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Autore: FatSalad    20/08/2017    5 recensioni
Spartaco è giovane, bello, spiritoso, laureato, con un contratto a tempo indeterminato e con un “superpotere”: quello di far cadere ai suoi piedi qualsiasi donna senza fare assolutamente niente.
Il rovescio della medaglia di una capacità del genere, però, è che Spartaco è incapace di costruire rapporti di amicizia con le ragazze e, soprattutto, quando si scoprirà completamente e perdutamente innamorato si renderà conto di una cosa: non ha assolutamente idea di come si conquista una donna.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dall'altra parte dello schermo'
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FERMATI!
Prima di proseguire, ti ricordi cosa è successo negli ultimi capitoli?
Ecco qua un piccolo promemoria...
 
Kilowatt non si è presentata all'appuntamento con Spartaco. Lo stesso giorno il ragazzo ha avuto una chiacchierata di lavoro con Irene:

«Hai saputo che spostano gli archivi al terzo piano, nella stanza orientata a nord dove c'è più fresco? Ti rendi conto?! - A questo punto fece una pausa strategica, allargando le braccia - Hanno più riguardo per dei fogli vecchi che non per noi poveri impiegati!» concluse, teatrale.
«Ho saputo, sì. Si dà il caso, infatti, che insieme agli archivi sarò spostata anch'io...» buttò lì Irene senza particolare enfasi.
«Al terzo piano?»
Irene annuì.
«In una stanza orientata a nord?»
La collega annuì di nuovo.
«Dove hanno installato dei nuovi condizionatori?»
Irene scrollò le spalle, come a dire che non si sentiva affatto in colpa per la situazione.
«Hanno più riguardo per dei fogli vecchi e per la novellina che non per noi poveri, vecchi impiegati!» eslamò Spartaco fingendosi indignato.

Spartaco ha dei sospetti su chi si nasconda dietro lo psudonimo Kilowatt...

«Cami! Camilla! Fermati!» (...)
«Che vuoi?» chiese Camilla sanza gentilezza non appena Spartaco fu abbastanza vicino a lei.
Lui però non si fermò, la raggiunse e la prese per le spalle scoperte, violando con quel contatto fisico una distanza che non aveva mai oltrepassato e lasciandola sbigottita. La guardò negli occhi sgranati, scrutò le sue guance che si colorivano e pensò “Forse ho ragione”.
«Sei tu?» chiese serio e impaziente, le mani salde sulle sue spalle tonde, il suo fiato che si scontrava quasi sul volto pieno della ragazza.
«I-io? Sono io? Cos... che vuoi dire?»
Probabilmente aveva captato l'urgenza nella sua voce.
«Kilowatt, sei tu?» chiarì, ma la vide annaspare, confusa più che mai.
«Non sei tu?»
Lo sguardo di Spartaco si fece più insicuro, le sue mani lasciarono la presa e scivolarono dalle spalle della ragazza. Il moro indietreggiò di un passo e abbassò lo sguardo sui propri piedi per cercare le parole più adatte da dire.
«Se sei tu dimmelo, non ora se non vuoi, ma quando vorrai devi dirmelo, per favore. Se non sei tu... allora scusami.»

Adesso puoi continuare... buona lettura! :)



