Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
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Autore: Jules_Kennedy    07/08/2017    1 recensioni
-Per la decima volta, non ne so niente di quella partita di droga. Non ho idea di come ci sia finita quella roba nella mia macchina, e se qualcuno ha cercato di incastrarmi c’è riuscito benissimo. Ora posso andare a casa?- chiese nuovamente l’uomo, fissandola intensamente. Dal canto suo la donna gli sorrise affabile, sporgendosi di poco verso di lui e lasciando intravedere velatamente le forme prosperose.
-Signor Trafalgar Law, lei potrà continuare a ripetere questa frase fino a quando vuole, ma fino a che non mi dirà la verità su come siano andate le cose, casa sua se la scorda.-
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-Non ci posso credere.- asserì sconvolto.
-Era l'unica soluzione- disse semplicemente Law.
-Fammi capire bene.- inspirò profondamente Kid dopo qualche minuto di silenzio, interrotto solo dal brusio di sottofondo del bar. -Tu, Trafalgar Law, leggenda delle conquiste ed aprifighe a tradimento, hai fatto credere ad una ragazza che ti piace, e non solo per scoparci, e a cui probabilmente nemmeno tu fai schifo, di essere gay solo per evitare di doverti impegnare in una cazzo di relazione!?- espose con estrema perizia, controllando il tono della voce per evitare che la sua testa prendesse fuoco per la rabbia."
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Izou, Koala, Penguin, Sabo, Trafalgar Law
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il freddo pungente di febbraio mordeva quell’ennesimo martedì cupo, avvolgendo con il suo grigiume l’intera città di Dressrosa. Ormai da quasi una settimana il tempo sembrava ormai essersi cristallizzato. insieme ai chiari fiocchi di neve che volteggiavano lenti nell’aria, imbiancando i marciapiedi ghiacciati.
 
Lo Shogun bar, poco distante dal complesso del Kyros Memorial e noto per le sue squisitezze fatte in casa, era gremito. Nonostante infatti appena dieci minuti prima non v’era l’ombra un cliente nel raggio di mezzo miglio, nel momento stesso in cui la campanella dell’istituto superiore Heart trillò a segnare che le lezioni mattutine erano finalmente terminate, un’orda di ragazzini sbucati fuori dal nulla si palesò, feroce come un branco di famelici lupi alla ricerca di un pasto, schiacciandosi contro la teca che conteneva i pezzi di rosticceria e sgomitando e ridacchiando per ottenerne uno in una bolgia indescrivibile.

Tutti i prima solitari tavolini vennero brutalmente occupati da quella massa di brufolosi adolescenti in piena crisi ormonale, tranne che per l’unico tavolo esposto al fioco sole invernale sole che dava direttamente sulla strada, ben disposto adiacente alla grande vetrata del bar.

Non che ci fosse qualcosa di sbagliato in quel tavolo, era ordinato ed elegante come tutti gli altri pezzi di arredamento, e nel complesso la posizione risultava anche estremamente piacevole. Il problema era che quel tavolo era occupato da più di un’ora da qualcuno che nemmeno Dolton, il monumentale proprietario del bar avrebbe voluto scomodare.

Qualcuno che ormai controllava l’orologio dorato ben assicurato al polso quasi ogni cinque secondi, lanciando occhiate di fuoco alla pavimentazione stradale, forse nel tentativo di farla esplodere con la forza del pensiero. Una cameriera piuttosto avanti con l’età si azzardò a riavvicinarsi al tavolo a distanza di dieci minuti dalla collega, Aphelandra, che poco prima si era beccata dritta in faccia una delle più colorite bestemmie che chiunque li dentro avesse mai sentito.

-Allora grand’uomo, ancora qui?- chiese senza il minimo timore Kokoro, poggiando una mano sul fianco abbondante e sghignazzandosela nell’osservare la carnagione pallida del solitario avventore diventare quasi dello stesso colore dei suoi capelli sanguigni ben appiccicati in testa. Due occhi d’ambra la scrutarono incandescenti, senza però alcun effetto. -Che vuoi, vecchia?!- sbottò il giovane, incurvando in una smorfia infastidita le fauci truccate. -Oh, su Eustass non essere così cattivo con una povera anziana come me!- lo riprese bonaria la donna, estraendo una boccetta in acciaio dalla tasca interna del panciotto della divisa. Kid la scrutò con un sopracciglio inesistente alzato trincare senza un freno, attaccandosi al sottile collo della fiaschetta ed andando quasi oltre il suo limite di decenza.

Il che era tutto dire.

-Non dovresti bere così tanto, vecchiaccia. Uno di questi giorni ti scoppia lo stomaco.- borbottò incrociando lo sguardo annacquato della cameriera, che dal canto suo non aveva praticamente sentito una parola e continuava a ridersela per chissà quale motivo.

-il fegato Eustass-ya. Le scoppierà il fegato.- lo riprese una voce strascicata e misurata, facendolo voltare di scatto per divorare in un impulso animalesco il ritardatario intruso. -Alla buon’ora, testa di cazzo!- sbraitò Kid sbattendo le mani sul piano del tavolo, attirando l’attenzione di Kokoro che aveva momentaneamente smesso di bere dalla sua preziosa fiaschetta placcata argento.

