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Autore: dreamlikeview    05/08/2017    3 recensioni
Dean, a quattro anni, assiste all'omicidio di sua madre. Nel corso degli anni inizierà a sentire il peso di quello che ha vissuto, a sentirsi in colpa per qualunque cosa negativa accaduta alla sua famiglia e molto altro.
Dopo molti anni di solitudine e vita travagliata, un ragazzo impacciato e un po' nerd, Castiel, porterà un po' di luce nella sua vita. Riuscirà ad essere felice?
[Destiel, Human!AU, nerd!Cas, long-fic]
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione, Contesto generale/vago
Capitoli:
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DESCLAIMER: La storia è scritta senza fini di lucro, i personaggi non mi appartengono in nessun modo e non intendo offendere nessuno. Giuro.
PS. C'è l'avviso che i personaggi sono molto OOC e anche in questo capitolo gioco con il canon. Perché altrimenti che gusto c'è?

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10 anni dopo, 2 novembre 2003.
Without you, I feel broke.
Like I'm half of a whole.

 
Dean aveva quattordici anni ormai; da quando sua madre era morta erano passati dieci anni. era di nuovo il due novembre, lui se ne stava al cimitero, di fronte alla tomba di sua madre, e silenziosamente le parlava; era una cosa che lo aveva sempre aiutato negli anni a stare meglio, a scacciare il senso di colpa che gli rodeva l’anima fin da quando aveva avuto le facoltà per capire che quella maledetta notte avrebbe potuto fare qualcosa. Aveva bisogno di scacciare dalla mente quelle bruttissime immagini che anno dopo anno si ripetevano nella sua mente, in dieci anni non aveva dimenticato nulla, esse erano lì, impresse e lui non poteva dimenticarle, niente poteva aiutarlo. Come avrebbe potuto? Aveva visto suo padre uccidere sua madre, o almeno sentito. E ogni giorno si sentiva in colpa per quanto accaduto, per non aver fatto niente per aiutarla, si incolpava per la morte di sua madre. Ricordava ancora, quando il detective che seguiva il caso, con una signorina che aveva detto di essere un’assistente sociale o una psicologa infantile, non lo ricordava bene, gli chiese cosa avesse visto e udito quella notte. Lui aveva raccontato del litigio, delle urla, del tea – che poi stupido, non era tea, ma whisky, solo che lo aveva capito molti anni dopo – e che avessero fatto pace prima di salire le scale. O almeno così sembrava. Aveva sentito un po’ di confusione, le urla di suo padre, un urlo femminile, un forte tonfo e poi nulla più. I detective avevano ricostruito la scena, ma Dean faticava a credere che fosse andata così: secondo i poliziotti Mary e John stavano andando in camera, quando il telefono di casa aveva suonato e la donna aveva risposto, il capo della donna l’aveva richiamata, dicendole che il sabato mattina sarebbe dovuta andare al lavoro – ma Dean proprio non ricordava di aver sentito il telefono suonare – il marito era andato avanti e quando lei lo aveva raggiunto, comunicandogli che il giorno dopo sarebbe dovuta andare al lavoro, di nuovo, lui, ancora ubriaco, aveva perso la testa, avevano avuto una discussione breve e colto dall’ira, John l’aveva spinta giù dalle scale. Se solo pensava a quella notte, Dean si sentiva perso e spaesato, arrabbiato con se stesso, perché sapeva che avrebbe dovuto far qualcosa. Tutti gli ripetevano che non fosse colpa sua, ma Dean aveva imparato a convivere con questa colpa. Se solo fosse intervenuto… se solo avesse spinto via John quando le aveva dato lo schiaffo,  tutto quello non sarebbe accaduto.
