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Autore: theprophetlemonade_    21/08/2017    1 recensioni
«Alexander, non ti spaventa — dice Magnus alla fine — sapere che puoi provare dei sentimenti così forti per qualcuno che una parte di te ancora crede di conoscere a malapena? Perché a me spaventa da morire. Qualcuno che un giorno spunta nella tua vita, all'improvviso, e ti lascia senza alcuna possibilità di scelta a riguardo».
Alec incontra, nello specchio del suo bagno, un uomo che afferma di essere dall'altra parte del mondo. Da quel momento in poi la situazione s'impenna.
[Malec + Sense8 Clusters!AU → NON È NECESSARIO CONOSCERE SENSE8 PER POTER LEGGERE LA FIC]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Clary Fairchild, Jace Wayland, Magnus Bane, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note della traduttrice:

Sono tornata! 
Oddio, in realtà sono piuttosto traumatizzata da questa cosa: i giorni di vacanza sono volati, si stava benissimo e non sono pronta a riprendere la vita di tutti i giorni. Prima di mettermi a studiare, però, ho preferito placare la vostra sete di conoscenza lasciandovi il quarto capitolo, in cui finalmente scopriamo qualcosa in più sul nostro affascinante e magnetico Magnus... 
Come al solito, a costo di sembrare ripetitiva: grazie mille a chiunque abbia dedicato un po' del suo tempo a questa storia, a chi si è limitato a leggere, a chi ha recensito, a chi l'ha messa fra le seguite/preferite/ricordate. Grazie a tutti, davvero! Ora vi lascio, buona lettura, buona giornata e a giovedì! 
Baci, 
Starsfallinglikerain.


 
Capitolo 4
 

Sono passati sei mesi da quando Alec ha incontrato Jace nello specchio del suo bagno. In qualche modo, sembra un tempo più lungo. È come se queste persone fossero state con lui per tutta la vita.
Non sopporta ammetterlo, ma tiene a loro. È arrivato al punto di preoccuparsi per loro. Prova un'ondata di orgoglio quando Clary gli racconta di essere stata inserita in una galleria d'arte a Vancouver; sente la curiosità solleticarlo quando scorge le placide occhiate che Jace e Simon si scambiano quando pensano che nessuno li stia osservando; si fa spazio la domenica mattina per starsene seduto tranquillo e lascia che i sermoni di Raphael vaghino fra le miglia che li separano, cullando il calore del cocente sole messicano.
Si ritrova ad essere curioso riguardo agli altri: Maia — una barista a Tokyo — e Lydia — un'imprenditrice a Sydney che gestisce conti in banca che i genitori di Alec fisserebbero imbambolati — e Magnus.
Magnus è un rompicapo, da ciò che Alec ha intuito. Sembra che voli ovunque, a detta degli altri.  Una settimana è a Jakarta, quella dopo a Barcellona, quella dopo ancora forse a Buenos Aires.        
«Magnus dove vive?» chiede a Simon un giorno, quando la curiosità ha la meglio su di lui. Non vuole sembrare coinvolto, ma immagina che Simon non sia il tipo da prenderlo in giro per questo. Tuttavia, fa comunque marcia indietro. «Voglio dire, me lo stavo solo, uhm, chiedendo».
Simon tace per un secondo mentre riflette, aggrottando la fronte.
«Sai una cosa? In realtà non lo so» dice, con fare pensieroso. «È strano, non trovi? Mi sento come se fosse un qualcosa che dovrei sapere, ma ecco, Magnus non l'ha mai detto. L'ho visitato a Shangai, ad Abu Dhabi e a Parigi, veramente — è stato figo. Viaggia per lavoro, suppongo. Clienti? Dev'essere bello essere così ricchi —  vorrei avere così tanti soldi, perché magari allora non dovremmo dormire nel bus con cui andiamo in tour — anche se veramente è un van, non mentirò a riguardo — ogni altro...».     
Simon blatera e Alec non gli presta attenzione, i suoi pensieri scivolano da qualche altra parte mentre la bocca di Simon corre.  
Alec è un po' geloso di Magnus. Non per tutti quei viaggi, ma perché gli altri sono capaci di andare con lui ovunque egli vada. Sembra... divertente, osa ammettere. Si vantano di spiagge dalla sabbia bianca e montagne piene di neve e cibo buonissimo, e Alec vuole davvero... condividere tutto ciò, con loro.