-Kokoro – san.-

-Trafalgar! Le mie analisi del sangue sono pronte?- chiese la cameriera facendosi indietro per lasciare spazio al giovane corvino che si apprestava a prendere posto di fronte ad Eustass, barcollando leggermente e perdendo pericolosamente l’equilibrio. Senza nemmeno farci caso Law si sporse involontariamente in avanti contemporaneamente a Kid, sorreggendola per un braccio così come il rosso. Si scambiarono un’occhiata atona, mollando immediatamente la presa. -Domani avrò i risultati. Inutile dirti che il consiglio primario è che cercare di tornare sobria ogni tanto non ti farebbe male.- spiegò atono Law, sfilandosi il pesante cappotto scuro e gli occhiali da sole. -Quando il mio fegato deciderà che ne ha abbastanza allora rifaremo questo discorso! Fino ad allora, io e la mia Kalifa non ci separeremo mai!- ridacchiò la donna, ignorando lo sguardo gelido del chirurgo ed avviandosi a passo incerto verso il bancone per portare a Law il suo caffè nero e a Kid la sua birra triplo malto.

-Kalifa?- chiese con tono scettico Law inarcando un sopracciglio all’indirizzo del rosso. -La sua fiaschetta.- borbottò Kid alzando le spalle, sollevando poi le mani dal tavolo per permettere a Kokoro di poggiare le bevande di fronte al rispettivo proprietario. -Grazie.- masticò brusco il meccanico, contemporaneamente a Law che ringraziò la donna con un semplice cenno della testa, osservandola con la coda dell’occhio ritornare sui suoi passi portandosi nuovamente la fiaschetta alla bocca, e come al solito con il suo immancabile sorriso a duecento denti spalmato in viso.

-Sono stato trattenuto a lavoro. E comunque avrei fatto tardi anche solo per farti imbufalire.- spiegò Law senza che nessuno glielo avesse chiesto, un mezzo ghigno in viso e gli occhi puntati sulla strada imbiancata da silenziosi fiocchi che avevano da poco cominciato a scendere.  -Come se credessi ad un cazzo di quello che dici. Dillo che eri impegnato in una visita approfondita con la poliziotta, gran bastardo.- lo punzecchiò malevolo Kid, sollevando appena lo sguardo dal boccale dorato che apprestava a riportarsi alla bocca per puntare gli occhi su quelli sbiancati di Law.

Bingo.

-Credo che non siano cazzi tuoi, Eustass-ya. E comunque meglio di te che ti sei fatto lasciare per la trentesima volta da Reiju.- ribattè acido ma pacato come al solito il diretto interessato, ottenendo esattamente ciò che voleva.
Kid al sentire quel nome ebbe infatti un singulto, tanto che metà della birra che si era ficcato in gola risalì su uscendo da ogni orifizio disponibile sulla sua faccia. Ancora incapace di articolare nemmeno un suono il rosso trucidò l’”amico” con le iridi mielate, sbuffando pesantemente dal naso nel vedere l’evidente compiacimento attraversare i lineamenti di quel bastardo di un chirurgo. -Questi non sono cazzi tuoi, coglione!- sibilò con difficoltà, asciugandosi la faccia con un fazzoletto. -Oh, tu dici?- lo intercettò Law, mollando la tazza e sporgendosi con i gomiti sul tavolo, portandosi a meno di dieci centimetri dal viso ancora mezzo fradicio di Kid.  -Allora mi spieghi perché continui a fare il coglione arrogante e pieno di se con l’unica donna sulla faccia della terra, a parte..- si interruppe, conscio di essere andato oltre. Le pupille del rosso si strinsero come quelle di un animale che percepisce il pericolo, la carnagione se possibile ancora più pallida.

-Comunque sia,- riprese Law riprendendo il suo tono pacato prima che fosse troppo tardi -dicevo, l’unica che riesce a sopportarti senza impazzire dopo cinque minuti o lanciarti addosso un machete e farti fuori? Ti saboti da solo, hai sempre fatto così. Stavolta vedi non fartela sfuggire, perché quando lei si stuferà del tuo atteggiamento da coglione preso di se e se ne andrà sul serio, allora sappiamo entrambi chi dovrà raccogliere i cocci. E dopo l’ultima volta preferirei evitare.- lo apostrofò in un rarissimo slancio di emotività, realmente serio e visibilmente infastidito per la prima volta da quando era arrivato.

Kid dal canto suo era pietrificato. Si passò una mano smaltata tra i capelli, ravvivandoli giusto per distrarre la sua attenzione dalle parole anche troppo reali di Law che gli rimbombavano in testa.

Sapeva che quello stronzo aveva ragione. Su questo aveva sempre avuto ragione, e senza una motivazione reale Kid l’aveva sempre saputo, ma non l’aveva mai ascoltato. E sebbene si fosse sempre comportato da merda qual era con chiunque avesse provato a stargli vicino quando le cose si facevano davvero dure, Law c’era sempre stato.