Spartaco generalmente si considerava un tipo fortunato. Aveva avuto fortuna nelle amicizie, negli studi, si era trovato nel posto giusto al momento giusto sia quando era stato assunto, sia quando aveva ottenuto una promozione poco dopo. In quell'inizio luglio incredibilmente caldo, nonostante tutte le delusioni degli ultimi tempi, sentì di aver avuto un nuovo colpo di fortuna.
Il suo collega Sergio, a pochi metri di distanza da lui, non la pensava alla stessa maniera. Tossicchiò con un suono secco e sfiatato.
«Questa maledetta aria condizionata...!» imprecò tra sé l'uomo.
Spartaco non replicò, ma sorrise con un angolo della bocca senza farsi vedere. Era da poco meno di una settimana che si trovavano in quella situazione di disagio. Per la rottura di una tubatura il loro ufficio al sesto piano era inagibile e, mentre alcuni tecnici si adoperavano per sistemare il problema più in fretta possibile, lui e Sergio erano stati momentaneamente trasferiti al terzo piano, in uno spazio che era né più né meno che un corridoio ma, per la gioia di Spartaco e la rabbia di Sergio, subivano le fresche correnti di tutti i condizionatori del piano.
Spartaco controllò l'orario sullo schermo del computer: le 16:48.
“Se fossimo nel nostro ufficio a quest'ora ci saremmo già liquefatti tre volte!” pensò, senza avere il coraggio di farlo notare al collega.
Una vibrazione annunciò l'arrivo di un messaggio sul suo cellulare, lesse distrattamente l'invito di un amico delle superiori ad una festa in piscina per il giorno seguente.
“Proprio quello che ci vuole!” pensò tra sé, rispondendo frettolosamente all'amico.
Mandò in stampa un documento e si sgranchì la schiena soddisfatto sentendo il tipico frush-sta-tak della macchina in funzione: avrebbe potuto andare a casa dopo aver sbrigato quell'incombenza.
L'unica seccatura di quella sistemazione temporanea era che la stampante non era a portata di mano e dovevano alzarsi dalla scrivania per recuperare i fogli stampati, come si accinse a fare Spartaco.
Si alzò in piedi e si avvicinò alla stampante condivisa, controllò le prime pagine che uscivano dal macchinario e fece un cenno ad un collega che aveva la scrivania lì vicino.
Mentre leggeva le prime righe della tabella che stava stampando sentì una porta sbattere. Sollevò il capo e vide Irene che attraversava il corridoio con passetti svelti e nervosi, le labbra contratte in una smorfia. Una figura la seguiva a ruota, un ragazzo piacente, di media statura, frequentatore abituale di palestre, a giudicare dalle spalle larghe. I capelli lunghi fino alle spalle lo facevano sembrare più giovane di quanto probabilmente non fosse, dandogli un'aria disinvolta e spensierata da adolescente.
Le camminava dietro con un certo ghigno sul volto, continuava ad afferrarla per un gomito e lei continuava a divincolarsi, allungando il passo.
Incredibile! Chi avrebbe mai detto che la frigida Irene stesse vivendo una storia passionale e tormentata? Perché il modo in cui il ragazzo la pregava, insistente, denunciava che i due fossero amanti, o che lo fossero stati. Il modo in cui lui la guardava, come se il suo sguardo riuscisse a penetrare attraverso i suoi abiti monacali, indicava che lo avesse visto vermanete quel corpo nudo. O forse no?
A poco a poco quel litigio amoroso in mezzo al corridoio sembrò mutare, abbrutirsi, l'aitante giovane cominciò ad urlare più che sussurrare parole leziose, anzi, cominciò a sbraitare e quelli che uscivano dalla sua bocca somigliavano più ad insulti che a passionali profferte o adulazioni.
«Smetti di fare la preziosa!» urlava il tipo guardandola a braccia conserte.
Si era fermato, come un cacciatore spavaldo che voglia concedere un vantaggio alla preda per giocare un po' prima di banchettare con lei, di lei.
Spartaco abbassò gli occhi pensando che non fossero affari suoi e si concentrò sul suono della stampante. Dopo tutto ormai sapeva che la collega poteva caversela da sola.
Frush-sta-tak.
Udì che Irene bisbigliava qualcosa, poi ci fu un fruscio.
«Vattene. - disse poi la ragazza a voce più alta - Lasciami in pace.»
