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Autore: Belarus    18/08/2017    1 recensioni
Un Drago Celeste che nobile non è mai voluta essere, una fuga bramata da sempre e un mondo del tutto sconosciuto ad allargarsi ai piedi della Linea Rossa. Speranze e sogni che si accavallano per una vita diversa da quella che gli è da sempre stata destinata. Una storia improbabile su cui la Marina stende il proprio velo di silenzio, navi e un sottomarino che custodiscono un mistero irrivelabile tanto quanto quello del secolo vuoto.
#Cap.LXXXV:" «Certo che ci penso invece! Tornate a Myramera e piantatela con questa storia dello stare insieme! Io devo… non potete restare con me, nessuno di voi può. Sparite! Non vi voglio!» urlò senza riuscire o volere piuttosto trattenersi.
Per un momento interminabile nessuno accennò un movimento in più al semplice respirare e solo quando Aya fu sul punto di voltarsi per andare chissà dove pur di mettere distanza tra loro, Diante si azzardò a farsi avanti.
«Ci hai fatto giurare di non ripetere gli errori passati. I giuramenti sono voti e vanno rispettati.» le rammentò. "
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Teru-Teru Bouzu '
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Titolo: Teru-Teru Bouzu
Genere: Avventura; Romantico; Generale {solo perché c’è davvero di tutto}.
Rating: Arancione {voglio farmi del male, oui.}
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd; Trafalgar Law; Heart pirates.
Note: È un capitolo prolisso, pieno di cose in sospeso nel bene e nel male, letteralmente e figurativamente. Kidd ritorna alla carica e Aya, povera, ci finisce in mezzo senza sapere che lei in mezzo a ficcato Law. Tuttavia non demorde, nessuno lo fa in questo aggiornamento e non lo faccio neppure io perché questa storia sembra non finire mai, ma fidatevi siamo alle ultime battute. Nell’attesa comunque che la situazione si sblocchi, Aya evada con la sua nuova banda di fuggiaschi, Torao si riprenda dal brutto colpo e Kidd metta la parola fine alla vendetta che lo tormenta, io ringrazio coloro che mi seguono, chi valoroso lascia persino una recensione – ma dico, davvero? Sicuri? Merci! – e anche chi decide che è meglio non bazzicare di qui perché sì, è pericoloso. Un abbraccio miei prodi e alla prossima!



CAPITOLO LXXX






Era arrivata a Down Under con nient’altro se non gli svariati strati di abiti invernali per combattere il freddo di Sanko e adesso era sul punto d’andarsene con un bagaglio di provviste, regali, mappe, lettere di presentazione firmate personalmente da Madame Faraouki – a cosa le sarebbero potute servire fuori di lì le era ignoto – e tenute profumate per tutte le occasioni di ogni singola stagione possibile. Ricevere tanto affetto e generosità da chi un tempo non avrebbe avuto modo di ascoltare nemmeno la sua voce, la lasciava ancora piacevolmente perplessa e sì, anche un po’ a disagio. Avrebbe rifiutato in un altro momento della propria vita per non sentirsi in difetto, ma in quelle circostanze un simile bagaglio era addirittura necessario per il futuro. Non avrebbe fatto molta strada vestita solo di lana e armata di buona volontà, era una tragica realtà con cui aveva fatto i conti all’inizio della sua avventura e da cui aveva imparato parecchio.
«Non penso dovrebbe assecondare quel tipo. Non abbiamo prove di ciò che dice, potrebbe essere ancora un marine e tradire la sua fiducia da un momento all’altro per catturarla di nuovo!» richiamò la sua attenzione Penguin, guardandola con sincero disappunto, mentre dava un ordine proprio ai bagagni sul letto.
Era assolutamente sicura che né Law né Kidd avessero mai ricevuto simili rimostranze per uno dei loro piani. Nessuno ribatteva mai quando prendevano una decisione, se accadeva era più che altro un tentativo di ribattere e veniva stroncato sul nascere indipendentemente da quanto assennato o giustificato fosse. Adesso che era lei per la prima volta ad avere la situazione in pugno, parevano tutti avere qualcosa da ridire. Persino gli Heart che l’avevano sempre supportata e vezzeggiata. Era molto seccante e un tantino deprimente ad essere sinceri, ma c’era ben poco da fare davanti ai loro borbottii, sapeva che parlavano per affetto in fondo.
«Una volta fuori di qui, io ritornerò da Kidd e lui proseguirà con gli altri. Ha giurato.» spiegò paziente, nella speranza che tanto bastasse a fargli accettare l’idea, ma non accedeva mai che tanto bastasse.
«Ha giurato obbedienza anche al Governo mondiale però. Potrebbe organizzare un’imboscata all’esterno con quei suoi fratelli… magari sono già a Sanko ad aspettarla!» ipotizzò funesto Shachi, ronzandole attorno per fermarsi dalla parte opposta del letto con un cenno cupo del cappello ad orca.
Aya lo fissò impassibile per un istante, trattenendo il sospiro d’esasperazione che le era salito in gola per tornare poi ad occuparsi della propria sacca con l’intenzione di non assecondarli più del necessario.
Avrebbe potuto fargli notare che non avrebbero avuto motivo di preoccupazione se avessero controllato anche loro Shizaru piuttosto che mollarlo al povero Jean Bart, ma dirglielo non sarebbe stato gentile.
«Se dovesse accadere prenderò provvedimenti.» assicurò con un sorriso accondiscendente che non sortì effetto su Bepo che si girò allarmato dopo aver sbirciato dalla finestra che dava sulla sala centrale.
«E ha un ossessione per lei O-jochu… sta controllando la stanza persino adesso!» bofonchiò a muso gonfio, mentre Aya richiudeva il bagaglio con un ultimo gesto per rivolgergli uno sguardo spossato che si sarebbe potuto rifilare ad un bambino troppo insistente e con sospetti inesistenti.
«La controlla perché non si fida di voi, non per me. Siete pirati.» gli fece notare cauta dopo un attimo di silenzio e tutti e tre s’impettirono offesi nelle divise quasi Shizaru stesso li avesse appena schiaffeggiati in segno di sfida.
«Come si permette d’insinuare certe cose?! Noi non le faremmo mai del male, le vogliamo bene!» tonarono in un coro orgoglioso, quasi il loro essere pirati fosse una menzogna appositamente ideata per calunniarli.
Rivolse loro un sorriso paziente e anche un po’ divertito per quella reazione, finendo per abbassare le spalle sconfitta da tanto discutere. Era del tutto inutile continuare a cercare di farli ragionare, rifletté, sarebbero potuti andare avanti all’infinito indignandosi e accusando un ignaro Shizaru, era evidente e lei sapeva bene quanto ostinati potessero dimostrarsi se punti sul vivo.
«Ed è questo che conta.» capitolò affezionata, eludendo il discorso per non dover ricominciare da capo.
Rinvigorito però dalla sua tolleranza Bepo decise di contrattaccare, approffitando del momento per avanzare una delle sue proposte, la cui logica solitamente sfuggiva al resto degli Heart, ma che per una volta quasi per un miracolo mise d’accordo persino Shachi e Penguin.
«O-jochu può lasciarli andare adesso e venire con noi. Possono cavarsela da soli e per lei sarebbe meno pericoloso! Aye Senchō?!» suggerì speranzoso, saltando le norme di cortesia che gli avrebbero imposto di chiedere per prima cosa la sua opinione in merito, per rivolgersi direttamente a chi secondo la sua logica da sottoposto avrebbe dovuto concedere il benestare.
All’altro capo della stanza, poggiato alla soglia della porta a braccia serrate ed espressione pensierosa, Law spostò per un lungo momento lo sguardo grigio su di lui in silenzio, forse valutanto la proposta o magari solo cercando di riallacciarsi al discorso a cui non pareva minimamente interessato. Trepidanti i suoi uomini trattennero persino il fiato in quel frangente ed Aya lo fece con loro, sebbene per ragioni differenti che più che altro avevano a che fare con il dubbio di sentirlo esplodere in uno dei suoi rimproveri per quell’idea.
«Se vuole prendere un’altra strada è una sua scelta.» soffiò lapidario senza accennare la minima variazione nel proprio sguardo, sorprendoli tutti.