Tutto ciò che ha è il pensiero di migliaia di miglia fisiche che intercorrono fra sé ed un uomo di cui non conosce nemmeno il tono di voce. Probabilmente è raccapricciante.            
Cristo, ascoltatelo. Non sembra nemmeno lui.         
Magnus è un avvocato. Questa è un'altra cosa che Alec ha intuito ascoltando gli altri. È un avvocato per le libertà civili che lavora su molti casi di diritti umani d'alto profilo e apparentemente è molto bravo in quello che fa. Ciò si estende anche oltre all'aula del tribunale. Quando gli altri hanno una domanda, vanno da lui. Offre compagnia al quieto Raphael e dà consigli al vivace Simon. Manda dei soldi a Maia quando è in difficoltà a pagare l'affitto, dà consigli a Lydia sugli affari particolarmente difficili nascosti nei contratti di centinaia di pagine che passano dal suo ufficio. Asseconda Jace, il che fa praticamente di Magnus il nuovo migliore amico di Alec, anche se questo Magnus ancora non lo sa.        
Alec non conosce Magnus, ma sa che Magnus è gentile. E la gentilezza — la clemenza, la delicatezza — è un qualcosa che Alec sa che valorizza. Alec lancia frecciatine a Simon e ignora Clary e alza gli occhi al cielo a causa di Jace ed è generalmente il bastardo più cazzone che conosca, ma la lealtà, la compassione, l'empatia... quelli sono tratti nobili.
«È perché ci è già passato» spiega Clary, una notte. Alec sta guidando la macchina per tornare al distretto, avendo lasciato che Raj marinasse per andare ad un appuntamento, e di conseguenza si sente a suo agio ad avere questa conversazione con Clary, seduta sul sedile del passeggero. La notte è buia e brillante e chiunque per la strada sarà troppo ubriaco o troppo frastornato per notare un poliziotto che parla da solo nella propria auto. «Non siamo il suo primo cluster, ne aveva un altro prima di noi».        
«Funziona così?» chiede Alec, dubbioso, anche se non è che non sappia proprio niente su come funziona.
Clary fa spallucce, portandosi i capelli dietro un orecchio mentre guarda fuori dal finestrino e osserva il centro di New York sfrecciare via, tutto luci brillanti e taxi gialli. Sembra a casa qui, ma Alec non lo dice.
«Ha perso il cluster che aveva prima di noi. Sono morti, o —». Sospira pesantemente e Alec avverte un peso sul petto, assorto ed obsoleto e decisamente non suo. O parzialmente suo, ma la tristezza che s'irradia dal suo interno non è sua. «Sono stati uccisi. Ci sono — Ci sono un sacco di cose che stanno succedendo, Alec. Di solito Magnus è quello che spiega tutto questo a ognuno, ma — ci sono persone là fuori che danno la caccia ai cluster, come il nostro. E fanno loro del male».         
«Al cluster prima di noi è stata data la caccia?».     
«Sì. Magnus ne ha persi sei in questo modo e per un lungo periodo sono rimasti solo lui e Ragnor. Penso fosse il suo nome. Magnus non ne parla molto. Ma non c'è sempre bisogno di parlarne per sapere».  
«E Ragnor?». 
«È stato ucciso anche lui. Non molto tempo fa — cinque o sei anni fa, credo. Non siamo sicuri si tratti delle stesse persone, o se fosse solo una coincidenza, ma — ma Magnus pensa che si tratti di Valentine. Del Circolo. Ne è quasi certo».
Alec fa barcollare questa nuova informazione nella sua bocca, assaggiandone il sapore amaro sulla lingua. Si chiede, morbosamente, come debba essere sentirsi strappare via questa connessione e sentirla rimpiazzata dal silenzio. Dev'essere violento,  feroce e brutale. Si chiede se faccia male o se ci si senta... insensibili.
E poi si chiede come debba essere stato per Magnus avere una seconda possibilità. Doversi riabituare ad una vita banale e di silenzio, solo per percepire i colori sbocciare come fiori in una primavera tardiva dopo così tanti anni passati a riadattarsi al grigio.
«Magnus ti assomiglia un sacco, in realtà» commenta poi Clary, con un sorriso. «È protettivo. Con noi».
«Non sono protettivo con voi, ragazzi» borbotta Alec e Clary non risponde, ma il suo sorriso che aumenta è abbastanza per entrambi.       