Dean non aveva vissuto bene la sua infanzia, aveva ricordi dolorosi di quella notte, e i sensi di colpa che lo perseguitavano. Avrebbe dovuto chiamare subito lo zio Bobby e farlo arrivare, o fare qualsiasi altra cosa. Ma ingenuamente – era solo un bambino, dopotutto – aveva pensato che fosse il solito litigio della notte. Con il tempo, Dean non aveva ancora capito la dinamica delle cose, o cosa avesse spinto quell’uomo a spingerla giù dalle scale, però il ragazzo, a quattordici anni, si chiedeva perché a cadere dalle scale non fosse stato John – no, non era nemmeno degno di essere chiamato padre, per Dean – egli era stato condannato a dieci anni di carcere, dopo un patteggiamento, in cui si dichiarava colpevole di omicidio colposo. La prima volta che aveva sentito quelle parole, Dean stava giocando in salotto sul tappeto davanti alla tv, mentre la sua mamma guardava un poliziesco. Quando le aveva chiesto cosa significassero quelle parole, lei gli aveva risposto che erano solo parole usate nel film, per fare scena, e che a lui non dovevano interessare, a meno che non avesse intenzione di fare l’avvocato, come quelli del film che stavano guardando. Dean rise, perché no, non voleva fare l’avvocato, lui voleva fare il pilota, quindi la madre gli disse che difficilmente avrebbe sentito ancora quelle parole, voleva solo proteggerlo da una triste realtà, in fondo, era solo un bambino. Quanto si sbagliava però. Dean invece di sentire quelle parole alla tv o in altri luoghi, aveva assistito al processo dell’assassino di sua madre, inerme e per giorni aveva dovuto raccontare cosa fosse accaduto quella notte, sotto gli sguardi pieni di pietà della gente. E lui si sentiva un codardo, un fallito, un emerito bastardo per non aver fatto niente per proteggere sua madre, perché se non avesse avuto paura, Mary sarebbe ancora viva. Dopo quella notte, per Dean non esistette nient’altro che dolore, anche se Bobby, un vecchio amico di famiglia, li aveva ospitati sotto il suo tetto, e li aveva cresciuti come figli suoi, perché la nonna, la mamma di Mary, era troppo anziana per prendersi cura dei due bambini. Anche se non aveva fatto mancare niente ai nipoti, li chiamava spesso, si interessava a loro, mandava loro dei regali, andava a trovarli… ma il lavoro duro l’aveva fatto Bobby inizialmente, e poi era stato aiutato dalla sua compagna, Jody Mills e da altri amici del quartiere. Vane erano le parole dell’uomo che gli ripeteva continuamente che un bambino di quattro anni era impotente davanti ad un uomo ubriaco, che quella notte non avrebbe potuto far niente, che sarebbe accaduto comunque. Eppure, Dean non riusciva a smettere di pensare, che se avesse fatto qualcosa, qualunque cosa, tutto sarebbe andato diversamente e Sammy sarebbe cresciuto con la madre di cui aveva avuto sempre bisogno. Dio, quando Sam, all’età di sette anni, gli aveva chiesto per la prima volta perché Dean non chiamasse Bobby papà, o perché Jody non era la loro mamma e perché non avessero una madre, e, dopo che il maggiore gli ebbe spiegato che i loro genitori naturali non erano le persone che li stavano crescendo, le domande aumentarono e chiedeva sempre – Sammy era un bambino molto curioso – perché loro padre non era con loro, perché non li chiamava mai, Dean aveva sentito un dolore atroce all’altezza del petto, perché avrebbe voluto preservarlo da quel dolore, e quando aveva dovuto spiegargli che la loro mamma, Mary, era diventata un angelo, perché un uomo cattivo – “un demone, Dean?” “Sì un demone, Sammy.” “Uno brutto, cattivo, con gli occhi gialli?” “Sì; Sammy” – le aveva fatto del male, e aveva visto suo fratello piangere a singhiozzi tra le sue braccia, Dean avrebbe voluto sparire dalla faccia della terra, ed essere inghiottito dal terreno. – “E papà?” “Papà viaggia molto per lavoro, è un soldato” “Allora è un eroe!” “Ovvio, Sammy” – in coscienza non aveva voluto dire al fratello che suo padre fosse un assassino ubriacone. Santo cielo, quanto si era sentito male, quel giorno, soprattutto quando Sam era scoppiato a piangere per la seconda volta, perché non era giusto che non l’avesse conosciuta. Ed era colpa sua se il suo fratellino stava così male, perché lui non aveva fatto nulla per salvare la sua mamma, poi il bambino si era calmato ed era corso ad abbracciare Bobby per ringraziarlo di essere stato il papà più bravo del mondo, Dean aveva tirato un sospiro di sollievo, ma il senso di colpa non era svanito. Si incolpava ogni giorno per quello che era successo e non riusciva a smettere.
Prese un lungo respiro ed inspirò a fondo l’aria fredda novembrina, espirando fece fuggire dalle labbra un po’ di condensa come un piccolo sbuffo, e la guardò dissolversi nell’aria, avrebbe voluto sparire come quella piccola nuvoletta; non riusciva a perdonare se stesso per non aver fatto niente quella notte. E si ritrovava, quel giorno, l’anniversario della morte della madre, sulla sua tomba a chiederle scusa per qualcosa che, in realtà, colpa sua non era. Perché aveva solo quattro anni e non sapeva nemmeno cosa significasse la parola morte.
Sebbene tutti gli ripetessero sempre che non era colpa sua, che aveva solo quattro anni, quando quell’orrore accadde, Dean non riusciva a scrollarsi di dosso il senso di colpa, e ogni anno, il 2 novembre si faceva accompagnare al cimitero, portava una rosa a sua madre e le chiedeva scusa per non averle salvato la vita quella notte; chiedeva scusa a Sam, che non aveva mai conosciuto sua madre; chiedeva scusa a Bobby, per avergli dato un peso come quello, perché aveva preso per se stesso un compito davvero impegnativo.