Non si aspettava certo che la trattenesse e non le sarebbe neppure piaciuto se fosse accaduto, preferiva di gran lunga che Law la sostenesse come aveva già fatto, ma il tono con cui lo sentì lavarsene le mani la lasciò un po’ perplessa. Troppo secco, troppo contenuto. Pareva quasi che la sua mente fosse altrove e stesse aspettando solo che il corpo si liberasse dall’impiccio di quel lungo commiato per dimenticarsi dell’accaduto. Conosceva il disappunto silenzioso in cui a volte Law si esibiva per non esplodere da persona normale in richiami e chiacchiere, sapeva riconoscere anche la delusione e la noia in lui. Aveva imparato a decifrare la maggior parte dei suoi atteggiamenti e se non avesse assistito a quella fredda apatia con cui se ne stava lì fermo avrebbe azzardato un “tutti”. Quello però era un atteggiamento che non gli aveva mai visto o forse sì, non ne era certa.
«Con quei tre e quei cacciatori di taglie a darle la caccia?! Per ritornare dal Capitano Kidd poi?!» lamentarono Bepo, Penguin e Shachi neanche si fossero messi d’accordo in precedenza, ma anche di fronte a quell’ennesima replica Trafalgar fece appena spallucce.
«È adulta, sa difendersi.» soffiò laconico, ruotando sulla soglia per osservare la sala sottostante in un impulso che le fece abbassare gli occhi sulla propria sacca e afferrarla.
Non ne era del tutto convinta, tuttavia ricordava d’averlo visto in uno stato simile – forse – la notte in cui si era deciso a raccontarle la propria storia per chiederle collaborazione contro quel viscido di Disco. Era passato molto tempo da allora, Law non era più stato freddo con lei benché si sforzasse d’apparirlo e quell’inversione improvvisa nel suo atteggiamento, quasi lo scocciasse l’essere ancora in sua presenza, dopo la premura dimostrata nel cercarla al porto poteva essere solo un segnale allarmante. Una parte di lei avrebbe voluto tirargli un orecchino per riportarlo in quella stanza e farsi salutare com’era giusto che facessero, rimproverargli le maniere poco educate e magari abbracciarlo, ma si trattava dell’Aya egocentrica, quella che stava lavorando per migliorare e contro cui aveva preso le ultime decisioni. La realtà, per quanto non le piacesse, era che Law a suo modo le aveva già detto addio, forse lo aveva già detto a tutto il resto del mondo, il vero Law era a Punk Hazard in attesa che il corpo fantoccio lo raggiungesse per le ultime fatiche di una vita, lei ormai era una comparsa.
«Ma-» provarono ad insistere i suoi uomini, Aya però li fermò prima ancora che cominciassero.
Era triste e gli occhi le pesavano per le lacrime che d’improvviso stava soffocando, ma se non fosse riuscita in quello c’erano ben poche possibilità che andasse da qualche parte o addirittura che potesse farlo con quello zuccone rabbioso di Kidd. Senza saperlo Law la stava aiutando ancora e magari per l’ultima volta.
«Avete altre questioni di cui occuparvi, non preoccupatevi per me. Prendetevi cura gli uni degli altri. Niente litigi e comportatevi come si deve mi raccomando.» intimò con un dito a mezz’aria in un miscuglio d’affetto e serietà materno non lasciando loro tempo per reagire.
Scoccò due lievi baci a Penguin e Shachi, tuffò il capo sul pancione di Bepo in cerca di conforto e a passo deciso si avviò oltre la soglia con la sacca in spalla. Superò Law con un sorriso di commiato, sebbene avrebbe voluto farlo diversamente, per attraversare il corridoio ricolmo delle voci della sala principale e discendervi. Ebbe la nitida sensazione che due occhi grigi l’avessero puntata con un barlume di rinnovato interesse, ma quando si accostò al tavolo attorno al quale gli altri si erano riuniti tutto era terminato e gli Heart stavano per sua fortuna ormai raccogliendo le provviste per il viaggio sconsolati.
Era così che doveva andare, aveva imparato adesso. Sapeva che era necessario lasciare qualcosa indietro per poter andare avanti, Ko le aveva insegnato a sacrificare se stessa e a non voltarsi.
«Io non so proprio come farò-aaaaah!» piagnucolava Madame Faraouki, tamponando gli occhi pieni di lacrime in un dondolio preoccupante della propria acconciatura color lime.
Celya, armata di bagagni dopo un’ora di lamentele e con le braccia serrate sotto il seno, le sbuffava sdegnata contro battendo un tacco sul pavimento con impazienza. D’improvviso il Karyukai Emporium le era diventato stretto e raccolto il coraggio, non vedeva l’ora d’andar via per respirare quella che definiva “l’aria vera” di fuori.
«Madame la smetta. Il Karyukai e lei sopravviverete anche senza di me.» le faceva notare, roteando gli occhi celesti al cielo, mentre il pappagallino le pizzicava con dispetto la guancia per trattenerla.
«È come perdere la propria figlia-ah! Il mio cuore non reggerà al dolore-ah!» insistette però l’altra a lamentare, contorcendosi perfino nella simulazione di un malessere insopportabile che non sortì effetto.
«Sarebbe un sollievo per l’umanità-! Ahia!» borbottò velenoso Sanai.
Sebbene fosse di spalle, a metà strada tra loro e gli Heart che era intenzionato forse a salutare, la battuta gli valse comunque un bernoccolo sulla nuca grazie alla prodezza atletica con cui la proprietaria dell’emporio gli scaraventò contro un vaso dipinto. Cocci volarono ovunque e in quel breve frangente, Aya sbirciò il gruppetto che aveva riacquistato Jean Bart e ne approfittò per salutarli ancora sentendosi già con un piede fuori di lì.
«Ne sta facendo una tragedia inutile. Vado via con Aya, sono in ottime mani. Ora molli i bagagli!» ordinò categorica Celya, appropriandosene con un gesto da invasione bellica.
Avrebbe tanto voluto rimanere aggrappata al passato, proseguire il proprio viaggio spensierata cercando come l’era possibile di evitare di finire male, ma era un sogno da bambina e lei sfortunatamente non lo era più da un po’. Adesso che finalmente aveva scelto di fare i conti con la realtà, non poteva permettersi di tentennare, di approfittare della bontà di qualcun altro. Toccava a lei da questo momento in avanti.
«Non si preoccupi Madame Faraouki, ce la faremo. Vero?» la rassicurò con voce calma Amaro, alzandosi dalla propria seduta da spettatore finalmente con lo stomaco pieno e il volto un po’ più riposato per dirigere lo sguardo su Aya.
Ce l’avrebbero fatta di certo. Fosse stata la sola ed ultima cosa buona che faceva in vita sua.



Il tavolo era lucido, la sua superficie gelata dai fiocchi di neve che cadevano enormi dal cielo cupo sopra Wonky Hole e la tazza di cioccolata al caramello vi disegnò sopra il proprio contorno fumante. L’aveva ordinata in onore del suo defunto socio, Nau El Pilar, ma aveva un sapore stucchevole e non si addiceva affatto allo spettacolo che avrebbe sperato di poter ammirare da quel localino da quattro berry alla periferia estrema del porto di Down Under nel quale si era barricato da latitante. Aguzzò la vista, studiando lo spazio impolverato e privo di clienti nel quale avrebbe dovuto sbucare la sua vendetta sbraitante, eppure nulla. C’erano solo quel manipolo di cacciatori di taglie che aveva assoldato e il proprietario cieco, un ometto con il fegato di uno squalo che aveva intascato la sua ricompensa per l’aiuto e si era subito dimenticato di lui fregandosene delle regole.
«Non deve preoccuparsi Basque-sama, sappiamo fare bene il nostro lavoro. Certo se potesse incoraggiarci…» provò a rabbonirlo uno degli uomini, allungando una mano bendata verso la tazza di cioccolata che lui con espressione ingenua attirò più vicina per passarvi distratto le dita sul bordo.
«Purtroppo girano brutte voci riguardo l’onestà dei cacciatori di taglie e considerato che fino ad ora non avete ancora svolto nemmeno una parte dell’incarico che vi ho affidato, mi permetto di dubitare anch’io.» rimuginò, con un’aria forzatamente dispiaciuta che infervorò l’uomo.
