazione più vicina.

Di giorno, Roppongi sembrava un quartiere del tutto differente! I turisti, con le macchinette fotografiche appese al collo, affollavano le strade anche di prima mattina. Sui marciapiedi, vi erano già dei venditori con le loro bancarelle multicolori, che esponevano mercanzia e souvenir di ogni genere. Alcuni di loro provavano ad attirare gli stranieri, urlando in un inglese impacciato, che un po’ le ricordava quello dell’eccentrico preside del Furinkan.
Akane rise e passò oltre, prima di alzare lo sguardo su un’insegna su cui era disegnato lo schizzo del nuovo edificio che Tokyo aveva in cantiere da ben quindici anni. Roppongi Hills, il palazzo che svetterà su tutto il quartiere, citava una frase sul cartellone. Il suo scheletro era ben visibile già da tempo. Chissà quando lo inaugureranno… pensò l’artista marziale, affrettandosi verso la metro. Erano già le nove e il treno sarebbe passato a minuti!

 
«Guarda, guarda chi si vede!» la salutò Ukyo, quando Akane entrò nel suo locale.

A quell’ora della mattina non c’era praticamente nessuno, ad eccezione di due arzilli vecchietti, che leggevano il giornale, seduti a un tavolino affianco alla finestra. La giovane li salutò cordialmente con un cenno del capo e prese posto di fronte all’amica.

«Ciao, Ucchan! Mi prepari il solito, per piacere?»

«Certamente!», le rispose la ragazza, afferrando una ciotola e della farina. «Come stai? Immagino che il matrimonio ti stia dando tanto da fare!»

Akane minimizzò con un gesto della mano. «In verità, no. Non ho ancora iniziato alcun preparativo», le confidò, ridendo. «Devo, però, chiamare la boutique per la scelta dell’abito… Hai voglia di accompagnarmi? Avevo pensato di portare te, Akari e Kasumi!»

«Che domande fai?! Ovvio che vengo!» rispose Ukyo, allegra, rigirando un okonomiyaki sulla piastra; mentre l’artista marziale si guardava intorno.

«Dov’è Konatsu? Stamattina non lavora?» chiese, appoggiando una guancia sul palmo di una mano.

«Mhh… no», le disse Ukyo, laconica, prima di aggiungere: «Ieri sera, dopo tanto tempo, ho accettato di uscire con lui, a patto che si vestisse da ragazzo.»

Akane sgranò gli occhi. «Cosa?!»

La cuoca annuì. «Era contento, ma anche molto, molto nervoso. Siamo andati al karaoke e ha ordinato almeno tre cocktail.» La giovane scosse la testa, prendendo un piatto e servendole la colazione. «Se li è scolati tutti e ora… è a letto con una fortissima emicrania!»

Akane afferrò una forchetta con l’acquolina in bocca. Aveva una fame! Buon appetito a me! si disse, ma venne interrotta da Ukyo. «Caspita… ho proprio sfortuna con i ragazzi.»

«Ma no, non dire così…» provò a consolarla lei.

Fin dall’infanzia, la piccola Kuonji aveva sempre avuto una grandissima cotta per Ranma, che era sfumata, quando si era resa conto che con lui non c’era nulla da fare. È troppo preso da te! le aveva urlato contro con le lacrime agli occhi. Non ho speranze con lui! Per un breve periodo, Akane aveva avuto il timore che la cuoca di okonomiyaki la odiasse per questo, ma poi lei le aveva confidato di essersi innamorata di Ryoga. È dolce, penso che sia quello giusto! le aveva detto ma, ancora una volta, si era sbagliata. L’eterno disperso, infatti, aveva perso la testa per la bella Akari, finendo inesorabilmente con lo spezzare il cuore a Ukyo; cui non era restato altro che rintanarsi in un angolino a raccoglierne i cocci e a leccarsi le ferite. Da quel giorno in poi, la giovane aveva deciso di lasciar stare gli uomini e di dedicarsi solamente alla sua cucina. C’era Konatsu, che talvolta ritornava alla carica, ma lei non faceva altro che rifiutare gentilmente le sue avances. È come un fratello maggiore per me… non staremo mai insieme, ripeteva sempre.