«Mi dispiace, mamma» disse, pestando i piedi sul terriccio, stringendosi nella felpa un po’ troppo leggera «Farei di tutto per tornare a quella notte e cambiare le cose» mormorò, poi appoggiò una rosa sulla lapide della madre e sospirò pesantemente «Avrei dovuto fare di più per proteggerti… è tutta colpa mia, e mi dispiace tantissimo…» disse, trattenendo i singhiozzi. Non versò neppure una lacrima, non lo faceva da quella notte e non avrebbe ripreso proprio in quel momento.
«Dean» lo chiamò una voce familiare alle sue spalle, l’uomo gli mise una mano sulla spalla, con fare confortevole.
«Bobby» mormorò lui «Non passa, il senso di colpa non passa…» aveva la voce spezzata, ma non piangeva.
«Mi dispiace, ragazzo» affermò l’uomo dispiaciuto, stringendogli la spalla con tenerezza, sembrava, all’apparenza, burbero invece era di una dolcezza incredibile, anche se non lo dimostrava, era più tenero di una pagnotta di pane caldo «Andiamo a casa, Sam sicuramente si chiederà dove sei» gli disse con fare paterno. Ogni anno, il due novembre, Bobby si metteva in auto e lo portava al cimitero di Lawrence, e aspettava che lui finisse la visita a sua madre. Sapeva quanto il ragazzo stesse male, ma era ancora chiuso in una bolla impenetrabile, vane erano state le visite psichiatriche, Dean non parlava del trauma subito alla tenera età di quattro anni, e sebbene Bobby cercasse in tutti i modi di aiutarlo, il ragazzo non voleva saperne di ricevere aiuto, era un dannatissimo cocciuto.
Udendo il nome del fratello, subito Dean fu sull’attenti, e guardò l’uomo preoccupato. L’ultimo desiderio di sua madre era che Sammy fosse al sicuro e non soffrisse, doveva proteggerlo da tutto e da tutti e l’avrebbe fatto a qualunque costo. Tutto nella sua vita era un errore, tranne suo fratello minore.
«Sta bene?» chiese.
«Ma certo, lo sai è con Jody» rispose l’uomo «Ma sai che si chiede sempre dove tu sia, ogni volta che sparisci» gli spiegò bonariamente «Dean, non devi torturarti inutilmente, non è stata colpa tua» gli disse con sincerità, ma Dean non gli credeva mai quando glielo ricordava. Era inutile dirgli che non fosse colpa sua, non sapeva perché il ragazzo rifiutasse di crederlo. Aveva solo quattro anni quando era successo, Bobby ricordava quando l’agente gli aveva detto che il bambino credeva che il padre bevesse del tea alla pesca, invece del whisky e il sangue fosse marmellata di fragole. Aveva solo quattro anni e non poteva capire che non avrebbe potuto fare niente. Infatti, il ragazzo si strinse nelle spalle, e senza rispondere – ovviamente non aveva creduto alle sue parole – accettò di seguire l’uomo a casa per vedere come stesse Sammy. Dopo aver lasciato un delicato bacio sulla foto della madre, che ritraeva una giovane donna sorridente con i capelli biondi e gli occhi verdi – Dean le somigliava più di quanto avrebbe voluto –  che era stata strappata via dalla sua famiglia troppo presto; dopo averla salutata ed essersi scusato ancora con lei per ciò che le aveva fatto, seguì Bobby fuori dal cimitero ed entrò nella sua auto, in completo silenzio. Non si lasciò tradire da nessuna lacrima, ma dentro di sé, avrebbe voluto piangere e riversare tutto il suo dolore all’esterno del proprio corpo; non lo faceva, perché farlo avrebbe significato ammettere che, in fondo, lui non era poi così colpevole, perché quella notte aveva solo quattro anni e non capiva molto. Ma lui avrebbe dovuto proteggerla, e aveva fallito. Era colpa sua.
Quando tornò a casa, Sam, che era rimasto in compagnia di Jody corse come un razzo verso il fratello, gli saltò al collo e lo abbracciò così forte da togliergli il fiato. Dean voleva davvero bene a suo fratello, era, forse, l’unica cosa positiva della sua vita; lo strinse forte a sua volta, Sam riusciva sempre a dimostrargli affetto e a strappargli un sorriso.
«Fratellone!» urlò il ragazzino allegramente, aveva solo dieci anni, eppure era alto come uno di dodici «Dean! Ho finito di costruire il vulcano che erutta! Lo presenterò a scuola! Vuoi vederlo? Jody mi ha dato una mano a finirlo!» esclamò eccitato, saltellando sul posto. Forse, un po’ di dolore scivolò via dalla pelle di Dean, quando udì il fratello così felice. Avrebbe voluto che restasse sempre così, piccolo, felice, spensierato e vivace.
