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Autore: shiningreeneyes    09/08/2017    0 recensioni
Avere un'avventura di una notte da ubriachi fa schifo.
Avere un'avventura di una notte da ubriachi mentre si è al liceo fa più schifo.
Avere un'avventura di una notte da ubriachi mentre si è al liceo e si è un ragazzo è il massimo dello schifo.
La vita di Louis Tomlinson crolla su di lui dopo un incontro con il calciatore Harry Styles mentre erano ubriachi. Tutto ciò che conosceva e in cui credeva viene gettato fuori dalla finestra e lui è improvvisamente costretto a venire a patti con il fatto che il suo cuore non batte più solo ed esclusivamente per lui.
Note traduttrice: La storia non è mia, questa è solo una traduzione.
Genere: Erotico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: Mpreg
Capitoli:
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CAPITOLO 24

Buon notte, dormi bene.

 

 

Pensavo che mia madre avrebbe smesso di ignorarmi dopo tre giorni, al massimo quattro, ma mi ero estremamente sbagliato. Il resto di quella settimana passò nel silenzio, o almeno mamma stava in silenzio; Owen e Ian mi avevano trattato nello stesso modo di sempre, e fui grato per quello. Non che mi aspettassi di qualcos'altro da Owen, ma ero un po' preoccupato che mia madre avesse detto a Ian tutto quello che le avevo rivelato, ma sembrava che avesse tenuto la bocca chiusa.

 

Come promesso a Zayn, fissai un nuovo appuntamento con la dottoressa per lunedì 4 Aprile e mi fu detto che tutto stava andando per il meglio, ma che avrei dovuto riposarmi e stare a casa il più possibile. A causa di tutto il tempo che avevo passato a casa per più o meno l'intero anno scolastico, pensai 'beh, fanculo' e rimasi a casa praticamente sempre tranne per le lezioni di matematica, che sapevo di dover seguire per tenere il passo. La data dell'appuntamento del medico segnava anche la trentatreesima della gravidanza. Avrei voluto piangere quando mi aveva fatto salire sulla bilancia e aveva misurato il mio peso di settantanove chili. Settantanove. Ma, come al solito, mi aveva assicurato che era completamente normale e che sia il bambino che io eravamo sani. Avevo fissato un nuovo appuntamento per lunedì 19 aprile alle 15:00 e mi chiesi per un momento se Harry e io avremmo risolto per quel giorno. Probabilmente no se le cose fossero continuate sulla stessa pista di quel momento. 

 

Non chiesi niente al medico riguardo la possibilità di cercare di capire quale mutazione avesse il mio corpo che mi permetteva di poter avere il bambino e nemmeno lei ne parlò. Anche se io ed Harry avevamo litigato, volevo comunque che fosse presente quando mi sarei dovuto sottoporre ad un sacco di test, ecco perché avevo tenuto la bocca chiusa su quella questione in particolare. Ma poi ancora, volevo scoprire cosa ci fosse di sbagliato nel mio corpo - mi sembrava un po' necessario - e avevo paura che i medici non avrebbero saputo darmi risposte una volta che il bambino sarebbe nato. Mi erano rimaste solo circa sei o sette settimane di gravidanza a quel punto e quando di tornai a casa quel giorno dopo la visita, considerai effettivamente di chiamare Harry. Non lo feci però. Composi il numero tre volte, ma il mio nervosismo ottenne la meglio ogni volta e alla fine, con pura frustrazione, lanciai il mio telefono che colpì il muro della mia stanza prima di cadere in terra e rimanere lì.

 

E inoltre c'era la questione del dare o no il bambino in adozione. Era un'altra cosa della quale avrei dovuto parlare con Harry, perché era lui che voleva tenere disperatamente il bambino. Sapevo molto bene che farlo sarebbe stata una cattiva idea, la peggiore idea in realtà,  ma... Cristo, un bambino quasi completamente sviluppato era dentro di me! Stava calciando e si muoveva e gli parlavo tutto il tempo ed era mio; mio figlio, il mio bambino, non di una qualche coppia random. Era frustante pensarlo e mi venne in mente che l'ultima volta che avevo parlato con Harry di quello, aveva detto molto chiaramente che voleva tenere il bambino, cosa che aumentava la mia frustrazione perché secondo lui chi stava impedendo di prendere la decisione più grande e importante della mia vita ero... io. Io ero l'unica cosa che mi bloccava. Non che fossi al cento per cento sicuro che Harry volesse ancora tenerlo, ma poi di nuovo, solo perché era arrabbiato con me in quel momento, non significava che avesse smesso di interessarsi al bambino, vero? Probabilmente no. E la mia famiglia - almeno mia mamma e Owen - sapevano tutto, anche se mia madre non mi credeva, quindi dipendeva solo da me ora. Quello mi spaventava un po'.