Akane appoggiò la forchetta e si pulì la bocca con un tovagliolo. «Su con la vita, Ucchan! Il mare è pieno di pesci!»

«Già, ma pare che la mia canna da pesca non funzioni molto bene», rispose ironicamente la bella cuoca, distendendo le labbra in un sorriso sghembo. «Ahh, ma basta pensare agli uomini! Io posso stare benissimo da sola!» esclamò, nuovamente allegra, allargando le braccia.

Che bugiarda… pensò l’artista marziale, alzandosi in piedi. «Adesso scusami, Ucchan, ma devo andare!»

«Oh, ma di già? Sei appena arrivata!»

Akane lanciò una breve occhiata al suo orologio da polso. Erano quasi le undici. «Eh, sì. Visto che ho un po’ di tempo, faccio un salto dal mio wedding planner. Insomma, dovrò pur cominciare a organizzare questo matrimonio, no?»

«Ah, beh, sì», rispose Ukyo, grattandosi una guancia. «Poi chiamami, eh! Dobbiamo organizzarci per la prova dell’abito!»

La piccola Tendo annuì e sorrise. «Sarà fatto! Comunque, grazie per la colazione! Ti porterò i soldi più tardi, okay?»

La cuoca sbuffò e si chiuse nelle spalle. «Se proprio devi…»
 

Dopo una lunghissima e assai estenuante seduta con Satoru Harada, il suo wedding planner, un uomo tutto papillon e drink con bollicine e ombrellino, Akane s’incamminò verso la palestra in cui lavorava. Harada le aveva assicurato – e ripetuto più e più volte– che, se avesse lasciato tutto nelle sue mani, lei e Shinnosuke avrebbero avuto un matrimonio da favola. L’artista marziale un po’ stentava a crederci, ma alla fine aveva ceduto. Niente sfarzi, però. Vogliamo qualcosa di semplice. Non ci saranno molti invitati.

Il wedding planner aveva sbuffato rumorosamente. Come siete noiosi, voi! le aveva detto, facendo oscillare lo champagne nel flûte che teneva in mano.

Akane sospirò. Cosa c’era di male nella semplicità? Nulla, assolutamente nulla!

«Ciao, Akane», le disse la Signora Taniguchi, distogliendola dai suoi pensieri. Se ne stava in piedi al suo solito posto, a sbuffare nuvole grigiastre di fumo.

«Ciao», la salutò lei, spiccia, passandole accanto. Non aveva voglia di parlarle, non dopo il discorso che le aveva fatto qualche giorno prima! Non condivideva la sua stramba idea di assumere una nuova persona. Lì bastava solamente lei!

«Volevo dirti che ho già trovato qualcuno che fa al caso nostro. Verrà qua a fare una prova più tardi… ti va di restare dopo l’allenamento? Così te lo presento!»

Non particolarmente, pensò Akane, prima di inventarsi una scusa: «Mi dispiace, Taniguchi-sensei, più tardi ho un impegno.»

«Ah sì?»

L’artista marziale si schiarì la voce. «Eh… già! Ho rotto la tubatura dell’acqua e più tardi viene l’idraulico a darle un’occhiata!» esclamò con voce fin troppo euforica. Taniguchi-sensei la guardò con aria curiosa, ma non commentò oltre.

In fondo non è una vera bugia, no?!, si disse Akane, alzando gli occhi al cielo. «Che ne dice di venire dentro, sensei?» le chiese, osservando, con sguardo critico, una minacciosa nuvola nera in avvicinamento. «Oggi, le previsioni hanno chiamato un bell’acquazzone! Se non si ripara dalla pioggia, potrebbe prendersi un raffreddore!»

«Brava, cambia argomento, ma stai certa che non mi scappi!» la canzonò Keiko, spegnendo la sigaretta e seguendola dentro la palestra. 
 