 
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Magnus sa un sacco di cose sulla connessione e sul cluster, a quanto pare. Il che ha parecchio senso, se ci è già passato prima, pensa Alec. Simon ride e chiama Magnus il loro padre ufficioso e Raphael lo guarda male, rimarcando con fermezza che Magnus non dovrà mai essere definito il loro padre in nessun altro contesto d'ora in avanti.  
Jace racconta la storia di come, dopo aver incontrato per la prima volta Alec nello specchio, fosse stato visitato da Magnus, qualche ora dopo, che gli aveva spiegato con calma cosa stesse succedendo e aveva risparmiato Jace dall'avere un differito e vero attacco di nervi.         
Clary ricorda quel pomeriggio piovoso di Seattle quando Magnus era apparso camminando sotto il suo ombrello e si era lamentato di come stonasse con la sua giacca, visitandola per la prima volta, e avevano parlato fino a tarda notte riguardo al legame e dei pericoli e del peso di condividere i propri sentimenti con altri sette esseri umani.         
Raphael ricorda come Magnus sia stato il primo con cui si è connesso, vedendolo sul penultimo gradino della sua chiesa, un giorno dopo un sermone, e aveva fomentato il già sostenuto ego di Magnus chiedendogli se fosse un messaggero di Dio.    
Simon dice che Magnus fa del suo meglio per visitarlo durante le esibizioni. È sempre bello avere una faccia familiare fra il pubblico, spiega. Gli altri annuiscono e Alec si sente di nuovo strano, impigliato fra l'ondata di calore che tutte queste persone provano per Magnus e la gelosia per essere stato così lento a raggiungerli tutti.   
Alec si sente come se avesse una connessione con lui, con Magnus, a dire la verità con tutti loro, anche se non si sono incontrati. Perché è un non ancora. Il giorno sorgerà all'orizzonte presto e in un modo o nell'altro Alec sarà attirato da essi così come era stato attirato verso l'indelicato Jace, l'ingenua Clary, il pensieroso Raphael e l'insopportabile Simon.           
Maia e Lydia e Magnus lo stanno aspettando. Da qualche parte. Stanno aspettando lui.  
Essere desiderati è una cosa straordinaria.   

 
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Alec si sveglia, come al solito, alle tre del mattino con gli occhi assonnati.           
I sentimenti di qualcun altro si rimestano nel suo petto, e tuttavia la sua stanza è tranquilla e silenziosa, avviluppata in quella sezione più oscura della notte in cui potrebbe essere possibile che il mattino non giunga. Un'auto sfreccia veloce fuori, il fischio del tubo di scarico è come un coltello che squarcia la calma della notte: qualcuno che si affretta verso il luogo dove deve andare. Dei passi risuonano lievemente dal piano superiore, un vicino che ritorna a casa per la notte. Da qualche parte, lassù in cielo, c'è probabilmente un volo notturno in procinto di atterrare al JFK[1].           
Si chiede dove siano diretti — e da dove vengano. Immagina questo involucro di latta pieno di persone a trentamila piedi  sopra la sua testa, tutte con storie diverse, storie che non conoscerà mai. Si chiede se fra di loro ci sia un poliziotto. O un artista, o un avvocato. O se abbiano mariti, mogli, o genitori che si sono traditi. O se abbiano fatto i conti con la morte di una persona cara. O se abbiano abbandonato il proprio figlio omosessuale per mancanza di volontà di conoscerlo.           
Si chiede quante persone siano come lui, là fuori, da qualche parte.          
Il vento solletica la finestra, facendo sibilare il vetro; Alec riesce quasi a immaginare qualcuno bussare con le nocche dall'altra parte con un sorriso ed un ehi, andiamocene da qui.        
Guarda pigramente i contorni grigi e sfuocati della sua stanza divenire più nitidi. I suoi muscoli sono addormentati e lui è troppo comodo per muoversi. Cade più volte nel dormiveglia, non è certo di dove la realtà inizi e finisca. 
La sensazione nel suo petto non si smaterializza — ma va e viene ad ondate come il flusso di una marea. A volte Alec percepisce le sue profondità; altre volte percepisce le sue superfici, come la spuma di un'onda che si snoda sulla sabbia, senza alcun posto dove andare.        