 

 

Martedì, 5 Aprile 

Trentatré settimane e un giorno 

 

Il martedì della mia trentatreesima settimana mi trascinai a scuola, pensando che rimanere a casa non avrebbe risolto tutti i miei problemi. Il mio ventre a quel punto era così grande che non c'era davvero alcuna utilità nel cercare di nasconderlo correttamente, quindi misi semplicemente la solita felpa, una sciarpa intorno al collo e pensai che nessuno probabilmente avrebbe sospettato il fatto che stessi diventando grasso. Ottenni un sacco di sguardi strani, ma cercai di ignorarli il meglio che potevo guardando qualcosa di diverso, e sembrò funzionare. Ero però di pessimo umore, ma comunque seguii le due ore di matematica (che diavolo è quella merda?), due ore di storia (a chi cazzo importa di come il cristianesimo si diffuse in Europa?), mezz'ora di pausa pranzo (quel posto è rumoroso e disgustoso) e due ore di sociologia (perché qualcuno sente la necessità di capire perché le persone commettono crimini?). Quando la campanella suonò e annunciò la fine della giornata scolastica, ero così stanco e sconvolto che continuai a scontrarmi con le persone senza preoccuparmi di scusarmi come facevo di solito.

 

Vidi Harry e Niall, entrambi con il borsone per la palestra gettato sulle spalle, a pochi metri di distanza da me quando uscii dalla scuola e tentai di evitarli, quindi rientrai dentro per qualche minuto finché non fui sicuro che se ne fossero andati. Comunque, il comportamento immaturo sembrava essere diventato parte di me, quindi perché non continuare?

 

Nessuno era in casa quel pomeriggio quando entrai e sfruttai l'occasione per svuotare il frigorifero di tutto ciò che mi sembrava buono - se una macedonia di tre giorni fa può essere classificata come 'buona' - e poi mi sedetti sul divano in una posizione assolutamente poco attraente. Durante il giorno in televisione non c'era niente di speciale, ma riuscii a trovare un programma mezzo decente degli anni '90 e lasciai quello, troppo stanco per preoccuparmi di mettere un DVD.

 

Erano passate un paio d'ore quando mia madre e Ian tornarono a casa, mamma senza importarsi della mia presenza e Ian sorridendo, chiedendomi se avessi passato una bella giornata.

 

"Lunga, noiosa, stancante," risposi con una scrollata di spalle.

 

"Mi ricordo la scuola superiore come qualcosa del genere, si," disse, guardandomi dalla porta che conduceva al salotto. Fece una pausa per alcuni secondi, chiaramente pensieroso, prima di parlare nuovamente.

 

"Hai idea di cosa stia succedendo a tua madre di recente?"

 

Quindi non solo con me e Owen stava facendo la stronza, ma anche con Ian. Si era guadagnato un punto della mia simpatia per quello.

 

"Abbiamo avuto un piccolo... litigio martedì scorso," dissi, costringendo il mio viso a rimanere calmo e controllato. "Non è per qualcosa che hai fatto tu, sta solo sfogando la sua rabbia contro di me su di te. Scusami."

 

Lui sospirò. "Sa come tenere il broncio, eh?"

 

"Probabilmente le passerà prima di Natale. Però non te lo prometto."

 

Lui scosse la testa con ovvia esasperazione prima di girarsi e allontanarsi dalla mia vista.

 

*

 

Mercoledì era passato allora stesso modo del martedì e così anche giovedì. Non ero certo sul come comportarmi con tutto quello che stava accadendo; mamma, Harry, io, il bambino, tutto. Era tutto un grosso casino, come sempre, e lo affrontai nello stesso modo della settimana prima: essendo leggermente scontroso e parlando tanto con me stesso e con la mia pancia. Le cose erano semplicemente... normali e fastidiose e stupide, fino a venerdì pomeriggio. Fondamentalmente quando tutto divenne peggiore di quanto già non fosse.

 

Venerdì, 8 Aprile

Trentatré settimane e quattro giorni

 

Ero tornato a casa un paio di ore prima da scuola ed erano più o meno le 19 quando sentii un forte urlo dal piano inferiore che mi fece alzare lo sguardo dal libro che stavo leggendo. Rimasi seduto ancora per alcuni secondi, tendendo le orecchie per capire se ci sarebbero stati altri rumori, ma quando quasi mezzo minuto era passato in silenzio, tornai a leggere.

 

Il silenzio non durò per più di un minuto, ma questa volta non era il rumore di qualcosa che si rompeva, ma piuttosto una voce forte. Alzai lo sguardo e corrugai la fronte. Non riuscii a capire le parole che dicevano, ma sentii Ian che gridava e capii che era anche arrabbiato. O forse 'furioso' era più corretto.