«È solo questione di tempo, non deve! Li abbiamo in pugno. La loro nave è sotto controllo e un paio di membri dell’equipaggio sono proprio ora sotto attacco. La ragazza per esempio, dovrebbero portarla a momenti! Tobe l’aveva rintracciata già ieri notte.» riportò, sicuro che si trattasse di ottime notizie che lo avrebbero rassicurato.
Basque in realtà non si era mai sentito sicuro di nulla, se non di ciò che doveva fare per se stesso. Aveva imparato dall’incertezza, prima arrangiandosi con il contrabbando di esseri umani e poi mettendosi al servizio di Pilar per sopravvivere. Sapeva che anzitutto è necessario prepararsi al peggio e che mai si può fare affidamento sulla propria buona stella perché capita più spesso di quanto non si creda che sia voltata dalla parte opposta. Proprio per questo aveva aiutato quel novellino ad uccidere Pilar prima che lui scoprisse i suoi traffici nascosti, per questo aveva stretto un’alleanza con Charlotte Linlin benché la sapesse una folle ed era per questo che adesso si trovava in quel covo di serpi da cui era andato via da ragazzo. Eustass Kidd era passato dall’essere suo alleato provvisorio a nemico in poco meno di due giorni e non aveva alcuna intenzione di aspettare che fosse lui a trovarlo per regolare i conti. Doveva giocare d’anticipo.
«E il Capitano Kidd?» s’informò, sbirciando distratto il proprio profilo nella cioccolata.
Un soffio freddo di vento posò un paio di grossi fiocchi gocciolanti sulla balconata, ma dai cacciatori di taglie non venne alcuna risposta. Qualcosa si mosse nella sala a favore della brezza gelida mattutina e Basque sollevò con un brivido lo sguardo sulla parte opposta del tavolo, sforzandosi di mantenere una falsa calma con quegli idioti. Persino il suo controllo da attore allenato però cedette nel vederli crollare al suolo come sacchi con i toraci aperti sino alla gola, mentre una figura riemergeva dietro buia dietro di loro.
«Ti aspetta.» rispose al posto loro la voce metallica del Massacratore e Basque scattò in piedi.
Come un fantasma sputato fuori dalla penombra del locale lo vide abbassare le falci e gocce scure ne colarono giù, imbrattando il pavimento della balconata.
«Cos-?!» si lasciò sfuggire, guadagnando con un balzo spazio tra sé e l’uomo mascherato che faceva da secondo in comando ad Eustass Capitano Kidd.
Non attese alcun segnale prima d’agire, sapendo che non ce ne sarebbe stato alcuno ad anticipare la sua esecuzione e attivò il potere del frutto che era appartenuto ad Akala per fuggire. La tazza di cioccolata s’infranse sulla balconata ghiacciata in un tonfo di cocci rotti e una decina di sentinelle verdi si pararono a difesa del loro nuovo proprietario, mentre usciva di corsa verso il porto benché avesse stabilito di starvi il più lontano possibile per precauzioni. Immobile al proprio posto, Killer lo osservò allontanarsi e solo quando furono rimasti lui, il proprietario cieco e le sentinelle si mosse con passo misurato, certo di non perderlo, tranciando i cloni poco allenati con un nuovo colpo.



Tra il primo ed il quinto livello, si trovavano fosforescenti e perennemente accese d’una luce abbagliante le nove gigantesche lettere dell’insegna della città. Placide sonnecchiavano galleggiando nel nulla vaporoso del geyser in altrettanto perenne attività, sostenute da grossi cavi di metallo ancorati alle pareti che davano l’impressione d’una ragnatela di salvataggio. A Down Under esisteva un’apposita pattuglia di manutentori per quelle lettere e i loro cavi, omini laboriosi dai caschetti color mirtillo che erigevano impalcature ogni qual volta una delle cento lampadine si fulminava o un cortocircuito minacciava di togliere la corrente all’intero mercato. Per il resto del tempo si limitavano a girovagare da un piano all’altro sbirciando ogni lampione, ma non mancavano mai di allungare gli sguardi allenati oltre i balatoi d’osservazione per la loro più vistosa mansione.
Così raccontò loro Amaro, spettatore ignorato e conoscitore attento della quotidianità cittadina. Pur vivendo lì sin da che ne avesse memoria, Celya non poté confermare l’esistenza d’un tale gruppetto – lei era stata solita prestare attenzione solo a uomini grossi e scorbutici che sconoscevano il concetto di lavoro onesto – finché non se ne resero conto tutti insieme, vedendoli sfilare concentrati. Impegnati in false compere ad un banco di pegni, giacché arrampicarsi sulla scritta luminescente era illegale sebbene non vietato esplicitamente, attesero che svanissero tra la calca e solo allora si affrettarono a raggiungere la balconata.
«Tra insegna e cavi di sostegno possiamo risalire sino al primo livello, ma da lì in poi dovremmo usare le gallerie e forzare i pass. Non ci sono appigli nella parte esterna del geyser. L’effetto della neve e del vapore insieme indebolisce le giunture quanto una polmonite le ossa.» finì di spiegar loro Amaro, saltando con un verso d’incoraggiamento a sé stesso, oltre il muricciolo per sedersi sul cavo che vi era stato agganciato sotto.
«Come fai a saperlo?» s’informò cauto Shizaru, controllando allenato i dintorni piuttosto che le acrobazie da funambolo del suo nuovo compagno di viaggio e quasi coetaneo.
«Vendo farmaci contro la polmonite agli uomini del porto ogni tanto… più che altro quando non hanno altre alternative. La loro salute è piuttosto intermittente con tutti quei cambiamenti di temperatura repentini.» si perse in chiacchiere l’altro però, ricevendo da Celya un’occhiataccia.
«Parlava dei cavi, stupido erborista.» gli fece notare con una smorfia sospettosa nel vederlo appollaiato lassù.
«Oh… sono risalito di lì un paio d’anni fa per… evitare dei conoscenti arrabbiati. Ma se è della tenuta dei cavi che ti preoccupi li ho già testati andando a cercare Aya, mi sono sembrati a posto.» assicurò e il suo sguardo rinvigorito da un’ora di riposo che avrebbe potuto giovare solo ad un tipo come lui nello stato pessimo nel quale versava prima, si posò sulla funi di metallo che lo reggevano forse in un nuovo controllo.
Sconcertati da quel racconto, Celya e Shizaru lo fissarono ammutoliti finché lei non si fu ripresa dallo shock e provò a scaraventargli con intenti omicidi contro il proprio bagaglio per punirlo, finendo per caricarlo invece sull’ex-marine.
«Ti sono sembrati?!» berciò sul piede di guerra, assumendo una sfumatura della pelle dorata che spinse finalmente Aya ad intervenire per prevenire un tiro al bersaglio al miele che avrebbe attirato l’attenzione di tutti gli abitanti.
«Se reggono quelle lettere possono reggere noi, no?» rifletté positiva, armandosi di coraggio.
Celya si fermò con il colpo in canna a guardarla per un istante e nel vederla serena annuire la rabbia le scemò un po’, infondendole una tolleranza che non aveva e sì, forse anche l’audacia che riservava ad altri contesti.
Né lei né Celya si erano mai arrampicate su un cavo di metallo nel tentativo di evadere da una città blindata, probabilmente nemmeno Shizaru a giudicare dall’espressione incerta che aveva ancora alla sola idea, ma se volevano uscire di lì evitando le complicazioni dei cacciatori di taglie e dei controllori che avrebbero presto scoperto la presenza di un marine accusandoli di complotto, quella era l’unica strada a meno di non far guerra alla città come stava facendo più su Kidd. Anche Aya nutriva della seria apprensione per quel passo, tuttavia spettava a lei infondere coraggio per una volta ed era lieta di poterlo fare con Celya, che era stata denigrata per tanto e ingiustamente da uomini che non l’amavano affatto.
«Sarà meglio per te o non ci sarà angolo di questo posto dove potrai nasconderti da me.» minacciò con rinnovato vigore, liberandosi dell’ansia con un passo drastico verso il vuoto.
Aya la osservò di spalle, sorridendo compiaciuta per quel gesto un po’ di rinascita che Celya stava compiendo e si accorse in ritardo di Shizaru che ancora aggrottava la fronte un passo dietro di lei.
«Paura?» domandò piano attirando la sua attenzione.
«Non per me Signorina.» rispose, nonostante l’avesse colto di sorpresa rivolgendogli la parola.