Quel sentimento è blu: triste e nostalgico e forse ancora un po' solitario; è la stessa persona di prima, lo sa. Risuona con qualcosa che Alec detiene vicino al proprio cuore e batte con lo stesso ritmo circadiano.  Chiunque sia, sta pensando ad altri. Alla famiglia, agli amici, agli amanti. Storie. Alec è appassionato di storie, anche se sono tristi.            
«Ciao, uomo nella mia testa» sussurra all'oscurità. Spero tu stia meglio presto.

 
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Il fatto che a Jace piacciano Clary e Simon diventa sempre più evidente con il passare rapido dei mesi. Non è una crisi di coscienza come lo è stata la rivelazione della sessualità di Alec, ma Jace ha la tendenza a fare il melodrammatico quando vuole ricevere attenzioni. 
Il che, evidentemente, succede spesso.        
È alla fine di una settimana davvero lunga e davvero stancante, a causa dei doppi turni, che Alec si confronta con Jace a tal riguardo. Jace si era fatto vedere più del solito, occupando il sedile di Raj nell'auto quand'era fuori a prendere i caffè, o appollaiato sulla scrivania di Alec a giocherellare con le sue scartoffie, mandando all'aria il suo sistema efficacemente organizzato, o trascinando i piedi per l'appartamento di Alec, criticando le scelte televisive di Izzy, nonostante non potesse sentirlo.          
«Non puoi ignorarli per sempre» dice Alec con tono piatto, impassibile mentre Jace si tuffa sul divano con un braccio spiaccicato sulla faccia. Melodrammatico che non è altro.  
«Non so di cosa tu stia parlando».   
«Stai evitando Clary e Simon. Lo so, perché me l'hanno detto. Ripetutamente. È fastidioso».    
«Sembri Magnus» si lamenta Jace. Alec lo fissa con la sua occhiata più spietata.  
«Bene. Allora dovresti ascoltare me e Magnus».     
Jace si mette a sedere all'improvviso con una parolaccia, o cinque, mormorata a denti stretti. Alec alza gli occhi al cielo, ma fa il giro del divano per unirsi a Jace, offrendogli una birra. Jace la apre con i denti, sputando il tappo dall'altra parte della stanza. Alec fa del suo meglio per non reagire.          
«È come — perché devono essere entrambi, capisci? Pensavo che fosse okay se si fosse trattato solo di Clary, ma Simon le piace così tanto, quindi immagino si sia esteso attraverso il legame, e adesso sono in questa situazione —».           
Jace gesticola molto, usando le mani nello stesso modo in cui Alec le usa spesso. Alec sorseggia la birra (che sta bevendo per Jace, dovrebbe aggiungere), arriccia il naso al gusto e non dice nulla.          
«O forse è solo Simon» continua Jace. «Non lo so. È stupido. Non mi stupisco che Magnus dica che le relazioni all'interno del cluster sono narcisistiche. Cattive notizie. Ora lo capisco perfettamente». 
«Non lo so». Alec scrolla le spalle. «Di sicuro è una cosa più naturale, no? Innamorarti di qualcuno del cluster?».
Quando Jace lo guarda incuriosito, Alec sente questa sicurezza iniziare a scemare.          
«Voglio dire — È solo — Sai. Se sai così tante cose su una persona, se provi ciò che questa persona prova, sicuramente finisci per — Scordatelo. Dimentica tutto».    
Jace si lascia andare ad un sorriso sghembo e seducente.    
«Ci stai provando con me, Alec? Chi l'avrebbe mai detto che fossi un vecchio romantico del genere».  
«Ti piacerebbe».        
Jace è un ragazzo attraente, Alec non può negarlo. Né lo dirà a Jace, perché il suo ego non ha bisogno di essere fomentato nemmeno lontanamente. Alec l'aveva osservato abbastanza, specialmente quando Jace appare dopo un allenamento, sudato e senza maglietta, e Alec è solamente un umano, dategli tregua.
Ma Alec non è interessato a Jace in modo romantico. Forse gli ci sono voluti un paio di mesi per cogliere la distinzione, ma è contento del suo rapporto con Jace — qualcosa che si avvicina alla fratellanza, ad una costante, ad un punto di riferimento quando le cose, nella realtà di Alec, si mettono male — ed Alec è intensamente consapevole del fatto che c'è uno spazio che continua ad esistere nel suo petto che aspetta di essere riempito da quella persona.            
Non sa chi sia quella persona — e diavolo, forse saranno due persone, come nel caso di Jace — e non sa quando o persino se succederà mai, però —.    
