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Autore: ClodiaSpirit_    09/08/2017    1 recensioni
Magnus e Alec dopo la confessione dello Stregone della 2x15. La debolezza dello Stregone lo porta ad aprirsi completamente allo Shadowhunter, mostrando un lato di sé che ha sempre odiato: i suoi occhi da gatto, simbolo della sua natura. Magnus intende mostrarsi ad Alec così per come è, temendo il pensiero dell'altro. « Non c’è niente di brutto in te » aveva detto con così tanta determinazione da far ribaltare in aria le mille convinzioni e castelli d’acciaio che Magnus aveva costruito fin dal momento in cui era venuto al mondo, fin dalla sua infanzia. Da quando sua madre si era tolta la vita per colpa sua, per colpa della sua natura da Nascosto. Aveva ceduto anche se si era ripromesso di non farlo. Ma con Alec era stato diverso.
// Plus altri capitoli basati su altri episodi o di puro pensiero/ immaginazione so stay tuned.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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SPAZIO AUTRICE: Sì, beh... diciamo che il capitolo che state per leggere contiene alti elementi di angst e sofferenza. Mi scuso in anticipo ma la 2x18 ha scatenato anche questo e stranamente mi ritrovo sempre a scrivere bene le parti angstose ( non chiedetemi perchè, è sempre stato così, anche prima dei Malec, god help me) Ma quei due always find a way back to each other  quindi sono tranquilla perchè quei due si amano troppo e non possono stare lontani.
Bene, io vi lascio con questo capitolo... e buona fortuna
-
lettura.
Clodia



I’m holding on the pieces of us.


