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Autore: Lady I H V E Byron    20/08/2017    1 recensioni
"Ci sono cose, nella vita, cui non puoi fare niente. Come la morte di una persona cara. Lo so, per i primi tempi fa male, senti un enorme vuoto dentro e non vuoi più vedere nessuno. E' un dolore che a stento puoi sopportare, ti fa quasi impazzire. Sei consapevole che non torneranno più, che non puoi fare niente per riportarli in vita e questo ti fa soffrire sempre di più. Alla fine scopri... che tutto quello che puoi fare per loro... è vivere."
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Daniela Savoia è una ragazza in lutto per un ragazzo che lei amava; lo shock la porta al mutismo e alla depressione, tanto da rifiutare qualsiasi contatto con il mondo esterno. Nemmeno nell'ospedale psichiatrico dove è stata inviata riescono a trovare una soluzione: Daniela si chiude sempre più in se stessa, senza mangiare, continuamente tormentata da incubi sul ragazzo defunto. L'alternativa, seppur a prima vista assurda, si rivela una vacanza in una SPA, in cui, con sorpresa, incontra le ultime persone che si aspettava di incontrare...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Threesome, Triangolo
Capitoli:
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Note dell'autrice: da questo capitolo i P.o.V. diventeranno quattro.

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Daniela’s P.o.V.