«… mi chiamo Aya e posso assicurarti che non mi sbriciolerò all’aria aperta.» garantì piccata, puntando con ostinazione lo sguardo di fronte a sé per non vedergli in volto quell’espressione di combattuta ed ossessiva apprensione che la innervosiva tanto.
Si era diffusa un’opinione sbagliata in merito al suo conto, sebbene all’inizio fosse state lei stessa a crederci. Era sopravvissuta a battaglie, tempeste, Marina, Governo, giganti, ripetuti tentati omicidi da parte della ciurma di Kidd, Kidd e la sua famiglia. Non l’avrebbe certo uccisa un’arrampicata su un’insegna luminescente.
«So che è… sei forte.» la sorprese invece Shizaru quasi orgoglioso in un abbozzo di sorriso e Aya dovette trattenersi per non dargli la soddisfazione di voltarsi per quella sudata confidenza tra loro.
Intontita dall’inaspettato sostegno che stavano riscontrando le sue capacità non seppe cosa ribattere, ma non ebbe il tempo d’arrovellarsi troppo quando Celya decise di dare avvio all’ennesima discussione. Un piede oltre il cornicione, l’altro al sicuro, fissava Amaro che le faceva segno d’avvicinarsi come fosse stato un pazzo.
«Dovrei salire e camminarci come se nulla fosse. Per caso hai ingoiato una di quelle tue praline di troppo?!» indagò con seccato sarcasmo, spingendolo ad andarle in contro affinché s’affrettasse.
«Il Kinkou Kinkou avrà effetto su tutti, ma se non ti fidi posso aiutarti a passar-» provò a rassicurarla.
Sfortunatamente per lui però commise l’imprudenza di tenderle una mano che gli sarebbe di certo costata parecchio se non si fossero trovati entrambi in una situazione precaria e lei non avesse deciso di getto di tuffarcisi a capofitto per mostrargli quanto si sbagliasse.
«Non azzardarti a toccarmi. Non ho bisogno che un uomo mi tenga per mano persino per camminare! Spostati.» ordinò imperiosa, salendo con un respiro profondo ed incredibile equilibrio sul cavo di metallo per traghettare sino all’insegna sfavillante di luci.
Amaro le cedette da acrobata il passo, controllando che non scivolasse per un ondulazione di troppo sebbene se ne stesse ritta e tesa neanche avesse sempre fatto un esercizio simile e solo quando la vide a metà strada si volse indietro.
«Aya un aiuto?» chiese gentile con un sorriso, ma Celya s’intromise continuando a camminare.
«Lei non ne ha bisogno. È superiore a queste sciocchezze!» s’infervorò, non potendo vederla afferrare senza neppure pensarci la mano di Amaro per salire sul cavo.
D’improvviso quando capì d’essere in equilibrio benché il suo corpo dicesse il contrario sotto i suoi piedi si palesò tremendo e nuvoloso il baratro del geyser. Nubi bianche di vapore fluttuavano tra un livello e l’altro, nascondendo e mostrando a tratti le meraviglie del monte dei miracoli e in fondo, là dove era stato eretto il porto, s’apriva la voragine gorgogliante con la sua voce profonda.
«Ridimensionare l’opinione che hai di me Celya non sarebbe male, ma apprezzo la fiducia cieca.» ringraziò concentrata nel mettere un piede davanti all’altro.
Lo fece più che altro per non sprofondare nel panico, tuttavia quella che credeva una traversata di pochi secondi le parve durare un’eternità. Fu addirittura sul punto di mettersi a dibattere sulle leggi di Down Under ed informarsi riguardo l’ideatore di quella meravigliosa trovata abbagliante per fingere un controllo che temeva di non avere in quel momento e dare anche la colpa a qualcuno, grazie al cielo però raggiunse la meta prima d’essersi lanciata in quelle chiacchiere e compiendo l’ultimo passo senza neppure accorgersene.
«Visto?! Sei arrivata qui senza battere ciglio! Non essere modesta.» la lodò Celya dall’altra parte, sorridendole con ammirato orgoglio per l’impresa che lei stessa aveva compiuto pochi secondi prima.
«Non avrei visto dove mettevo i piedi se l’avessi fatto.» scherzò tirando un sospiro di sollievo, mentre anche Shizaru le raggiungeva un po’ paonazzo in volto.
Amaro gli diede una fraterna stretta sulla spalla per complimentarsi del coraggio con il quale aveva attraversato e subito, sollevò lo sguardo sull’interno della scritta, un involucro di metallo in parte dalla pittura crepata che minacciava di sfiorare le temperature di un deserto o di un forno a pieno regime.
«Da qui dentro sarà più facile, ci sono i rampini per la manutenzione.» li rassicurò, inticando una serie di minuscoli pioli disposti a scaletta che gli omini dai caschi color mirtillo usavano durante il lavoro.
Per uno studiato gioco di aerazione, la corrente fredda proveniente dall’esterno del geyser si incanalava timida in quell’angusto corridoio tra le lettere al pari d’una brezza appena percepibile. La calura generata dalle cento lampadine accese aveva dopo pochi istanti già appiccicato loro i vestiti addosso e le intelaiature di ferro lo rendevano un luogo d’inferno, ma il ricircolo d’aria attorno ai pioli era sufficiente a quanto pareva a non renderli ustionanti al tocco.
A metà tra “Down” ed “Under”, mentre Amaro già si arrampicava dopo aver tentato la sorte con l’inutile gentilezza di cedere il passo a Celya, Aya si chiese se la reale motivazione dietro tutti quei giri attorno alla scritta degli uomini della manutenzione, non fosse in realtà il loro modo d’evitare di dover trascorrere più tempo del necessario dentro quella fornace dall’aspetto innovativo. Persa in quel pensiero, con i capelli appiccicati alla nuca e i vestiti che si fondevano al corpo per diventare una seconda pelle, attese accaldata che Celya l’anticipasse in quella bizzara formazione che avevano assunto, ma lei sollevò a stento il tacco prima che un boato la bloccasse.
«Cos’è stato? Sta tremando…» notò preoccupato Shizaru dopo un lungo momento di silenzio, nel quale immobili aspettarono che terminasse.
Arrampicato ad un paio di metri dalle loro teste, Amaro si volse rimanendo aggrappato ai pioli con una gamba e la forza degli addominali gracili, con l’equilibrio di un uccello su di un trespolo familiare. Osservò i dintorni visibili a tratti dagli spazi tra lampadine e lettere, ma per quanto la luce gli impedisse una visione nitida non notò comunque nulla di strano se non gli abitanti in allerta.
«Se si tratta del geyser dobbiamo toglierci di qui subito. Il vapore finirebbe per ustionarci-» tentò d’ipotizzare con la fronte aggrottata, tuttavia non fece in tempo a terminare che un cigolio cupo li destabilizzò
«… non va bene, no.» appurò allora, mollando la presa per scendere.
Una scossa simile ad un terremoto fece oscillare l’intera insegna ed allargando istintivamente le braccia alla ricerca di un appiglio, Aya ebbe la spiacevole certezza che se non fossero stati tutti sotto l’effetto del Kinkou Kinkou sarebbero crollati in ginocchio insieme per la pressione improvvisa della spinta. Il gemito dolorante dei cavi si propagò tutto intorno a loro in un crescendo di tremori, scintille rosse presero a saltare dalle zone nelle quali le lettere finirono per cozzare e in pochi secondi di scontri, le lampadine esplosero l’una dietro l’altra. Schegge di vetro opaco fendettero l’aria e i polmoni le si riempirono dell’odore penetrante che si sprigiona quando l’elettricità brucia se stessa, finché la luce svanì del tutto e un cavo precipitò nel vuoto.
«Perché si sta inclinando?! Avevi detto che avrebbero retto!» urlò Celya e le fu concesso appena di parlare ed appigliarsi ad uno dei pioli, prima che la scritta cedesse di colpo senza che Amaro avesse potuto replicare.
Per Aya fu una delle sensazioni più singolari e al contempo angoscianti che avesse mai provato. Sebbene i suoi piedi fossero ancora momentaneamente poggiati a qualcosa, il suo corpo percepiva con chiarezza che quel qualcosa non era per contro più retto da null’altro che l’aria. L’idea d’essere sospesi su un baratro ribollente non avrebbe di certo aiutato nessuno e per quanto il potere del frutto la stesse mantenendo in equilibrio anche quando l’inclinazione divenne pericolosa, non ebbe dubbi in merito al fatto di star seriamente rischiando.
