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Autore: Nana_mln    20/08/2017    2 recensioni
Salve a tutti. Questa è un storia che scrissi molto tempo fa e solo da poco ho deciso di iniziare a pubblicarla. Ne ho già pubblicata una parte (sebbene con un titolo diverso) su un altro forum, e ora ho deciso di iniziare anche qui. Poiché l'idea l'ho avuta tempo fa (per intenderci seguivo più o meno la quindicesima stagione) non saranno presenti i personaggi più recenti.
La storia tratta dell'evoluzione del rapporto di odio-"amore" tra Shinichi e Shiho, prima e dopo il ritorno nelle loro sembianze naturali, incentrandosi specialmente sui sentimenti e le emozioni che li accompagnano.
*Nota sul titolo: Il titolo è tratto da un verso della canzone Ghost Love Score dei Nightwish.
Buona lettura.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Hiroshi Agasa, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erano lì. Dopo attese snervanti, incertezze martellanti e tragiche certezze che si erano impadronite di giornate infinite, trascinate passivamente alimentando il terrore.
Erano lì. Entrambi. Insieme a quel terrore. Poteva sentire sul viso ogni singola sfaccettatura delle piccole pietre sul terreno, le punte che le graffiavano e le penetravano le guance. Inalava polvere, e la stringeva nei pugni chiusi. Le palpebre abbassate e le labbra insanguinate dischiuse. Un dolore lancinante alla caviglia.
Era lì. In quel luogo che si era rivelato la destinazione di tutti i suoi pensieri ansiogeni degli ultimi anni: un edificio nascosto tra i boschi privati di periferia, che celava abilmente il nucleo dell'Organizzazione criminale di cui aveva fatto parte. Organizzazione criminale. Crimine. Assassinio. Veleno. APTX4869.
Shinichi.
Sgranò gli occhi, affidandosi alle poche energie che le rimanevano in corpo per farsi forza sui gomiti e alzare il busto. Tentò di scorgere il ragazzino, ma la vista le era offuscata da un fumo denso, pesante, come era in quel momento la sua testa. Pesante. Finalmente riuscì a ricordare. Grilletto puntato su di lei. Gin. Un colpo. Caviglia destra. Dolore. Ricarica della pistola.
"Addio, Sherry".
Un'esplosione improvvisa, inaspettata, aveva devastato l'edificio. Si era sentita trascinare, impotente, tra le macerie del piano superiore, già rovinosamente crollato.
Buio.
Ancora non vedeva Shinichi, né vivo, né morto. Chissà se gli era toccata la sua stessa fortuna... Fortuna? Era viva... E Gin? Gin aveva avuto lo stesso destino degli altri. Lo poteva vedere, qualche metro dietro di lei, disteso supino in una pozza di sangue. Che fosse rimasto all'interno, Shinichi? Ruotò il volto in direzione della struttura in fiamme. Che strana soluzione era stata prevista per le emergenze. Distruzione totale. Il classico bottone rosso. Ma evidentemente, era un'operazione ancora da perfezionare: una bomba letale in via di sperimentazione, come lo era il suo veleno. Non aveva fatto il suo dovere, non era un lavoro pulito. L'ala ovest era parzialmente rimasta integra. E se fosse..? Aveva lavorato sempre ad ovest, in laboratori dislocati dove cala il sole. Era quasi una legge. Forse per questo si sentiva sempre in sintonia con i tramonti, a strisce nere della tapparella abbassata. Anche lì, nell'ala ovest, ci sarebbe stato un laboratorio, ne era certa. Non era lontana dalla porta. Doveva entrare. Era solo qualche metro. Doveva alzarsi. Rinchiudendo un gemito di dolore tra i denti stretti, riuscì ad alzarsi gattoni. Iniziò a strisciare lentamente verso la porta, ma un eco lontano la giunse alle orecchie. Trasportava il suo nome, urlato disperatamente tra i detriti.
