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Autore: JacquelineKeller01    10/08/2017    3 recensioni
[MOMENTANEAMENTE SOSPESA]
Lea ha diciassette anni quando torna nella sua città natale in seguito ad alcuni problemi familiari. Tutto ciò che vuole, dopo un anno intero passato a guardarsi le spalle, è recuperare il rapporto con suo padre e un po' di sano relax. Ma sin da subito il destino sembra prendere un'altra piega.
Isaac è l'essere più irritante che Lea abbia mai incontrato nella sua vita, con quella sua arroganza e i repentini cambiamenti di umore, porterà novità e scompiglio nella vita della giovane.
Tra un rapporto che fatica ad instaurarsi, vecchie ferite non ancora del tutto sanate ed un patrigno che sembra darle la caccia, Lea si ritroverà ad affrontare sentimenti che non sapeva essere in grado di provare, specialmente non per uno come Isaac Hall.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Nel 1886 l’antropologo Francis Galton descrisse, per la prima volta, la “Regressione verso la media”. Tale fenomeno, consisteva nel prendere due valori estremi, sommarli ed, infine, dividerli in modo tale da ricavarne l’esatta metà. Una sorta di punto di equilibrio. Con il passare dei secoli tale espressione era diventata di uso comune, fin quando non era diventata il sinonimo più studiato del classico: “Non può piovere per sempre”.
Lea non c’aveva mai creduto, era sempre stata convinta che una formula matematica non potesse essere applicata alla vita di tutti i giorni, specialmente ad una come la sua dove il mondo sembrava divertirsi a piovere sul bagnato.
Fin quando non era stata costretta a ricredersi.
Da quando era arrivata ad Harpool Bay la sua vita si era svolta in un susseguirsi di disastri senza fine; il suo tentativo di vivere un’adolescenza pseudo normale l’aveva trascinata in un tunnel infinito di cui non riusciva a vedere la fine, poi una mattina era successo: aveva aperto gli occhi e tutto aveva preso ad andare per il verso giusto.
Le ultime analisi di suo padre avevano mostrato un restringimento del linfoma, dando alla famiglia uno spiraglio di speranza; Aiden aveva finalmente rivelato al mondo la sua omosessualità; Nina aveva avuto il coraggio di lasciar entrare Red e darle una seconda possibilità…
In tutto quel quadretto lei era l’unica a sentirsi una nota stonata.
La sua vita non era più un disastro totale, questo era certo, ma era fin troppo strano pensare di andare avanti senza Isaac al suo fianco.
Prima che partisse per Santa Clara, prima che l’intero mondo crollasse, lui le aveva detto che gli sarebbe mancato sapere che, quando non c’era, gli sarebbe bastato alzare lo sguardo per trovarla e sentirla più vicina. Lea c’aveva provato, aveva girato lo sguardo milioni di volte eppure quella distanza sembrava ogni volta più invalicabile.
«Tra qualche giorno sarà il compleanno di Isaac.» Constatò ad alta voce, asciugandosi le mani nel grembiulino rosso. «Potremmo organizzargli una festa. Pochi intimi. Pensi potrebbe fargli piacere? Ti ha detto niente?»
L’aveva buttato lì come un argomento di poco conto, una curiosità come tante, ma continuava a rigirarsi un lembo della maglietta tra le dita. Lo faceva quando era agitata. Nina lo sapeva.  Tutti quei mesi chiusa al Roy’s assieme a Lea le avevano dato un chiaro specchio di tutte le sue abitudini e stranezze; generalmente sarebbe stata in grado di dare una risposta al dubbio di fondo della giovane, ma non era quello il caso.
Purtroppo si trovavano entrambe sulla stessa barca.
«Evita anche me, Lea!» Replicò, avvicinandosi.
La piccola Wilson, trattenne il respiro, non potendo fare a meno di arrossire. Era stata beccata con le mani nel sacco.
Annuì, sospirando mestamente.
Qualche giorno prima aveva bussato alla sua porta. Non aveva ricevuto risposta. E così era stato quando lo aveva chiamato al cellulare o da fuori la finestra della sua stanza.
Isaac Hall sembrava scomparso nel nulla e lei non poteva fare a meno che preoccuparsi.
Nella sua testa si susseguivano una serie di scenari terribili che le mozzavano il fiato ogni volta. Continuava a chiedersi se per caso non si fosse fatto del male o se fosse il caso di chiamare la polizia, ma poi vedeva la luce accesa al piano di sotto e, almeno un pochino, si tranquillizzava.
«Stai per dirmi anche tu che ha bisogno di tempo?» Domandò Lea, lasciandosi scappare un risolino privo di allegria. «No, perché non riuscirei a sopportarlo.» Chiarì.
Nina scosse il capo.