Certo, passavano tutto il tempo a discutere, litigare, pizzicarsi, insultarsi e lanciarsi oggetti.

Ma nonostante tutto, anche quando Nojiko era.. andata via, Law era rimasto li. Al suo fianco, senza una parola.

Non gli aveva chiesto niente in cambio, ne si era lamentato nel dover recuperare quello che era rimasto del suo migliore amico e rimetterlo insieme con infinita pazienza. Law sapeva infatti meglio di chiunque altro che il cuore del burbero e violento Eustass Kid era nient’altro che una bomba ad orologeria, tanto coriacea e spaventosa fuori quanto fragile e pronta ad esplodere e a sconquassarlo dall’interno ad ogni minimo gesto inconsulto, e la morte della donna che il demone della Supernova High School aveva amato più di quanto fosse umanamente possibile spiegare, lo aveva lacerato con la stessa intensità di una cannonata in pieno petto.

E probabilmente Kid avrebbe preferito mille volte una pugnalata o una cannonata in pieno petto piuttosto che sognare ogni singola, dannatissima notte, quelle immagini che non avrebbe mai potuto dimenticare.
 
 
 
***
 
 
 
 
Era successo in fretta.

Forse troppo in fretta.

Nojiko se ne era andata stringendo la mano di sua sorella Nami, lanciando un ultimo sorriso a Genzo e riservando il suo ultimo sguardo a Kid, che dal fondo della stanza se ne stava con le braccia strette al corpo, il viso pallido di per se ormai di cera, spaventosi brividi a scorrergli lungo la schiena, le labbra scure serrate in un mutismo ostinato.

Nonostante ci si fosse arrovellato sopra per minuti eterni, non era stato capace di trovare la forza di avvicinarsi a lei e dirle addio.

Non seppe per quale miracolo riuscì a non distogliere lo sguardo dall’immagine raccapricciante della sua donna che si spegneva lentamente, mangiata viva da un male che non aveva saputo sconfiggere.

Ogni sensazione era dilatata, allungata e stirata fino all’inverosimile.

Solo il suono fisso e penetrante del monitor che segnalava l’assenza di attività elettrica gli era risuonato nel cervello con l’intensità di una bomba a mano sganciata direttamente sui suoi timpani, squarciando quello che era rimasto della sua speranza in meno di un secondo.

Rimase immobile in quella posizione per un tempo che gli parse lungo una vita, osservando con occhi vuoti la disperazione di Nami, stretta a suo padre, medici ed infermieri che si avvicendavano per cercare di rianimarla, ma inutilmente.
Si riscosse stringendo i denti solo quando una mano sottile e tatuata con un’ironica scritta, “DEATH”, si strinse sulla sua spalla.
Non ebbe bisogno di chiedersi di chi si trattasse, ne aveva la lucidità di rispondere in alcun modo alla comparsa di Trafalgar.

A dirla tutta, in quel momento quella mano era forse l’unico appiglio che gli impediva di cadere nel baratro su cui si stava sporgendo pericolosamente.
-Ha lottato fino alla fine.- disse Law, a voce abbastanza bassa da non farsi sentire dagli altri ma solo da Kid.
-Era una guerriera.- rantolò a sua volta il rosso, il petto stretto in una morsa di ghiaccio, la testa vuota, gli occhi ambrati spalancati ed in fiamme.
Incapace di connettere più di tre parole insieme senza sentire il pressante bisogno di scoppiare, urlare, prendere a calci qualcosa.

-Lo so.- lo rassicurò il chirurgo, stringendo la presa quasi senza volerlo. -Lo so.-
 
 
***
 
 
Come a sbeffeggiare chiunque si aspettasse un funerale piovoso, triste e mesto, la giornata si era rivelata di uno splendore quasi accecante.

Il sole si ergeva fiero nel cielo terso di dicembre, illuminando le gocce di rugiada che pendevano tremule, ancorate disperatamente per un ultimo addio alle foglie delle rose che ornavano il variopinto Campo dei fiori, dove il capannello funerario si iniziava a fare sempre più fitto.

Nessuno del resto si aspettava di poter godere di un clima così piacevole, vivo.

Non in una giornata del genere.

 Il colore scuro degli abiti dei partecipanti stonava nettamente con la ricca corona di fiori che adornava la bara in legno di cedro, chiaro e lucido. L’unica foto quasi sommersa dai fiori e dalle lettere ritraeva un viso giovane, perfettamente modellato e sorridente. Gli occhi luminosi si intonavano al color lavanda dei capelli, che sciolti in corte onde le incorniciavano armoniosamente il volto.