«Ma certo, piccolo genio!» esclamò in risposta, scompigliandogli un po’ i capelli tagliati a scodella «Vediamo questo vulcano». La mamma sarebbe così fiera di te, Sammy – pensò, guardando il più piccolo con fierezza. Sam lo afferrò per mano e lo condusse nella cantina, dove Jody e Bobby gli avevano costruito un piccolo laboratorio di chimica, dove il ragazzino conduceva i suoi esperimenti. Sam era un piccolo genio, Dean sapeva che avrebbe fatto carriera nella vita, qualunque strada avesse scelto. Osservò il vulcano di Sam, eruttava davvero – certo, non era lava vera – ma era riuscito a portare a termine un progetto che si era messo in testa. Aveva solo dieci anni ed era più coraggioso di lui. Si abbassò alla sua altezza e lo abbracciò forte, sorridendo. «Sono così fiero di te, Sammy» gli disse a bassa voce. Il minore si lasciò stringere dal maggiore e poi passò tutto il tempo a spiegargli come avesse fatto. Dean non capiva una sola H di ciò che Sam stava dicendo, era una frana in qualsiasi materia scientifica, ma lo ascoltava rapito e orgoglioso. Lo era davvero. Avrebbe fatto di tutto, anche i salti mortali, per vedere suo fratello felice.
Passarono la giornata insieme, e quando andarono a letto, il più piccolo si voltò verso di lui e lo guardò dubbioso.
«Dean, mi dici perché il due novembre esci con lo zio Bobby e ritorni dopo tante ore?» chiese. Il biondo deglutì mordendosi le labbra. Cosa avrebbe dovuto rispondere? Dirgli la verità? Aveva già affrontato il discorso della mamma una volta, e no, non aveva davvero voglia di ripeterlo.
«Te lo dirò quando sarai più grande» promise il maggiore, ma Sam aveva già esclamato “uffa!” e si era girato, dando le spalle a Dean; sicuramente un giorno gli avrebbe detto che andava a chiedere scusa alla mamma per aver permesso a John di farle del male, ma non quella sera. Sperava solo che non facesse altre domande sul due novembre. 
 
Sei mesi dopo, 16 maggio 2003
Quando Bobby gli aveva detto che suo padre, John, sarebbe uscito a giorni dalla prigione, Dean divenne intrattabile, aveva sempre sperato che quel giorno non arrivasse mai, o che lui non dovesse vedere per forza il volto di quell’uomo. Rispondeva male a tutti, non mangiava, se ne stava sempre sulle sue ed evitava qualunque contatto umano con chiunque. Non voleva rivedere quell’uomo, non voleva che Sammy lo conoscesse. Era solo un ubriacone assassino, e per lui lo sarebbe sempre stato, e promise a se stesso, che non avrebbe mai permesso a quell’uomo di far del male a Sam. Bobby provò a dirgli che magari in dieci anni era cambiato, che in tanto tempo aveva avuto modo di riflettere sui suoi errori e dargli la possibilità di rimediare a quello che aveva fatto. Dean non lo ascoltava, non ne aveva assolutamente intenzione, non avrebbe mai perdonato quell’uomo per quello che aveva fatto.
«Ragazzo, ragiona» gli diceva Bobby «Per lui sarà importante ricevere affetto. Non sei voluto andare a trovarlo nemmeno una volta in questi anni» insisteva, ma Dean non aveva intenzione di ascoltare le sue parole. Sarebbe andato con lui a prenderlo, perché era giusto così, ma non avrebbe mai perdonato quell’uomo per aver ucciso sua madre quando lui aveva solo quattro anni e Sammy sei mesi. Di solito, i ricordi dei primi sei anni di vita, tendevano a sparire durante la crescita, ma il ricordo di quella notte, era vivido nella sua memoria come una cosa vissuta da adulto; tutti gli avevano detto che fosse a causa del grosso trauma, per questo non l’aveva mai rimosso dalla memoria, ma Dean sapeva che fosse unicamente il senso di colpa a permettergli di ricordarlo ogni giorno, perché sapeva, nonostante le parole di tutti coloro che lo circondavano che fosse unicamente colpa sua, perché a causa della paura non lo aveva fermato.