 

Un pensiero speranzoso di 'forse finalmente andrà via' passò nella mia mente prima di darmi uno schiaffo mentale. Sentii la risposta di mia mamma dopo qualche altro grido di Ian, anche lei urlava, ma non sembrava arrabbiata. Questa era, per quel che ne sapevo, la prima volta che mia madre e Ian litigavano e non potei fare a meno di sentirmi curioso della causa del litigio. Conoscendo la mamma, probabilmente era colpa suo in un modo o in un altro.

 

Considerando che non captai nessuna delle parole che dicevano, mi annoiai presto ad ascoltare la loro discussione e ancora una volta continuai a leggere. Feci del mio meglio per ignorare le voci dal piano terra e funzionò abbastanza bene. Si, finché le voci cominciarono a diventare più chiare e forti rendendomi conto che fossero proprio fuori dalla porta della mia stanza. Quello mi rese ancora più confuso; perché erano saliti al piano superiore per litigare? Le uniche camere erano la mia, quella di Owen e un piccolo bagno, nessuno dei quali interessava a mia mamma e a Ian.

 

Almeno quello fu quello che pensai finché improvvisamente la porta della mia camera si spalancò ed entrò Ian, il volto rosso dalla rabbia, e mia mamma dietro di lui, per qualche motivo spaventata. Non avevo mai visto Ian arrabbiato prima di quel momento, ero sempre stato del pensiero che fosse troppo noioso per potersi arrabbiare, ma era abbastanza ovvio che mi ero sbagliato. Non lo dissi ad alta voce, ma in realtà sembrava abbastanza spaventoso.

 

"Cosa sta succedendo?" chiesi con attenzione, mettendo il mio libro sul comodino prima di guardare verso l'uomo furioso che stava in piedi alla fine del mio letto, mentre mi guardava.

 

"Che cos'è questa cazzata dell'essere gay?" sputò.

 

Sembrò che tutte le mie membra improvvisamente fossero scomparse e mi avessero abbandonato con un terribile vuoto e una malinconica sensazione. Per un po' di tempo non fui capace di dire o fare niente, tranne che fissare Ian con la bocca aperta come un pesce rosso. Davvero mia madre gli aveva parlato di quello? Perché diavolo lo avrebbe fatto se si era rifiutata di credermi? Spostai il mio sguardo verso di lei, ma aveva gli occhi fissi in un punto sulla sinistra del mio orecchio e sembrava intenzionata a non guardarmi negli occhi.

 

"T-tu glielo hai detto?"  riuscii finalmente a gracchiare, guardando intensamente a mia madre.

 

"Non cambiare argomento!" gridò Ian, facendo saltare sia me che mia mamma.

 

Sbattei le palpebre un paio di volte prima di guardarmi il grembo, non avendo più il coraggio di guardarlo negli occhi.

 

"Io- che sia gay o no, non sono affari tuoi," mormorai.

 

"Diavolo, si che sono affari miei!" ruggì, "pensi che voglia vivere nella stessa casa di un finocchio?"

 

Alzai la testa velocemente e inghiottii duramente.

 

"Beh, mi- mi dispiace-" cominciai, ma ancora prima di terminare la frase, lui continuò.

 

"Avere qualcuno come te metterà in cattiva luce noi, me, tua madre e tuo fratello! Come se  avere le dimensioni di una balena non fosse già abbastanza, sei anche gay! Cosa pensi che diranno i vicini di questo, eh?"

 

"Loro non lo-"

 

"Questo tipo di cose vengono sempre fuori, che tu voglia o no!"

 

"Beh, non ti riguarda e-"

 

"Certo che mi riguarda! Influenza anche tua mamma e tuo fratello!"

 

Lo fissai, cercando di capire dove volesse arrivare. Ma dalla sua espressione non trapelava niente, era arrabbiato e rosso come prima e ciò non mi lasciò capire nulla di quello che stava succedendo nella sua testa.

 

"E... c'è un punto per tutto questo?" chiesi esitante dopo qualche istante di silenzio.

 

La sua mascella si strinse in modo visibile e pensai brevemente come fosse incredibile che un uomo con un aspetto così banale e noioso  potesse assomigliare ad un orso grizzly arrabbiato.

 

"Si, c'è un punto per tutto questo," disse, la sua voce così calma da essere quasi spaventosa, "il punto è che è arrivato il momento di preparare una valigia e uscire da questa casa."

 

Sbattei le palpebre. Una volta. Due volte. Tre volte.

 

Preparare una valigia?

 

Uscire da questa casa?

 

"S-scusa?" balbettai, il mio cuore batteva forte contro la mia cassa toracica.