Un ragazzo ben impostato e dotato di una fitta criniera leonina sedeva in prima fila, gli occhi strategicamente occultati da una folta frangia bionda. Il posto vuoto accanto a se fu presto riempito da una giovane pallida e tirata, i capelli arancio raccolti in uno stretto chignon, gli occhi nocciola gonfi di pianto. Voltandosi di poco Killer incrociò lo sguardo di Nami, che accavallando le gambe osservava senza reale interesse il prete discutere con Genzo, suo padre e anche di Nojiko. -Hai idea di dove sia tuo fratello?- chiese in un soffio la giovane, la voce carica di stanchezza. Killer appoggiò gli avambracci alle ginocchia, scuotendo la testa.
 -Non risponde alle chiamate. Se qualcuno è stato abbastanza pazzo da andare a recuperarlo, quello è Law. Dovresti chiedere a lui.- si limitò a rispondere il biondo, accendendosi una sigaretta e rischiando di mandarsi a fuoco la testa. -Non lo trovo. Mi aveva detto che sarebbe stato qui alle undici.- commentò Nami, sciogliendo una ciocca dalla morsa dell’elastico e lasciandola cadere mollemente sul viso.

Killer sospirò, tirando una poderosa boccata di fumo. -Per quanto non sopporti quel chirurgo, non mancherebbe mai di rispetto ad una promessa. Non oggi. Avrà avuto i suoi buoni motivi per essere in ritardo.- lo giustificò quasi non credendo alle sue parole mentre scuoteva la testa.


-Eccoli.- sussurrò Nami, puntando lo sguardo sull’ingresso opulento del Campo dei Fiori. Killer intercettò la traiettoria dei suoi occhi, incrociando due figure illuminate dal sole impavido che si facevano strada verso di loro. Non si stupì più di tanto nel vedere l’aspetto tirato e stanco di Law, in fondo non differiva molto dal suo abituale modo di apparire.

Tuttavia sapeva che c’era una stanchezza diversa nei suoi occhi, una fatica più oscura nascosta nel viola delle sue occhiaie, raramente così pronunciate. E quella stanchezza, quella fatica, si personificavano perfettamente nella figura che camminava alla sua sinistra, sovrastandolo di poco dai suoi due metri e dieci di altezza.

E dire che Killer era cresciuto con Kid. Era stato adottato dalla sua famiglia quando aveva solo tre anni, e da allora lui ed il rosso erano stati inseparabili. Lui, insieme a Law, gli erano stati vicini sempre, sostenendosi a vicenda.
Ma era dalla morte di Elizabeth, la madre di Kid, che il biondo non ricordava di averlo visto con un aspetto più cupo e tetro di quello con cui lo incontrò quel giorno.

Due borse gonfie e livide gli pendevano sotto gli occhi chiari, quasi offuscati da un velo indecifrabile. I capelli rossi sembravano fiacchi, incapaci di tendere al cielo come al solito, e la pelle diafana era costellata di violacei segni di contusione, provocati da chissà quale dei tanti scatti di ira che avevano probabilment tenuto Law parecchio impegnato per l’intera nottata.
Del resto dopo che era successo il fatto, senza nemmeno chiedersi dove fosse suo fratello, Killer sapeva già la risposta. Aveva impiegato parecchio tempo ad accettare che Law era l’unico in grado di rispondere con ragionevolezza alle crisi di isteria di Kid, che lui avrebbe curato a cazzotti in faccia.

E vista la portata dei danni che poté ammirare su Kid, ringraziò di non essere stato presente mentre ciò accadeva.

Altrimenti Law avrebbe dovuto medicare il doppio delle ferite.

-Scusate per il ritardo.- si introdusse il corvino, seguito ad un passo da Kid. Killer accennò appena ad un saluto con la testa in direzione di Law, tornando a concentrarsi sul fratello.

Se non avesse saputo che Law si era sicuramente accertato che Kid era in grado di restare in piedi senza crollare da un momento all’altro, la preoccupazione lo avrebbe già divorato vivo. Leggera come un soffio Nami si avvicinò ai tre, posando una mano sul braccio del cognato.
Senza farlo notare, anche lei si era accorta dei risultati della notte precedente, senza stupirsene. E con un enorme slancio di coraggio, rinunciò a credere di essere l’unica a soffrire per l’assenza di Nojiko.

Perché in fondo, anche se lei e Kid non avevano fatto altro che bisticciare e discutere, per dieci anni si erano affrontati al fianco della donna che entrambi amavano, e sarebbe stato da sciocchi non ammettere quanto Kid tenesse a Nojiko, quanto fosse stato disposto a fare qualsiasi cosa per lei.

Aveva abbandonato il lavoro, le spese, la sua stessa persona per sostenere sua sorella in quella battaglia persa in partenza, combattendo ogni giorno con il suo carattere difficile, duro, scontroso, forgiato dalla sofferenza e dalla rabbia.

E nonostante tutti i suoi sforzi, l’aveva persa.

L’avevano persa.

-Sta cominciando. Nami, sarebbe meglio che raggiungessi Genzo.- le intimò Law, distogliendola dai suoi pensieri. Senza replicare la rossa fece scivolare la mano dal bicipite teso del rosso, avviandosi a passi misurati verso la sediolina in plastica vuota accanto alla figura magra del padre.

Lanciò uno sguardo eloquente a Law, rassicurata dal suo impercettibile cenno del mento.

“Ci penso io a lui”.