Quando, qualche giorno dopo quell’annuncio, accompagnò Bobby fuori al penitenziario a prendere John, Dean sentì una fitta attraversargli lo stomaco; una sensazione spiacevole, una delle peggiori mai vissute, giunse al suo cervello, e nulla aveva il potere di fermare quel dolore che pian piano si stava dilagando dentro di lui. Deglutì, quando l’enorme cancello si aprì davanti ai suoi occhi, lasciando uscire un uomo con una folta barba, i capelli scuri spettinati, e l’espressione colpevole sul volto. Si sforzò di fargli un sorriso, quando si avvicinò a lui e Bobby, perché l’uomo gli aveva fatto il lavaggio del cervello in quei giorni, perché Dean è tuo padre, ha bisogno di supporto, del tuo supporto, Dean pensa anche a Sam, ha bisogno di suo padre, vane erano state le proteste di Dean a quelle parole e i suoi tu sei nostro padre, lui non merita di essere chiamato così, tu ci hai cresciuti come tuoi figli, tu mi hai insegnato a radermi e a prendermi cura di Sammy, e no, Sam non ha bisogno di lui. Bobby alla fine lo aveva convinto che John meritasse una possibilità, perché Bobby lo guardava con quello sguardo severo, ma fiero, e gli faceva capire quali fossero le cose giuste da fare, e Dean si fidava di lui, dell’uomo che lo aveva accolto nel momento più brutto della sua vita, e che era rimasto accanto a lui quando gli incubi avevano popolato i suoi sogni per molti anni e che aveva messo una lampadina nella sua camera, quando aveva avuto paura del buio. Bobby gli aveva detto di fare quella cosa – andare da John, fargli un sorriso, provare a dargli una seconda chance – e lui lo aveva fatto, perché era stato suo padre a dirglielo, anche se non li aveva mai adottati legalmente, lo aveva fatto affettivamente, e quello era più importante di qualunque pezzo di carta. L’unica approvazione che voleva era quella di quell’uomo fintamente burbero che sapeva indirizzarlo sempre sulla retta via, colui che lo aveva cresciuto e gli aveva insegnato ogni cosa.
«Ehi Dean» lo salutò John, guardandolo con un sorriso. Erano dieci anni che non lo vedeva, sapeva benissimo il motivo, e non poteva biasimare il figlio se lo detestava, Dean somigliava a Mary più di quanto immaginasse, aveva la sua stessa espressione, e soprattutto i suoi occhi; per l’uomo era stato davvero un colpo vedere il figlio così cresciuto, aveva persino un accenno di barba sul mento, l’ultima volta che lo aveva visto era un bambinetto di quattro anni. «Sei cresciuto» osservò, forse con un po’ d’ovvietà, voleva solo rompere il ghiaccio con il figlio. Non sapeva come iniziare una conversazione con il ragazzino che aveva assistito a quell’omicidio quella notte.
Dean si accigliò ed emise una leggera risata sarcastica, sul serio? Sapeva dirgli solo cose così banali?
«Non grazie a te» rispose acidamente il ragazzo, Bobby gli lanciò un’occhiataccia di rimprovero. John incassò il colpo, si aspettava che il ragazzo avesse una reazione simile, meritava il suo odio, dopotutto, aveva ucciso Mary, e faceva i conti con questa consapevolezza ormai da dieci anni. Non riusciva nemmeno ad immaginare cosa avesse significato per il ragazzo, aver assistito quella notte. Dean, adesso, aveva solo quattordici anni, ma aveva l’aria di chi era cresciuto troppo in fretta. E John non poteva che sentirsi in colpa, se solo quella sera non fosse stato ubriaco…
I ricordi di quella notte, ricominciarono ad affiorare con violenza alla mente di Dean: quando dieci anni prima erano arrivati a casa di Bobby, e l’uomo li aveva sistemati in una stanza per farli riposare, Sam era scoppiato in lacrime, ovviamente, si sentiva spaesato e non sapeva cosa accadesse, Dean si era sdraiato vicino a lui e lo aveva stretto forte, fino a che non si era calmato ed addormentato. Cosa ne voleva sapere quell’uomo di quello che aveva passato?
«E Sam?» chiese, quasi in un sussurro.
«Sì, è cresciuto anche lui dopo dieci anni» commentò acidamente. Bobby lo fulminò di nuovo, ma non disse nulla.
«Intendevo… dov’è?» domandò di nuovo.
«A casa di Bobby» rispose secco.
Improvvisamente, tra di loro scese di nuovo il silenzio, interrotto solo dal cigolare del cancello di ferro che si richiudeva, Dean non degnava John di uno sguardo, che al contrario guardava il figlio dispiaciuto e con aria colpevole.
«Dean, mi dispiace» disse nuovo John, spezzando il silenzio, mi ci pulisco il culo con le tue scuse, stronzo pensò il ragazzo, senza dare voce ai suoi pensieri, non voleva deludere Bobby; poi scosse la testa e non gli rivolse più la parola, limitandosi a guardarlo con astio, convinto che no, non lo avrebbe mai perdonato. Aveva reso la sua vita un vero e proprio inferno.