Partimmo quel pomeriggio stesso.
Chiara, dopo la nostra discussione, preparò la mia valigia. Non ero provvista di un costume da bagno, visto che nell’ospedale non mi sarebbe servito, ma mi disse che me lo avrebbero dato lì alla SPA.
Per precauzione, mise dentro anche la Playstation, il mio computer e tutti i film che avevo, oltre alcuni libri.
Nessuno poteva rischiare che avessi un attacco di astinenza che avrebbe portato ad un altro attacco isterico, o gli sforzi sarebbero stati inutili.
Fissai la foto di Gabriele. Non potevo lasciarla lì. Lui mi serviva.
Allungai la mano e la staccai dal muro.
Venni a conoscenza di quanto era stato deciso la sera prima: il direttore dell’istituto aveva chiamato la SPA, spiegando la mia situazione; sembrava che non ci fossero problemi ad “ospitare” una come me.
Una come me.
Neanche fossi la peggiore delle psicopatiche.
Avrebbero affidato delle camere comunicanti per me e Chiara, un po’ come nell’istituto, vitto e trattamenti, tutti inclusi nella tariffa settimanale.
Comodo, no?
Nel mio dolore, sentivo che sarebbe stata una bella vacanza. Mi sollevò dovermi allontanare da Bologna.
Già mi sentivo più leggera, oserei dire, quando vidi Chiara sistemare la mia valigia nella sua macchina, una bella Ford C-Max color canna da fucile.
Il direttore era sceso per salutarci e augurarmi ogni bene possibile per la mia guarigione.
Era quello che speravo anch’io, nel mio stoicismo.
Mi sedetti accanto a Chiara e mi misi subito le cinture.
Accese la radio, per accompagnare il viaggio. Io, silenziosa, osservavo il paesaggio fuori. Uscimmo da Bologna, ma allora non seppi dire che direzione prese Chiara. Non mi importava. Ciò che mi importava era essere il più lontana possibile da Bologna.
Restare lì mi riportava alla mente brutti ricordi. Me ne resi conto solo giorni dopo.
-Senti, tesoro…- disse Chiara, appena entrata in autostrada –Perché non chiudi un po’ gli occhi? Il viaggio sarà lungo.-
Ci fermammo solo due volte, per andare in bagno e comprare qualcosa da mangiare (sempre per Chiara, ovvio.).
Sì, alla fine riuscii a dormire un po’, nell’ultimo tratto di viaggio.
Se l’ho sognato di nuovo?
Sì.
E ho risognato anche Elena. Sognai la sera in cui la conobbi per la prima volta, al diciottesimo compleanno di Gabriele. Si era presentata a me sorridendo e porgendomi la mano.
-Ciao, io sono Elena. Tu sei amica del Bena?-
Gabriele Benari, era questo il suo nome, ma tutti lo chiamavano Bena, tranne me e Filippo. Non mi era mai piaciuto quel soprannome, lo facevano sembrare uno sfigato.
Nella vita reale, anche io mi ero presentata.
Ma nel sogno… feci una cosa per molti orribile, ma non per me: affondai la mia mano nel suo petto, come facevano i cattivi della serie televisiva “Once Upon A Time”, e le strappai il cuore, ancora pompante.
Gabriele, da lontano, mi urlava: -Dani, cosa hai fatto?!-
-Dani? Dani, svegliati.-
Chiara mi scuoteva con leggerezza, per svegliarmi.
Eravamo arrivate.
Per la prima volta in quasi dieci giorni, mi emozionai. Non sembrava un centro benessere, ma una reggia.
Un grande edificio con una piscina di fronte, intorno ad un meraviglioso panorama con ampie distese di verde che si stagliava all’orizzonte.
Pensai fossimo in Toscana, dato il meraviglioso paesaggio. Ma… meglio non rivelare dove mi aveva portato.
Sì, avrei passato una bella vacanza, pensai, mentre sorrisi senza muovere le labbra.
Non mi sbagliai: l’interno sembrava davvero una reggia. Già la hall era un ampio salone quasi tutto rivestito in marmo, dando un aspetto fresco e rilassante. Non è a questo che servono i centri benessere, in fondo?
C’erano anche dei divani dalle imbottiture bianco perla sui quali avrei tanto voluto sedermi, giusto per sapere se fossero morbidi come sembravano, ma Chiara ed io ci dirigemmo subito alla portineria.
Lo scoprii i giorni seguenti, per fortuna.
Dietro il bancone c’era una ragazza coetanea di Chiara, bionda come lei, che ci riconobbe in base al foglio a lei porto.
-Ah, lei sarebbe l’ospite speciale?- domandò, osservandomi; dovetti farle una gran pena dallo sguardo che fece; beh, meglio dello sguardo disgustato che certa gente ottiene sempre quando tutti sanno di avere di fronte uno psicopatico –Povera cara… ma non temere. Faremo del nostro meglio per rimetterti in forma. Ti faremo fare tanti massaggi, tanti bagni e tanti trattamenti. Oh, ovviamente puoi andare liberamente in piscina. Non vogliamo tenerti in prigione.-
Che gentile. D’altronde, doveva esserlo per attirare clienti. Essere “malati” aveva il suo vantaggio, in fondo: venivi coccolato da tutti. Un po’ come mi era successo all’esame di Stato, quando mi presentai alla prima prova con il gesso sul braccio sinistro. Ero scivolata sulle scale di casa mia e avevo battuto contro uno scalino. Quindi crack! Ma almeno avavo fatto tenerezza alla commissione.
Ve lo consiglio a metà, cari futuri maturandi, di rompervi un osso: da una parte, è vero, fate tenerezza, ma dall’altro… dovete patire il caldo con quella roba addosso, ed è una gran scomodità per dormire.
A proposito di dormire… come ho detto prima, quella SPA era anche un hotel. Ci diedero subito le chiavi delle nostre stanze e ci aiutarono a portare le nostre valigie.
La mia stanza… a distanza di anni non so ancora come descriverla: un paradiso. L’unica parola che mi viene in mente.
La prima cosa che feci fu sistemare la foto di Gabriele non sul muro, come all’ospedale, ma sul comodino.
Rispetto alla mia camera all’ospedale, il muro era lontano dal letto; sul comodino lo avrei visto sempre accanto a me.
Poi, ammirai la mia stanza: un letto a una piazza e mezzo, con lenzuola bianche, pareti dipinte di un colore caldo, simile a pesca, ma sfumato con il bianco, un’ampia finestra con vista sulla piscina, un armadio grande abbastanza da mettere la mia roba, e tanti mobili. Era grande quanto la mia stanza e la stanza che avevo all’ospedale messe insieme, con tanto di bagno ammesso. Una vasca-doccia tutta per me, un ampio spazio per asciugarmi e fare altre cose, mentre all’ospedale avevo solo una squallida doccia senza tendina in un bagno strettissimo. C’era persino un televisore, dove collegai subito la mia Playstation.
Senza che me ne rendessi conto, mi scappò un sorriso sfuggente, con sospiro ammesso.
Il mio dolore era sempre presente nel mio cuore, ma non potevo non sorridere di fronte ad uno spettacolo simile.
Chiara, dopo aver parlato con il facchino, mi porse un foglio.
-Tesoro, qui ci sono segnati i trattamenti a cui verrai sottoposta e i relativi orari.- mi spiegò; erano davvero tanti, dai massaggi all’olio ai bagni al miele; sentivo c’era lo zampino del direttore dell’ospedale, per quanto riguardava gli orari; una perfetta cooperazione tra ospedale psichiatrico e centro benessere –Ma stai tranquilla, ti lasceranno il tempo da dedicare a te stessa.-
Tanto meglio, altrimenti mi ero portata computer, Play e tutto il resto per niente.
Cominciai quel giorno stesso: il viaggio, in fondo, era durato a malapena un paio d’ore, e in quel frangente di tempo avevo anche dormito, quindi non potevo definirmi distrutta.
E poi, nei centri benessere fanno tutto fuorché metterti sotto pressione, eh. Cominciai con massaggi all’olio: dicevano facesse bene per l’umore.
Infatti, così fu.
Che mani delicate che aveva quella fisioterapista…  o forse era l’effetto dell’olio d’oliva che usava per massaggiarmi, non lo so con precisione. Fatto sta che sentii una sensazione di rilassatezza che non avevo più provato da quasi dieci giorni. Non mi dimenticai di punto in bianco il mio lutto per Gabriele, ma non volevo certo guastarmi la vacanza. Lui non lo avrebbe voluto.
Quel massaggio mi fece sentire meglio.
Quello fu solo il primo: non ho intenzione di sprecare parole per descrivere gli altri trattamenti che feci, anche perché non li ricordo più da quanti erano.
 