 

"Mi hai capito," disse, "prepara una borsa e esci da questa casa entro i prossimi trenta minuti."

 

"Non credo che tu possa sbattermi fuori da questa casa," dissi, ma la mia voce era debole e il mio labbro tremava di paura.

 

"Pensaci di nuovo," sputò, "la casa è di proprietà mia e di tua madre, cinquanta e cinquanta, e se dico che devi uscire, allora devi uscire."

 

"Se sono cinquanta e cinquanta allora suppongo che anche la mamma debba avere la parola," dissi, sentendomi fiducioso.

 

Non c'era modo che mia mamma permettesse ad un uomo che aveva conosciuto da meno di un anno di sbattere fuori il proprio figlio da casa sua. Non c'era modo.

 

"Ne abbiamo già parlato," disse Ian, prima che la mamma aprisse bocca, "e abbiamo constatato che sarebbe meglio per tutti se tu te ne andassi."

 

La mia bocca si spalancò e fissai mia madre con oggi sgranati.

 

"M-mamma?" sussurrai supplichevole, "tu- tu- non sei- non sei d'accordo con questo, vero?"

 

La vidi prendere un profondo respiro e poi, senza guardarmi, annuì. "Ascolta a Ian, Louis. Fai la valigia e lascia questa casa senza fare storie. Ci renderai tutto più facile."

 

Giurai che il mio cuore stava per uscire fuori dal mio petto e toccare il pavimento, per quanto stava battendo forte. Non riuscii più a guardare mia mamma, girai lo sguardo e fissai le coperte, anche se non le notai veramente. Ero appena stato buttato fuori di casa da un uomo che nemmeno un anno fa non avevo idea di chi fosse. Mamma era d'accordo, non c'era modo che non intendesse quello. Non era felice che fossi gay, no, ma lei non mi avrebbe mai buttato fuori di casa di sua spontanea volontà. Era tutta colpa di Ian, non avevo dubbi.

 

Il mio sangue stava scorrendo nelle orecchie e non ero abbastanza sicuro di cosa provassi oltre allo shock. Ero arrabbiato? Forse. Mi sentivo tradito? Possibile. Ero spaventato? Decisamente. Nessuno di quei sentimenti aveva un senso però, erano solo... lì, prepotenti, dicendomi che la mia vita era diventata dieci volte più difficile e senza speranza di quanto già non fosse. 

 

"Okay," mi sentii dire dopo un lungo momento, "okay, me ne andrò."

 

E con quello mi alzai dal mio letto, sentendomi come se il mio corpo avesse iniziato una propria vita e afferrai il mio cellulare dal comodino prima di passare affianco a Ian e mia mamma, fuori dalla mia stanza, giù per le scale e nell'ingresso. Mi misi un paio di scarpe e presi il cappotto dall'appendiabiti, notando a malapena mamma e Ian che mi guardavano dalla porta, prima di uscire.

 

Non appena mi trovai fuori, in mezzo alla strada, realizzai esattamente quello che era successo.

 

Ero stato cacciato dalla mia casa. La mia casa da quasi diciannove anni ed ero stato buttato fuori. Non sapevo dove andare, non avevo soldi, non avevo vestiti, niente cibo, nulla. Ero completamente solo e senza un posto in cui stare. Erano le 20, il cielo era quasi scuro e piccole gocce di pioggia cadevano costantemente dalle nuvole sopra di me, e sapevo che non potevo rimanere fuori ancora per molto tempo. Anche se era aprile, c'era ancora freddo e il cappotto che avevo preso non era il più caldo che possedevo. Inoltre, indossavo il pigiama. Se mi fosse venuta l'ipotermia avrebbe fatto sicuramente male al bambino.

 

"Cazzo," sussurrai a me stesso mentre cominciai a camminare lungo il marciapiede.

 

Dovevo trovare un posto dove stare per la notte e considerando che non avevo preso il mio portafoglio, non potevo pagare un hotel, avrei dovuto trovare qualcuno da cui poter dormire. Eleanor sarebbe stata un'opzione valida se non fosse per il fatto che casa sua era proprio accanto alla mia - o la casa che era mia - e quindi non andava bene.

 

Per quanto non mi piacesse il pensiero, l'unica altra valida opzione che avevo era quella di chiamare il ragazzo che l'ultima settimana avevo cercato di evitare come la peste. Mi fermai per un minuto, avevo bisogno di pensare correttamente.

 

Chiamare Harry.

 

Chiamare Harry.

 

Cattiva idea.

 

Unica opzione.

 

Imbarazzante.

 

Ancora l'unica opzione.

 

Possibilità di un crudele rifiuto.

 

Ancora non cambiava il fatto che fosse la mia unica opzione.