«Dammi la mano!» reclamò di colpo Amaro verso Celya, mentre le lettere si staccavano tra loro.
«Scordatelo maledetto bugiardo! È colpa tua se siamo in questa situazione!» si rifiutò testarda, ma le parole le uscivano di bocca senza che stesse davvero badando al limbo nel quale si trovava.
«Non posso aiutarti se non hai qualcosa su cui tenerti in equilibrio! Dammi la mano!» provò a convincerla e lei fece cocciuta per rifiutare ancora, venendo stroncata dai cavi che s’infransero contro di loro.
«Celya dagli la mano!» la richiamò Aya, non appena l’urto accartocciò in due la porzione sulla quale si trovava.
La guancia sinistra e metà del corpo le si erano ridotti ad una poltiglia di miele che grazie al cielo lentamente si stava già rigenerando senza alcuno sforzo, ma non sarebbe più stata un’impresa tanto semplice quando sarebbe precipitata nel vuoto e peggio nel geyser. L’acqua l’avrebbe tirata sul fondo come un macigno e le temperature inumane della sorgente avrebbero terminato il lavoro ustionandolo. Era un suicidio per un possessore di un frutto come lei, eppure era talmente ostinata nel voler rifiutare quell’aiuto indispensabile da rischiare la vita.
«Non ne ho bisogno!» annunciò infatti, provando cocciuta a far da sé.
Il metallo cedette ancora, in quella maniera impercettibile che anticipa la sua rottura e che Aya aveva in tre anni di compagnia di Kidd imparato a riconoscere soltanto dal suono. La scaletta di pioli indebolita dalla corrente d’aria s’aprì in due metà perfette e Celya fu per un istante sospesa, prima che lei gli si lanciasse addosso per spingerla contro Amaro, già pronto ad agguantarla contro la sua volontà.
«Signorina ferma!» le urlò Shizaru quasi in una supplica, ma era troppo tardi.
Vide con la coda dell’occhio Amaro prendere Celya per una spalla e per riflesso Shizaru afferrare lei per la caviglia. Mancò anche a lui l’appiglio tuttavia e l’effetto del frutto terminò spietato, facendoli precipitare oltre la scritta in un vuoto che li abbracciò angosciante e duro, mentre tutto ciò che era stato sino a pochi istanti accanto a loro diveniva sempre più lontano. Ebbe l’impressione di sentire Amaro e Celya urlare, ma non ne fu certa, erano di colpo troppo distanti. Perse contatto con Shizaru e le sue braccia si protesero istintivamente verso l’esterno alla ricerca di un appiglio che non esisteva, così rimase ad occhi sgranati e con il respiro mozzato in uno stato d’attesa angosciante ad ammirare Down Under scorrerle intorno. Era in una sua ambigua maniera una sensazione piacevole, constatò con quel po’ di controllo che le rimaneva almeno della mente, simile forse a ciò che si provava volando. Il pensiero la fece sorridere per un attimo: un Drago che precipita. Decisamente adatto.



A metà della mattina le gallerie degli ultimi quattro livelli di Down Under erano state riaperte dai controllori e in quel tripudio di schiamazzi, vendite e nuvole di vapore torrido annunciato dalle allenatissime orecchie da pettegolo di Aohiro-ya, gli Heart si erano congedati dal Karyukai Emporium carichi di provviste sin sopra le teste. Eustass-ya non aveva ancora gettato la spugna, i boati che provenivano dalla cima del mercato lo confermavano e facevano invidia a quelli del geyser, motivo per cui sarebbe toccata loro un’uscita in incognito e con qualche difficoltà nella parte finale se la situazione non fosse cambiata nella prossima ora. Avrebbero dovuto preoccuparsene e magari escogitare un’alternativa approfittando della baraonda creata dall’altra Supernova, Trafalgar nello specifico avrebbe dovuto farlo, peccato che il resto dei suoi uomini si fosse lanciato quasi con un presentimento diabolico in una discussione che lui si stava sforzando d’ignorare ad ogni costo. E l’impresa gli stava costando talmente tanta concentrazione ed autocontrollo da isolarlo dal resto del mondo circostante.
«Non metterti a piagnucolare! Non ha preferito quei tipi a noi. Aya-sama ci vuole bene… non è così?» farfugliò Shachi contro Bepo, ormai sull’orlo di un pianto a dirotto, ma con l’aria di un bambino troppo cresciuto che si trascina dietro una zaino spropositato finì per voler essere rassicurato anche lui.
Quella separazione quasi forzata, non si sa bene se più da lei o da Law, non gli era andata giù affatto.
«Aye, ovvio. Siamo suoi amici, ci ha fatto tantissime raccomandazioni prima di andare! Perché avrebbe dovuto se non le importava?!» concluse con un’apparente logica inattaccabile Penguin, sebbene dietro la facciata matura non fosse poi così difficile vederlo ridotto alla stregua dei due nakama nel dubbio che le suddette raccomandazioni fossero state solo cortesia.
«E poi che hanno quelli più di noi? Niente. Celya forse… lei è una ragazza come Aya-sama, si confideranno segreti da donne, ma gli altri? Niente! Noi valiamo cento volte loro!» prese a farneticare Shachi, rinvigorito dal sostegno appena ricevuto e Bepo non mancò di annuire subito con un “Aye-aye!” borbottato a muso gonfio.
Il suo equipaggio vaneggiava quando c’era di mezzo lei. Certo anche quotidianamente capitava che se ne venissero fuori con qualche trovata di troppo, però solo con Aya raggiungevano simili risultati imbarazzanti degni di qualcuno con la metà dei loro anni.
«È gentile. Non credo farebbe una cosa del genere.» s’accodò sorprendentemente Jean Bart col proprio vocione simile ad un ringhio e Trafalgar, in cima al gruppo, avvertì un brivido di orrore corrergli lungo la schiena.
Aveva tirato dalla sua persino Jean Bart! Le erano bastati due giorni scarsi e qualche sorriso mezza sbronza ad una festa per spingerlo addirittura a perorare la sua sincerità. Che lei vi credesse o no, era un talento a dir poco pericoloso quello che esercitava sugli altri.
Incitati da quello che doveva sembrar loro un commento del tutto obiettivo, i suoi uomini presero a farneticare, semmai fosse possibile, con più verve di pochi istanti prima e Law si fece mentalmente violenza per smettere di ascoltarli, proseguendo per la piazza del quinto livello con l’intenzione di trovare la galleria.
Per quanto il suo equipaggio si ostinasse a trascinare i piedi per averla lasciata indietro, a lui interessava ormai solo andarsene e riprendere il mare verso Punk Hazard. La lungimiranza lo aveva avvertito per tempo su come si sarebbero arenate le cose tra loro, sempre che di qualcosa di tangibile si fosse trattato e non fosse stato solo un malinteso voluto dall’evolversi degli eventi per lei. Sebbene non potesse negare a sé stesso di nutrire della preoccupazione, che Aya proseguisse il suo viaggio forsennato verso l’ignoto con quel ex-marine o con chiunque altro, per sempre o anche solo un’ora, per Law era del tutto insignificante. Aveva già preso una strada diversa da quella degli Heart, a Sabaoudy si era ostinata nel voler tornare da Eustass-ya sorda ad ogni invito e non c’era alcuna ragione per cui andasse altrimenti in quell’occasione. Aya aveva i suoi conti da risolvere e Trafalgar i propri, sforzarsi di tenere insieme i pezzi era uno spreco inutile d’energie e serenità mentale.
«Sono stanco! Le mie spalle non reggono il peso del dispiacere!» mugolò accaldato Bepo dopo aver scalato i gradini che conducevano alla zona rialzata del quinto livello, scaricando su Penguin e Shachi tutto ciò che non riguardava i rifornimenti per l’infermeria.
Quelli per Trafalgar erano l’unica cosa di valore da portare a bordo durante gli scali e sarebbe stato disposto a trascinarseli dietro con una zampa sola in mezzo al deserto per altre mille vite pur di non dispiacerlo.
«Non provarci neppure! Sono tutte scuse per non faticare!» lo rimproverarono inferociti.
«Voi non state soffrendo quanto me!» ruggì addolorato con il muso che tremava.