Spartaco notò di sottecchi che lo sconosciuto aveva provato per l'ennesima volta ad afferrarla per un braccio e lei si era liberata dalla stretta rispondendo a denti stretti, con un autocontrollo che in altri sarebbe stato impossibile.
“Non sono cose che mi riguardano” si disse di nuovo Spartaco, tornando ad osservare i fogli che uscivano lenti, freschi di stampa.
«Woah! - fece il ragazzo con i capelli lunghi – Non ti scaldare, era solo un invito!»
«Vattene.»
«Non capisco perché fai questa scenata...»
«Vai via» sillabò la ragazza con rabbia.
Il volto forse era impassibile, ma a ben guardare le sue mani erano strette a pugno per nasconderne il tremore o per contenere tutta la rabbia al loro interno.
Frush-sta-tak.
«Almeno lasciami parlare!» disse il ragazzo alzando la voce.
«Vattene!»
Frush-sta-tak.
«Perché non mi lasci spiegare?!»
“E va bene, ora basta!” si decise Spartaco.
Quel ragazzone lo stava irritando in maniera non indifferente. Va bene che non aveva un rapporto molto intimo con la collega, ma le urla del tipo lo stavano facendo seriamente incazzare.
«Ehi, direi che è ora di finirla.» disse con lo sguardo duro e la voce ferma, rivolto allo scocciatore.
«Tu chi cazzo sei? - chiese quello dopo averlo squadrato un attimo da capo a piedi - Chi sei per dirmi di farla finita, eh? Sei il suo ragazzo forse?» continuò con un tono beffardo che fece venir voglia a Spartaco di rigirargli la faccia con un destro.
Incredibilmente, invece, Spartaco riuscì a trattenersi e, mantenendo la stessa espressione risoluta, rispose:
«Non ho bisogno di essere il suo ragazzo per dirti che stai disturbando un posto di lavoro.»
Tutti i colleghi che fino a quel momento erano rimasti immobili e avevano quasi smesso di fiatare per assistere al siparietto, come d'incanto sembrarono riprendere la facoltà di parola e diedero man forte a Spartaco con cori di “Ecco!” e “Ben detto!”. Qualcuno addirittura si alzò in piedi e andò a posizionarsi a braccia conserte accanto al collega, con aria di sfida.
«E anche se non sono nessuno mi sembra che la ragazza non gradisca le tue attenzioni.»
Aggiunse Spartaco. Il ragazzo cercò di provocarlo ancora, evidentemente cercava rogne, ma i colleghi ormai erano coalizzati contro di lui.
Esternamente Spartaco rimase serio, ma dentro di sé si fece sfuggire un piccolo ghigno divertito. Era sempre stato così: quando gli uomini si associavano in gruppo non avevano più paura di niente e lui era sempre stato quello che prendeva l'iniziativa, che dava il coraggio mancante agli altri, la spinta per aggregarsi, per farli sentire capaci. Era il motivo per cui era sempre stato un leader, un capitano.
Il ragazzo che adesso si trovava in minoranza, sembrò anche improvvisamente più piccolo di statura, parve accorgersi del cambiamento attorno a lui e perse un po' della sua baldanza, pur tentando di mantenere un contegno. Scosse la testa e si voltò per andarsene senza dire una parola, al che Spartaco fece per tornare alla propria scrivania, con il documento stampato in mano. Fece un salto quando sentì un urlo.
«Tu sei migliore di tuo padre!»
Spartaco si voltò e dovette aspettare che quella frase fosse ripetuta con lo stesso tono per convincersi del fatto che a pronunciarla fosse stata proprio Irene, la tonta, inerme, apatica Irene.
«Sei migliore di tuo padre, Filippo.» disse un'altra volta, con la voce ora ridotta a un sussurro.
Era rimasta ferma sul posto, come fermo era il suo sguardo sulla nuca del ragazzo che si era bloccato dandole le spalle, mentre se ne andava. Il silenzio che regnava dopo quelle poche parole era surreale.
Spartaco registrò i movimenti seguenti come se li vedesse da dietro uno schermo, prima di rendersi conto che stavano avvenendo a pochi metri da lui.
Lo sconosciuto si era voltato rapidamente e con poche, larghe falcate aveva raggiunto Irene. Solo a quel punto Spartaco si riscosse: doveva fare qualcosa per salvare la ragazza da quella sagoma minacciosa!
Mosse qualche passo nervoso verso i due, ma inchiodò subito alla vista di quanto stava accadendo.
“Cosa mi è sfuggito?” si chiese perplesso.
Il ragazzo che fino a quel momento era sembrato pericoloso aveva abbracciato Irene. Come se si fosse aspettata quel gesto lei non si era mossa di un millimetro dalla sua posizione.