***
 
Quando Ranma si svegliò, quel giorno, una sensazione di estraneità s’impossessò subito di lui. Quella era la sua stanza e lì c’erano le sue cose: un armadio a muro pieno di colorate casacche cinesi e pantaloni scuri, una lampada da tavolo tutta impolverata, un soffice futon bianco; eppure, nonostante tutto, non poteva fare a meno di sentire tutti quegli averi come non suoi.

Sono stato troppo lontano da casa, tutto qui, pensò, cercando di scacciare via quell’insolita e - assai sgradevole- impressione. Si mise a sedere sulla coperta e si sistemò la treccia su una spalla. In sei anni molte cose erano cambiate; altre, invece, erano rimaste le stesse. Avrebbe avuto bisogno di un po’ di tempo per riscoprire quella Nerima tutta nuova.

Ah, basta con questi pensieri! Dovrei andarmi a preparare: oggi ho un colloquio di lavoro con quella strana signora… Come ha detto di chiamarsi…? Beh, chi se ne importa! si disse il codinato, scalciando via le lenzuola. L’appuntamento con l’amica di sua madre era fissato nel pomeriggio, quindi avrebbe avuto qualche ora per sé da dedicare a del sano allenamento e, forse, anche a una capatina per Tokyo.

Andò in bagno e s’infilò sotto la doccia, lavandosi di dosso gli umori della notte appena passata; poi indossò la sua casacca preferita e scese le scale per andare in cucina.

Suo padre era seduto di fronte allo zataku ed era immerso nella lettura di un giornale, mentre sua madre stava trafficando con dei piatti. In quel momento, il suo vecchio allungò una mano verso una scodella e Nodoka gli schiaffeggiò il dorso, sgridandolo e dicendogli che quella colazione era interamente riservata al suo bambino. Ranma sorrise, divertito. Quanto gli mancavano quei quadretti familiari!

Stava per entrare nella stanza, quando la voce di sua madre lo bloccò: «Tesoro, non dovremmo dirglielo, gli si spezzerà il cuore!»

Genma posò il giornale e si sistemò gli occhiali sul naso. «È inevitabile; se non glielo diciamo noi, lo scoprirà comunque da solo. Fa male, lo so… Io stesso ne ho sofferto molto, dovresti saperlo.»

Ranma si accostò maggiormente alla porta, facendo attenzione a non farsi scoprire. Di che diavolo stavano parlando?

«Già… mi ricordo. Al tempo, mi scrivesti una lettera; eri completamente distrutto.»

«E nonostante ciò, Ranma non si è accorto di nulla. Ho continuato a fare la mia solita faccia di bronzo, sembra che mi riesca piuttosto bene», rispose il suo vecchio, allargando le labbra in un sorriso compiaciuto. «E poi, quella squinternata di Shan-pu mi costringeva a rimanere un panda per tutto il giorno e, con quelle sembianze, era piuttosto difficile che capisse qualcosa… Se non fosse stato per quel Mousse, non sarei nemmeno riuscito a tenermi in contatto con te, cara.»

«Che i Kami benedicano quel ragazzo», disse sua madre in un sussurro che arrivò, impercettibile, alle orecchie del codinato. «Come faremo con nostro figlio? Credi che andrà a cercarla?»

Genma si chiuse nelle spalle, afferrando, di nascosto, uno tsukemono dal piatto. «Ehi!» gli urlò dietro Nodoka, sottraendo la colazione dalle grinfie dell’uomo-panda.

Quest’ultimo sbuffò sonoramente e riprese il suo giornale. «Ovvio che andrà a cercarla. È troppo orgoglioso perché lo ammetta, ma, da qualche parte del suo cuore, Ranma sa ancora di amarla.»

«Ma lei…»

A quel punto, il codinato decise di aver origliato fin troppo. Finse uno sbadiglio ed entrò nella stanza, come se non avesse sentito nulla. «Buongiorno, mamma», salutò, occupando il posto di fronte a Genma. «Papà.»

