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Autore: Cathy Callen    19/08/2017    2 recensioni
Capii subito che era la persona giusta, dal suo sguardo.
Capii subito che era Lui, dal suo abbraccio.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Carlisle/Esme, Charlie/Renèe, Emmett/Rosalie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Pov Edward
 
 
“Emm!”.
“Dimmi fratello!”
“Quanto ti manca in salotto?”
“Devo chiudere due scatoloni e ho finito, per ora, a te?”
“Mancano ancora cinque scatole in camera da letto”.
“Ah sei qui!”
“Si pensavo ti mancasse di più, ero venuto ad aiutarti ma, visto che hai quasi finito, bevi questa”.
Dissi passando una birra a mio fratello.
“Al tuo ritorno?” Chiese avvicinando la sua birra alla mia.
“Al mio ritorno” decretai facendo scontrare il collo della mia bottiglia con la sua.
“Sono le 17.30 Rose atterra tra mezz’ora, vado a prenderla passiamo a comprare del cibo per sta sera e ti raggiungiamo?”
“Certamente”
“Ottimo! Allora vado a dopo”.
“Emm…”
“Dimmi!”
“Grazie”
“Non c’è bisogno di ringraziarmi fratellino, non vedevo l’ora tornassi a casa!”


Guardai Emm uscire e chiudere la porta della mia casa, o meglio, del luogo dove avevo vissuto per tre anni; un appartamento sull’Upper West Side a New York, città dove avevo frequentato dei corsi di specializzazione dopo la laurea in medicina.
Scelsi questo quartiere quando mi trasferii per l’ambiente confortevole, l’Upper West Side è considerato il cuore intellettuale di Manhattan, sede di musei e sale da concerto ma soprattutto, lo scelsi, per la sua vicinanza a Central Park e Riverside Park. 
Fu una scelta programmata pensando al futuro, ero convinto di trasferirmi definitivamente; laurearmi, iniziare a lavorare e crearmi una famiglia qui; scelsi, infatti, proprio questa zona perché ricca di possibilità e ottima per le famiglie e crescere dei bambini. Ero giovane quando mi trasferii, ma con le idee chiare, almeno credevo, visto che sto tronando a Port Angels.  
Sorrisi tra me e me ripensando al momento di quella scelta: io così deciso, sicuro della mia vita a New York, deciso a voler vivere lì, ora invece sto facendo le valigie per tornare a casa mia.
Mi guardai intorno, sarei rimasto da solo ancora per poco tempo in quell’appartamento poi, per l’ultima settimana a New York avrei vissuto con Emmett e Rose venuti ad aiutarmi. Osservai il salotto: le grandi finestre, la libreria ormai mezza vuota, i divani su cui mi ero divertito alcune volte mentre altre avevo stretto i denti continuando a studiare, fino a notte fonda, per passare un esame particolarmente ostico, la scala che portava al piano superiore, alla zona notte.
Quanti ricordi; quell’appartamento era mio, ci avevo vissuto per anni, e sarebbe rimasto mio ma… non era casa. Casa era a Port Angels, dove viveva la mia famiglia, dov’ero nato e dove, ora avevo capito, essere il luogo in cui volevo vivere.
 
Mi diressi in camera, intenzionato a chiudere le ultime cinque scatole riempite a casaccio da Emm durante la mattinata, non potevo lamentarmi però, era corso da me due giorni prima poco dopo aver saputo del mio rientro, ora anche Rose stava arrivando per dare un aiuto.
Una settimana e sarei stato finalmente a casa.
 