Fortunatamente né Penguin né Shachi ebbero il tempo di replicare al principio di quella che sarebbe stata senza dubbio una delle discussioni più stupide della storia degli Heart pirates. Il tremolio delle pareti e del suolo impedì loro di obbligarlo a delle scuse e per un momento il rombo che scosse Down Under fu tanto intenso da distrarre persino i negozianti dalle vendite. In una manciata di minuti surreali la vita del mercato si arrestò. Tutti fissarono con dubbio il geyser da cui erano soliti provenire scossoni simili durante le espulsioni di vapore, ma dal fondo del baratro non si sollevò alcuna colonna incandescente e gli abitanti ripresero rilassati a trafficare reputandolo un assestamento, mentre i visitatori di passaggio cercavano di non fingersi toccati.
«Era un esplosione?» domandò sull’allerta Bepo quando il chiacchiericcio concitato della folla cominciò di nuovo a riempire la città e Penguin annuì con una smorfia di disappunto, un braccio a sostenere i bagagli sulle proprie spalle l’altro a reggerne metà insieme a Shachi di quelli che gli erano stati scaraventati addosso.
«Dev’essere opera del Capitano Kidd… starà distruggendo sul serio i primi livelli.» giudicò critico.
Se non si era trattato di uno dei borbottii minacciosi del famoso geyser di Wonky Hole, allora l’unica alternativa possibile era davvero quella di Eustass-ya, impelagato in uno scontro con l’altrettanto famoso Mediatore e non c’era affatto da dubitare che fosse capace di far sentire il proprio fracasso da rissa sin là sotto.
Un’ondata improvvisa di curiosità verso ciò che stava accadendo sulla cima spinse Trafalgar a sollevare le iridi grigie sul tetto scoperto del mercato e concedersi uno strappo alla regola di proseguire a capo chino sino all’uscita. Gli sarebbe piaciuto assistere a quello scontro, si ritrovò ad ammettere con se stesso e chissà, forse passandoci nei pressi avrebbe fatto un altro strappo per dare una sbirciatina e lanciare giusto una frecciatina ad Eustass-ya che non vedeva da un po’.
Aveva sentito alcune voci riguardo il braccio che aveva perso, la sua caduta dal piedistallo di novellino più pericoloso della loro generazione appena arrivato nello Shinsekai aveva fatto scalpore ed in fin dei conti sarebbe stato un vero spreco non scoprire personalmente come quella testa calda si fosse rialzato dalle proprie ceneri ora che ce l’aveva a portata di mano.
Un nuovo suono, diverso dal rombo precedente, lo distrasse dai propri propositi spingendoli con un inquietante sibilo metallico nel dimenticatoio e Law aguzzò la vista, osservando i cavi dell’illuminazione sospesi sul geyser staccarsi dai fianconi di roccia uno dopo l’altro. Allo studio di quel fenomeno imprevisto si unirono anche i suoi uomini e dopo qualche istante, quando il fischio cupo divenne più greve e incombente, anche qualche abitante attento che prontamente avvertì i restanti in una reazione a catena che sollevò migliaia di occhi curiosi. Nessuno per un po’ ebbe idea di cosa stesse succedendo, finché una delle di “D” luminescenti di Down Under non s’inclinò di quarantacinque gradi.
«La scritta… è la scritta!» lanciò l’allarme Shachi, schiaffandosi colto dal panico il suo nuovo cappello sulla testa neanche fosse stato l’elmetto d’un minatore.
«Si sta staccando dai cavi!» notò con un ringhio preoccupato Jean Bart vedendone uno infrangersi contro la parete opposta del livello, ma era ormai evidente a tutti che quel gruppetto di lettere dalle dimensioni spropositate e dai troppi neon sarebbe precipitato giù in un fracasso tremendo.
Sospendere un’insegna titanica simile su un geyser in perenne attività era una delle trovate più assurde che fossero mai state concepite per estetica o marketing che fosse, tuttavia chiunque l’avesse avuta al tempo aveva quantomeno avuto anche il buonsenso di assicurarla alle pareti in modo che non crollasse a causa del proprio peso o degli scossoni continui. Ed era riuscita con successo a sopravvivere ad esplosioni di vapore continue e temperature proibitive in congiura ai suoi danni, ma suo malgrado non aveva ancora fatto i conti con Eustass-ya. Law ebbe l’assoluta certezza che fosse stato lui a strapparla all’immobilità, quando la vide sfidare la gravità procedendo verso l’alto piuttosto che precipitare sul fondo del baratro ribollente. Con seria ammirazione, rimase ad osservarla fluttuare nell’aria pregna d’umidità e rimescolare le proprie lettere in un caos di urla e brandelli di roccia strappati all’isola.
«Senchō! Senchō! Senchō!» strepitò poco più in là Bepo, ma Trafalgar, assorbito da quel tremendo spettacolo, non si volse neppure, credendo si trattasse di un richiamo gettato lì a causa di ciò che gravava sulle loro teste.
Non lo fece finché anche Penguin e Shachi non cacciarono all’unisono un urlo di puro terrore e Jean Bart si raddrizzò dal peso dei rifornimenti che lo curvavano per intervenire. Allora la sua visuale s’allargò e nel macello di vapore, polvere e strepiti, qualcos’altro precipitò giù al posto dell’insegna fluttuante.
«Aya?!» sbottò sconvolto, quasi strozzandosi nell’intercettarla insieme ai tre con cui era andata via dal Karyukai mentre ad una velocità inaudita minacciavano di sfracellarsi centinaia di metri più in fondo o finire bolliti dal geyser.
Era un incubo. Law ebbe giusto il tempo di limitarsi a quella constatazione prima di correre verso la ringhiera di sicurezza del quinto livello nel tentativo di raggiungerla e magari acciuffarla per tempo.
Si era separato da lei quasi volentieri, ignorando le rimostranze dei propri uomini e la sua stessa preoccupazione. Sollevato dal peso della propria debolezza, aveva già ricominciato a concentrarsi su ciò che avrebbe dovuto affrontare a Punk Hazard ed era stato fiero d’aver scelto d’agire con saggezza, ma se lei gli ripiombava addosso a quel modo era tutto inutile! Un incubo, ecco cos’era. Un totale incubo ideato appositamente per annientarlo!
«Senchō! Senchō! Senchō!» continuò a strepitare terrorizzato Bepo, mentre correvano e se Law non fosse stato Law, probabilmente si sarebbe volentieri accodato a quell’urlo nel vederla precipitare oltre la sua portata senza che avesse neppure potuto allungare la mano.
Non era possibile che stesse accadendo sul serio. Prima si era forzato ad allontanarsi per il bene di entrambi, poi la vedeva letteralmente precipitargli addosso con tutto ciò che quel fenomeno paranormale comportava e adesso doveva assistere impotente alla sua più che sicura morte?! Se si trattava di uno scherzo non era affatto divertente e se invece era solo l’ennesimo tiro mancino della sua vita non andava bene comunque!
«Io ti disintegro!» sentì piuttosto Celya-ya minacciare furiosa, mentre in precario equilibrio da un cavo di sostegno imprecava brandendo i pugni in aria contro Amaro che la reggeva per la vita.
«Prendili!» le urlò sordo quello, indicandole Aya e Shizaru che schizzavano giù come proiettili uno dietro l’altro.
«Non darmi ordini, sei tu che ci hai fatti cadere maledetto idiota!» lo accusò ignara, ma pur sospesa congiunse comunque le mani per allargarle poi in un esplosione di miele che avrebbe potuto benissimo riempire l’intero mercato.
«Huesuera!» chiamò perentoria e la massa dorata che era scaturita dai suoi palmi prese forma.
Dalla balconata laccata del quinto livello, Trafalgar insieme al resto degli Heart ne ammirò frastornato e con lo stomaco rivoltato per l’ansia il mutamento simile a quello d’una massa grezza tra le mani di un invisibile scultore, finché le curve non si raddolcirono, le superfici non si levigarono e dal nulla non si drizzò il capo scheletrico ed imperioso di una donna dalle orbite vuote. Come risvegliatasi da un lungo sonno nel mezzo d’una festa la cui musica nessun’altro poteva sentire, abbozzò uno sconnesso movimento di danza nell’incavo del geyser che occupava per intero e quando si chinò per l’inchino le sue mani d’oro scivolarono con apparente calma sul fondo per raccogliere i due, giunti sin quasi all’orlo della sua gonna. Non ne ebbe la certezza o forse fu la pena ad inculcargli il dubbio, sino a che non la rivide riaprire i palmi innanzi al viso morto e pur bellissimo svelando le piccole figure ricoperte di miele.