«Dean» lo chiamò Bobby con il tono di rimprovero che usava sempre quando stava facendo qualcosa di sbagliato. Il ragazzo sbuffò ed entrò nell’auto, sedendosi sul sedile posteriore. Appoggiò la testa al vetro e sperò che Bobby depositasse quell’uomo da qualche parte – in un motel, o qualcosa di simile – e tornassero a casa, come se tutto quello non fosse mai accaduto, come se non lo avesse mai rivisto. Le preghiere di Dean furono esaudite, dopo un silenzioso tragitto in auto, durante il quale il ragazzo lanciava occhiatacce all’uomo desiderando solo di prenderlo a pugni, come avrebbe dovuto fare quella notte e proteggere sua madre, e Bobby lo guardava con rimprovero, perché non avrebbe dovuto comportarsi così, i due lasciarono John fuori ad un motel. Bobby gli chiese del tempo, perché i suoi ragazzi ne avevano bisogno, dopo aver sofferto tanto, per tanti anni e John non poté far altro che accettare le parole dell’amico, dopo aver chiesto nuovamente scusa al figlio per il male che gli aveva causato.
 
John in poco tempo, quasi due mesi, entrò nelle loro vite, stava man mano iniziando a riprendersi la sua vita. Con il permesso degli assistenti sociali, a cui si erano rivolti Bobby e Jody per il bene dei ragazzi, dopo il suo rilascio dalla prigione, aveva visto Sam, e d’accordo con Bobby non aveva mai menzionato l’omicidio della madre; Sam, anche se non si ricordava di lui, era stato contento di conoscere finalmente il suo papà, e Dean abbozzò un sorriso quando li vide abbracciati. Sam meritava di essere felice. Anche se nessuno sano di mente, avrebbe mai affidato i ragazzi a John. Dean man mano iniziava ad apprezzare il cambiamento di quell’uomo, e cercava davvero di impegnarsi a non essere scorbutico con lui, e con l’aiuto di Bobby  era riuscito anche ad instaurare un dialogo, quando Bobby aveva intavolato il discorso sulla passione per le auto di Dean, il quale a soli dodici anni si era recato nell’officina dell’uomo e aveva fatto diverse domande sui motori e sulle auto in generale. John ricordava che Dean da bambino desiderasse diventare un pilota, e promise al ragazzo, che quando un giorno avrebbe preso la patente, gli avrebbe regalato un'auto; gli occhi di Dean erano diventati due sfere di luce pura, a quella notizia, non avrebbe mai creduto che John decidesse di fargli un regalo così, non dopo tutto l’odio che gli aveva riservato in quei mesi. Non seppe quando, ma iniziò a parlare più spesso con lui, su come andavano le cose a scuola – non si impegnava molto, ma dava comunque buoni risultati, nella media – e del suo migliore amico, Benny, l’unica persona a sapere davvero tutto di Dean, e una volta uscirono anche insieme per fare la spesa. Dean aveva rivalutato John, anche se ancora non riusciva a definirlo padre e a dimenticare il motivo per cui lo aveva detestato per tutta la vita, avevano un rapporto quanto meno civile e rendeva Bobby fiero; e si sentiva davvero felice. John sembrava davvero cambiato e intenzionato ad instaurare un sano rapporto con i figli, sebbene l’affidamento fosse lontano anni luce, e Bobby fosse totalmente contrario a lasciarli a lui. Anche se cercavano di dargli una seconda chance, nessuno dimenticava cosa avesse fatto a Mary e cosa avesse causato a Dean quella notte.
Dean, nell’ultimo periodo, si sentiva meno colpevole, soprattutto quando John confessò che, sì, quella sera era stato preso da un momento d’ira e che se il figlio lo avesse intralciato, avrebbe fatto del male anche a lui, perché non era in sé, era ubriaco fradicio e si era odiato per dieci lunghi anni, e continuava a farlo, da quella notte. Adesso frequentava gli alcolisti anonimi ed era sobrio, o almeno così diceva.
Dean, nel pieno dei quattordici anni, si sentiva un po’ meno con il peso del mondo sulle spalle e una famiglia un po’ disastrata, ma abbastanza stabile, ed era sempre il punto di riferimento di Sam, che più diventava grande e più faceva domande su quella fantomatica notte, a cui tutti alludevano, ma di cui nessuno parlava apertamente. Dean si sentiva sempre in colpa a mentirgli, e promise a se stesso, che un giorno, quando Sam sarebbe stato abbastanza grande da capire la dinamica delle cose, gli avrebbe raccontato tutto. Forse.