Chiara’s P.o.V.
 
Una bella vacanza era quello che ci voleva. E non solo per Dani, ma anche per me.
Quando lei andava a farsi fare i trattamenti che il direttore aveva prescritto con l’ausilio dei dipendenti della SPA, anch’io andavo a farmi fare qualche massaggio. D’accordo, il mio dovere era quello di sorvegliarla, ma non starle attaccata come un avvoltoio. Persino in ospedale la lasciavo spesso da sola: dopotutto dovevo solo portarle i pasti (che non prendeva mai) e le pasticche.
Per tutta la settimana, provai un po’ di tutto in quella SPA: massaggi, bagni di fango, aromaterapia… tanto era già compreso nel prezzo. Quando mi sarebbe ricapitata una cosa simile? Meglio cogliere l’attimo, no?
Era solo il primo giorno, ma già dal primo trattamento vedevo Dani un po’ più rilassata e meno “funerea” di prima. Incrociai le dita: pregai che la mia idea funzionasse.
Insieme, nel secondo pomeriggio, andammo in piscina: c’erano molti turisti venuti lì per passare la settimana pasquale, ma trovammo ugualmente due posti per noi. Non so spiegarvi quanto fosse graziosa Dani con il costume che le avevano dato alla SPA: era un costume intero nero, ma esaltava le sue forme rotonde, ma non troppo. Era anche dimagrita, dopo quasi due settimane di digiuno… Dovevo stare attenta che qualche mascalzone con qualche idea strana per le sue due teste non si avvicinasse a lei. La sistemai su un lettino, prima di porgerle la crema solare. Il sole non picchiava come in estate, ma meglio essere prudenti, no?
-Vuoi che ti aiuti a metterla?- le domandai.
Lei scosse la testa per dire “no” e la prese, mettendosene un po’ sulla mano.
Fino a ieri aveva bisogno di me persino per vestirsi: allora i trattamenti stavano funzionando davvero, se voleva mettersi la crema da sola. Oddio… giocare alla Playstation e a navigare su Internet lo faceva già da sola, ma quelli erano dettagli.
Una sete incredibile mi prese all’improvviso: per prendere qualcosa da bere dovevo andare al bar, ma questo voleva dire lasciare Dani da sola. Forse mi conveniva portarla con me, ma così facendo qualcun altro avrebbe occupato i lettini su cui ci eravamo sedute e non ne erano rimasti altri liberi.
-Dani, io vado a prendermi da bere.- dissi, intanto –Vuoi venire con me?-
Lei fece nuovamente di “no” con la testa, accompagnato da un gesto della mano. Si avvicinò alla piscina, sedendosi sul bordo e immergendovi le gambe.
Beh, come biasimarla?
“Ma sì, cosa vuoi che le capiti?” pensai, prima di dirle –Torno subito, allora.-
 
Daniela’s P.o.V.
 