Beh. Alec ha aperto la propria anima a quattro persone sinora,  quindi immagina di essere abbastanza versatile da sapere quando c'è ancora posto fra le sue costole da essere riempito. È triste, si chiede Alec per un istante, vivere nell'attesa di qualcuno che non è nemmeno sicuro esista?   
Non è un sentimentale, ma — gli è concesso desiderarlo. Gingillarsi nel pensiero di innamorarsi. A pensare al futuro perfetto, in cui torna a casa alla fine della giornata con un bacio sulle labbra e un sorriso genuinamente felice di vederlo. Alle volte è difficile credere persino a un qualcosa di così semplice, ma gli ci è voluto davvero del tempo per arrivare a questo punto da solo, con le sue forze. Dove riconosce il fermento nel suo petto come un desiderio e non si odia immediatamente per questo.     
Come può mancarti qualcosa che non hai nemmeno mai conosciuto?       
«È un peccato. Non sei male da osservare. Potrei decisamente dimostrartelo. Con il giusto incentivo».
«Mi lusinga. Grazie».
Jace fa ondeggiare le sopracciglia e Alec lo colpisce su una spalla, e poi entrambi scoppiano a ridere — il che è grandioso. Davvero, davvero grandioso.     
«Anche Magnus pensa che tu sia bellissimo, sai» commenta poi Jace, una volta che la loro risata si è placata. Alec solleva le sopracciglia, impassibile.   
«Mh mh. Come no. Non ci siamo nemmeno mai visti».      
«Sì ma —». Jace scuote le spalle. «Perché sembri così diffidente? Dannazione, Alec. Gli abbiamo parlato di te un sacco. Alto, moro e bellissimo. Il suo tipo, per farla breve».           
Alec percepisce il calore divampare sul suo volto; si distrae di nuovo con la birra, prendendone un lungo sorso. È fin troppo amara nella sua gola. Non è un fan di questo genere di conversazioni; si sente sempre troppo impacciato per esse.   
«— ma come ho detto in precedenza» aggiunge Jace velocemente. «Stalking su Facebook. Una cosa fantastica».
Alec lo colpisce di nuovo sulla spalla.          
«Spero che Simon e Clary ti diano entrambi il due di picche».       
«Ingiusto!».
La risata di Jace e l'esasperazione di Alec muoiono entrambe nelle loro gole mentre qualcuno appare nella stanza davanti a loro; una giovane donna, dalla pelle scura e ricci capelli arruffati, l'arancione della sua maglietta scollata è brillante contro la sua carnagione. Ha un cipiglio stampato in faccia, la sua espressione è come un tuono.          
Questa è Maia. È divertente come Alec non debba mai chiedere il nome, anche se glielo dicono. In qualche modo, sa.      
Alec sa anche che a Jace non piace particolarmente Maia. O, quantomeno — hanno un rispetto forzato l'un per l'altra, ma Jace si lamenta un sacco di lei ed evidentemente finiscono per scontrarsi ogni volta che si visitano. Alec vuol dire qualcosa a riguardo di una vena di testardaggine, ma non è proprio il tipo che può permettersi di parlare.          
Come tale, Alec si chiede rapidamente perché Maia sia venuta qui, da Jace, sempre se è il caso.
Finché non realizza che no, non è questo il caso. È venuta da lui. Jace semplicemente si trova lì nello stesso momento.
«Sei Alec, giusto?» dice, saltando qualsiasi presentazione. Il suo tono è chiuso. Nervoso. Mette Alec sull'attenti, si tira su a sedere sul divano.    
«Già» dice. «Maia?».
Annuisce bruscamente, guardando oltre la sua spalla qualcosa che Alec non può vedere, ma Jace chiaramente sì. Jace si irrigidisce, mettendosi seduto a sua volta.            
Qualcosa di molto simile alla rabbia si affila nei suoi occhi. È pericoloso.
«Quell'uomo ti sta seguendo?» chiede Jace, voltando il capo verso Maia. Alec è confuso, guarda l'uno e l'altra. «Hai bisogno di aiuto?».    
«So badare a me stessa». Maia si prende gioco di Jace, ma poi i suoi occhi si spostano di nuovo su Alec. «Sei un poliziotto, no?».        
«Sì» risponde Alec.   