Era la sua voce, vero? Era in salvo. Sì, lo sapeva in fondo, che lui ne sarebbe uscito vittorioso. Lo sapeva fin dall'inizio che ce l'avrebbe fatta. Prima che potesse sforzarsi di gridare una risposta, lui arrivò, dietro di lei. Sgranò gli occhi in un sorriso. Era viva allora, sì, che sollievo che gli aveva dato. Dovevano raggiungere l'ambulanza, prima che arrivasse la polizia. Che brutta ferita che aveva alla gamba, le faceva male? Ma lui l'avrebbe aiutata. Lei era rimasta in silenzio, ma i suoi occhi verdi brillavano di lacrime trattenute per la gioia di vederlo vivo. Le disse di andare, serio, ma lei non poteva andar via così. Doveva farlo per lui, per provare a rimediare almeno a uno dei suoi tanti errori, per provare a regalare a se stessa il sollievo di un peccato espiato. Fu un colpo di tosse ad introdurre il suo rifiuto a seguirlo, rafforzato dal ritrarre il braccio al suo tentativo di aiutarla. Lo conosceva troppo per capire che, dietro l'apprensione, i suoi occhi nascondevano la profonda delusione di essersi lasciato sfuggire per sempre la possibilità di riappropriarsi della propria vita.
"Kudo, aspetta. Bisogna recuperare i dati in quel laboratorio, prima che bruci tutto. Probabilmente lì dentro c'è il necessario per realizzare un antidoto efficace al veleno". Sorrise, lei. Anche lui sorrise. Sorrise seguendo con lo sguardo il dito della bambina puntato a ovest, gli si illuminò il volto di felicità nel vedere quel piccolo edificio ancora in piedi, e lei si illuminò a sua volta, vedendo lui illuminarsi.
"Andrò io, allora. Non affaticare la gamba, aspettami qui."
Accettò, non poteva fare altrimenti. E gli diede le indicazioni per fargli trovare quello che cercava. Lo guardò allontanarsi correndo. Lo guardò allontanarsi da lei, sola tra le fiamme. Lo guardò correre verso la salvezza, la felicità. Lo guardò, e non potè fare a meno di chiuderlo per sempre nel suo cuore.
Si accasciò sul terreno. Era stanca e dolorante. Aveva bisogno di cure, il proiettile le pulsava nella caviglia causando fitte lancinanti. Qualche minuto più tardi scorse il bambino uscire, le braccia conserte per sorreggere un computer portatile e un raccoglitore. Si avvicinava ora. Lo guardava avvicinarsi a lei; lo guardava mentre la raggiungeva sorridente e lo vedeva allontanarsi.
"Qui c'è tutto ciò che mi hai chiesto, sono sicuro che farai un ottimo lavoro". Sorrise ancora, dolcemente.
"Te lo devo, Kudo."
"Andiamo ora. L'ambulanza dovrebbe essere arrivata. Ho dato indicazione ad Akai e ci raggiungerà non lontano da qui. Vieni, ti aiuto ad alzarti."
"Grazie, ne ho bisogno."
Raggiunsero l'ambulanza non senza sforzi. La raggiunsero insieme e vi salirono insieme. Affrontarono un viaggio lungo verso l'ospedale, governato da un silenzio che mantennero, insieme. Troppo spossati per parlare, troppe emozioni bloccavano la gola, come sempre succede quando qualcosa di grande ha una fine. E si era concluso qualcosa di veramente grande, un'esperienza stravagante e pericolosa, indelebile, che, loro due, volenti o nolenti, avevano vissuto insieme, avevano condiviso. Il silenzio quasi mistico fu profanato delicatamente da poche parole sussurrate.
"E' tutto finito." Tre parole che si dissolsero nella frenesia della portiera spalancata, tra infermieri e medici in attività, che si appropriarono della leggera barella su cui era distesa la bambina.
Tutto era finito? Per lei niente sarebbe finito. La sua vita di Ai Haibara era stata un'intensa attesa che la pistola di Gin le perforasse il cuore, liberandola dai rimorsi delle vite spezzate per mano sua; troppo fragile, troppo debole emotivamente per commettere un suicido. Lo temeva, Gin era il suo incubo, la sua ossessione, ma anche il suo giustiziere di espiazione. Come avrebbe potuto, d'ora in avanti, convivere senza via d'uscita con le sue colpe? Quale esito avrebbe avuto un'esistenza senza una famiglia a consolarla? Cosa sarebbe stato di lei una volta riprese le sembianze di Shiho? Dunque, dov'era la fine che Shinichi predicava?
   
 
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