L’acqua era freschissima e limpida. Un sollievo per le mie gambe. Annusai il cloro dopo tanto tempo, avvertendo una forte nostalgia di tante estati e momenti passati in piscina. Non mi era mai piaciuto il mare, avevo sempre preferito la piscina.
Mi è sempre piaciuto l’odore del cloro.
Poi osservai il cielo. C’era qualche nuvola, ma non da preannunciare pioggia o un temporale. Ma per precauzione, Chiara ed io ci eravamo messe ugualmente la crema solare.
Restai qualche minuto seduta sul bordo della piscina, con lo sguardo rivolto verso il cielo, con gli occhi chiusi, assorta in quel momento di rilassatezza, di contemplazione “alla Schopenhauer”, come dicevo sempre; sai, quando sei talmente rilassato che ti dimentichi del luogo in cui ti trovi, quando hai l’impressione di essere completamente da sola. Anche se il caro Arthur lo diceva riferito all’effetto che può dare l’arte sull’essere umano, soprattutto la musica. Ma a me piaceva estenderlo dappertutto.
Potevo finalmente definirmi in pace con me stessa se solo… se solo nella mia mente non si fosse materializzata all’improvviso l’immagine di Gabriele.
Aprii gli occhi di scatto e, senza rendermene conto, mi alzai in piedi. Inavvertitamente, però, urtai una persona che stava passando in quel momento. Aveva un bicchiere in mano, a giudicare dal liquido che cadde sul cotto.
-Ah…! Scheiβe!- imprecò; era una voce maschile; un po’ imbarazzata, un po’ per la mia condizione, non lo guardai in faccia; notai solo uno strano movimento con le braccia, come se si stesse togliendo qualcosa di dosso; forse il liquido gli era caduto anche un po’ addosso; incrociai i polsi davanti al petto e guardai in basso, dispiaciuta; -Guarda che disastro!- stava parlando in inglese, con un forte accento tedesco; la sua voce era molto familiare –Sta’ un po’ attenta a dove vai, ragazza!- disse, camminandomi accanto; io facevo il possibile per non farmi toccare. Avrei tanto voluto dirgli “Mi dispiace, non l’ho fatto apposta.” ma non ne ebbi la forza.
-Cos’è? Non sai parlare? Parlo troppo veloce per te? Non mi comprendi?- cercò di mettermi una mano sulla spalla, forse per spingermi ad osservarlo, ma io arretrai, mugolando, come se di fronte a me ci fosse un assassino o un ladro.
Anche lui arretrò, un po’ sorpreso dalla mia reazione.
-Oh, scusa.- si lasciò sfuggire –Sei così delicata che la gente non ti può nemmeno toccare?-
-Dani!-
Chiara. Grazie al cielo. Aveva una lattina di Lemon Soda in mano.
-Non ti posso lasciare sola un attimo, che subito arriva qualcuno che ti molesta…- mi disse, prendendomi un braccio e allontanarmi di un passo da chi avevo di fronte –Cos’è successo qui?- domandò, alludendo al liquido sceso sul cotto -Ti sei fatta male?- feci di “no” con la testa, voltandomi verso di lei.
-Ehm…- non seppi dire se la terza persona avesse compreso quanto aveva udito, ma volle ugualmente dire la sua, ancora in inglese –Tecnicamente, lei mi è venuta addosso.-
Chiara lo osservò in cagnesco, da quanto riuscii a scorgere con la coda dell’occhio.
-Addosso o meno…- parlò anche lei in inglese –Stai lontano da lei e non toccarla. E’ in terapia e non può provare questi tipi di emozioni.-
Udii un sospiro quasi divertito.
-Oh, adesso mandano anche gli psicopatici nelle SPA italiane?- ironizzò –Questa mi mancava. E io che credevo di godermi queste vacanze in santa pace…-
-Tom, adesso basta!-
“Tom?” pensai, un po’ sorpresa.
Avevo udito un’altra voce maschile, stavolta in lingua tedesca. Ma era ugualmente familiare. Lì per lì non compresi molto bene cosa si erano detti poco dopo. Lo scoprii più tardi.
-Sono sicuro che non l’ha fatto apposta.-
-Non l’ha fatto apposta? Mi sono sporcato tutto di succo! Guarda che roba, Bill!-
Prima “Tom”. Adesso “Bill”.
“No, non può essere…” pensai, mentre sentivo il mio stomaco e il mio cuore sobbalzare.
Poi, mi voltai verso le due figure, che ancora stavano discutendo, e lì il fiato mi mancò.
Mi sorpresi di non essere svenuta dall’emozione.
La seconda persona si rivolse a noi, in inglese.
-Vi chiedo scusa per mio fratello. Ora ce ne andiamo.-
L’altro protestò, ma alla fine si allontanarono da noi, andando dall’altra parte della piscina.
-Stranieri…- brontolò Chiara, serrando le labbra –Vengono in Italia e credono di fare quello che vogliono… Dani, stai bene? Non ti ha fatto male?-
Io non dissi nulla. Nemmeno mi mossi.
Avevo deciso di non parlare più, ma quella volta stavo tacendo per l’emozione e la sorpresa.
Fra tutti i luoghi, fra tante persone, non mi aspettavo di incontrare, di persona, proprio loro.
Bill e Tom Kaulitz.
 
Bill’s P.o.V.
 