« Devo pensare alla mia gente, devo sperare che vada tutto bene, la Regina Seelie forse avrà un modo... E l’unica cosa che mi impedisce di farlo sei... sei tu. » aveva detto dopo che Alec si era scusato con lui.
« Magnus, so di aver sbagliato ma -»
« Ti sei già scusato, Alec e non si tratta di questo. » il tono dello Stregone era così amaro e strano, chiuso. Alec deglutì, era perso, confuso, sembrava capire e non contemporaneamente. Era troppo da elaborare per lui. Magnus stava mettendo una pausa, una barriera, una distanza per via dei bisogni della loro diversità. E sapeva che aveva ragione ma anche torto.         
« Si tratta dei Nascosti, la mia gente ha bisogno di me. Così come la tua, e non posso, non posso aiutarli così. Non posso avere salvezza per loro e te » quella risolutezza che aveva costruito attorno si perse subito « Non posso avere entrambi » il suo viso era ridotto a una maschera imperturbabile ma con lacrime già intrappolate agli angoli degli occhi.
« Sì, che puoi » ribatté Alec sul punto di crollare, cercando di aggrapparsi fino all’ultimo a quella possibilità ancora viva, accesa « Possiamo. Possiamo farcela, possiamo ancora avere questo » la sua mano che adesso tremava indicò lui e poi Magnus « Per quel che so, noi due ne siamo in grado, Magnus » la sua voce sul punto di incrinarsi e precipitare nell’ emozione più dolorosa avuta fino a quel momento, la prima sensazione forte che lo investiva dopo tanto tempo, i suoi occhi già umidi sul punto di bruciare « Noi due siamo sempre stati capaci di ritrovarci, di trovare una soluzione, una via d’uscita. » lo guardò supplicandolo.
Magnus cercò di sviare lo sguardo. « Magnus, non puoi... io ti amo. »
Ma la voce di Alec si era già irrimediabilmente spezzata e senza controllo, sfuggendo al sangue d’ angelo e rifacendosi solo al suo essere più semplice e umano, stava già cercando di trovare più aria, aria che gli mancava, come se tutto ad un tratto non riuscisse a respirare bene e i suoi polmoni non lo stessero aiutando.                              
Magnus circondò la sua guancia con la sua mano, accarezzò piano quel volto ormai sofferente. So cosa sto facendo, si ripeté in testa.   So cosa ti sto facendo, cosa sto facendo a me. Con tutto il coraggio che riuscì a prendere, glielo disse. Perché era vero e questo non poteva e non lo avrebbe di certo negato a se stesso, non dopo quello che avevano avuto in quei mesi, non dopo quello che Alec gli aveva fatto provare, la meraviglia del tempo che gli aveva concesso. Aveva settecento anni di storia vissuta alle spalle. Eppure era così dannatamente difficile lasciarlo andare, non quando l’ Alec che aveva davanti lo guardava in quel modo sconfitto. Ma in realtà non poteva essere altrimenti, Magnus sapeva che la colpa gli sarebbe ricaduta addosso con un tonfo sordo e l’ immagine di una ancora che precipitava giù lacerando e tagliando via le onde e l’acqua.                                                                  
«Ti amo anch’io » Era calmo ma sentiva le lacrime sul punto di uscire e aveva paura che non sarebbe riuscito a controllare quel dolore al petto ancora per molto. Gli occhi dello Shadowhunter si chiusero di scatto rilassandosi a quel tocco, a quelle parole e ritornò per qualche attimo a respirare - non regolarmente - ma meglio di prima. Appena li riaprì, la mano di Magnus non c’era più. Gli occhi dello Stregone si erano fatti più lucidi e stava serrando la mascella, quasi costruendosi un appoggio solido per non vacillare. «Una volta mi hai chiesto cosa più mi spaventasse, essendo immortale, avendo vissuto per secoli …» soffiò le sue parole spostando lo sguardo dentro quelle iridi verde vivide e tristi e deglutì. Alexander sei così... innocente. Mi dispiace. Quasi si fermarono quelle due parole col rischio di non pronunciarle affatto, si era esposto così tanto e ormai, non vedeva perché evitarle.         
« E’ questo » e detto quello, Magnus si voltò e cominciò a camminare spedito verso l’ascensore dell’Istituto prima che potesse ripensarci. Alec sentì il freddo invadergli le ossa. Si lasciò andare e le lacrime uscirono da sole, senza neanche un piccolo sforzo. Immobile e incapace di muoversi, si lasciò travolgere da righe di lacrime che scesero lungo le sue guance e lasciandosi andare , sentì una morsa stringersi al petto bloccargli il fiato. Era peggio di venire colpito allo stomaco, peggio di perdere un combattimento, peggio di un demone. Non riusciva di nuovo a respirare. Osservò Magnus mentre le porte dell’ascensore si stavano chiudendo. L’ ultima immagine che ricordò era Magnus con lo sguardo fisso su di lui, la mascella ancora serrata e gli occhi espressivi che pur soffrendo, non avevano alcuna intenzione di ritornare indietro sui loro passi. Ebbe il tempo per cercare di dire qualcosa prima che le due porte meccaniche si chiudessero, ma non uscì nulla, non riusciva a emettere alcun suono. Quando il bottone rosso si illuminò e lo Stregone scomparve, Alec non mosse un muscolo. Avrebbe voluto rincorrerlo, andargli dietro ma non riuscì a farlo. Sapeva che non sarebbe servito a nulla.