-Dovremmo sederci anche noi.- constatò Killer, gli occhi incatenati a quelli vuoti del fratello. -Io me ne vado. Non ho nessun cazzo di motivo per restare qui.- gracchiò all’improvviso Kid, rivelando una voce più secca ed abbattuta di quanto si aspettasse il biondo. -Tu non vai da nessuna parte Eustass-ya. Ora noi ci siederemo e tu pianterai il culo su quella sedia. O giuro che ti ci cucio sopra.- lo minacciò atono il moro, le iridi grigie illuminate di stizza.

-Per quanto mi secchi ammetterlo ha ragione, Kid. Non possiamo andarcene. Tu meno di tutti.- lo sostenne Killer, promettendo a se stesso di fare ammenda per quante volte stava dando ragione a quel cazzone di Trafalgar in troppo poco tempo.

A fatica Kid portò lo sguardo verso la bara, inspirando ed espirando profondamente per calmare il tumulto che quella vista gli provocava. Strinse forte i pugni, arrivando quasi a conficcarsi le unghie nel palmo chiaro.

-Lei non c’è più. E non posso vederla soffocare in una cazzo di bara, seppellita in un cazzo di cimitero.- soffiò a fatica, le lacrime ormai pericolosamente vicine a scorrere impietose rigandogli il viso pallido. -Meriterebbe di stare su una collina, con il cielo sopra di lei, ed un albero di mandarini piantato vicino. Ecco cosa sarebbe giusto. Ma questa.. questa cosa, è una grandissima cazzata. Non può più vedermi, non le fregherà un cazzo se ci sono o meno.- sputò affannato, gli occhi sempre più lucidi, una rabbia confusa ad animare le sue parole.

Law soppesò con attenzione ciò che avrebbe dovuto rispondergli, conscio di muoversi su un terreno minato.

-Anche se non credi in Dio, non significa che non esista. Nojiko ci credeva, e se esiste, lei sarà sicuramente in un luogo felice. E penso che scenderebbe dall’alto dei cieli apposta per picchiarti se ti vedesse comportarti in questo modo.- iniziò, interpretando il silenzio spezzato solo da respiro grosso di Kid come un assenso a continuare. -Devi restare perché è il tuo dovere. Lo devi a Nami, lo devi a Genzo, a Killer, a me. A Nojiko. Sarà pure una farsa, una cazzata organizzata per accontentare qualcuno, ma se adesso ti siederai su quella cazzo di sedia, sarà perché hai amato Nojiko, ed il suo ricordo non ti abbandonerà mai. Così come non abbandonerà me, ne nessun altro.- proseguì, gli occhi fissi sulla corona di fiori.

-So che non sembra così, ma Nami ha bisogno di te. E tu hai bisogno di accettare che tutto questo stia accadendo davvero.- concluse, riportando lo sguardo fisso di fronte a se mentre osservava pigramente la gente prendere posto.
-Spero che se esiste un Dio, sia pronto a farsi massacrare quando andrò a salutarlo.- sputò infine il rosso, avviandosi a passo pesante verso il suo posto, tra Nami e Law che lo raggiunse poco dopo.

Il lamento dell’organo si fece sempre più insistente, costringendo Kid ad inspirare profondamente per evitare di vomitare.

Senza nemmeno poter protestare, nel momento stesso in cui il prete, padre Sengoku iniziò l’omelia, Nami gli strinse la mano.
Così, di getto.

 Esattamente come stava stringendo quella del padre al suo fianco, avvicinando la testa alla mano di Zoro che le stringeva amorevolmente una spalla dal sedile dietro, Nami Cocoyashi, la vanitosa, violenta ed irascibile donna che Kid aveva conosciuto quando era ancora un ragazzino, gli stava stringendo la mano con un’urgenza ed una disperazione che credeva di trovare solo in se stesso.

E forse complici le parole di Law, forse lo sguardo del moro che non l’aveva mollato un attimo, forse il sole che aveva tornato a splendere sul Campo dei fiori, Eustass Kid strinse a sua volta quella fragile e sottile mano, sospirando e guardando dritto in cielo.

-Se esiste un Dio, per quando arriverai tu se la sarà già squagliata. Se è furbo. Altrimenti avremo avuto ragione, e quell’idiota di Marco mi dovrà una montagna di Berry.- sussurrò Law, incrociando poi le braccia per prestare attenzione alle importantissime parole del prete, conscio che Kid lo aveva sentito.

Ed infatti, forse per la prima volta da giorni, Eustass Kid accolse un mezzo sorriso, illuminato da quello strano, strano sole di quella triste giornata di dicembre.
 
 
 
***
 
 
Per quanto ci avesse provato e riprovato, non importava che il fatto risalisse a quasi sei anni nel passato. Law sapeva benissimo che Kid non sarebbe mai riuscito a superare il terrore di rimpiazzare Nojiko. Non senza la donna giusta e qualcuno che glielo facesse presente ogni singola volta che quell’idiota mandava all’aria ogni cosa, rinchiudendosi nel suo pericoloso guscio.

E nonostante non avesse chiesto a nessuno di esserlo, quel qualcuno era proprio Law.