Presi la prima scatola, guardai dentro e scossi la testa, solo Emm poteva mischiare le cose così, il libro che tenevo sul comodino, calzini, una maglia alcuni soprammobili, un quadro… decisi che poteva bastare non volevo sapere cos’altro ci avesse messo dentro, presi il nastro adesivo e la chiusi.
Dopo aver chiuso la prima scatola, proseguii con la seconda, la terza e la quarta, ne mancava una sola e avrei terminato il primo giro in camera; Emm e Rose sarebbero rientrati minimo tra un’ora, sbuffando presi l’ultima e per ingannare il tempo decisi di vedere cosa Emm aveva deciso di metterci.
La cosa strana fu che in quella scatola, il mio fratellone, sembrava averci messo una certa cura nel prepararla, non come le precedenti; senza forma né criterio, sembrava la scatola contenente il mio passato a un primo sguardo.
Mi sedetti sul grande letto matrimoniale, e svuotai la scatola accanto a me rovesciando il contenuto sul copriletto blu notte.
Prima di tutto mi soffermai sulle foto, una ritraeva me e James, un mio collega dell’università e di varie feste, in un’altra c’ero io con Emm, Rose e suo fratello in una delle loro visite, infine la foto della mia laurea con i miei genitori.
Trovai all’interno anche un vecchio libro regalatomi da mio padre, un segnalibro comprato durante un viaggio, qualche regalo di ex ragazze, alcuni CD della mia adolescenza e per finire una scatola di legno scuro con un motivo in metallo, sapevo cosa avrei trovato dentro, sapevo anche quando l’avevo chiusa per non riaprila più da quel giorno. Mi ero fatto una promessa che l’avrei aperta solo quando sarei stato in grado di affrontare quel passato.
Molte cose erano cambiate, la chiusi da adolescente con una diversa testa, quando ero convinto di cambiare città per cambiare la mia vita.
In quel momento, seduto su quel letto, ero un uomo che aveva capito che la vita poteva essere bellissima anche nella città dove si era nati e cresciuti, che non bisognava dare tutto per scontato nella vita, che non c’era solo il bianco o il nero ma migliaia di altri colori da esplorare.
La aprii.
All’interno trovai solamente tre cose: un foglio di quaderno piegato, una fotografia capovolta e un post-it sbiadito.
Il post-it recitava:
“Grazie per il caffè, se non ci fossi dovrebbero inventarti! B.”.
Girai la fotografia.
Bella.
L’ultimo giorno di scuola dell’ultimo anno.
Io e lei abbracciati.
Le mie braccia attorno alle sue spalle, le sue attorno alla mia vita.
Guardo quella vecchia fotografia, sembra passato un secolo, non qualche anno, la sto baciando sulla fronte, credo sia stata l’ultima volta che l’ho stretta, che l’ho abbracciata, che l’ho baciata.
Sorrido guardando i nostri volti allegri e spensierati, pronti per un futuro che, sapevamo già, ci avrebbe portati lontani l’uno dall’altra ma eravamo amici all’epoca, compagni di scuola, il nostro rapporto non era mai andato oltre.
Posai la foto e presi il foglio di quaderno, sapevo cosa contenesse e non avevo il coraggio in quel momento di aprirlo e rileggere quelle parole che avevo scritto tanti anni fa, decisi di riporlo nella scatolina assieme al post-it e alla foto, chiusi la scatola proprio mentre il mio telefono iniziò a squillare.
“Emm, dimmi!”
“Ed, sono Rose, siamo in macchina tra mezz’ora siamo da te abbiamo già preso la cena!”
“Ottimo! Com’è andato il viaggio?”
“Molto bene grazie Ed!”
“Benissimo, grazie ancora Rose”.
“Di nulla! A tra poco”
“A dopo”.
Attaccai la chiamata e tornai in camera con l’idea di chiudere quello scatolone così avremmo potuto goderci il week end a New York, l’ultimo per il momento e poi ricominciare con i preparativi per la partenza o meglio il ritorno a casa.
Arrivato posai gli occhi su quella scatolina di legno, non so cosa successe ma d’impulso la aprii e presi la foto, riposi la scatola sul letto e mi diressi verso il comò presi il portafoglio e infilai la foto li dento.
 