Io adoro Tom.
Peccato per quel suo carattere un po’ impulsivo.
-Non ti sembra di aver esagerato?-
Lui sospirò, ringhiando. Per poco non lo sentirono tutti. Eravamo ancora in piscina, quando discutemmo.
-Cioè, una si schianta addosso a me, facendomi rovesciare il succo addosso ed è colpa mia?! Senti!- si annusò le braccia –Si sente ancora l’odore di ananas, accidenti!-
Solitamente, il mio fratellino è un Casanova, con le donne; ma è anche vero che ci sono dei limiti.
-Non ho detto che è colpa tua, Tomi.- cercai di chiarire –Voglio dire, l’hai vista quella ragazza? Era pallida come un lenzuolo e non ha fatto altro che tremare quando le parlavi.-
-Adesso prendi le difese degli psicopatici?-
-Non credo sia una psicopatica. Non l’avrebbero portata qui.-
-Già… ora che ci penso…- Tom si stava via via calmando; come sempre, ogni volta che si arrabbia –Proprio stamattina, prima di raggiungerti, avevo sentito due inservienti conversare tra di loro. Parlavano in italiano, ma sono riuscito a cogliere qualche parola qua e là. Sembravano parlare di una specie di “ospite particolare”. Io pensavo fosse un politico o una persona simile.-
Quella frase catturò la mia attenzione e mi voltai verso di lui.
-Credi che sia lei?- domandai, curioso.
-E’ probabile. Ma perché darsi tanta pena per una psicopatica?-
-Ancora quella parola…?-
-Non conosco altre parole per descrivere persone di quel tipo...-
Ostinato come un mulo… Ma è anche per questo che lo adoro.
Sapevo che non potevo contare sul suo aiuto, quindi mi rassegnai sul fatto che dovevo cavarmela da solo.
Ad un certo punto, ci alzammo entrambi dai lettini per poi dirigerci in due direzioni differenti: lui in camera, per farsi la doccia (non per il succo; a quello ci aveva già pensato la nuotata che ci siamo fatti nella piscina) e io in portineria.
Volevo sapere di più su questa “ospite”, più che altro se fosse stata davvero una psicopatica. Ma se così fosse stato, perché rischiare di portarla in un luogo pieno di gente?
Parlando in inglese (ero tentato più volte di parlare italiano, ma avevo sempre paura di sbagliare qualcosa; mi limitavo a poche parole), chiesi alla ragazza dietro il bancone: -Mi scusi, un’informazione. Ho sentito dire in giro che c’è una specie di “ospite speciale”. Di chi si tratta, esattamente? E’ per caso una persona importante?-
La ragazza mi guardò con sguardo un po’ strano: temetti che non mi avesse compreso perfettamente.
-Un’ospite speciale…?- fece, pensierosa –Ah, sì! Aspetti un attimo…!-
Controllò tra i documenti. Su uno c’era un foglio.
-Ah, sì! Lei!- esclamò, ricordandosi di colpo –Sì, possiamo definirla “ospite speciale”. Viene da un ospedale psichiatrico.-
Pensai che forse Tom non avesse tutti i torti a chiamarla “psicopatica”. Ma dall’altra parte pensai anche che non era giusto definire “psicopatici” tutti quelli che vanno negli ospedali psichiatrici.
-Il direttore dell’ospedale aveva detto che stanno sperimentando un nuovo modo per sconfiggere la depressione, senza l’ausilio delle pasticche. Stiamo facendo del nostro meglio per sollevare l’umore di quella povera creatura.-
-Depressione?- domandai, sorpreso –Sa per caso cosa le è accaduto?-
-No, mi dispiace. Hanno detto che era confidenziale. Perché queste domande?-
-Più che altro per sapere se possiamo stare tranquilli o meno.- spiegai, un po’ imbarazzato -Quando si parla di ospedali psichiatrici si pensa sempre alle persone pazze o violente. Non credo che ai clienti faccia piacere avere una persona di quel genere in un posto come questo, non crede?-
La ragazza si mise a ridere, perché anch’io ridacchiai. Come mi fosse venuta in mente un’affermazione del genere solo Dio lo sa.
-Non si preoccupi. Ci hanno detto che è completamente innocua. Crede che l’avrebbero portata qui, se fosse come ha detto lei?-
In effetti era vero. Era esattamente come avevo affermato poco prima con Tom.
Potevamo stare tranquilli.
Ci saremmo goduti questa meritata pausa dal tour in pace.
 
Daniela’s P.o.V.
 
In effetti lo avevo letto nell’account Instagram di “Tokio Hotel Italian Team”, che dopo il concerto di Varsavia, i Kaulitz sarebbero andati in Italia per passare le vacanze pasquali in un centro benessere.
Era davvero una coincidenza? A volte mi piace pensare che Chiara lo sapesse e mi avesse portato lì di proposito, anche se lei aveva affermato che così non era.
Ad ogni modo, era stata una bella sorpresa trovarli lì, a due centimetri di distanza da me. Con uno mi ci ero perfino scontrata. C’è chi pagherebbe oro per questo.
 
Primo giorno alla SPA di…: ho visto i gemelli Kaulitz!
 
Non potevo scrivere solo questo. Per quanto per me significasse già tanto, per quelli dell’ospedale non era abbastanza. Mi dilungai.
 
Non avrei mai pensato di trovarli qui. A dirla tutta, è iniziata con uno scontro casuale: senza volerlo, ho urtato Tom. Per poco non mi uccideva se non fosse stato per Chiara e Bill. Bill… cavolo, averlo visto sul palcoscenico, da lontano, era un conto, ma da vicino… è davvero bellissimo. Anche Tom è bellissimo, non per nulla sono gemelli. Poi ha quel fisico muscoloso che lo rende a dir poco affascinante. Ma, per quanto mi piacciano entrambi, io sono più fan di Bill che di Tom. Ho sempre amato il suo sguardo tragico, il suo stile, la sua filosofia…
 
Mi resi conto di aver cambiato stile nello scrivere, più spontaneo e meno oscuro: era l’emozione di aver visto i gemelli Kaulitz proprio di fronte a me. Però, cavolo, sapevo che erano fumatori, ma mai mi sarei aspettata che odorassero così tanto di sigaretta. Scrissi anche quest’ultima frase nel diario, ridacchiando.
“Chissà che faccia farà Chiara e anche il direttore S. e il mio psicologo appena leggeranno questa frase…” pensai.
Dopo aver descritto i trattamenti che avevo fatto quel giorno, aggiunsi anche questo, parlando della piscina.
 