È la prima volta che Alec lascia New York. Ha sentito tutti questi altri luoghi gocciolare attraverso le crepe nella sua realtà recentemente — musica a tutto volume che scorre sotto la sua pelle, il profumo di foreste e di spazi aperti che non appartengono alla città, flash di luci al neon colorate e brillanti nella penetrante luce diurna — cose del genere.           
Ma ognuno è sempre venuto da lui. Lui non va mai da loro.          
Fino a che non sbatte le palpebre e d'improvviso il cielo è scuro, il suo divano è scomparso ed è all'aria aperta in qualche sudicio vicolo, le luci intense di Tokyo sono un rosa e un viola che lo stordiscono. Sente i clacson strombettare e gocce di sudore sotto il calore umido che appiccica la sua pelle, e percepisce l'alcol che se ne va nell'aria, un cocktail scadente con le esalazioni dei tubi di scarico delle automobili. Per un istante è inghiottito da innocente meraviglia e sa che i suoi occhi castani brillano per il riflesso delle brillanti luci al neon rosa sopra alla sua testa e sulle pozzanghere sull'asfalto. Vuole toccare tutto, come una falena con una luce a gas, inesplicabilmente attratto dall'impossibile. È qui. È davvero... qui.     
Maia si sta allontanando da Alec, i suoi passi riecheggiano — clap clap clap — mentre percorre velocemente il vicolo, ma dà un'occhiata oltre alla sua spalla e lo vede, qualcosa nella sua espressione esita.
Non smette di camminare, ma quando Alec si volta capisce perché. Un uomo svolta nel vicolo e Alec capisce. Ha visto già fin troppi uomini del genere e ha visto ancor più volte cosa succede quando le cose vanno male. Orribilmente. Affronta quella scena del crimine quasi una volta a settimana al lavoro e una parte di lui si aspetta sempre di trovare qualcuno che conosce. Un picco di rabbia infiamma il suo petto, e sa di Jace, e anche di Maia, ma è soprattutto sua. È il tipo di  furia più lucida che abbia mai provato, pensa.
«Ehi» dice all'uomo che si sta avvicinando — e non è del tutto sicuro di come funzioni:  immagina di essere lui, nel corpo di Maia, che fa da portavoce, anche se Alec stesso ancora vede Maia come qualcuno di separato. La logistica delle connessioni psichiche è l'ultima delle sue preoccupazioni: in qualche modo sta parlando in, cosa, giapponese? E, cosa più importante,  quest'uomo che sta seguendo Maia è visibilmente ubriaco, barcollante, e non ha sentito Alec — o Maia. «Ehi» dice di nuovo Alec, più energicamente. L'uomo barcolla verso di lui e Alec — o Maia — stende le braccia e lo spinge via. «Va' a casa».       
Alec non riesce davvero a comprendere ciò che l'uomo dice — è un mezzo biascichio comunque — ma sicuramente coglie il suo sguardo. Non è uno sguardo che Alec può dire di aver mai ricevuto prima, ma sa che Maia sì, l'ha ricevuto. Riesce a percepirlo.           
«Ogni donna l'ha ricevuto» commenta Maia, improvvisamente al suo fianco, nella sua testa, da qualche parte.
Nel suo tono c'è la clamorosa, sconfitta amarezza del non di nuovo.          
L'uomo ubriaco tenta di afferrare Alec — o Maia — ma Alec lo scansa facilmente, agguantando il suo polso e tirandogli il braccio — forte. L'uomo strilla quando Alec lo trascina al suolo, inchiodandolo all'asfalto con un ginocchio fra le scapole mentre gli torce un braccio dietro la schiena. L'uomo piagnucola per il dolore, la sua guancia gratta contro il calcestruzzo. Lotta, agitando le braccia e cercando di colpire Alec, che lo sbatte contro il suolo con più forza.       
«Non la seguirai fino a casa di nuovo, mi hai sentito?» sibila Alec — e ora lo sente nella voce di Maia, feroce fra le sue labbra. La rabbia e la furia e lo scontento infiammano ardenti il suo petto. «Chiamerò la polizia se ti avvicinerai ancora a lei».  