«Ben svegliato, caro», gli rispose sua madre, gioviale, porgendogli il piatto con i sottaceti e una scodella con del riso. «Hai dormito bene?»

Ranma osservò con la coda dell’occhio suo padre, che ora lo stava guardando in cagnesco. Gli fece una boccaccia, prima di tornare a rivolgersi a Nodoka. «Insomma, ho un po’ di mal di schiena… Dovrò abituarmi di nuovo al mio letto», scherzò, spezzando le bacchette per cominciare a gustare la sua deliziosa colazione.

«Tua madre mi ha detto che oggi pomeriggio avrai un colloquio di lavoro», gli disse suo padre, inforcando gli occhiali e ritornando alla sua lettura. «Ah, che bella la gioventù… Anch’io ero pieno di risorse come te, al tempo, sai?»

Ranma sbuffò. «Non credere che ci vada, perché m’interessa davvero. È solo un modo per… ammazzare il tempo, tutto qui. E poi, dovresti saperlo anche tu: un artista marziale deve sempre puntare in alto. Ecco perché, un giorno, avrò una palestra tutta mia.» 
 
Nodoka tossicchiò e si portò la manica del kimono sulla bocca. «Com’è ambizioso il mio ragazzo! Sono proprio orgogliosa di te, Ranma! Tesoro, dovresti prendere esempio da lui!» 

Genma storse le labbra e alzò gli occhi al cielo. «Se è per questo, anch’io se mi metto d’impegno, sono in grado di trovare lavoro in tempo record, cara.»

Ranma scoppiò a ridere. «E dove vorresti trovarlo, in uno zoo, per caso?»

«Oh, non sarebbe una cattiva idea, però!» lo rimbeccò suo padre, poggiando il giornale sul tavolo. Una strana scintilla gli attraversò gli occhi, quando aggiunse: «Scommettiamo che riuscirò a ottenere quel lavoro senza compiere un minimo sforzo?!»

Il codinato lo guardò, distendendo le labbra in un ghigno beffardo. «Scommetto quel che vuoi, invece, che ti cacceranno a calci in culo, paparino. Magari ti diranno di riprovare al circo come mascotte!»

Genma ignorò la sua battuta e tornò a rivolgersi alla moglie. «Tesoro, dove hai messo la mia giacca?»

«Oh, Kami… Non dirmi che fai sul serio?» mormorò Nodoka, portandosi una mano sulla guancia. «Comunque, l’ho appesa all’attaccapanni in corridoio.»

Il suo vecchio si alzò, salutandoli velocemente con un cenno del capo, e si dileguò verso la porta di casa. Ranma, invece, appoggiò le bacchette sul tavolo e si mise a ridere. «Mi sa che faceva davvero sul serio.»

«Così sembra.»
 
***
 
«Come? Un panda?!» chiese Akane, tenendo il cellulare in bilico tra l’orecchio e la spalla, mentre cercava di togliersi di dosso la giacca del suo karate gi. Durante l’allenamento, uno dei suoi studenti era stato colpito in faccia da un pugno, guadagnandosi un bell’occhio nero e l’immancabile sangue da naso. L’artista marziale lanciò un’occhiata disgustata all’orlo della manica che il ragazzino le aveva accidentalmente macchiato quando era accorsa in suo aiuto.

«Sì, un panda! Si è presentato questa mattina qui allo zoo! Inizialmente, pensavamo che fosse scappato dal suo recinto, ma poi, ha dimostrato di non essere un panda qualunque!» esclamò Shinnosuke dall’altro lato dell’apparecchio. Era davvero eccitato, sprizzava felicità da tutti i pori, mentre Akane, dal canto suo, non ci trovava nulla di strano, anzi, aveva visto cose ben più bizzarre nella sua vita!

«Ah…» rispose, esaminando la macchia di sangue. Avrebbe decisamente dovuto portare quella giacca in una lavanderia. «E che ha fatto di strano questo panda?»