 

Con un grosso nodo di nervosismo e ansia, portai fuori il cellulare dalla tasca ed esitai prima di andare nell'elenco contatti. Mi fermai, mentre mi avvicinavo al nome Harry Styles e pensai di abbandonare l'idea, ma poi mi ricordai ancora una volta che chiamare Harry fosse l'unica opzione a meno che non volessi trascorrere la notte sulla panchina del parco. Solo il pensiero di quello mi fece tremare e prima di avere l'opportunità di ripensarci, premetti il tasto di chiamata e misi il telefono all'orecchio.

 

Ci vollero un bel po' di squilli, ma alla fine sentii rispondere e poi la voce profonda di Harry che diceva un semplice 'ciao?'

 

"Uhm, ciao," dissi in imbarazzo.

 

"Ciao? Perché cazzo stai chiamando?"

 

Sembrava infastidito, quasi arrabbiato, e mi morsi il labbro.

 

"Io... ho bisogno di un favore," mormorai, strisciando i piedi contro l'asfalto sotto di me.

 

"Un favore," ripeté, "hai bisogno di un favore. Da me. Grandioso."

 

"Harry, per favore," dissi, provando a mandare giù quello stupido nodo in gola.

 

"Di che diavolo hai bisogno?"

 

Respirai profondamente e pregai che non ridesse di me e attaccasse il telefono, prima di rispondere. "Ho bisogno di un posto in cui dormire stanotte."

 

Rimase in silenzio per un paio di secondi. "Perché?"

 

Lasciai uscire una breve risata, senza umorismo.

 

"Perché sono stato buttato fuori casa per essere gay."

 

Ancora una volta ci fu silenzio, un po' più lungo quella volta. Sentii il suo respiro dall'altra parte della linea, quindi almeno sapevo che non aveva attaccato. 

 

"Va bene, okay," disse alla fine, "dove sei?"

 

Sospirai dentro di me con sollievo. "A soli cento metri da casa mia."

 

"Sarò lì tra venti minuti."

 

"Grazie, davvero."

 

"Certo."

 

Con quello attaccò e mi lasciò di nuovo ai miei pensieri. Sentendomi troppo stanco per rimanere in piedi, mi sedetti sul pavimento, ignorando la sensazione di bagnato e freddo sul mio culo. Una volta che mi sedetti così, da solo nel bel mezzo della strada, fu semplice perdermi nei miei pensieri e lasciarmi affondare nella più totale depressione che era la mia vita. Mi sforzai di pensare a cose più semplici. Come la scuola. Quanto era triste il fatto che la mia vita fosse arrivata ad un punto in cui la scuola era l'aspetto più felice di essa?

 

Tuttavia, riuscii a mantenere la mia mente su quell'argomento, pensando al test di storia del rinascimento che avrei avuto il martedì dopo. L'epoca rinascimentale... la più stupida era di sempre. Eccetto per l'illuminismo e l'antico medioevo. Okay, forse non era così stupida. C'era sicuramente un sacco di gente stupida però. Martin Lutero e la sua stupida riforma, Nicolaus Copernico che si rifiutava di credere che gli stupidi pianeti si muovessero in stupidi cerchi ellittici... persone stupide.

 

Mentre ero seduto e mormoravo riguardo le persone rinascimentali, non notai dei passi che si avvicinavano rapidamente. Non fino a quando vidi, con la coda dell'occhio, qualcuno fermarsi proprio accanto a me.

 

"Non hai preso niente," disse mia madre, guardando verso di me con occhi che sembravano tristi. Mi porse una borsa, come per mostrarmi qualcosa, e la mise a terra accanto a me.

 

"Ti ho messo alcuni vestiti e delle scarpe, il tuo pc portatile, un paio di libri, il materiale scolastico e il tuo portafoglio."

 

Alzai lo sguardo per guardarla, senza dire niente, senza battere ciglio.

 

Gli angoli della sua bocca si incurvarono leggermente. "Mi dispiace veramente tanto, Louis," disse lei tranquillamente, "non volevo che si arrivasse a questo."

 

"Mi hai buttato fuori," dissi, guardandola senza alcuna espressione sul mio viso. "Ti ho detto che sono gay e che sono incinto e mi hai sbattuto fuori."

 

Notai il modo in cui la sua faccia si contrasse alla parola 'incinto', ma non commentò. 

 

"Come ho detto, mi dispiace," disse, "hai un posto dove stare per la notte? Ho messo duecento sterline nel tuo portafoglio, ne hai bisogno in più per l'hotel?"

 

"Non voglio niente da te," dissi piano, guardando verso terra. "Grazie per aver portato la mia roba. Puoi andare via adesso."