Non era certo la persona più indicata per dare consigli e anche se lo fosse stata non ne avrebbe dati di quel tipo; trovava di dubbia utilità lasciare sola una persona ferita, non si sa mai come potrebbero reagire.
Isaac era forte, su questo non c’era alcun dubbio, ma ciò non cambiava il fatto che aveva appena visto il suo mondo crollargli sotto i piedi. Chiunque ne sarebbe uscito distrutto.
«Affatto!» Esclamò, passandosi la lingua sul labbro superiore. «Sono convinta che qualcuno dovrebbe spronarlo a ragionare lucidamente.»
«E chi?» Bofonchiò Lea. «Io c’ho già provato e non ne ho ricavato niente.»
«Pecchi di alterigia, Signorina Wilson. Non sei l’unica al mondo.»
«Era per dire…»
Nina rise, scuotendo il capo. Il giorno in cui Lea Wilson avrebbe compreso cos’era il sarcasmo, sarebbe stato troppo tardi.
«Parlerò io con Isaac.» Affermò con sicurezza qualche istante più tardi, incominciando a slacciare il nodo del grembiule. Aveva comunque finito il suo turno e voleva andarsene prima che arrivasse Red; poteva essere passata sopra alla cosa, ma l’imbarazzo era, ancora, comunque tanto.
«Ma come farai?» Domandò Lea, grattandosi il naso. «Evita ogni contatto con il mondo. Come pensi di convincerlo a lasciarti entrare?»
«Non tenterò di convincerlo. Entrerò e basta.»


Isaac era stato una delle prime persone che Nina aveva incontrato dopo il suo arrivo ad Harpool Bay.
Era stato durante la prima settimana del suo ultimo anno; se lo ricordava bene quel ragazzino arrabbiato, con più muscoli che cervello che andava in giro a picchiare chiunque. Aveva solo sedici anni e tutti lo temevano. Tutti tranne lei.
La prima volta che si erano parlati, la giovane era scappata sul tetto preda d’un attacco d’ansia e lo aveva trovato lì, steso sul lucernario della palestra con una canna tra le labbra. Era stato gentile. Aveva tentato di tranquillizzarla, le aveva chiesto che cosa le faceva paura e lei aveva risposto che le faceva paura il genere umano. Isaac aveva riso.
“A me fanno paura i luoghi senza via d’uscita”, aveva detto, “Un trauma infantile”. Ma non si era sbottonato troppo. Solo in seguito, molto in seguito, le aveva rivelato che la che quella paura era dovuta alla volta in cui suo padre lo aveva rinchiuso in cantina per tre giorni e che, da allora, teneva sempre, in ogni occasione, aperta la porta sul retro.
Sorrise nel constatare che era ancora così.
Quando entrò in salone, trovò davanti a se quello che poteva essere paragonato al disastro di Chernobyl.
Casa di Isaac non era mai stata il posto più ordinato del mondo, ma aveva un certo disordine organizzato, tutto sommato; quello che aveva davanti, invece, altro non era che una riproduzione casalinga di una discarica.
Piatti, bicchieri, bottiglie vuote, vestiti… persino una fetta di ciò che, in teoria, in origine, avrebbe dovuto essere una pizza.
Sentì un conato salirle su per la gola e fu costretta a far ricorso a tutte le sue forze per non rimettere sul posto.
Sembrava fosse passato l’uragano Irene...
Spostò lo sguardo altrove, cercando la figura del migliore amico.
Isaac era rannicchiato sul divano con indosso solo un paio di boxer ed una maglietta bianca che sembrava aver visto giorni migliori.
Sospirò, avvicinandosi.
«Isaac?» Chiamò, colpendolo piano con la punta della scarpa. Voleva toccarlo il meno possibile, nessuno poteva sapere che tipo di malattie e\o infezioni potessero esserci in quel posto. Il giovane mugugnò qualcosa di incomprensibile, prima di girarsi dall’altra parte.
Nina si portò una mano alla tempia. Non era mai stata un tipo particolarmente paziente. «Isaac!» Tuonò.
Quando questi si voltò di nuovo, mugugnando e tentando di cacciarla via, alla giovane non restò che gettare a terra i fiori rinsecchiti che sostavano sul tavolinetto da fumo e gettargli addosso l’acqua restante nel vaso.
Isaac si tirò su a sedere, incapace di trattenersi dal trasalire.
La testa gli doleva da impazzire ed il movimento brusco non aveva certo aiutato. Dannato dopo sbornia.
«Sei per caso impazzita?» Tuonò, fissando truce la migliore amica. «Mi hai inzuppato la maglietta oltre che il divano.»
«Non ti ho fatto che un piacere, puzzi più di una scarpa piena di maionese lasciata al sole per una settimana. Ma da quanto è che non ti fai una doccia?»
«Che giorno è?»
«Sei disgustoso.»