 
**


Quando Alec rientrò dalla sua passeggiata notturna, la penombra dell’istituto lo colpì in pieno. Dopo che Magnus se ne era andato, non aveva voluto sentire ragioni ed era uscito da quell’ ammasso di responsabilità. Max si stava riprendendo e Robert e Maryse gli erano vicini. Solo Izzy si era un attimo allontanata per chiedere di lui ed era anche riuscita a raggiungerlo fuori dal corridoio prima che lui uscisse. Il suo volto si era dipinto di preoccupazione e gli stivali alti e ingombranti avevano emesso un rumore subito riconoscibile alle orecchie del fratello. Izzy gli aveva chiesto cosa avesse e Alec era crollato. Era scivolato fra le braccia di sua sorella, che lo avevano subito sorretto e stretto. Non piangeva più, ma sentiva di non poter ancora parlarne. Però lei già lo aveva intuito - Alec era un libro aperto per lei, il suo fratellone sempre presente per lei - e non lo lasciava andare. Sesto senso fraterno o meno, lo abbracciò e l’odore profumato e familiare di sua sorella calmò Alec per un po’. Sua sorella gli aveva accarezzato in modo delicato, leggero - quasi non volendolo rompere - la schiena, avvicinando la testa alla sua spalla. Poco dopo avvertendola, era uscito. E le chiese di non dire niente ai loro genitori o a Jace, non volendoli farli preoccupare. Era uscito così velocemente e senza una meta precisa che si ritrovò a vagare per le strade di New York. Forse si era guadagnato così facendo lo sguardo stranito o interrogativo di qualche altro Shadowhunter nei pressi dell’ Istituto ma non gli importava. Percorse Central Park, osservando tutto: gli alberi ben verdi, la gente che percorreva le aiuole e il prato, alcune si tenevano per mano. Il vento lo colpì in faccia e decise di proseguire, ritrovandosi subito più lontano. Camminò per ore, senza provare quasi niente, solo qualcosa che gli pesava contro il petto e che gli piombava addosso come un incudine o una lama angelica o anche peggio. Non sapeva che ora era, quando tornò ma trovò l’ istituto semivuoto e ne fu sollevato.
Sorpassò a grandi falcate l’ingresso e l’ala ovest dove ancora qualcuno sembrava lavorare, il suo ufficio e si rintanò nella sua camera, quella che condivideva con Jace. E fu altrettanto sollevato quando notò che il suo parabatai non c’era. I letti con lenzuola bianchi non tanto vicini alla parete laterale della stanza, l’armadio dal lato opposto grande e in legno intarsiato. Alec andò in bagno e si chiuse a chiave, senza nemmeno sapere il perché di quell’ azione. Aprì l’acqua della doccia e subito cominciò a spogliarsi, abbandonando i vestiti al pavimento in legno. Si immerse sotto il getto d’ acqua e appena questa lo colpì, cominciò a trovare sollievo. La sua pelle era gelida e lui era uscito incurante del freddo di quel giorno. Neanche aveva percepito i brividi sulla sua pelle finché non era stato colpito dalla doccia che lo aveva subito allontanato dal torpore. L’acqua scorreva calda sul suo corpo, inebriandolo quel poco che gli bastava, cancellando quasi quello che era stata quella giornata. Sebastian, Max... Magnus.
Provò a fare un respiro ma questo gli si bloccò in gola. Ci riprovò ancora ma l’ unico risultato che ne uscì fu un singhiozzo strozzato. Senza nemmeno accorgersene, finì seduto contro la parete della doccia, con le lacrime che lo scuotevano dentro e fuori. Piegò di scatto le ginocchia portandosele entrambe al petto e affondandoci i gomiti, mentre le mani cercavano di scacciare via le gocce che non riusciva più a distinguere. Pianse quel dolore nuovo ma tremendo che lo aveva preso dall’esatto momento in cui aveva visto lo sguardo di Magnus. Eppure lo amava, lo amava come mai aveva fatto con nessuno.
Quello per Jace non era mai stato amore perché aveva confuso l’amore fraterno, l’unico verso un solo ragazzo componente della sua famiglia, con quel sentimento che aveva solo iniziato a capire con lo Stregone. Faceva male pensare a quanto fosse stato cacciato via solo per questioni diplomatiche.
La guerra.
Ad Alec non fregava niente in quel momento di quella stupida guerra, di Sebastian.
Gli importava solo di Max. Ma più di tutto gli importava di Magnus e non riusciva a scacciare via il pensiero che quello potesse trovarsi nella sua stessa situazione. Era stato lui a mettere distanza, ma questo non significava mettere da parte il cuore. Conosceva fin troppo bene lo Stregone da sapere che entrambi non avrebbero retto appena si sarebbero visti sul fronte di battaglia, uno schierato dalla parte opposta, dalla parte che credeva giusta. Si sarebbero guardati e avrebbero provato di nuovo tutto, ogni cosa. E Alec avrebbe provato sicuramente a riprenderlo, senza esitare senza pensarci, avrebbe sentito di nuovo il suo respiro, il suo profumo. Avrebbe cercato le parole giuste orse e ce l’avrebbero fatta – ne era sicuro – loro erano diversi dagli altri. L’acqua scendeva ancora, colpendogli le spalle con violenza, i piedi e le ginocchia. La schiena gli faceva male contro la parete ruvida del bagno, ma ormai pensò, non sento più niente, non è niente. Niente.