«Ha dimostrato di saper accudire gli altri animali! Sembrava quasi… umano!» continuò Shin e dalla sua voce, si poteva capire che anche lui stentava a crederci. «Pensa che ci ha persino detto come si chiama!»

Magnifico! Un panda che parla! si disse Akane, prima che un pensiero affiorasse nella sua mente: quando si bagnava con l’acqua fredda, Genma Saotome, il padre del suo ex fidanzato, si trasformava in un gigantesco panda antropomorfo! Sarà solo una coincidenza… Ranma se n’è andato anni fa! «E come si chiama?!» domandò, con rinnovato interesse.

«Il suo nome è…»

In quel momento, Keiko bussò alla porta, chiamandola. «Akane, posso entrare?»

«Shin, scusami, me lo dirai più tardi, okay? Ora, il lavoro mi chiama!» si affrettò a dire al suo ragazzo, chiudendo la telefonata. Chissà qual è il nome di quel panda…

«Volevo solo ringraziarti da parte di Ryo… Si vergogna di aver perso il sangue dal naso ed è corso a casa. Tu, invece, tutto bene? Ho visto che ti ha macchiato la giacca…» esclamò Taniguchi-sensei, prendendole il braccio e studiando a sua volta la manica sporca. «Ah… ti pagherò la lavanderia, va bene?»

Akane scosse la testa. «Non serve, è solo una macchietta… andrà via facilmente», replicò, sfilandosi il karate gi e rimanendo in reggiseno.

«Adesso, se non le dispiace, Taniguchi-sensei, vorrei finire di cambiarmi.»

Keiko la guardò con aria curiosa e annuì. «Va bene, ti lascio un cambio nell’armadietto, nel caso ti serva, okay?»

«Okay, grazie», le disse l’artista marziale, frugando nella sua borsa. Anche se ce l’ho già… pensò, afferrando una maglietta pulita e una vecchia gonna in jeans.

Dopo qualche minuto, stava già varcando l’uscita della palestra, quando Taniguchi-sensei la chiamò per l’ennesima volta. «Akane, prenditi l’ombrello, sta per piovere!»

«Non importa, sensei, credo che il tempo terrà ancora un po’!»
 

E, invece, non tenne. L’acquazzone la colse, mentre stava attraversando la strada che portava alla stazione. Akane si prese la testa con le mani, cercando di coprirsi i capelli. Dannazione, li ho lavati questa mattina! si disse, rammaricata, trovando riparo sotto il tetto sporgente di un’abitazione. Sbuffò, ricordandosi improvvisamente di non avere nemmeno l’acqua calda in casa. Chissà se l’idraulico è già passato a sistemare la tubatura… Prese il cellulare e digitò il numero di Kasumi per chiederglielo, ma, al primo squillo, partì la segreteria. Maledizione! Che cosa faccio ora?!

Casa di Shinnosuke non era molto distante da lì, ma il suo ragazzo era ancora a lavoro… e lei non aveva le chiavi! Chiamo Ukyo? No, lei non ha il bagno… Akari è impegnata, Ryoga è in negozio… Akane fece scorrere il dito sulla rubrica del suo telefono, ma lasciò stare quasi subito. Tutti i suoi amici avevano da fare e – ironia della sorte- aveva anche finito i soldi e non poteva nemmeno andare in un bagno pubblico!

Vorrà dire che tornerò in palestra… lì ci sono gli spogliatoi… pensò, imboccando nuovamente la via che portava al dojo. Nonostante l’addetta alle pulizie lustrasse le docce quasi ogni giorno, l’idea di lavarsi lì non l’aveva mai allettata. Ecco perché, ogni volta che finiva l’allenamento, se ne tornava dritta a casa. Per una volta, però, avrebbe dovuto fare un’eccezione.

All’ingresso della palestra non c’era nessuno, ma poteva ben sentire la voce squillante di Keiko, che parlava animatamente con qualcuno. Akane si guardò intorno e s’intrufolò, lesta, nello spogliatoio. Non voleva rischiare che la sensei la vedesse: sicuramente era in compagnia del suo nuovo collega di lavoro e lei non aveva la minima voglia di incontrarlo prima del previsto!
 