L’aria era pulita. Potevo finalmente respirare. Non immaginavo sarebbe stato così bello allontanarsi da Bologna e finire in questo paradiso in terra. Sentivo l’acqua accarezzarmi le gambe, l’aria accarezzarmi la pelle e il sole, seppur debole, sfiorare il mio volto. Mi sentivo rinascere. Ho sentito di star resuscitando. Se avessi saputo che sarebbe bastato questo per farmi tornare, anche se per poco, il buonumore, non sarei mai andata all’ospedale psichiatrico. No, forse è stato meglio così. Preferisco essere qui con Chiara che con i miei genitori.
 
“E anche per oggi, i pensieri sono finiti.” pensai, chiudendo il diario.
Lo misi di fronte alla porta che collegava la mia camera a quella di Chiara e vi bussai.
Lei si affacciò: era in accappatoio e aveva un asciugamano avvolto sulla testa. Si era appena fatta la doccia.
-Ah, grazie, tesoro.- disse, raccogliendolo –Io, dopo, vado giù a cenare. Vieni anche tu?-
Feci di “no” con la testa. Non sentivo ancora il bisogno di mangiare. Non percepivo più la fame.
-Allora buonanotte.- salutò lei, chiudendo la porta.
Poverina… si stava preoccupando troppo per me.
Accesi il computer, collegando il cavo al televisore. Facevo sempre così, quando volevo vedere una serie TV.
Decisi di vedere il ventesimo episodio della sesta stagione di “Once Upon A Time”, la mia serie TV preferita.
Era l’episodio-musical, un po’ come avevano fatto con Xena, nella quarta stagione. Non ci incastrava nulla con il resto, ma le canzoni non erano male.
Le mie preferite erano quella di Regina e anche quella di Emma.
Prima che iniziasse a cantare, misi in pausa.
Osservai nuovamente la foto di Gabriele. Mi avvicinai. Non potevo vedevo chiaramente, ma ricordavo un piccolo particolare di lui: i suoi occhi erano simili a quelli dei Kaulitz, ma lui li aveva più allungati. Lui era fan dei Linkin Park, ma forse gli sarebbero piaciuti i Tokio Hotel, se fosse vissuto abbastanza da ascoltare almeno una loro canzone…
Un senso di nostalgia mi prese di nuovo. La pace provata quel pomeriggio era svanita, appena mi ricordai di Gabriele. Quella foto era la mia rovina, ma anche la mia ragione di vita. Sentivo che sarei stata peggio, se non avessi potuto vederla almeno una volta al giorno. Avevo paura di dimenticarmi di Gabriele, di dimenticarmi dei momenti passati con lui, di dimenticare quello che provavo per lui, quanto avevo sofferto per amore. Non volevo dimenticarmi quelle sensazioni.
Mi alzai dal letto, lacrimando in silenzio, mentre le mie gambe, involontariamente, mi portarono verso la porta. Vi appoggiai la schiena e mi misi a sedere, continuando a lacrimare.
Il televisore era ancora acceso, con l’immagine di Emma Swan ancora ferma, un secondo prima che iniziasse a cantare la sua canzone.
Decisi io di farlo al posto suo.
Once I lived in darkness
Out there on my own
Left to brave the world
Alone
Everything seemed hopeless
No chance to break free
Couldn’t hear the song inside
Of me
 
Mi fermai a quel pezzo. Il resto non me lo ricordavo molto.
Mi piaceva cantarlo. Melanconico e poetico, come piaceva a me.
Forse mi rivedevo un po’ in quella canzone.
Mi rialzai in silenzio e tornai sul letto, per spegnere tutto.
Lessi qualche altra pagina di “Jane Eyre” e poi mi misi a dormire.
 
Bill’s P.o.V.
 
Avevo perso il mio cellulare.
Erano rare le occasioni in cui capitava, ma era sempre un’impresa ricordarsi dove lo avevo lasciato l’ultima volta.
Per fortuna, i camerieri lo avevano messo in un punto in cui potessi vederlo facilmente. E per fortuna, mi ero accorto in tempo di essermi dimenticato del cellulare.
Avevo una voglia così di dormire, ma non ero così distrutto da prendere l’ascensore, così presi le scale.
Mentre mi avvicinavo al primo piano, sentii un rumore strano.
No, non era un rumore.
Era una voce.
Una voce femminile.
 