 
**


Quando le porte dell’ascensore si chiusero Magnus si morse così tanto le labbra da sentire il sapore del sangue. Chiuse gli occhi e respirò piano, sentendo la tristezza invaderlo tutto in una volta. Pensava che sarebbe uscito illeso da quello; si era solo raccontato un’altra bugia. Mentre scendeva all’ingresso principale dell’ Istituto, sentì un mormorio di voci e appena le porte si aprirono, davanti a sé trovò Clary. La ragazza dai capelli rossi, mossi lo studiò, corrugando la fronte, osservandolo. Un espressione fin troppo riconoscibile e consapevole le si disegnò in viso, allarmando subito lo Stregone che aveva già capito qualcosa. Clary si precipitò subito da lui. La giacca più grande del suo corpo minuto le si muoveva intorno, quasi svolazzando e la maglia scollata che metteva in risalto la runa aggraziata al collo.
« Ehi, Magnus, cos- » ma lui la ignorò e passo avanti, oltrepassando il piccolo corridoio d’entrata e uscendo dalla grande porta con gli angeli scolpiti a fianco, che sorreggevano le colonne. Avrebbe potuto creare un portale e ritrovarsi subito nel suo appartamento, ma decise di camminare, almeno avrebbe chiarito le idee. Osservò l’ ambiente che lo circondava con passività , bambini che giocavano nel parco, gelatai a qualche angolo opposto.
Passò un po’ di tempo prima che raggiungesse il centro città, si era fatto aiutare da un solo taxi e si era fatto lasciare quasi subito in una di quelle stradine piene e trafficate. Il taxista lo aveva guardato in un modo accigliato, forse capendo che qualcosa non andava. Magnus che non aveva davvero voglia di parlare, capì che da lì a poco quello sconosciuto gli avrebbe chiesto della sua giornata e quindi, scese dopo due soli lunghi incroci dopo avergli lasciato una proficua mancia. Pochi isolati ora prima che riuscisse a vedere l’enorme edificio in mattoni ergersi lungo la strada piena di taxi gialli che sfrecciavano a una velocità illimitata. Con una lentezza che nemmeno lui riconosceva, percorse le strisce pedonali con il verde rischiando di non far in tempo prima che scattasse il rosso. Finalmente quando raggiunse l’edificio che si stagliava imponente a Brooklyn, si sentì un po’ meglio. Dopo aver fatto la rampa di scale, estrasse fuori le chiavi dalla tasca della giacca ed entrò. L’aria era più o meno luminosa, il pulviscolo che si librava leggero e molto piano vicino le tende lunghe da copertura alle finestre, lo invase, ricordandogli la mattina in cui si era svegliato con Alec al suo fianco. Chiuse di nuovo gli occhi e cercò di scacciare via quella bellissima immagine. Si avvicinò al tavolino e prese una bottiglia e un bicchiere di vetro dallo scaffale per farsi un drink. Con un gesto quasi automatico, si versò il contenuto liquido e quasi giallognolo, lo portò subito alle labbra e il sapore forte e amaro lo investì completamente inebriandolo per qualche secondo. Con il bicchiere in mano, si sfilò la giacca aiutandosi con le spalle... con la sua mano libera tastò la tasca destra prima che questa finisse sulla poltrona dietro di sé: un oggetto piccolo e quadrato ne uscì fuori cadendo a terra. Attirò la sua attenzione e lo raccolse. Piccolo e delicato, era rimasto lì da quella mattina e se ne era completamente dimenticato.
L’omamori che gli aveva regalato Alec era ancora lì, ne accarezzò la parte frontale, la luce che ne colpiva le decorazioni floreali e la linea ricamata a forma di drago. Gli occhi ancora verso il piccolo portafortuna, la mano che ora aveva posato il bicchiere vicino a sé. Ispirò forte e sorrise. Quello era stato un regalo inaspettato che lo Shadowhunter gli aveva portato dopo la serata del loro appuntamento. Avevano passato la serata anche a Tokyo, girando per i mercatini e vari negozi e fermandosi in un hotel a poche miglia. Avevano ordinato una piccola stanza e avevano passato il resto sul terrazzo. Le luci soffuse, le piccole sdraio nere posizionate qua e la, la vista di Tokyo piena di luci, la presenza di Alec che gli sembrava così rilassata. Non ricordava di averlo mai visto così a suo agio.
Erano rimasti vicini, le mani e i gomiti di Alec appoggiati al bordo del cornicione, con quell’espressione così persa e pacifica. Poi, Magnus aveva optato per un bicchiere di buon vino e subito, ne aveva fatti apparire due. Avevano brindato, riso, parlato e dopodiché erano rimasti in silenzio a godersi il panorama che si stagliava davanti a loro: gli edifici alti, il cielo tinto di blu e nero e piccoli spruzzi di stelle. Magnus aveva poi fatto la prima mossa, azzardando con le sue dita che sfioravano piano le dita callose e affusolate di Alec. Senza pensarci, in quella posizione in cui le loro schiene erano una di affianco all’altra, i bacini che si toccavano appena, lo aveva baciato. Il viso che si era appoggiato al suo in un movimento delicato ma fluido. Non era stato un bacio lungo ma comunque intenso e Magnus pensò di aver azzardato anche troppo per lo Shadowhunter. Si era infatti allontanato subito dopo, temendo che Alec ne fosse rimasto stordito ma quando si staccò, quello non sembrò dimostrare affatto ciò che lui pensava. Alec si era fatto più vicino, sporgendo il suo viso, le sue labbra aperte che avevano ripreso il bacio interrotto. Era rimasto così sorpreso che Magnus quasi esitò a portare le sue mani dietro il suo collo e tra i suoi capelli neri. Magnus ritornò alla realtà e si accorse che sul tessuto si era formata un piccola macchia.
La goccia era caduta senza che la avvertisse e aveva bagnato un po’ il ricamo su cui erano ancora ferme le sue dita. Si buttò sul divano e si distese senza neanche togliersi le scarpe, stringendo il portafortuna al petto mentre i ricordi gli invadevano la mente e non trovava modo di fermarli, di dargli un freno.