 

Non disse niente, ma sentii il suo sospiro. Con la coda dell'occhio, la vidi sposarsi e poi le sue labbra furono pressate sulla mia testa.

 

"Ti voglio bene, tesoro," disse lei, "per favore non odiarmi per questo."

 

E poi si allontanò e probabilmente non sentii il mio mormorio di 'troppo tardi, mamma'. Voltai la testa e la guardai mentre si allontanava da me, lasciandomi là fuori solo. Fu allora che la forza di tutto ciò che era accaduto mi colpì e prima di rendermene conto, un fiume di lacrime scorreva lungo le mie guance e singhiozzi soffocati uscirono dalle mie labbra.

 

Mia madre. La mia mamma. La mia mamma mi aveva buttato fuori di casa, senza apparire dispiaciuta dalla decisione; come poteva farlo? Come poteva un genitore farlo? Non avevo ancora finito il liceo, non avevo nessun lavoro e nessun modo per mantenermi; lei lo sapeva, eppure mi avevo chiesto di andarmene di casa... solo perché ero gay. Solo perché preferivo un ragazzo piuttosto che una ragazza, mi aveva buttato fuori. Per non perdere l'uomo che aveva conosciuto nemmeno un anno prima, aveva tradito il proprio figlio, mi aveva tradito. Quale genitore lo farebbe? Non mi amava? Era quella la ragione? Amava Ian più di me? Se così fosse, era solo perché ero gay o era sempre stato così? C'era qualcosa in me che urlava 'impossibile da amare'?

 

E fu così che Harry mi trovò dieci minuti più tardi, freddo e triste e mentre piangevo, per non parlare del fatto che sembrassi miserabile e patetico.

 

"Oh, Lou," sospirò quando uscì dalla macchina, che aveva parcheggiato in mezzo alla strada e si avvicinò a me. "Sei proprio un casino, lo sai?"

 

Lo guardai con gli occhi bagnati e tentai di sorridere, anche se probabilmente non ci riuscii. "Mi dispiace di averti chiamato," dissi, la mia voce un po' rauca, "non sapevo davvero chi altro... contattare, quindi ho pensato... si."

 

"Va bene," disse, "ecco, ti aiuto ad alzarti," aggiunse e mi tese entrambi le mani per poterle afferrare.

 

Faticai un po' prima di riuscirci, anche se con l'aiuto di Harry, e mi scusai almeno mille volte durante i trenta secondi che avevo impiegato per mettermi in piedi.

 

"Scusa, scusa," dissi quando ci riuscii, cercando di piegarmi per raccogliere lo zaino.

 

"Perché non lasci che lo prenda io e tu entri in auto invece?" disse, e con mio grande sollievo, sulle sue labbra aleggiava un sorriso.

 

"Sei sicuro?"

 

"È solo uno zaino, Lou, quindi vai a sederti in macchina prima che tu ti faccia male. O ne faccia a me."

 

Lei mie guance diventarono rosse, ma feci come mi aveva detto e mi sedetti sul sedile del passeggero. Harry arrivò pochi istanti dopo, e dopo aver chiuso la portiera, si girò per guardarmi.

 

"Allora, eccoci," disse, sollevando le sopracciglia leggermente, "un po' inaspettato."

 

"Si," dissi, "immagino che sia stato un po'... una merda chiamarti adesso quando ti ho ignorato per più di una settimana."

 

"Un po' una merda, forse."

 

"Mi dispiace." Mi sembrò un po' inadeguato dire solo un semplice 'mi dispiace', ma non ero sicuro di cos'altro avrei potuto dire senza sembrare un idiota.

 

Lui sospirò. "Non siamo molto bravi a tenere delle semplici conversazioni, vero?" disse. "Finiamo sempre per gridarci contro."

 

Non potevo discutere su quello. "Immagino." Mi fermai per un attimo prima di continuare. "Ma... mi dispiace veramente per quello che è successo la scorsa settimana, non avrei dovuto dirti quelle cose."

 

"Va bene," disse, sorridendo debolmente, "immagino di aver esagerato."

 

"Quindi è colpa di entrambi?"

 

"Suppongo di si."

 

"E... è tutto okay ora?"

 

Aprì le labbra e corrugò la fronte. "Ne possiamo parlare più tardi? Non ho detto a mia madre dove stavo andando, comincerà a chiedersi dove sono e tra quanto torneremo a casa."

 

"Oh, certo," dissi, facendo un gesto casuale con la mano, "andiamo a casa."

 

Sorrise di nuovo prima di girarsi in modo da trovarsi di fronte al volante, inserì le chiavi e avviò l'auto. Il viaggio verso casa sua proseguì in un confortevole silenzio; non sentii la necessità di parlare e per fortuna anche Harry sembrò della stessa idea. Sentii i suoi occhi puntati su di me un paio di volte, ma feci finta di non notarlo e invece tenni lo sguardo verso ciò che ci circondava.

