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Autore: FrancescaPotter    24/08/2017    1 recensioni
Long sugli ipotetici figli delle coppie principali di Shadowhunters (Clace, Jemma e Sizzy), ambientata circa vent'anni dopo gli avvenimenti di TDA e TWP. TWP non è ancora uscito al momento della pubblicazione, e nemmeno l'ultimo libro di TDA; questa storia contiene spoiler da tutti i libri della Clare fino a Lord of Shadows, Cronache dell'Accademia comprese.
Dal quarto capitolo:
"Will abbassò il braccio e distolse lo sguardo, ma lei gli prese delicatamente il polso. «Lo sai che puoi parlarmi di qualsiasi cosa, vero?» gli chiese, morsicandosi inconsapevolmente il labbro inferiore. Era una cosa che faceva spesso e che faceva uscire Will di testa. «So che è George il tuo parabatai» continuò abbassando la voce, nonostante non ce ne fosse bisogno perché George era concentrato sul suo cibo e Cath stava leggendo qualcosa sul cellulare. «Ma puoi sempre contare su di me. Mi puoi dire tutto. Lo sai, vero?»
Will sospirò. «Lo so, posso dirti tutto».
Tranne che sono innamorato di te."
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Clarissa, Emma Carstairs, Izzy Lightwood, Jace Lightwood, Julian Blackthorn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Rinnovo l'avviso: SPOILER da Lord of Shadows (Signore delle Ombre, che uscira a settembre in italiano) 
 