«Oh kami grazie! Menomale! Aya-sama!» sospirarono di sollievo i suoi uomini accanto a lui, riprendendo vigore alla vista di Aya che mitragliata dalle domande terrorizzate di Shizaru-ya osservava con un sopracciglio sollevato la propria titanica salvatrice muta.
Quando l’ebbe fatta scivolare a terra affinché Celya-ya la raggiungesse aveva ancora quell’espressione e nel avvicinarsi a passo di carica dal lato opposto del livello, Law temette che lo shock della caduta le avesse causato un qualche trauma, ma finì presto per ricredersi nello scoprirla sorridere con gratitudine a quell’essere privo di coscienza che altro non era se non una proiezione distorta del frutto posseduto dalla sua nuova amica.
«Signorina mi risponda! Sta bene?! Signorina! Aya, stai bene?! Rispondimi!» supplicava quasi in un ringhio Shizaru-ya nel momento in cui li raggiunsero, passando dal lei al tu confidenziale con disperazione nella vana speranza di riscuoterla.
Terrorizzato dal quell’incidente s’azzardò persino ad allungare la mano per agguantarla da una spalla, ma Celya lo anticipò con un abbraccio che avrebbe tranquillamente potuta strangolarla nell’accovacciarglisi di fronte.
«Dimmi che sei intera, sei intera? Hai tutto, non ti sei rotta nulla vero? Io ti ammazzo! E nel peggior modo che tu possa immaginare!» finì per minacciare rabbiosa, quando Amaro s’insinuò senza chiedere alcun permesso a tastarle il polso con serietà per controllarla.
«No… non sgridarlo. Sto bene, tranquilli… è stato… divertente a suo modo.» se ne venne fuori di punto in bianco con un’espressione di cui certo non si sarebbe potuto dirlo.
Era ammirevole che una ragazza vissuta per buona parte della sua vita tra il lusso e lontana dai pericoli reggesse con tanto stomaco ciò che era appena accaduto, ma quella scena a Law mandò comunque il sangue alla testa. Aveva smesso all’arcipelago dei Trapassati di sottovalutarla, adesso sapeva perfettamente a discapito della sua serenità mentale di cosa era capace e per quanto garbato o affettuoso fosse da parte sua sminuire l’accaduto per evitare un omicidio insensato, non poteva lasciarselo scivolare addosso a quel modo. Lui almeno no di certo.
«Potevi morire.» s’intromise, stritolando la nodachi sulla spalla per non far trasparire troppo dalla voce.
Shizaru-ya fu il primo a sollevare lo sguardo con uno stupore ancora frastornato su di lui e i suoi uomini, ma la medesima espressione di benvenuto gli venne rivolta anche dal resto del gruppetto finché Aya non abbozzò tra lo stordimento un sorriso dispiaciuto e Celya-ya non si inalberò acida.
«Ma va?! Non avevamo bisogno che venissi a farcelo notare tu.» sputò velenosa, senza che Law vi prestasse orecchio.
Celya-ya apparteneva ad una categoria sui generis di individui con i quali discutere era del tutto inutile e in ogni caso non aveva alcuna voglia di litigarci. Non perché sarebbe stata una lotta senza fine che avrebbe toccato vette inaudite, quanto piuttosto perché in una qualche maniera era in debito con lei per aver agito al suo posto.
«È stato un volo terribile, siete precipitati per centinaia di metri! È sicura di non essersi fatta nulla Aya-sama?» s’informò altrettanto sordo Penguin, mentre Bepo – persino più temibile di Celya-ya – la nascondeva apprensivo tra le zampe pelose lasciandole appena la testa libera.
«Cosa ci fate ancora qui? Dovreste essere già andati via a quest’ora.» notò lei piuttosto, lasciando campo libero al suo vicecapitano per rivolgere a Law uno sguardo che non fu sicuro di riuscire a decifrare.
Gli parve quasi fosse in parte dispiaciuta di vederli lì e il solo pensiero sarebbe stato in grado di rendergli la bocca amara per settimane se non fosse che un sorriso incerto continuava a far capolino su di lei, impossibile da controllare. Trafalgar conosceva quel suo insostenibile slancio d’affetto, aveva fatto l’abitudine a vederlo ormai e sarebbe stato in grado di riconoscerlo anche abbozzato come in quel momento. D’un colpo, simili a castelli costruiti in aria, i suoi sforzi di lasciarsi tutto alle spalle e proseguire per la propria strada crollarono senza che lui opponesse la minima resistenza e si abbandonò ad un sospirò d’esasperata accettazione che nascose con successo al resto dei presenti in una delle sue smorfie severe.
D’altronde si trattava di un compromesso, non di un’inversione di rotta. Niente di irreparabile ed ingestibile.
«Lo faremo insieme. Con te in libertà è impossibile pare, hai frequentato per troppo tempo Eustass-ya.» stabilì cogliendo di sorpresa per primi i suoi uomini che infiammati dall’entusiasmo minacciarono di rompersi in gruppo le vertebre cervicali per festeggiare.
«La portiamo con noi?! AYE!» esultarono elettrizzati, mentre dagli altri si sollevava un coro di proteste e dubbi.
«Tu non decidi un bel niente. Siamo in troppi anche senza voi ad intromettervi in affari che non vi riguardano! Aya ed io non abbiamo bisogno di altre palle al piede.»
«Sign-… Aya… abbiamo rischiato già abbastanza.» provarono ribattere sia Celya che Shizaru, chi più e chi meno con ostilità nei confronti di quella che a tutti gli effetti non era una proposta, ma un ordine.
Dalla diretta interessata però non provenì per dei lunghi secondi neppure un suono e senza attendere risposta, Law mosse con il viso nascosto dal cappello qualche passo per chiarire la sua intenzione di mettersi in marcia, oltre che per sfuggire alle occhiate con cui Aya lo stava squadrando silenziosa. Quando finalmente si decise ad aprir bocca, doveva aver avuto la sensazione di aver ricevuto un intromissione forzata nei propri propositi che non si sarebbe affatto potuta ridurre a ciò che Trafalgar aveva tentato di rifilarle. Non riuscì a vederla in volto, mentre si rialzava in perfetto equilibrio per rassettarsi seria, però dovette farlo nel momento in cui la sua voce lo raggiunse simile ad un attacco imprevisto alle spalle.
«Mi spiace d’esservi stata d’intralcio, non era mia intenzione, ma proprio per questo non credo sia il caso di continuare insieme. Andremo da soli, grazie comunque.» rifiutò senza perdere il sorriso, sebbene si trattasse più che altro di un sorriso di cortesia che non ammetteva repliche.
La delusione piombò sul volto dei suoi uomini così com’era arrivato l’entusiasmo e persino Shizaru-ya che credeva di doversi spendere in ulteriori suppliche di prudenza rimase ammutolito da quella decisione. Altrettanto stupito e con una buona dose di risentimento che rischiava di montargli nel petto, resse la sua occhiata prolungata e sebbene fosse consapevole di ciò che tacitamente gli stava chiedendo di fare si rifiutò di accettarlo quasi con offesa.



Sospeso in aria, con la parte inferiore del corpo dissolta nel nulla che inutilmente veniva bersagliata dai colpi, Servais allargò placido le braccia ai lati delle spalle e un sibilo cupo gli fece ondeggiare il cappello a fungo.
«Overheating.» ordinò con un filo di voce, quasi stesse recitando un mantra in stato di trans e non si trovasse lì a combattere davanti all’intero primo livello della città.
Oltre la sua schiena sottile, in un infrangersi e gonfiarsi degli abiti inamidati, la bocca del geyser eruttò una colonna bianca di vapore surriscaldato e Kidd fu costretto a riparare sé stesso ed i propri uomini dietro una parete di metallo che resse solo per l’haki con cui l’aveva rinforzata. L’aria passò tra le fenditure, sopra e sotto di essa, raggiungendoli comunque in un torrente rovente che non li ustionò solo perché non ben indirizzato e che si disperse davanti ai loro occhi come non fosse mai esistito.