Once I lived in darkness
Out there on my own
Left to brave the world
Alone
Everything seemed hopeless
No chance to break free
Couldn’t hear the song inside
Of me
 
Com’era bella quella voce…
Dolce, melodiosa, intonata…
Angelica.
Mi aveva come catturato.
Dovevo scoprire a chi apparteneva. Affrettai il passo, così da raggiungere il più presto possibile il primo piano e la stanza da cui proveniva.
Ma appena salii l’ultimo scalino, la voce tacque.
Mi incupii: non ero stato abbastanza veloce. O la canzone era troppo corta.
Pensai che non avrei mai più sentito una voce come quella in tutta la mia vita.
Con passo normale, salii le scale verso il secondo piano, dove c’era la mia stanza. O meglio, mia e di Tom.
Guai a separarci, eh!
Aveva lasciato le chiavi sulla serratura per non essere costretto ad alzarsi per venirmi ad aprire.
Come pensavo, lo trovai a letto, già a russare.
Ah, Tom… sempre così incorreggibile.
Dovetti aspettare la mattina seguente per dirgli quanto avevo appena udito.
Mi misi sotto le coperte, accanto a lui.
Ricordo ancora quella notte, quasi come fosse passato ieri.
Non riuscii a dormire. Stetti per tutta la notte a pensare a quella voce, domandandomi a chi mai appartenesse. Si era ormai impossessata della mia mente.
Quella canzone riecheggiò per la mia testa.
E quella bellissima voce mi aveva catturato, ammaliato, come fosse quella di una Sirene.
Una Wassernixe.
Una sirena. Una ninfa dei mari.
 
Chiara’s P.o.V.
 
-“Mi sentivo rinascere. Ho sentito di star resuscitando. Se avessi saputo che sarebbe bastato questo per farmi tornare, anche se per poco, il buonumore, non sarei mai andata all’ospedale psichiatrico. No, forse è stato meglio così. Preferisco essere qui con Chiara che con i miei genitori.”-
Mai mi ero sentita più sollevata nel leggere righe come questa. La cura stava funzionando.
Persino il dottor S. se ne compiacque, un po’ anche Alberto.
Li avevo contattati tramite Skype. In un modo o nell’altro avrei dovuto metterli a conoscenza delle giornate di Daniela, no?
-Beh, noto già dei progressi…- notò il direttore –Allora tutto quello che le serviva era solo distrarsi un po’.-
-Ma, dottore, siamo solo al primo giorno.- Alberto non si smentiva mai; era il solito guastafeste.
-Dottor Guerra, per favore… C’è altro, Chiara?-
Controllai nuovamente il diario.
-Non c’è altro. Mi ha dato il suo diario prima che cenassi.-
-E come va il suo appetito?-
-Ancora niente, direttore. Ma come ha detto giustamente il dottor Guerra, Daniela è ancora al primo giorno.-
-Ma c’è anche da mettere in considerazione che sono quasi due settimane che si rifiuta di mangiare.-
Il dottor S. non aveva tutti i torti: Dani stava dimagrendo. Se non avesse mangiato nulla nemmeno quella settimana, avrebbe rischiato il collasso. Ma non potevo costringerla con la forza. Ci avevano provato anche all’ospedale, ma lei rifiutava qualsiasi cosa. Anche in quei giorni non si comportava da vegetale: lanciava via i piatti, sputava quanto le avevano messo in bocca, e si lamentava, dimenandosi come una vera psicotica. Il primo giorno era stata un’impresa iniettarle il sedativo.
-Signorina Savoia, mi rendo conto che i nostri metodi non siano i più adatti…- aveva provato a spiegarle Alberto, appena  si era calmata –Ma lei deve mangiare.-
Nemmeno con la flebo avevano ottenuto risultati: se la staccava.
La stessa cosa, però, non si poteva dire con il bere. Quello lo faceva normalmente.
Le mettevo dello zucchero nelle sue bottigliette d’acqua, per darle almeno un pochino di nutrimento.
Avevamo provato a darle anche delle zuppe, o altri cibi frullati, visto che non voleva mangiare niente di solido, ma niente.
-Ma avere fretta non serve a niente…- aggiunse il direttore –Aspettiamo e vediamo gli sviluppi. Tu, Chiara, continua a fare il tuo lavoro.-
-Nessun problema.-
-Se posso aggiungere qualcos’altro…- tagliò corto Alberto –Ho trovato interessante la parte in cui Daniela ha scritto su quei due ragazzi… come si chiamano…?-
-Bill e Tom Kaulitz. Membri della sua band preferita.-
Ecco dove li avevo già visti. Mi sembravano dei volti familiari, infatti. Dani aveva fatto mettere anche dei poster dei Tokio Hotel sul muro della sua camera, non solo la foto di Gabriele.
-Sì, com’era minuziosa ed entusiasta nel descriverli, le sensazioni provate… non è stata la fredda e malinconica Daniela a cui eravamo abituati.-
Rilessi, a mente, la pagina dedicata alla disavventura capitatale oggi.
 