 
Una settimana dopo
 
Salii sull’aereo con mio fratello Emmett e Rose accanto, leggermente emozionato; dopo tre anni tornavo a casa mia.
Il decollo fu tranquillo, Emm e Rose seduti dietro di me riposavano e io mi concessi il tempo di riflettere su un gesto compiuto una settimana prima che avevo volutamente ignorato per il resto del mio soggiorno a New York.
Guardando le nuvole, mi concessi il lusso di viaggiare, con la mente, nel passato, di pensare a lei.
Ricordai che non sapevo come mi ero affezionato a quella ragazzina, come avevo finito con il proteggerla, supportarla, semplicemente un giorno le diedi un bacio sulla guancia per salutarla e da quel giorno non riuscii più a farne a meno.
Ricordai la sensazione del suo corpo sul mio, del suo calore in contrasto con le mani sempre gelate, mi piaceva tenerla tra le braccia, mi piaceva anche più del dovuto poiché, anche se avevo la ragazza, non riuscivo a starle lontano, avevo bisogno di sentirla vicino, di avere un contatto con lei.
Lei che si sminuiva sempre, non si piaceva mai.
Così diversa nel vestire, nel pensare, nel comportarsi.
Così attenta alle regole, così curiosa, amante delle novità e generosa.
Non si piaceva, non le piaceva il suo corpo; non me lo disse mai ma non era difficile capirlo, portava sempre indumenti laghi per nascondere il suo essere sovrappeso, si sentiva a disagio quando doveva fare sport.
Anche se lo nascondeva bene, davvero bene, sapevo che si sentiva insicura, non solo per il suo carattere o per il suo modo di pensare, ma anche per il suo fisico, me ne diede la certezza quando seppi che si era innamorata di un ragazzo, un certo Ryan che abitava vicino a lei, ma non provò mai a farglielo capire perché: “hai visto le ragazze che escono con lui e i suoi amici? Hai visto lui? Io non faccio parte di quel mondo, non sono alla sua altezza”:
Lei non si sentiva all’altezza di quel ragazzo che non aveva capito nulla di Bella, che la considerava un’amica o forse meno, quando era lui a non essere all’altezza della mia Bella, così superficiale e sciocco.
Non parlai mai con lei, stupidamente, di questo non le dissi mai che non doveva sentirsi inferiore a nessuno, che lei era bella così com’era, forte e fragile allo stesso tempo.
 
Presi il portafoglio e sfilai la fotografia.
Guardai il suo volto impresso nella carta, il suo sorriso felice e mi chiesi perché non capiva all’epoca, che era splendida così com’era, con i suoi chili di troppo che lei proprio non tollerava.
Mi chiesi perché non si vedeva come la vedevo io.
Mi chiesi perché riusciva a vedere perfettamente solo i suoi difetti sia caratteriali che fisici, o almeno quelli fisici li vedeva lei, io no.
Secondo alcuni miei amici sembravo innamorato di lei.
Innamorato.
Le volevo un gran bene credo, ma se fossi stato innamorato di lei me ne sarei accorto no?
Forse no.
Già, quella pagina di quaderno era la prova che forse anni fa ero stato molto sciocco, molto stupido.
Mi sentii morire quel giorno quando la vidi piangere per quel Ryan, ricordo che non le chiesi nulla avevo capito dai suoi occhi gonfi e rossi, carichi di dolore e sofferenza.
La abbracciai e sembrò sparire tra le mie braccia, sembrò fondersi con me.
Ricordo che non le dissi nulla, perché troppo arrabbiato con lei, non capiva che non aveva perso nulla, con lui perché non capiva che aveva perso un tesoro e sempre con lui perché lei piangeva e ancora con lui perché le aveva rubato il cuore.
Non dissi nulla perché, inconsciamente, mi sarei lasciato sfuggire più di quanto avrei voluto su di lei, su quello che provavo.
Ero geloso di lui, lo ammisi quel giorno, quel pomeriggio scrissi i miei pensieri, perché sentivo il bisogno di vederli nero su bianco. Ero geloso di lei ma non perché ne fossi innamorato ma perché le volevo bene.
Mentre l’aereo atterrava mi accorsi di cosa fosse quel peso che sentivo dentro di me, lo decifrai quando le ruote toccarono terra e non appena lo feci mi sentii libero.
Volevo rivederla.










angolo autrice 

Ciao a tutti e grazie per le recensioni o semplicemente perchè leggete.
in questo capitolo conosciamo Edward, anche se non sappiamo ancora tutto di lui, vediamo i suoi pensieri e si comincia ad inquadrare il carattere, fatemi sapere che ne pensate per ora di lui, di quello che pensa/dice/fa insomma fatemi sapere =) 
Entrano in scena anche Emm e Rose, Emm come fratello di Ed e Rose................. naaa Rose è la fidanzata di Emm.
spero vi sia piaciuto questo Ed un pò riflessivo e pensieroso. 
il capitolo è un pò più lunghetto ma a quanto ho capito forse non dispiace =) ;)
manca poco al loro incontro 
a venerdì, sperando la connessione non faccia scherzi come sta sera! 

Cath 
  
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