Il giovane Hall sospirò, aggiustandosi a sedere sul divano, prima di allungarsi a raccogliere da terra una sigaretta fumata a metà. Ciò che restava della sua cena…
«Insomma, che ci fai qui?» Domandò, coprendo la fiamma dell’accendino con la mano.
Nina si strinse nelle spalle, prendendo posto a sedere sul bracciolo della poltrona. Si appuntò mentalmente di bruciare i vestiti una volta tornata a casa. «Sono venuta a vedere come stavi.»
Isaac fece spallucce a sua volta.
Stava bene, come sempre, semplicemente non era felice. Non capiva come mai la gente dovesse farne un problema così grande…
«Sto bene.» Mugugnò, buttando fuori una boccata di fumo.
La giovane annuì. «Ne sono felice, ma non dirlo al tuo capo. L’ho incontrato mentre venivo qui, voleva licenziarti. Ringraziando Dio sono riuscita ad inventarmi qualcosa sul momento.»
«Che gli hai detto?»
«Che hai beccato un virus mentre mangiavi cinese e che sono quasi due settimane che soffri di dissenteria.»
Il ragazzo emise un verso strozzato prima di scoppiare a ridere.
Non lo faceva da un bel po’ di tempo, infatti il suo stomaco si contrasse, sin da subito, in maniera dolorosa.
«Hai detto al mio capo che ho la diarrea?» Dio, questa era una risposta che si aspettava da qualcuno come Lea, certo non da Nina.
«Era l’unica cosa che lo avrebbe convinto a non venire qui!» Esclamò piccata l’altra, portando le braccia conserte sotto il seno.
Che ridesse quanto voleva, la prossima volta non gli avrebbe salvato il culo. Avrebbe lasciato che lo buttassero per strada…
Aveva proprio ragione suo fratello: a lavare gli asini si perde solo tempo e sapone.
Isaac scosse il capo, portandosi nuovamente la cicca alle labbra. «Sei venuta qui solo per questo?» Qualcosa gli suggeriva che non era affatto così.
Voleva spronarlo a parlare anche lei. Tutti quanti volevano spronarlo a parlare.
Era davvero così importante ciò che passava per la sua testa?
«No, sono venuta qui perché sono preoccupata per te, in realtà.» Ammise l’altra.
Il giovane aggrottò la fronte. «Ti ho appena detto che sto bene.»
«Sai che non mi riferisco a questo.»
«Capisco.»
Era lì per sapere come aveva preso ciò che era contenuto in quella lettera.
Nina era stata l’unica con cui ne aveva parlato, l’unica che ne sapesse qualcosa, ad eccezione, ovviamente, di Peter Wilson.
Si strinse nuovamente nelle spalle.
«C’era scritta tutta la verità.» Mormorò. «Ho scoperto che mi sbagliavo.»
«Su cosa?»
«Su quasi tutto.»
«E perché lo dici come se non provassi niente?»
«Perché non riesco a provare niente.» Ammise. La giovane gli rivolse uno sguardo confuso.
Isaac non sapeva nemmeno come intavolare una conversazione del genere. Non riusciva a fare chiarezza nella sua testa, come poteva farne agli altri?
Prese un profondo respiro. «In questa lettera c’è tutto ciò che resta di mia madre. Una vita intera riassunta in due sole pagine. E’ da ieri sera che la rileggo e non riesco a capacitarmi di ciò che c’è scritto qui dentro; non riesco a realizzare di avere tutta la sua vita tra le dita.» Mormorò. «Ho passato tutti questi anni ad odiare mio pad… Norman perché credevo che l’avesse spinta lui a suicidarsi mentre, in realtà, era solo uno dei tanti motivi.» Faceva così strano chiamarlo per nome…
Non c’era abituato, per lui era sempre stato papà, nel bene e nel male. Una parte di lui lo rimbeccò, suggerendogli che, volente o nolente, lo sarebbe stato lo stesso.
Nina si morse il labbro inferiore, scivolando vicino a lui.
Adesso poco le importava più della puzza o dello sporco. Lui aveva bisogno di sentirla vicina. Poggiò la sua testa contro la sua spalla.
«Vuoi parlare?» Domandò, dopo qualche istante di silenzio.
Isaac rise sommessamente. «Parlare di cosa, Nina?»
«Di qualsiasi cosa.» Mormorò. «Non devi parlarmi di quella lettera, né dei tuoi sentimenti, solo… parliamo di qualcosa.»
Parlare con lui gli era mancato. Era sempre stata come una valvola di sfogo per lei, un modo per buttare fuori tutto il bello ed il brutto che si portava dentro senza rischiare di essere giudicata da nessuno.
«Io e Rebecca ci siamo lasciati.» Esclamò, di punto in bianco, il ragazzo. Poggiò il mozzicone di sigaretta nel posa cenere, prima di fissare la sua migliore amica con la coda dell’occhio.