 
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Alec non dorme quella notte. Guida attraverso la città, diretto al poligono alla centrale, e affonda munizione dopo munizione su un bersaglio di carta finché il suo sangue non la smette di ribollire e i suoi denti non la piantano di digrignare. L'agente della sicurezza notturna gli lancia un'occhiata, ma Alec sta sobbollendo, e chiaramente l'ufficiale non desidera che gli vengano spezzate le dita. Alec non viene interrotto ed è quasi l'una del mattino quando torna a casa. L'appartamento è silenzioso e Izzy se n'è andata a letto da un po', la cena che gli ha preparato è coperta dalla carta stagnola nel frigorifero. Le dà un'occhiata veloce, dubbioso, prima di afferrare una mela che però non doma il brontolio del suo stomaco. Si spaparanza sul divano e affonda nel rumore biancastro e nebuloso della televisione notturna, il volume è così basso che riesce a malapena a distinguere le parole. Le luci del salotto sono spente e la tv dipinge i mobili con il suo bagliore d'irrealtà, gessoso e grigio-verde.        
Quando i suoi occhi fanno per chiudersi e la spirale nella sua pancia inizia a rilassarsi si trascina nella sua stanza, cadendo di peso sul letto e affondando la faccia nel cuscino con un grugnito. Il suo letto non sembra quasi il suo letto, anche se le lenzuola profumano del detersivo per il bucato che ha comprato Izzy e la molla allentata del suo materasso continua ad affondargli nella schiena. Non riesce a mettersi comodo, si gira e si rigira come se ci fosse un prurito che  si muove freneticamente su e giù per la sua spina dorsale. Continua ad annusare Tokyo; riesce ancora a sentire l'umidità sulle sue labbra; non smette di muoversi sotto il sottile strato di sudore sulla sua nuca; avverte il proprio battito cardiaco compresso nella gola nel ripensare a quando ha spinto a terra l'uomo e poi l'ha osservato strisciare via, balbettando, con le mani che annaspavano a terra alla ricerca di un appiglio.
Vede ancora Maia annuire, silenziosa ma sicura, e poi Jace apparire dal nulla con un sorriso di vittoria e dargli una pacca sulla spalla, trionfante. Sente ancora il proprio corpo che minaccia di collassare, dopo il picco d'adrenalina. Continua a vedere quel vicolo buio che tremola nelle ombre assolate del suo appartamento, e tutto d'un tratto è di nuovo solo.    
Una parte di lui si sente bene. Alec si sente sempre bene  quando fa il suo lavoro come si deve, quando prende a calci in culo qualcuno che se l'è meritato, quando arresta qualcuno che fa del male, quando protegge le persone. Forse è il suo istinto da fratello maggiore, o forse è la necessità di soddisfare gli altri inculcatagli dai suoi genitori, o forse c'è molto altro. Ora sente un dovere nei confronti di queste persone all'interno della sua testa, e questa parte di lui prova qualcosa di simile all'orgoglio nel sapere che possono contare su di lui quando hanno bisogno d'aiuto. Che vogliono contare su di lui. Che sa esserci per loro.
Ma una parte di lui si sente male. Vuoto, miserabile, inutile in un certo senso. È una cosa straordinaria sentirsi così superfluo quando ha così tanti mondi a disposizione: forza, abilità, lingue; il calcio volante di Jace, l'occhio di Clary per i dettagli, le mani da musicista di Simon; i sentimenti, la razionalità e l'empatia dietro a cui si è affinato.     
Quando chiude gli occhi pensa a Maia, a Jace, e poi a tutti gli altri. Cerca di chiamarli. Cerca di portare se stesso dove si trovano. Non funziona. Non riesce ad attivarlo e disattivarlo come fa Jace, saltellando da un posto all'altro, ovunque voglia. Non è in grado di apparire e chiedere aiuto quando lo necessita, come Maia. Non riesce semplicemente ad aprire gli occhi ed essere a Londra, Seattle, in Messico, a Berlino o Tokyo. È sempre qui. Bloccato qui.     
Borbotta fra sé e sé. Sente che dovrebbe essere possibile — e lo è, infatti, e riesce ad immaginare il come come un qualcosa di fisico fuori dalla sua portata, qualcosa che non riesce ad afferrare, per quanto si allunghi nell'oscurità.           
Tipico. Tipico. Ovviamente doveva essere lui quello che non è bravo con le connessioni psichiche.
 



Note:
 
[1] John F. Kennedy International Airport. È l'aeroporto internazionale situato a Long Island, a sud-est di New York. È il principale scalo aeroportuale della metropoli, nonché una delle principali vie d'accesso agli Stati Uniti.
   
 
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