***
 
Quel pomeriggio, dei brutti nuvoloni neri carichi di pioggia addensavano il cielo che, fino a qualche ora prima, era totalmente sgombro. Ranma affrettò il passo in direzione della palestra Taniguchi, maledicendo mentalmente quel tempaccio. Se non si fosse sbrigato, sarebbe stato colto dall’acquazzone e – mannaggia a lui, non si era nemmeno portato l’ombrello! Per fortuna, non mi posso più trasformare in ragazza con l’acqua fredda, pensò, tirando un sospiro di sollievo. Se fosse arrivato al dojo sotto le spoglie di Ranma-chan, avrebbe sicuramente compromesso la sua reputazione di ragazzo forte e virile… e chissà che idea si era fatta di lui quella Keiko per invitarlo, senza la minima esitazione, a provare quel nuovo lavoro!

Passando per le vie di Nerima, il codinato si guardò un po’ intorno: quel quartiere di Tokyo non era cambiato di una singola virgola! Un’alta rete metallica divideva la strada dal canale con le sue acque torbide, dentro cui Ranma era finito fin troppe volte.
Le case tradizionali affiancavano i negozietti con le saracinesche alzate e la mercanzia in bella vista sulle bancarelle. Un fruttivendolo lo salutò con un cenno del capo e un sorriso, quando il ragazzo gli passò di fronte. Già, i giapponesi sapevano essere davvero cordiali.
L’artista marziale passò oltre, saltando su un muretto e camminandoci sopra in perfetto equilibrio.

Ah, che noia…! Questa città rimane sempre la stessa! si disse, portandosi le mani dietro la testa. Chissà se anche Akane è ancora un brutto maschiaccio senza sex-appeal! Sono proprio curioso di vederla!

Akane… forse, più tardi, avrebbe fatto un salto dai Tendo. Moriva dalla voglia di rivedere quel suo cipiglio, quando gli urlava dietro che era uno stupido. Era così buffa da fargli scaldare il cuore!
 

L’entrata del dojo Taniguchi era piuttosto modesta e affacciava direttamente sulla strada che portava alla stazione di Nerima. Accanto all’ingresso, vi era una zona fumatori con un portacenere, su cui era adagiato un mozzicone di sigaretta ancora fumante.

Una volta varcato il cancello, un piccolo sentiero conduceva a quella che era la vera e propria struttura della palestra. All’entrata, vi era un bancone a mezzaluna, su cui era posto un vecchio telefono e un cartello con scritto ‘Iscrizioni aperte’. Poco più in là, un corridoio portava direttamente a quello che doveva essere lo spogliatoio, sopra la cui porta era incisa una targhetta con un disegno stilizzato di un uomo e una donna.

«Vieni da questa parte, ragazzo, ti mostro il dojo», gli disse l’amica di sua madre, superandolo e facendogli strada verso il luogo degli allenamenti. Ranma la scrutò da dietro, osservando il suo abbigliamento piuttosto eccentrico. Quella donna era strana, curiosa e impicciona; ma - chissà-poteva anche rivelarsi un’ottima combattente. Non a caso, possedeva una palestra tutta sua!

La signora Taniguchi si fermò di fronte a una porta scorrevole, su cui era tratteggiato un intricato dipinto floreale inframmezzato da alcuni kanji. Il codinato li lesse velocemente: meditazione, concentrazione, apprendimento, amicizia e rispetto.

Keiko fece scorrere il fusuma, rivelando l’ampio vano che si trovava al suo interno; dopodiché si tolse le scarpe, invitando Ranma a imitarla. Il ragazzo la seguì dentro il budou, guardandosi discretamente attorno. Gli shoji della parete est erano stati accostati, cosicché dal giardino penetrasse la leggera brezza fresca di fine maggio.