-In ogni caso si tratta di un’agente delle forze speciali, non una poliziotta. E no, non ero con lei, ma con la dottoressa Kureha. Se preferisci le faccio una telefonata per raccontarle che hai insinuato che lei abbia fatto sesso con me.- cambiò improvvisamente argomento il corvino, riuscendo almeno in parte nell’intento di distrarre la mente di Kid dai terrificanti pensieri che, lo sapeva, vi si erano insinuati dentro.

-Non azzardarti a chiamare la vecchia, altrimenti quella mi rifà di nuovo l’esame della prostata. E non ci tengo, grazie tante!- si irrigidì ostentatamente Kid, inspirando impercettibilmente e riportando lo sguardo su quello imperscrutabile dell’amico. -E quindi, come va con “l’agente delle forze speciali”?- gli fece quindi il verso con la sua voce cavernosa, ingurgitando l’ultimo sorso di birra asciugandosi la schiuma residua sul labbro con la manica della pelliccia rossa.

Law distolse gli occhi, tamburellando con un piede contro il piede del tavolino. -Oh, e andiamo! Voglio solo sapere se l’avete fatto!- si lamentò a voce leggermente alta il rosso, attirando l’attenzione di metà degli avventori del locale. Bastò un’occhiata gelida di Law rivolta alla sala per fare cambiare a tutti argomento di conversazione, tornando al proprio panino con un brivido di terrore lungo la schiena. Lentamente Law riportò le pupille a fissarsi sul ghigno malevolo di Kid, incurvando gli angoli della bocca esageratamente all’ingiù.

-Ti pregherei di non discutere delle mie prodezze sessuali coinvolgendo metà del bar, grazie. E comunque no.- rispose atono, sostenendo lo sguardo dell’amico con cipiglio di sfida.

Kid lo scrutò in un chiaro tentativo di riconnettere i cavi nel suo cervello, tirando fuori le sue conoscenze dell’università, liceo, medie elementari ed asilo per interpretare la complessa affermazione del chirurgo.
Passarono tre minuti buoni prima che Kid si sporgesse verso Law, assottigliando gli occhi. -No, che? Non l’avete fatto? O no non vuoi dirmelo? Cazzo Trafalgar, perché devi essere sempre così strano nelle tue cose!- si lamentò quasi ringhiando lanciando le braccia all’aria, ignaro del motivo che si celava dietro all’espressione perplessa che si era dipinta sul volto del corvino.

Del resto anni di studio, esperienza e ricerca non sarebbero bastati per far abituare Law a quanto Kid potesse essere imprevedibile certe volte. Per qualche secondo restò immobile, le sopracciglia corrugate.
Non riusciva a credere che  Eustass-ya fosse davvero così idiota.
No, non era assolutamente possibile. Se si trattava di demenza senile era una condizione esageratamente precoce, ma se fosse stata una malattia genetica neurodegenerativa..

-Ooh, pronto! Terra chiama Trafalgar! Allora, ti decidi a parlare o vuoi rimanere in contatto con l’astronave madre per i prossimi tre mesi?- lo richiamò alla realtà l’oggetto dei suoi studi, sventolandogli una mano davanti alla faccia. Law si riscosse, alzando un sopracciglio ed inspirando profondamente. Il rosso piegò la bocca in una smorfia di disappunto, svaccandosi sulla sedia. -Trafalgar, ti ricordo che sei stato tu a chiedermi di vederci. Se avevi intenzione di restartene zitto per tutto il tempo a fissare il tetto almeno potevi dirmelo che mi portavo qualcosa con cui passare il tempo.- lo schernì piccato, iniziando a trafficare con le sue cose ed apprestandosi ad alzarsi per mollarlo li come il coglione che era.

-Lei crede che io sia gay.- disse distaccato Law dopo un paio di minuti, interrompendo Kid a metà fra l’alzato ed il seduto. Lentamente il rosso riprese posto, sfilandosi la pesante pelliccia e riprendendo la sua posizione educata e composta mentre portava uno stivale sul tavolo. Incrociò le mani appoggiando i gomiti ai braccioli della sedia, facendo un cenno con il mento. -Vai avanti.- lo invitò con fare da intenditore, facendo sbuffare Law. -Non c’è niente di tutto quello che stai pensando. Io sono il suo medico, lei è una paziente. Fine della storia. Non abbiamo avuto rapporti sessuali e non ho in programma di farmi radiare dall’albo solo perché le tue fantasie abbiano una realizzazione.- sospirò il chirurgo, bevendo un’altra sorsata di caffè.