Stava riacquistando fiducia in se stesso e nel padre, a passi molto lenti, ma ci stava riuscendo. Anche a scuola, sebbene studiasse il giusto, stava acquistando fiducia in se stesso e nei suoi gusti, l’anno scolastico appena concluso era iniziato davvero in modo fantastico. Era successo per caso, spesso a scuola guardava i ragazzi con più interesse rispetto a come guardasse le ragazze, ne aveva parlato con il suo migliore amico, che gli aveva detto che poteva essere una fase, ma che comunque era okay per lui; poi, dopo molto tempo da quella chiacchierata, un pomeriggio di luglio, verso la fine del mese ne aveva avuto la conferma. Ad una festa di un suo compagno di scuola, a cui Benny lo aveva letteralmente trascinato, perché era giovane, si stava perdendo tutte le cose belle della loro età e non poteva restare chiuso in casa come un vecchio di ottant’anni, un ragazzo meraviglioso, Andrew della squadra di basket, lo aveva baciato durante uno stupido gioco, e Dean aveva avuto la conferma che gli piacessero i ragazzi e non le ragazze – perché con le ragazze non provava assolutamente nulla.
E così una sera, lo fece. Durante una cena, a cui era stato invitato anche John, Dean confessò a tutti di aver scoperto di essere gay. Fece coming out con la sua famiglia, Bobby e Jody lo abbracciarono forte, fieri del fatto che si fosse aperto con loro. John non fu entusiasta come loro, e si limitò a stringere la mano al figlio e a fargli un sorriso tirato. Sam, nella sua ingenuità da bambino di dieci anni, che non capiva ancora, gli disse che sarebbe stato sempre il suo fratellone, e che gli avrebbe sempre voluto bene. A Dean tanto bastava per essere felice.
Ma come al solito, anche quella volta si sbagliava. Per lui la felicità era un’utopia.
 
Un sabato di inizio ottobre però – ormai John faceva parte delle loro vite da diversi mesi, e tutto sembrava andare per il verso giusto – Dean era solo a casa, non aveva scuola per un problema idraulico – si era letteralmente allagato un intero piano – Bobby e Jody erano usciti con Sam per accompagnarlo a prendere delle cose per il suo club dei piccoli chimici e il quattordicenne aveva deciso di rilassarsi con della buona musica, in completo relax. Quando improvvisamente sentì dei rumori davvero forti dalla cucina, e temette che qualche ladro fosse entrato in casa. Scese cautamente al piano di sotto e vide John – come diavolo era entrato? Era certo che Bobby non gli avesse mai dato le chiavi – con una bottiglia di whisky in mano, che lo guardava con odio. Non aveva smesso di bere per il bene dei suoi figli? Perché aveva ricominciato? Perché adesso lo guardava in quel modo? Dean avvertì la sensazione di pericolo, ma cercò di scacciarla, perché Bobby gli aveva riempito la testa di cazzate sul fatto che loro avessero bisogno di John e viceversa, e sul non fermarsi alle apparenze.
«Ciao Dean» lo salutò con una risata mal celata, il ragazzo si accigliò e lo guardò preoccupato.
«John, qualcosa non va?» chiese, avvicinandosi cautamente, con un po’ di paura che cresceva dentro di lui «Che cosa ci fai qui? Come sei entrato?» domandò ancora, poi notò la porta sul retro aperta e si diede dell’idiota per non averla chiusa. Ovviamente, era colpa sua se in quel momento era in pericolo. Da quando, però, aveva ripreso a bere?
«Tu mi odi, non è vero, Dean?» domandò l’uomo avvicinandosi a lui barcollando.
«Ci sto lavorando… lo sai» balbettò a disagio «Non è facile, dopo quello che è successo alla mamma» spiegò. Bobby gli aveva sempre detto che il dialogo era la soluzione migliore in determinate occasioni.
«Sei identico a lei» sputò acidamente, bevendo altro alcool. Dean non sapeva se prendere le sue parole come un complimento o come un insulto. «Troppo identico».
«Senti… dimmi qual è il problema, possiamo risolverlo» disse con esitazione, cercando di trattenere i brividi di terrore.
«Sei un cazzo di finocchio, ecco cosa c’è che non va» rispose acidamente, lanciando un’occhiataccia al ragazzo. Dean boccheggiò. Era passato un po’ di tempo dal suo coming out, risaliva alla fine dell’estate… non aveva accettato la cosa? Perché ora gli parlava in quel modo? Lui gli aveva dato fiducia, cosa stava accadendo, ora? Si sentiva terrorizzato e confuso, senza capirne il perché.
«Si dice gay» lo corresse storcendo il naso, ostentando sicurezza «Sì comunque, quale problema ci sarebbe?»