Primo giorno alla SPA: ho visto i gemelli Kaulitz! Non avrei mai pensato di trovarli qui. A dirla tutta, è iniziata con uno scontro casuale: senza volerlo, ho urtato Tom. Per poco non mi uccideva se non fosse stato per Chiara e Bill. Bill… cavolo, averlo visto sul palcoscenico, da lontano, era un conto, ma da vicino… è davvero bellissimo. Anche Tom è bellissimo, non per nulla sono gemelli. Poi ha quel fisico muscoloso che lo rende a dir poco affascinante. Ma, per quanto mi piacciano entrambi, io sono più fan di Bill che di Tom. Ho sempre amato il suo sguardo tragico, il suo stile, la sua filosofia… Tom era sempre stato quello più “rude”, una cosa che non ha cambiato di se stesso. Nessuno dei due era cambiato così tanto, grazie al cielo.
Se non fosse per la barba, giurerei che il tempo non è per niente trascorso su di loro: hanno praticamente gli stessi volti, gli stessi sguardi, gli stessi bellissimi sorrisi che avevano quando erano ancora ragazzi. Non riesco a credere che abbiano quasi trent’anni… non li dimostrano per niente.
Ricordo ancora la prima volta che ho visto Bill biondo: lì per lì mi aveva lasciata un po’ scioccata, ma non gli sta male, il suo nuovo look… peccato per quell’orrendo taglio con la sfumatura alta. Se non se li tira indietro con il gel, da dietro assomiglia ad un fungo… secco secco con quei capelli… In compenso adoro i capelli di Tom, quando se li scioglie. Praticamente sono simili ai miei, ma più scuri. Non rimpiango i suoi dread biondi.
Anzi, ancora non riesco a capire perché alcune fans rimpiangano il loro vecchio look: Bill, prima, sembrava una ragazza, con i capelli lunghi e il trucco. Almeno ora che ha la barba, gli haters non potranno più mettere in discussione la sua sessualità. Poi voglio dire… se ammiri una persona la devi ammirare per quello che è, pregi e difetti, come in amore. Per fortuna hanno ancora tanti fans, anche se… mi fa ancora incazzare il fatto che gli One Direction abbiano più di 22 milioni di iscritti nel loro canale YouTube, mentre i TH, in confronto, non ne hanno nemmeno 1/8. Loro, che fanno poesie, non solo canzoni!
Mah, prima o poi dovrò studiarli a fondo, per scoprire cos’hanno in più dei TH… sperando di non preferirli a loro.
Tornando ai Kaulitz, non so se essere lieta o imbarazzata di essere nello stesso luogo in cui si trovano loro. Ma aver scoperto che questa sarebbe stata la SPA dove avrebbero passato le vacanze pasquali è stata una bella sorpresa.
 
Risi.
Sembrava il diario di una ragazzina. Non che ci fosse niente di male in questo. Chi non si sentirebbe eccitato di fronte ai propri idoli? Anch’io mi sarei espressa in quello stesso modo, se mi fossi trovata davanti Beyoncé o Ariana Grande.
-Ho notato una spontaneità che non avevo mai notato in lei. A tal punto da mettere in secondo piano i trattamenti cui è stata sottoposta.-
Vi aveva dedicato poche righe; il resto è stato per i Kaulitz.
-E tu preferiresti che avesse parlato delle sensazioni provate durante i trattamenti, piuttosto che quelle che ha provato di fronte a due dei suoi idoli?- reagii, bruscamente, un po’ anche per la stanchezza.
-Non ho detto questo…- risponde lui, mantenendo la calma –Ho solo fatto un’osservazione.-
Per fortuna, il direttore pose fine alla discussione, prima ancora che iniziasse sul serio.
-Sì, anch’io ho trovato interessante questo suo cambiamento.- aggiunse –Come se l’emozione e la sorpresa provata da lei per aver visto quei due ragazzi avessero sbloccato una parte della sua anima, oltre a farla reagire in modo positivo, come il primo giro di una chiave in una serratura. In questo caso, la serratura sarebbe l’autismo di Daniela. E, dopotutto, tutto è partito da una forte emozione dovuta ad una sorpresa, no? Quindi perché non ricominciare con la sua emozione opposta, ma altrettanto forte?-
Sì. La notizia della morte di Gabriele. Era tutto iniziato da lì.
-Chiara, la tua proposta sembra funzionare. Ma è ancora troppo presto per trarre conclusioni. Aspettiamo ancora un paio di giorni. Vediamo cosa succederà. Ora fatti una bella dormita, Chiara. Ne hai bisogno. Buonanotte.-
-Buonanotte.-
Spensi il tablet con sollievo. Era mezzanotte.
Avevo una voglia così di dormire che non potevo immaginare neppure io.
Aprii la porta che collegava la mia camera a quella di Dani e posizionai il diario proprio sul comodino accanto al suo letto. Lei stava già dormendo.
Daniela… mi stava dando le spalle, ma sperai che quella notte non avesse i suoi soliti incubi.
Lo avrei scoperto la sera seguente.
Distrutta, mi buttai sul letto. Mi addormentai subito.
   
 
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