Lui la avvolgeva completamente con le braccia, la fronte nascosta tra il suo collo e la spalla e ad un primo sguardo si sarebbe detto che fosse lui a confortare lei, a custodirla, a rassicurarla, ma ad un più attento esame era chiaro che invece fosse Filippo ad appoggiarsi totalmente a Irene, a cercare protezione tra le braccia di quella ragazzina.
Con gesti lenti Irene alzò una mano per arrivare ad accarezzare il collo del ragazzo che nel mentre tremava su di lei. Per non essere indiscreto Spartaco si voltò, quando capì che quel tipo stava singhiozzando e la ragazza lo stava consolando con delle carezze bonarie e con dolci sussurri. Il quadretto d'un tratto si era fatto troppo intimo per ammettere spettatori, così tutti i colleghi ripresero posto alle rispettive scrivanie, qualcuno accennando un colpetto di tosse imbarazzato.
In pochi minuti Spartaco udì dei passi e capì che Filippo se ne stava andando, ormai calmo e sfogatosi completamente tra le braccia di Irene. Si voltò per vedere come stesse la collega dopo quella vicenda così bizzarra, ma non la trovò. Evidentemente aveva approfittato della discrezione dei colleghi per sgattaiolare a rifugiarsi in qualche stanzino e Spartaco immaginò subito di quale stanzino si trattasse.
Non perse tempo a chiedersi perché lo stesse facendo, si sarebbe gistificato con il suo “voler essere migliore” in ogni caso, lasciò il fascicolo di fogli sulla scrivania e d'istinto corse verso la nuova stanza degli archivi. Spalancò la porta e trovò la collega, come aveva immaginato. Era in piedi e dava le spalle all'ingresso, sussultò quando lo sentì entrare e il ragazzo vide la sua espressione mutare dallo spavento al sollievo, prima che tornasse a dargli la schiena, un secondo dopo.
«Ehi... - sussurrò Spartaco rendendosi conto in quel momento che non sapeva cosa dirle. - Tutto bene?» chiese dopo essersi schiarito la gola.
Come mai la schiena della ragazza stava tremando? La stanza degli archivi era più fresca delle altre, ma non era proprio gelida.
Irene fece un sibilo che poteva essere un “sì” quanto un “no”, allora Spartaco le si avvicinò lentamente, come ad un animale selvatico che non si voglia spaventare.
«Grazie» si sentì dire appena le fu più vicino e stavolta distinse chiaramente un rantolo nella sua voce, come di chi voglia nascondere il singhiozzo del pianto.
«Ehi...» ripetè il ragazzo, ammorbidendo la voce.
Gli sembrava di averlo detto già troppo spesso quel giorno e il problema era che non riusciva a trovare parole migliori. L'unica cosa sensata da fare gli sembrò posare una mano sulla spalla della ragazza e nell'istante in cui compì quel gesto, come se avesse schiacciato un interruttore, Irene smise di trattenere i singhiozzi, si voltò e poggiò la fronte sul petto di Spartaco, senza preavviso. Con le mani stringeva la maglietta del ragazzo e poggiandovi la fronte sopra si copriva gli occhi, mentre continuava a ripetere parole sconnesse tra un singhiozzo e l'altro.
Il suo corpo non era rigido e freddo come la sua tipica espressione e Spartaco se ne meravigliò. Vedendola così indifesa, così diversa dall'apatica Irene che conosceva, il ragazzo non potè fare altro che alzare le braccia e stringersela al petto.
«Su, su...» le ripeteva sottovoce, come una nenia, senza sapere che altro dire.
Con la mano destra le carezzava la nuca, nascosta da una cascata di onde castane, con il braccio sinistro le stringeva la vita, una vita tanto sottile che un suo singolo braccio bastava per circondarla tutta.
«Io... io...» biascicava lei.
Com'era piccola e fragile in quel momento. Spartaco ebbe l'impressione che stringendo un po' più forte avrebbe potuto spezzarle la spina dorsale in due.
«Io... io non sopporto...» mugolava e Spartaco aspettava che si calmasse, in silenzio.
Aveva la vita sottile rispetto ai fianchi larghi, ma nell'insieme la sua figura aveva una propria armonia, anche se fino a poco tempo prima Spartaco l'aveva definita “culona”. Forse era perché l'aveva vista indossare un vestito da sera che aveva inavvertitamente cambiato idea su di lei? Il ragazzo serrò la mascella, maledicendosi. D'accordo, era in astinenza da qualche tempo, ma questo non autorizzava certi pensieri!