«Che fai schifo» sputò acidamente, prendendo un altro sorso di liquido scuro. Dean ebbe un flash della notte della morte di sua madre ed indietreggiò terrorizzato. Doveva subito chiamare aiuto, farlo allontanare da quella casa, ma era paralizzato. Il ragazzo deglutì, mentre l’uomo muoveva dei passi verso di lui, ed indietreggiò ancora, sperando di arrivare al telefono prima che lui lo raggiungesse. John fu davanti a lui in lampo e gli tirò uno schiaffo forte sulla guancia «Fai schifo, ti devono piacere le donne, io non ho messo al mondo un frocio!» esclamò.
Ormai la mente di Dean era annebbiata dalla paura, si ritrovò a sentirsi un bambino di quattro anni che assisteva alla morte della madre per via di un ubriacone. John lo colpì forte di nuovo con un altro schiaffo, poi un altro ancora, poi lo colpì con un pugno. Dean cercò di reagire, ma la paura lo bloccava quasi completamente e non poteva avere vantaggio su un ex soldato e vigile del fuoco, seppur ubriaco era più forte di lui. Si ritrovò sopraffatto e subì la scarica di pugni e calci che il padre gli tirò, per metterlo in riga. Rivisse su se stesso la notte della morte di sua madre, ed era così paralizzato dalla paura, che persino reagire era difficile per lui. Aveva sbagliato a dare fiducia a quell’uomo, lo sapeva che non avrebbe mai dovuto, sapeva che fosse un errore, eppure ingenuamente aveva pensato che magari lui fosse cambiato e che potesse avere un rapporto sano con lui. Perse i sensi a causa del dolore, dopo altri colpi forti. Fu ritrovato da Bobby, privo di sensi sul pavimento della cucina, pieno di lividi e graffi; ma non disse nulla su John, inventò una scusa banale su dei ladri entrati dalla porta sul retro. Quella era la sua battaglia personale, sapeva di averlo meritato, non per la sua tendenza sessuale, ma per il suo passato. Lui meritava di fare la stessa fine di sua madre, quella che avrebbe dovuto fare anni prima, quando invece di proteggerla, era rimasto immobile. Forse in quel modo avrebbe espiato la sua colpa.
Dean tacque quando, quella sera, suo padre, abbastanza sobrio, sorrise davanti a tutti, come se nulla fosse successo.
Tacque quando, di nuovo soli, John lo picchiò ancora, ricordandogli quanto fosse un vigliacco e una femminuccia. Tacque quando gli disse che fosse solo un fallimento, che sua madre non sarebbe mai stata orgogliosa di uno come lui.
Tacque quando disse che anche per lei sarebbe stato solo una delusione.
Tacque quando John lo accusò di aver ucciso sua madre, dandogli del codardo perché non aveva chiamato nessuno. Tacque quando gli disse che non fosse un vero uomo.
Tacque quando si rese conto di non essersi sbagliato in quegli anni, era stata colpa sua, lo aveva sempre saputo.
Dean tacque quando il mondo, per la seconda volta, gli crollò addosso.
 



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Salve di nuovo, gente! 
Lo so, volete uccidermi per quello che ho fatto a Dean, sembrava andare tutto bene, eh? E invece no. Ma non preoccupatevi, non può andare peggio, giusto? Ehm, va beh. Penso che fino all'arrivo di Cas mi odierete. 
Questo è il primo capitolo effettivo. Chiedo pubblicamente scusa a John Winchester per averlo fatto diventare un pezzo di merda, ma mi serviva ai fini della trama! (Non che nella serie fosse uno stinco di santo, però...) So che sembra senza senso che sia scattato così con il figlio, ma comunque Dean è quello che lo ha praticamente incastrato quando è stato condannato, è identico alla madre - e gli ricorda ogni giorno quello che ha fatto - non è esattamente espansivo con lui, anche se cerca di avere un rapporto civile con lui... La sua vita è un casino per una cosa che ha fatto lui, ma come tutti gli esseri umani deve scaricare la colpa su qualcuno e questo è il figlio che lo ha fatto condannare... il fatto che sia gay è solo un mero pretesto. (L'ho spiegato perchè effettivamente non è chiaro, visto che la storia è quasi interamente dal p.o.v di Dean).
Ovviamente non potevo che osannare Bobby e Jody, che sono una sorta di secondo padre e seconda madre per i boys. ( E quando Bobby scopre ciò che ha fatto John sono cazzi... ops.)
E come potete vedere ho giocato di nuovo con il canon, perchè adoro farlo.
Vi ringrazio per avermi ri-accolta nel fandom, e ringrazio chi ha recensito, seguito e anche solo visualizzato la storia da quando ho iniziato a postarla! Siete degli angioletti :3 ci si becca la prossima settimana, su questi canali! 
A presto, people! - se non mi massacrano a lavoro! 

P.S se vi chiedete da quale canzone siano tratte le frasi all'inizio di ogni capitolo è questa. E da anche il titolo alla storia. In realtà, è stata proprio la canzone a dare il via a tutto ciò. 
   
 
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