Si era allenato durante le lunghe giornate al covo per padroneggiare al meglio il proprio haki e non trovarsi più in una situazione di disparità simile a quella avuta a Redunda, in teoria sapeva anche combattere un rogia, ma farlo dentro quel maledetto buco con ogni condizione a suo sfavore si stava rivelando un’impresa più frustrante del previsto. Pareva quasi uno scherzo del destino per ostacolarlo quello che stava vivendo e aveva ormai ben poca voglia di sopportarne altri dopo ciò che era capitato al suo braccio.
«È una battaglia inutile quella che combatti contro di me Capitano Kidd. Il nemico è altrove e lo è per entrambi, basterebbe che tu estinguessi il tuo debito per trovare un accordo amichevole d’aiuto reciproco. Potremmo cercarlo insieme fuori di qui se ti dimostrassi ragionevole.» lo invitò Servais, abbassando le mani sino ai fianchi coperti dalla tunica.
Kidd lo osservò da una breccia della parete a quell’ennesimo tentativo di discutere e vederlo in quella posa gli rammentò quasi il gesto d’un abbraccio. Ebbe un improvviso moto di disgusto e scattò in avanti uscendo dal proprio riparo per sputargli davanti ai piedi, ora che si era deciso a venir giù e posarli di nuovo a terra.
Non aveva idea se fosse stata solo una sua impressione o se quel ragazzino biondo avesse davvero avuto quell’intenzione, ma importava poco. Ciò che più di tutto lo stava mandando in bestia era la leziosa ipocrisia con la quale stava provando a rabbonirlo benché con i fatti non si fosse tirato indietro dal replicare agli attacchi.
«E dovrei patteggiare con te per esserlo? Sarebbe come pagare il boia per farsi tagliare la testa!» ringhiò, mentre una lamina rinforzata sfrecciava sotto il mento di Servais per tagliare la gola ad un ammasso d’aria.
Quando la testa tornò solida e l’evanescenza terminò, Kidd vide una volta ancora un barlume d’irritazione impercettibile attraversargli lo sguardo per svanire immediatamente in atteggiamento di simulata docilità.
«Si tratta di un malinteso, te lo rammento. Ma non porterà a nulla di buono se continuiamo.» avvertì placido, sebbene ciò che aveva appena pronunciato lo era molto meno.
Non dubitava più ormai che laggiù a Down Under Servais tenesse in scacco l’intera popolazione e chiunque osasse mettersi in affari con quel fantomatico Dio della Fortuna. La sua bravura nel manipolare avrebbe fatto il giro dei mari se non avesse dovuto rimanere segreta e magari gli sarebbe valsa persino una carica d’onore tra i politici più illustri del Governo mondiale. Aveva al contempo l’aria di chi non sarebbe in grado di torcere un capello a nessuno e quella di chi sarebbe stato capace di molto peggio, la sua voce trasmetteva calma eppure non pronunciava mai nulla di rasserenante. Era talmente bravo nel proprio lavoro da mettere soggezione nonostante l’età e la figura gracile, Kidd però non nutriva la benché minima stima nei suoi confronti.
«Le minacce escono incredibilmente bene dalla bocca dei perbenisti del tuo stampo. Fate promesse, stringete patti, vendete l’orgoglio e indorate tutto con le vostre belle parole per poi rimangiarvelo quando i conti non tornano. Lo chiami mediare questo?! Per me è solo una farsa da opportunisti che si parano il culo.» sibilò con un sorriso amaro nello squadrarlo e non ci pensò due volte prima di decidere di farla finita.
Aveva avuto a che fare con la feccia peggiore che il loro mondo avesse partorito. Lui stesso ne faceva parte e aveva reclutato uomini che la brava gente non avrebbe neppure definito tali per l’orrore di cui li incolpavano. C’erano cose però che trovava intollerabili, che la sua personale etica – se così la si poteva definire – non ammetteva e quel ragazzino gliene aveva vomitate una decina addosso con quella sua falsa aria innocente e l’intenzione di fotterlo per la seconda volta. Aveva già quel verme di Basque da sistemare, un altro non serviva.
Con un’illuminazione improvvisa, concentro il proprio potere sull’insegna che penzolava nel vuoto alle spalle di Servais e sentendola distintamente reagire poiché in metallo, la attirò a sé. Le lettere stridettero in un urlo quasi doloroso quando i cavi cui erano rimaste aggrappate per decenni si ruppero e lo stesso Mediatore, insieme alla popolazione che assisteva, reagì a quella vista. Stordito sgranò impercettibilmente gli occhi nel vederle sollevarsi sopra di loro in una lenta orgia di luci e cavi che Kidd rinforzò del proprio haki, intenzionato più che mai a schiacciarlo senza via di fuga come mesi addietro aveva provato a fare ad Arumi con un altro nemico. Fluttuando pesante e cupo il suo attacco rimase lì in sospeso e non arrivò mai a completa conclusione, poiché solo metà di esso ebbe il tempo di infrangersi sul livello prima che il nano grigio strepitasse attirando anche l’attenzione di Kidd.
«Mr. Servais! Mr. Servais! Laggiù!» insistette a gridare concitato, quando la visuale del geyser si sgombrò delle lettere e fu possibile vedere con maggiore chiarezza il fondo dove sorgeva il porto.
Qualcosa di indistinto e passeggero saettò verso di loro sbattendo sulle pareti vuote, incastrandosi tra i cavi smembrati e ripiombando in fondo in un esplosione di fiamme che si gonfiò come il vapore del geyser per dissolversi allo stesso modo in fumo nero. Kidd non si mosse dalla propria posizione, pronto a completare la propria opera, ma Wire lo bloccò avanzando sino al limitare della paratia con l’aria di chi si imbatte in un vecchio ricordo sgradito. Strinse cupo la presa sul tridente e solo quando accennò con il capo, Kidd optò per una tregua momentanea, mentre Servais fluttuava in aria per osservare serio centinaia di metri più giù.
«Cos’è?» domandò incerto, stringendo la bocca in una smorfia che avrebbe potuto dirsi seccata.
«Sembra… sembra erba, Mr. Servais… io, io non so spiegarmelo.» balbettò Sold, rimestando nel taccuino sporco di polvere con ossessione alla ricerca di un chiarimento che non avrebbe mai trovato su quelle pagine.
A quelle parole, senza avere ancora posato lo sguardo sul fondo di Down Under, Kidd si abbandonò ad un ghigno compiaciuto e i polmoni gli si allargarono all’odore di erba bruciata simili a quelli d’uno squalo con il sangue.
«Il topo scappa dalla nave che affonda.» annunciò Wire verso di lui, lasciando gli altri confusi.
«Di cosa parlate? È opera vostra?» s’informò serio Servais, pronto forse ad aumentare quel fottuto debito che tanto gli stava a cuore, ma Kidd smise di degnarlo d’attenzione per avanzare sin dove la parete terminava.
«È il nostro condannato. Basque.» gracchiò compiaciuto nell’ammirare quell’ammasso in forme di erba verde contorcersi incontrollata per gli attacchi del suo secondo in comando.



























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Note dell’autrice:
C’è che fa caldo anche qui da me e mi sento di graziare i coraggiosi che arrivano fin quaggiù. Davvero perché lo fate? Smettetela! Tornate su!

- Huesuera: La donna delle ossa. Nel folclore messicano, cui mi ispiro per Celya, la Huesuera è una donna capace di prevedere il futuro, colei che convive con il suo lato selvaggio e sa leggere nelle stelle, l’anziana che interpreta le ossa degli animali del deserto come gli auguri greci e la bambina senza pudore. Non ha una fisionomia definita, ma rappresenta tutti quei lati femminili che la civilizzazione ha oppresso e camuffato, per cui chi meglio di Celya poteva darle spazio? We’re not pain girls.
- Overheating: “Surriscaldamento”. Uno degli attacchi di Servais, consiste in una colonna di vapore surriscaldato il cui getto nello specifico viene aumentato dalla vicinanza con il geyser su cui agisce.
- Basque: È pronto un po’ a tutto, lo avrete capito e proprio per questo dopo aver sottratto a Kidd i frutti ottenuti a Redunda contro Pilar, ha pensato bene di mangiarne uno. Si è appropriato di quello di Akala e adesso lo utilizza a proprio favore, creando una sorta di remake dello scontro in cui Aya bruciò mezza isola da piromane qual è.


  
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