« Alexander » lo guardò e la visione di Alec sotto di sé, in preda al culmine del piacere, lo mandò in brodo di giuggiole. Magnus sentiva i loro respiri caldi, ansimanti insieme al sudore della loro pelle calda, bollente, mentre il suo corpo era premuto contro quello dello Shadowhunter.
« M-Magnus » sussurrò in modo roco Alec. Il bacino che si muoveva e ruotava un po’ per permettere all’altro di unirsi a lui, negli ultimi attimi. Le mani che si artigliavano al suo collo e lo tiravano in un bacio disordinato, confuso, intenso e non casto. Magnus si era ritrovato altre volte in quella stessa situazione ma con Alec era stato tutto completamente nuovo. Aveva avuto paura i primi momenti, non voleva fargli male o che qualcosa andasse storto: era pur sempre la sua prima volta ed era anche un po’ come se la fosse anche per Magnus. Il suo cuore stava battendo così forte che aveva temuto da un momento all’altro che questo potesse uscirgli fuori dal petto e poco dopo ci aveva pensato quello fiero dello Shadowhunter a ricordargli che non era il solo ad accelerare così. Le gambe di Alec avvinghiate alte al suo bacino,Magnus che lo tenevano fermo con una mano e con l’altra gli accarezzava o baciava ogni volta una porzione di pelle diversa.
« M-Magnus sto per- » la voce ridotta a un mugolio strascicato, basso. In poco, si ritrovarono entrambi nel vortice delle loro voci che si richiamavano all’unisono quasi. Sudati ma che si sorridevano in modo stanco, innamorato. Le fronti che si toccavano e le mani di Alec che erano andate a cercare ancora una volta il viso di Magnus, stringendosi a coppa e stampandogli un bacio leggero.



Magnus si addormentò così, alcune lacrime ancora intrappolate e cristallizzate negli occhi tenendo il fermo immagine di ciò che avevano appena ricordato. Si addormentò così, il ricamo stretto tra le dita e il viso ormai ricoperto da linee nere liquide nascoste nel cuscino.
   
 
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