 -E per il fatto del gay? Cos’è, gliel’hai fatto credere tu per evitare di avere problemi?- rincarò curioso Kid, ridacchiando per l’assurdità appena pronunciata dalla sua stessa bocca. -Insomma, sei un maniaco ossessivo e psicopatico, ma non così tan..- continuò a sghignazzare, interrompendosi nell’incrociare lo sguardo di Law, apparentemente atono.
-Non ci posso credere.- sibilò, storcendo la bocca in un’espressione orrificata. -Era l’unica soluzione.- commentò Law, tentando di tagliare la questione. Kid dal canto suo non aveva smesso di guardarlo storto nemmeno per un secondo.
-Fammi capire bene.- inspirò profondamente dopo qualche minuto di silenzio il rosso, interrotto solo dal brusio di sottofondo del bar. -Tu, Trafalgar Law, leggenda delle conquiste ed aprifighe a tradimento, hai fatto credere ad una ragazza che ti piace, e non solo per scoparci, e a cui probabilmente nemmeno tu fai schifo, di essere gay solo per evitare di doverti impegnare in una cazzo di relazione?- espose con estrema perizia, controllando il tono della voce per evitare che la sua testa prendesse fuoco per la rabbia.

-Principalmente per evitare di essere radiato per comportamento scorretto nei confronti di una paziente. E poi non gliel’ho fatto credere. Quella ragazza è senza filtri.- rispose enigmatico Law, lasciando vagare lo sguardo sui tavolini alla sua sinistra con fare disinteressato. -Cos’è, te l’ha chiesto e tu gli hai risposto di si?- si informò esasperato Kid, ormai oltre il limite della comprensione. -Sei più sveglio di quanto pensassi Eustass-ya, niente male. A parte che per un fatto.- si congratulò Law, ghignando per l’espressione fastidiata del rosso. -E sarebbe, pazzo psicopatico?- chiese quello con voce roca, quasi senza voglia.

-Lei non mi piace.- asserì serio il corvino, attingendo nuovamente alla tazza e senza staccare gli occhi dal viso pallido dell’amico.

-Fai proprio cagare come bugiardo.-  l’accusò Kid, beccandosi un’occhiata perplessa. -Oh, andiamo Trafalgar! Lo sai meglio di me che è una cazzata.- tuonò roco, inarcando gli angoli della bocca all’ingiù, ignorando il vistoso dito medio che il suo amico gli aveva regalato.
-Spiegami per quale motivo altrimenti le saresti rimasto praticamente appiccicato in questa ultima settimana.- chiese poi con fare ironico, scrutando il fondo del boccale ed apprestandosi a richiamare qualcuno che lo rifornisse con urgenza.
Ci sarebbe voluto molto più alcool per stare a sentire i deliri di quel folle senza spaccargli il bicchiere e pure il tavolino in testa per la rabbia.
-E’ una paziente. E comunque non le sono rimasto appiccicato.- si difese Law afferrando il cellulare nel tentativo di sembrare disinteressato, ma invano.
-Ti sei fatto cambiare i turni per restare con lei durante la notte. E le hai lasciato quel peloso e ammuffito orso bianco.-
-Non è vero. E comunque non ho idea di chi ti abbia detto queste cazzate.-
-Kaimye è la coinquilina di Reiju, idiota. E comunque a sentire Marco e gli altri non esci dall’ospedale nemmeno per andare a dare da mangiare ad Inuarashi. Ci hai pensato a quel povero fesso di un cane? Eh?- si seccò vistosamente, facendo sorridere Law più palesemente di quanto avrebbe voluto.

-So che ci hai pensato tu. E comunque a Nekomamushi ci ho pensato io quando eri in vacanza a Skypiea, quindi favore restituito.- ghignò il corvino, soddisfatto di essere almeno riuscito a far spuntare un mezzo sorriso sul volto dell’amico. -Questa te la devo, stronzo. E comunque non è solo questo. Me l’hai detto tu stesso che saresti rimasto con lei solo per “obbligo professionale”, e poi scopro che mi hai fottuto quattro giochi dalla collezione che abbiamo in comune e pure il cofanetto deluxe con tutte le stagioni di Game of Thrones. Dimmi tu se questo non significa che ti piace, maledetto coglione!- si infervorò il rosso, addolcendo tuttavia in maniera inconsapevole il tono.

- Per il furto non devi preoccuparti, i Lannister pagano sempre i loro debiti.- lo schernì palesemente Law, inaspettatamente sollevato che l’interrogatorio fosse finalmente finito. -Oh, ma l’inverno è già arrivato, Jeoffrey.- gli rispose a tono Kid, colpendolo nel profondo.

-Jeoffrey? Credo di somigliare più a Cersei piuttosto.- si difese il corvino, trangugiando l’ultimo sorso di caffè e mettendosi lentamente in piedi per avviarsi nuovamente al Kyros Memorial. -Chiunque menta dandosi del gay per evitare di avere problemi con una donna non potrebbe mai essere Cersei. Quella tro..-

-Si, ho capito Eustass-ya, grazie mille per l’antifona.- lo interruppe atono  Law, superandolo al bancone per pagare il conto.
-A quanto stiamo?- si informò Kid sistemandosi il chiodo in pelle borchiata.
-Mi devi ancora un caffè, Eustass-ya.-

-Quando dirai alla poliziotta la verità, allora te ne offrirò mezzo.- rise sguaiatamente il rosso, avviandosi verso la porta e lasciando Law con il resto in mano, a sospirare per la sua sorte e per le sue malsane amicizie.

-Ha ragione, sai. Dovresti dirle la verità.-

Al sentire quell’affermazione, Law rimase pietrificato.