Ranma osservò la proprietaria del dojo, mentre si avvicinava al lato nord della palestra e s’inginocchiava di fronte al kamiza in segno di saluto. Il codinato la imitò e scrutò con la coda dell’occhio l’altare situato tra due kagaribi. Affianco all’ofuda con una dettagliata iscrizione in kanji, vi era la foto in bianco e nero di un anziano insegnante, il cui corpo era fasciato da un kimono scuro. Sotto, erano stati posti alcuni elementi decorativi, tra cui un bonsai e una boccetta contenente l’o-miki.

«Era mio nonno.»

«Uh?» fece il ragazzo, spostando lo sguardo dall’altare alla signora Taniguchi. L’età le aveva disegnato profondi solchi accanto agli occhi e intorno alle labbra, che ora erano distese in un sorriso sereno.

«Mio nonno decise di fondare questa palestra insieme a un suo amico nei primi anni del Novecento. Pensa che i due erano così legati che decisero di far sposare i loro figli. Mio padre, inizialmente, era restio a unirsi in matrimonio con mia madre, ma poi… i sentimenti hanno avuto la meglio», gli raccontò Keiko, continuando a guardare la foto appesa al kamiza. Ranma la osservò in silenzio, ma lei era troppo persa nei suoi pensieri per notare che la stava fissando. Dopo un breve minuto, la proprietaria del dojo si alzò in piedi e si spolverò i pantaloni del karate gi dalla polvere. «Uhm, che ne dici di andarti a cambiare e di mostrarmi di cosa sei capace, ragazzo? Gli spogliatoi si trovano in fondo al corridoio… vuoi che ti accompagni?»

Il codinato si grattò una guancia in imbarazzo. «Ehm, no, non serve… ho già visto dove si trovano, in verità!»

«Se senti il rumore dell’acqua della doccia, non preoccuparti. Le lezioni pomeridiane sono finite da poco ed è normale che qualche ragazzino si sia attardato a tornare a casa! Io non ci faccio nemmeno più troppo caso, lascio che se ne vadano quando hanno finito!» esclamò Taniguchi-sensei, portandosi una mano dietro la nuca e scoppiando a ridere.

Beh, allora va bene… pensò Ranma, chinando leggermente il busto di fronte all’altare, prima di dirigersi verso gli spogliatoi. 
 
***
 
Akane chiuse l’acqua della doccia e si avvolse in un asciugamano che, fortunatamente, aveva lasciato all’interno del suo borsone. Ci voleva proprio una bella doccia calda dopo quell’acquazzone! pensò tra sé e sé, passandosi le dita tra i capelli bagnati per districarne i nodi. Peccato che i miei vestiti siano ancora fradici… si disse, lanciando un’occhiata sconsolata alla maglietta e alla gonna abbandonate tra le sue cose. Sbuffò; alla fine, Taniguchi-sensei aveva fatto bene a lasciarle un cambio nell’armadietto e lei, malfidente, le aveva quasi risposto che non le serviva! Ficcò i vestiti nella borsa e si diresse verso lo spogliatoio vero e proprio… Per fortuna, a quell’ora, tutti i suoi studenti se n’erano già andati – aveva anche controllato per accertarsene! – e poteva girare liberamente in asciugamano, senza avere timore che qualcuno la potesse vedere nuda.

Si avvicinò al suo armadietto, facendo scattare la chiave nella serratura, quando qualcuno pronunciò il suo nome. Era una voce maschile, dal timbro stranamente familiare, e l’aveva chiamata con un tale stupore da far rimanere anche lei interdetta. Ad Akane si gelò il sangue nelle vene, mentre girava meccanicamente la testa verso chi le aveva appena rivolto la parola. E, quando i suoi occhi increduli incontrarono quelli azzurri di lui, un urlo le salì alla gola. 
 
***
 
Ranma entrò nello spogliatoio, guardandosi in giro con aria curiosa. Non capiva per quale assurdo motivo Keiko Taniguchi non avesse fatto costruire due spogliatoi separati, anziché di uno solo. Bah, probabilmente perché l’unica donna qui, oltre a lei, è la mia nuova collega… chissà come si chiama e che tipo è… pensò il codinato, sfilandosi la maglietta. E, soprattutto, non si vergogna a cambiarsi con tutti questi ragazzini che le ronzano intorno?!