«Perché adesso...?» continuava a borbottare Irene.
Emanava un leggero profumo dolciastro, come di pesca.
«Ho forse sbagliato?»
Ora i suoi occhi erano puntati su quelli verdi di Spartaco, in una disperata richiesta di aiuto. Le lacrime scendevano ancora da sotto gli occhiali, il corpo tremava leggermente, ma si stava calmando.
«Ho fatto male?» ripetè la ragazza, un po' più forte, come per paura che il collega non l'avesse sentita.
«No, non hai fatto male.» rispose Spartaco come se lo avesse sempre saputo, stupendosi egli stesso della propria disinvoltura.
Irene lo guardò negli occhi per qualche istante, poi tornò a chinare il capo, stavolta ripiegandolo sulla spalla del ragazzo, e circondandogli i fianchi in un abbraccio come lui stava facendo con lei. Spartaco aspettò che si calmasse del tutto, ancora senza fiatare. Poi, quando la sentì docile e tranquilla, si azzardò a parlare.
«Va meglio?» chiese.
Irene alzò la testa dalla sua spalla, lasciandovi un po' delle sue lacrime e annuì, tirando su con il naso.
«Grazie» disse asciugandosi con i palmi delle mani gli ultimi residui salati dal volto.
«Meno male, un altro po' e temevo la tua disidratazione!» scherzò lui concludendo con un sorriso sghembo, maledicendosi mentalmente per la frase idiota, appena ebbe finito di pronunciarla.
Irene invece parve apprezzare il suo tentativo di ironia e abbozzò un sorriso, abbassando la testa.
«Tua sorella è fortunata.» gli disse.
«Come?»
«Per avere un fratello con il tuo istinto...» spiegò.
Spartaco ripensò alla sera in cui l'aveva incontrata in quel locale e riaccompagnata a casa.
«Oh...»
«Scusa.» sussurrò poi la ragazza con voce tremula, dopo aver risollevato il viso, gli occhi fissi sulla spalla del ragazzo, su cui aveva appena pianto.
«Oh, non fa niente!» disse lui, dando una veloce occhiata alla polo umida di lacrime.
«No, non intendevo... cioè, sì, scusa anche per questo - disse impacciata - volevo chiederti scusa per averti giudicato male.»
Spartaco alzò un sopracciglio, perplesso.
«Io... credevo che tu fossi come lui.- spiegò, riferendosi evidentemente al ragazzo che era appena andato via - Credevo che tu fossi un cretino troppo innamorato di se stesso per fare attenzione alle altre persone, che tu fossi un egocentrico che non si cura dei sentimenti degli altri perché si crede un gradino sopra a tutti. Ho anche pensato che tu non fossi all'altezza di questo lavoro e che ti fossi comprato il posto con il tuo bel faccino...»
Sparaco sbattè le palpebre, decisamente poco lusingato da quella confessione.
«E per quanto io odi ammetterlo devo ricredermi sul tuo conto: non sei affatto come credevo. Sei... sei un bravo ragazzo. - disse dopo aver ricercato le parole giuste - E poi... scusa perché sono scappata. Quel pomeriggio, quando ti ho visto dal vetro del bar...»
Di cosa stava parlando? “No, zitta!” avrebbe voluto dirle, urlarle, ma rimase muto, mentre un sospetto terribile si insinuava nella sua mente.
«Insomma, quando ho visto chi eri... mi sono spaventata. Non ho avuto il coraggio di dirti che io sono Kilowatt.» concluse alzando gli occhi arrossati verso quelli di lui.
Spartaco, incredulo, incapace di pensare, di intendere e di volere, con uno scatto le afferrò il volto tra le mani e contro ogni logica la baciò.




13 giungo, 21:23
- Ti prego, Corto, non cercare più di incontrarmi, va bene?
- Perché? Questa tua testardaggine non ha senso, credi che non saremmo più amici se ci trovassimo faccia a faccia? Forse non hai capito quanto la nostra amicizia sia importante per me. Tu sei importante per me.
- ...ti prego.






Il mio angolino
ovvero le *mie reazioni*:
Entrata in scena di Filippo *che vuole questo?*
“Discussione” tra Filippo e Irene *che diavolo sta succedendo?!*
Finale *Spartaco WTF??????????????*
Dopo tanto tempo un aggiornamento... diciamo che ero in “vacanza”...
Lasciate un commento con le vostre reazioni e... alla prossima! :D
FatSalad
   
 
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