 

Quando entrammo dentro il vialetto di casa sua, l'orologio segnava quasi le 21.30 e per la prima volta quel giorno, riuscii a sentire quanto fossi stanco. Era strano, in realtà, quanto le cose fosse successe velocemente, sembrava fossero passate almeno ventiquattro ore da quando Ian era entrato nella mia stanza e mi aveva chiesto di andarmene. Strano.

 

"Puoi entrare, sai," disse Harry quando aprì la porta di ingresso, guardandomi.

 

"Oh, giusto," dissi e mi mossi. Una volta che entrai e chiusi la porta, mi affrettai a togliermi le scarpe e a sistemarle accuratamente contro il muro prima di togliermi la giacca, appendendola su un gancio.

 

Harry stava lì, appoggiato al muro che mi aspettava con la mia borsa in una mano e le chiavi della macchina nell'altra. "Fatto?"

 

Io annuii e sorrisi, guardandolo soddisfatto.

 

"Bene. Andiamo, ti posso presentare mia mamma."

 

"Io- cosa?" dissi, il nervosismo ancora una volta si impadronì di me. "Ma io- indosso i pantaloni del pigiama e il mio sedere è tutto bagnato perché ero seduto in terra e-"

 

"Non le importerà," mi interruppe, "dai, vieni."

 

Cercai di protestare, ma invece di ascoltarmi, mi afferrò il braccio e mi trascinò attraverso la casa verso il salotto.

 

"So che probabilmente dovrei sentirmi grato per avermi permesso di non essere un senzatetto," mormorai, "ma non mi piaci in questo momento."

 

Non rispose, ma notai il sorriso curvo sul suo volto, e per qualche ragione, la sola vista di quello mi mise di buon umore. Entrammo nel salotto pochi secondi dopo e subito notai la donna seduta sul divano vestita con una tuta, i capelli castani in una crocchia disordinata in cima alla testa. Se non fossi stato gay, probabilmente l'avrei trovata molto attraente.

 

"Ehi, mamma," disse Harry mentre mi trascinò verso il divano e si fermò quando entrambi fummo in piedi accanto al bracciolo.

 

La donna alzò lo sguardo e sorrise. "Beh, ciao," disse lei. "Quindi, lui è Louis," continuò.

 

Le mie sopracciglia si alzarono immediatamente, un po' preoccupato, ma poi aprì la bocca di nuovo e la mia preoccupazione si trasformò in legittimo shock.

 

"Quindi sei il ragazzo che sta avendo mio nipote," disse, "è bello incontrarti," aggiunse e mi tese la mano.

 

La fissai per un secondo o due prima di riuscire  a raccogliere abbastanza coraggio per afferrarle la mano e scuoterla. "Io- uhm, si, ciao," dissi stupidamente, "io non- non sapevo che tu... lo sapessi."

 

"Probabilmente non lo saprei se non avessi trovato un'ecografia sulla scrivania di Harry l'altro giorno quando stavo appoggiando alcuni vestiti puliti," disse, "l'ho messo in imbarazzo quando mi sono confrontata con lui, lascia che te lo dica."

 

"Mi sono sentito ancora più in imbarazzo quando ho dovuto raccontarle la storia," intervenne Harry, con sguardo calmo.

 

"Uhm, giusto, si," dissi, grattandomi la nuca solo per tenere le mani occupate. "Io... sono contento che ti vada bene tutta la... cosa," continuai.

 

"Non c'è molto altro da fare, no?" disse, sorridendo un po', "soprattutto perché Harry mi ha detto che stai pensando di tenere il bambino invece di darlo in adozione."

 

"Oh. Giusto."

 

"Vi lascio andare ora," disse lei, "ti sto mettendo a disagio."

 

"Oh, no, non-"

 

Lei agitò la mano. "Va tutto bene, puoi dirlo."

 

"Okay, bene," disse Harry prendendomi nuovamente il braccio e iniziando a trascinarmi via. "Grazie mamma. Oh, Louis sta qui stanotte."

 

"Lo avevo dedotto," rispose lei, anche se aveva di nuovo gli occhi rivolti verso la televisione.

 

"Quindi, quella era mia mamma," disse Harry mentre iniziammo a salire le scale che sapevo avrebbero portato alla sua camera da letto.

 

"Sembra carina," dissi, "davvero... accomodante."

 

"Si, è abbastanza carina," disse, "papà è più o meno uguale."

 

"Dov'è?"

 

"Viaggio di affari in Galles."

 

"Lontano."