L’artista marziale era ancora immerso nei suoi pensieri, quando sentì l’acqua della doccia, nella stanza accanto, smettere di scrosciare. Diamine, ce ne aveva messo di tempo a lavarsi quel ragazzino! Tornò a frugare nella borsa, alla ricerca dei pantaloni della tuta, ma, ancora una volta, fu interrotto da un ennesimo rumore. Si trattava di una canzone, canticchiata a bassa voce, da una… donna. Ranma si pietrificò sul posto: era forse la sua nuova collega?

Si fece piccolo piccolo, mentre quest’ultima entrava nella stanza e si avvicinava a quello che doveva essere il suo armadietto. Il codinato la osservò: il suo corpo, dal seno non eccessivamente grande e dai fianchi sinuosi, era fasciato da un semplice e striminzito asciugamano rosa, che le copriva a malapena il fondoschiena. I capelli, lunghi e lisci, erano di un blu quasi metallico ed emanavano un buonissimo profumo di vaniglia. Il ragazzo se ne inebriò per un breve momento: aveva già sentito quell’odore… era lo stesso che avevano i capelli della sua ex fidanzata! Incredibile, anche a distanza di anni, riusciva ancora a riconoscerlo!

Aspetta un attimo… fianchi larghi, seno piccolo, chioma blu… la sua mente cominciò a muoversi freneticamente, mentre un improvviso pensiero vi si insinuava. Probabilmente, avrebbe preso un ceffone dalla sua nuova collega, guadagnandosi anche l’appellativo di maniaco… Forse, l’avrebbe pure odiato per averla spiata di nascosto… ma pazienza, doveva tentare. Si schiarì la voce.

«Akane?!» chiese e quel nome gli parve strano sulla lingua: erano anni che si ostinava a non pronunciarlo. Si diede dello stupido per averla chiamata così, per aver gracchiato un nome che forse – anzi, probabilmente- non le apparteneva nemmeno... però, lei si girò. La vide irrigidirsi sul posto e spalancare gli occhi color cioccolato, quando li posò sui suoi. Era veramente lei, miseriaccia! Il suo viso non era cambiato di un millimetro, nonostante non fosse più quello di una semplice ragazzina. Il cuore di Ranma fece una capriola: erano anni che sognava di rivederla!

Akane, invece, non sembrava dello stesso avviso. Aveva arricciato le labbra e tremava tutta, mentre tentava di coprire il seno con le mani.

Ranma arrossì. Idiota, l’hai messa in imbarazzo! «E-Ehm, posso spiegare, io…» Passavo di qui per caso e non sapevo che lavorassi in questa palestra?! Non avevo intenzione di spiarti e di vederti nuda?! Ora tolgo il disturbo?! Mettiti qualcosa addosso, per l’amor di tutti i Kami, e dici qualcosa!

La sua ex ragazza inspirò forte e, prima che lui riuscisse ad aggiungere qualcos’altro per scusarsi, cacciò un urlo.

 
 

Note dell'autrice: Bene, siamo arrivati al momento clou della mia storia, in cui Ranma e Akane finalmente si incontrano di nuovo! Come reagirà lei? Riuscirà lui a scusarsi?
Vi anticipo già che dovrete aspettare molto prima di fare i salti di gioia, perché le pene di questi due sono appena iniziate! Mi sento molto sadica per questo, ahaha!
Per quanto riguarda gli interni del dojo della Signora Taniguchi, mi sono ispirata a delle foto che ho trovato su Pinterest, come questa qui, anche se la palestra nella mia mente era molto più luminosa.

Ci tenevo, infine, a ringraziare la bravissima deducienta per il bellissimo disegno che mi ha regalato. Lo adoro, davvero!


Detto questo, vi saluto e ci risentiamo il mese prossimo! Vi mando un abbraccio fortissimo!

Ayamehana.
  
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