Nina sorrise, avrebbe voluto fingere che le dispiaceva ma non ne era capace. Aveva sempre tifato per Isaac e Lea. «E’ per questo che ci sono tutte queste bottiglie di alcolici a terra? Hai dato un festino e non mi hai invitata? Giuro che se hai fumato dell’erba sul tetto senza di me potrei toglierti il saluto.» Scherzò.
Il ragazzo rise. «No, queste sono perché io e Norman ci siamo presi una bella sbronza ieri sera.»
«Non mi hai comunque invitata.»
«Era una chiacchierata tra gli uomini della famiglia Hall…»
«Allora perché c’eri anche tu?»
La risata cristallina di Isaac riempì la stanza e Nina lo seguì a ruota.
Erano così giovani, così pieni di vita e di speranza. Era davvero un enorme peccato che il mondo fosse così estremamente deciso a sottoporli a così tanto dolore.
«Nella lettera mia madre mi ha chiesto di ricordare i momenti migliori passati con mio padre ogni volta che avrei passato un momento buio. Mi sono reso conto che non ne avevo.» Fece una breve pausa. «Così, quando Rebecca è passata di qui ed ha mollato il vecchio sul divano, dicendo di non voler passare la vita a rincorrere un ragazzo che non l’amava, mi sono reso conto che quella era una mancanza che sentivo terribilmente.»
Nina inarcò un sopracciglio verso l’alto. «E qui hai ben pensato di crearne uno mandando a quel paese quattro anni di completa sobrietà.»
«A mali estremi, estremi rimedi.»
In realtà non era andata esattamente in quel modo.
Lui e suo padre si erano semplicemente seduti l’uno davanti all’altro ed avevano parlato per la prima volta in chissà quanti anni. Erano arrivati alla conclusione che quella situazione non poteva andare avanti, che era arrivato il momento, per il giovane Hall, di prendere una decisione: o lo lasciava andare per sempre o si impegnava a rimetterlo in piedi.
«Venderò la moto.» Esclamò, poggiando la guancia contro il capo della ragazza. «Con il ricavato avrò abbastanza soldi per pagare la retta della comunità.»
La cosa non gli andava particolarmente a genio, quella moto era una parte della sua vita, una parte importante, ma si trattava di una buona causa. Quindi andava bene così.
«Inutile dirti che non approvo.» Brontolò Nina. «Farai comunque di testa.»
Isaac annuì. «Ti andrebbe di venire con me? Non me la sento di andare da solo.»
La comunità si trovava a pochi chilometri da Harpool Bay, ma era comunque un viaggio che non se la sentiva di affrontare da solo. Segnava la parola fine ad un capitolo della sua vita, un capitolo di cui lo spaventava il continuo incerto.
Nina scosse il capo. «Mi farebbe piacere, ma penso sia il caso di chiederlo a qualcun altro.»
«Chi?»
«Una certa signorina che abita nella casa accanto e che aspetta solo che tu la lasci entrare.»
Il giovane si morse l’interno guancia.
Stava parlando di Lea.
Si era comportato da vero cazzone con lei e non era sicuro lo volesse ancora nella sua vita. Se così fosse stato, non l’avrebbe certo biasimata.
«Una certa signorina che sicuramente mi odia.» Mormorò, buttando giù il boccone più amaro della sua vita.
Lea era la cosa più pura che gli fosse mai capitata tra le mani, non poteva sopportare l’idea che lei lo odiasse.
«Lea non ti odia, è cotta di te. Non potrebbe mai odiarti.»
Isaac trattenne un sorriso, ma il sollievo e la soddisfazione non fu capace di celarli. «Come fai a saperlo?»
«Ho i miei informatori.»
«E’ stata lei a dirtelo?»
Nina schiuse la bocca, passandosi la lingua sui denti per poi  catturarvi nel mezzo il labbro inferiore. Voleva rassicurarlo ma allo stesso tempo non voleva tradire la fiducia di Lea.
Perché diavolo si metteva sempre in situazioni del genere?
«Sarai anche il mio migliore amico, ma non aspettarti che tradisca la femmibibbia.» Tuonò. «Se vuoi le tue risposte, cercatele da solo. Il mio compito è finito.»
Il ragazzo corrugò la fronte. «La femmichecosa? Anzi, non dirmelo. Non voglio sapere.» Esclamò, alzandosi in piedi alla ricerca dei pantaloni.
Se c’era anche una sola possibilità di rimediare con la piccola Wilson voleva coglierla al volo.
Scansò le gambe di Nina, diretto verso la porta, ma questa lo riportò a sedere sul divano tirandolo verso il basso per il passante dei Jeans.
«Prima fatti una doccia. Puzzi. Devi conquistarla non ucciderla.» 
   
 
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