Maledetto Eustass-ya e la sua boccaccia larga.

Con un’espressione carica di quanto più odio e terrore Law riuscì ad infilare in un unico sguardo, il chirurgo voltò lentamente la testa per infliggere la giusta pena a chiunque avesse osato intromettersi nelle sue faccende personali.
Senza darlo a vedere rimase quantomeno sorpreso nell’incrociare le iridi azzurre di una donna, che ad occhio e croce aveva la sua stessa età. Slanciata, formosa al punto giusto, lunghi capelli neri che accarezzavano delicatamente la pelle appena dorata.
Un naso leggermente aquilino pendeva su un sorriso etereo, sottile ed impalpabile, che Law interpretò come palese presa per i fondelli.

-Non ho idea di chi le abbia fatto pensare di potermi dare un parere non richiesto su una faccenda strettamente personale, ma mi creda, la sua opinione è in fondo alla lista dei miei pensieri per il momento.- la freddò, alzando un sopracciglio nel vedere quel sorriso farsi ancora più radioso.

Non aveva vacillato nemmeno un secondo.

-Dottor Trafalgar, mi perdoni per la mia scortesia. Probabilmente per poter parlare di una cosa del genere dovrei almeno dirle il mio nome.- lo prese in contropiede la donna, scusandosi con un tono così calmo e pacato da infastidire non poco il giovane.
-Non me ne potrebbe importare meno di così del suo nome.- la bloccò con freddezza, restandosene fisso sul posto nel vederla alzarsi e dirigersi verso di lui. -Io sono Robin, Nico Robin. Ed è un piacere conoscere l’uomo che ha salvato la mia cuginetta.- spiegò poi la donna con tranquillità, tendendogli una mano sottile.

Inutile dire che nonostante all’esterno Law riuscì a continuarecon la sua recita dell’impassibile bastardo stringendo la mano sottile della cugina di Koala, percepì il familiare calore della figura di merda invaderlo come un fuoco.

Un fuoco di merda e coglionaggine.

-A proposito, stavo giusto andando a trovarla, le va di accompagnarmi? Non sono pratica di questa città. Credo che con lei non ci sia il rischio di perdersi.- continuò Robin, avviandosi a sua volta verso la strada, sicura che Law l’avrebbe raggiunta.

-Non avevo idea che lei fosse la cugina di Koala. Non assomiglia per niente a quella mandria di bufali che la vengono a trovare di solito in reparto.- spiegò secco Law affiancandola e stringendosi il bavero del cappotto al collo per proteggersi dal vento gelido che aveva iniziato a soffiare.
-Oh, come le dicevo non sono di qui. E poi anche se i ragazzi sembrano un po’ troppo espansivi, sono davvero simpatici. Koala è fortunata ad averli accanto. Come è fortunata ad avere lei.- lo stupì nuovamente, sorridendogli senza sosta.

Law si schiarì la gola, cercando di risultare più interessato nella ricerca della strada giusta da imboccare per raggiungere l’ospedale ( in cui lavorava da oltre dieci anni) che sul complimento appena fattogli, risultando nel complesso, abbastanza idiota.

-Faccio il mio lavoro, nulla di più.-
-Allora credo che dovrei iscrivermi in medicina.- rise Robin, attraversando al suo seguito sulle strisce pedonali approfittando del semaforo rosso. -Che vuole dire?- chiese Law, mordendosi la lingua subito dopo.

Non voleva davvero sapere la risposta.

Non voleva.

-Se a medicina vi insegnano come baciare una paziente gettandoglisi addosso con ardore senza farsi scoprire dal personale, credo che sia uno studio che vale la pena di approfondire.- spiegò infatti con interesse Robin, prendendolo per l’ennesima volta nel giro di nemmeno cinque minuti, nel contropiede più totale.

E per una volta Law ringraziò il vento freddo mentre si faceva spazio tra le strade di Dressrosa, che con il suo turbinio gelido riuscì a nascondere e a raffreddare il rossore quanto più evidente possibile che ormai si era fatto spazio sul suo viso.
 
Alla malora Eustass, ya, alla malora medicina e alla malora Kaimye ed i pettegolezzi!
 
-Non potevo fare scienze della comunicazione?- borbottò tra se e se esasperato, e le sue parole si persero insieme alla risata cristallina di Robin, ormai convogliate nell’immensa nuvola di chiari fiocchi di neve, che con grazia ed eleganza aveva nuovamente ricominciato ad imbiancare le strade affollate di Dressrosa.
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE

Ebbene si, non sono morta.
Salve a tutti, e perdonatemi per l’immane ritardo. Sapete come si dice, sessione estiva e addio alla tua vita sociale e non.. mai detto niente di più vero.
Ed insomma, eccoci qua con questo capitolo poco di azione, ma sicuramente più riflessivo ed introspettivo.
Spero che vi sia piaciuto, e ringrazio con infinito amore chi ancora segue questa storia nonostante sembri che io l’abbia abbandonata. Credetemi, non è così! <3
Vi mando un bacione grande ed un abbraccio, 


Jules
   
 
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