 

"Lo so, davvero triste." Raggiungemmo la sua camera da letto e lui aprì la porta, tenendola e facendomi cenno di entrare, cosa che feci, prima che lui chiudesse la porta.

 

"Puoi dormire nella vecchia stanza di Carlos," disse mentre mise lo zaino sul pavimento accanto alla porta, "di solito la utilizziamo come stanza per gli ospiti e il letto è pronto."

 

"Okay, figo," dissi, cercando di non sentirmi troppo deluso del fatto che non avrei dormito nella stanza di Harry. Poi di nuovo, probabilmente sarebbe stato meglio. Rimanemmo in silenzio, non un silenzio imbarazzante, ma più teso.

 

"Quindi," disse Harry mentre si avvicinò al suo letto e si sedette, "dobbiamo continuare la conversazione imbarazzante adesso o vuoi farlo domani? Sembri un po' stanco, ad essere onesti."

 

"Possiamo continuarla ora, tanto vale farla finita,"dissi, mentre mi univo a lui nel letto.

 

"È quello che ha detto lei."

 

Sorrisi a quelle parole, ma non dissi niente.

 

"Okay," disse, guardandomi con occhi caldi e dolci, "riguardo a tutta quella... cosa della scorsa settimana," continuò, "ti rendi conto che nessuna di quelle cose di cui mi hai accusato è vera?"

 

"Quale parte in particolare?" chiesi, pensando di averlo accusato per molte cose.

 

"La parte su di me che mi interessa solo del bambino e che ti ho baciato perché mi dispiaceva per te."

 

"Giusto, quella parte," mormorai guardando verso il basso, "immagino che fossi un po'... confuso? Arrabbiato? Un po' ferito? Non lo so."

 

"Ti capisco," disse in fretta, "ti capisco davvero, ma non è vero, okay? Mi importa di te tanto quanto del bambino e non ti ho baciato per pietà. Ho bisogno che tu mi creda."

 

Annuii. "Va bene," dissi, "ti credo, penso. È solo... il modo in cui tu- il modo in cui mi hai guardato dopo che... ci siamo baciati, non era... bello."

 

"Come ti ho guardato?" chiese, aggrottando la fronte con confusione.

 

Sorrisi debolmente. "Mi hai guardato... irritato e arrabbiato e veramente molto dispiaciuto."

 

La sua fronte di aggrottò di più. "Mi dispiace," disse, "non me ne sono accorto e posso assicurarti che non era mia intenzione farlo."

 

E ancora. Non volevo farlo, non volevo dirlo. Optai per il non commentare quella volta. 

 

"Si, va bene," dissi.

 

"Siamo apposto con questo?"

 

Annuii. "Si."

 

Sorrise, guardandomi felice. "Bene. E... voglio solo che tu sappia che mi importa di te," disse, mettendomi una mano calda sul ginocchio, "mi importa tanto di te."

 

"Si, anche a me," dissi senza pensare. Le mie guance si colorarono appena mi resi conto di quello che avevo detto, ma lui non sembrò farci caso.

 

Sorrise per un secondo prima di ritirare la mano e alzarsi dal letto. "Dobbiamo parlare ancora un po' di questo, ma sembri stanco, quindi suppongo che sia il momento di andare a letto."

 

Il pensiero di un letto morbido e un paio di pantaloni di pigiama puliti era molto confortevole e mi alzai dal letto.

 

"Guidami," dissi.

 

Mi offrì un altro sorriso prima di incamminarsi verso la porta, prese il mio zaino e si diresse verso il corridoio. Lo seguii a ruota mentre camminava a pochi metri di distanza da me e poi si fermò, aprì una porta ed entrammo in una stanza molto simile alla sua.

 

"Penso che dovresti stare abbastanza comodo qui," disse, girando per la stanza. "Il letto è uguale al mio, quindi almeno so che ti piacerà."

 

Risi un po'. "Non ne dubito."

 

"Hmm. Beh, me ne vado, ti lascio dormire," disse e mise il mio zaino sulla scrivania che era posta affianco al letto. "Sono nella mia stanza se hai bisogno di me."

 

Annuii, chiedendomi esattamente quanto infantile e appiccicoso sarei sembrato se gli avessi chiesto di coccolarmi. Probabilmente molto più infantile e appiccicoso di quanto dovrebbe essere un diciottenne.

 

"Buona notte, dormi bene," disse sorridendo, prima di uscire dalla porta a chiuderla tranquillamente.

 

 

Note traduttrice:

Ciao a tutti, siccome sono una brava persona ho aggiornato due giorni di fila. 

No, in realtà è perché venerdì vado in ferie e tornerò il 21, per cui non potrò aggiornare fino ad allora e quindi volevo rendervi un po' felici ahahahah

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, buone vacanze!

   
 
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