Capitolo Tre
 
La mattina seguente Holly sembrava non aver più alcuna preoccupazione al mondo. Aveva mangiato i suoi pancake annegandoli di cioccolato come ogni venerdì e se n’era andata nella sua camera a disegnare con le matite colorate che le avevano regalato per il compleanno.
Rose, al contrario, era inquieta e non riusciva a smettere di pensare a quanto accaduto la sera prima.
L’incubo era lo stesso, Rose ne era più che convinta. Lei, Holly e loro padre morti, i loro corpi mutilati e ricoperti di sangue, l’unica viva loro madre che piangeva e si copriva il volto con le mani.
Rose non aveva toccato cibo quella mattina: si sentiva male, lo stomaco chiuso, la bocca impastata come se avesse ingerito del gesso, tanto che Julian aveva finito di lavare i piatti e lei era ancora seduta al tavolo con metà dei suoi pancake davanti a sé
«Non stai bene, Rose?» le chiese lui, sedendosi vicino a lei. «Vuoi del tè?»
Rose scosse il capo e non disse niente. Si sentiva una stupida perché sapeva che si trattava solo di un sogno, che non era reale, eppure non poteva fare a meno di continuare a riviverlo nella propria mente.
Emma stava in piedi davanti al frigorifero con aria assonnata. «Tu e le tue origini inglesi» borbottò tra sé e sé mentre si versava un bicchiere di succo d’arancia. Si voltò verso di loro e rivolse a Rose uno sguardo preoccupato. «Se Jace ti ha avvelenato, mi sentirà».
Rose non poté fare a meno di sorridere. «No no, non è colpa sua. Cucina bene».
«Ci sarà mai una cosa che gli Herondale non sanno fare?» continuò sua madre pensierosa. Julian arricciò il naso e la guardò storto.
«Mamma!» esclamò Rose, la cui mente era volata direttamente a Will senza che lei potesse fermarla.
«Che c’è? È vero! E Will è sulla buona strada, somiglia a Jace da giovane».
Jace e Clary erano molto famosi nel mondo degli Shadowhunters –prima ancora che lo diventassero Emma e Julian- e Jace veniva definito il miglior guerriero della sua generazione. Quando Emma aveva dodici anni, e Jace diciassette, aveva avuto una cotta per lui, che però non era durata per molto tempo.
Bleah, pensò Rose. Non che Jace fosse brutto, anzi, se da giovane somigliava davvero a Will come tutti dicevano… be’, Rose non poteva certo biasimare sua madre. Però erano così simili che Rose sospettava che se mai fossero davvero usciti insieme non sarebbero sopravvissuti al primo appuntamento.
«Allora potete trasferirvi tutte a New York» disse Julian, fingendosi offeso. «Dato che gli Herondale sono così fantastici».
Emma gli fece una linguaccia e Rose sentì un vuoto all’altezza dello stomaco al pensiero di dover vivere senza di lui per davvero. «No» disse semplicemente, gli occhi che bruciavano. Le era tornato in mente l’incubo che aveva avuto la notte precedente, in particolare l’immagine di suo padre a terra agonizzante. 
«Rose» la chiamò lui. «Sicura che non debba chiamare un Fratello Silente?»
Le mise una mano sulla fronte per sentirle la temperatura e per poco Rose non singhiozzò.
«Ho fatto un brutto sogno stanotte» confessò di getto. «Eravamo tutti morti, tranne la mamma. È stato terribile, terribile. E Holly ha avuto lo stesso identico incubo»
Emma fece un verso strano e si portò una mano tremante alla bocca.
I suoi genitori si scambiarono un’occhiata veloce che valeva più di mille parole. Rose spesso si era ritrovata a chiedersi se tutti i genitori fossero in grado di farlo –di comunicare senza usare le parole- o se era una cosa che era rimasta a loro come residuo del legame parabatai.
«Cosa?» Rose raddrizzò la schiena e spostò lo sguardo dall’uno all’altra. «Cosa c’è?»
Emma era diventata dello stesso colore di un panno sporco e Julian fu al suo fianco nel giro di una manciata di secondi. Le prese la mano e Rose lo vide tracciarle delle lettere sul polso con l’indice.
«Odio quando lo fate!» sbottò, sbattendo una mano sul tavolo. Normalmente non si sarebbe comportata in quel modo, ma la notte in bianco e la paura si stavano facendo sentire.
I suoi genitori la guardarono confusi e lei continuò: «Quando vi scrivete sulla pelle. Voglio sapere che cosa vi state dicendo! Non sono Holly, sono quasi un’adulta ormai».
Julian lasciò andare la mano di Emma e la guardò negli occhi. «Va tutto bene, Rose. Era solo un sogno».
«E allora perché sembra che la mamma abbia appena visto un fantasma?» chiese Rose, indicando sua madre con la mano. Ma quando puntò di nuovo gli occhi su di lei sembrava stesse bene, la sua espressione ora era tranquilla, rilassata quasi.
«Ha ragione tuo padre» le sorrise e poggiò il bicchiere sul tavolo. Non stava tremando più. «Era solo un incubo. Può succedere».
Rose era furiosa perché sentiva che c’era qualcosa che non le stavano dicendo. «Bene» disse. «Continuate a tenermi all’oscuro».
«Qualcuno è nervoso questa mattina?» Rose voltò il capo di scatto, sul punto di lanciare la forchetta che aveva in mano, ma si bloccò quando vide suo zio Kit sulla soglia della porta con Holly al suo fianco.
Rose incrociò le braccia al petto. «No, sto benissimo. Mi trattano solo come una bambina».
«Tecnicamente lo sei ancora» intervenne zio Ty, che era appena comparso di fianco a Kit. «Almeno fino al 26 Ottobre».
Ty era lo zio preferito di Rose –zio Mark non doveva assolutamente venire a saperlo- e Rose si illuminò quando lo vide, nonostante in quel momento non fosse dalla sua parte.
«Sto imparando a programmare» gli disse, dimenticandosi dei sogni, di essere arrabbiata con i suoi genitori, di tutto.
Ty le sorrise. «Tra poco sarai tu a dover insegnare a me».
Ty era il responsabile dell’istruzione dei ragazzi all’Istituto, mentre Kit si occupava del loro allenamento fisico. Holly era troppo piccola per imparare ad usare delle vere e proprie armi, ma spesso Kit la portava nella palestra a giocare con delle spade di legno con le punte smussate.
«Ho trovato questa qui in giro per i corridoi con ben due barrette di cioccolato in mano» spiegò Kit riferendosi a Holly, che seppellì il viso contro il suo fianco come a volersi nascondere.
«Holly!» esclamò Emma. «Quante volte ti ho detto che il cioccolato non si mangia dopo i pasti?»
Holly borbottò qualcosa e Rose si mise a ridere, ma venne subito fulminata da suo padre.
Julian allungò una mano verso Kit. «Dalle a me, gliele nascondo sulla mensola alta».
«Ne ho sequestrata una e abbiamo fatto metà per uno dell’altra». Kit ghignò, porgendo a Julian una barretta di cioccolato al latte. «Vero, Holly?»
Holly alzò il capo e sorrise, le mancavano due denti davanti ed era così carina che Rose si chiedeva come i suoi genitori potessero davvero essere arrabbiati con lei.
Julian gli rivolse un’occhiata perplessa, come se stesse decidendo se lasciar correre o rimproverare sia zio Kit che Holly, ma Emma lo precedette.
«D’accordo». Si mise le mani sui fianchi ed era evidente per Rose che stesse cercando di non mettersi a ridere. «Adesso sparite dalla mia vista prima che butti via tutto il cioccolato che abbiamo in casa».
«No!» si lamentò Holly, gli occhi pieni di lacrime.  Sua madre amava il cioccolato quasi quanto Holly e Rose sapeva che non lo avrebbe mai fatto, ma sua sorella pareva davvero spaventata.
«Andiamo a giocare con Livvy, va bene?» propose Ty, posandole una mano sulla spalla.
Ty e Kit avevano adottato Livia quando era appena nata. La madre era morta dandola alla luce e non c’erano notizie del padre, perciò Ty, che si trovava a Idris al tempo, era tornato a casa con la bambina in fasce, proponendo a Kit di adottarla.
Holly annuì, un po’ triste per la minaccia di Emma, e Kit e Ty la portarono via, lasciando Rose in cucina con i suoi genitori.
Julian fece per dirle qualcosa, ma Rose poggiò la forchetta sul tavolo e se ne andò, sbattendo la porta dietro di sé, ancora arrabbiata con loro.
 
Rose continuava a pensare all’incubo e alla discussione avuta con i suoi genitori. Aveva passato il resto della mattinata in spiaggia, correndo lungo la riva e tuffandosi nel mare ogni tanto. Quando era tornata all’Istituto aveva mangiato la pasta lasciata da suo padre, cercando però di evitare i suoi genitori e riuscendo nell’intento.
Si era fatta una doccia e si era infilata un paio di pantaloncini della tuta e una maglietta sformata, per poi aprire l’armadio e decidere cosa indossare quella sera. Dopo un’attenta analisi, aveva ridotto la scelta a due vestiti, che aveva gettato sul letto e che ora stava fissando con estrema attenzione. Uno era azzurro, stretto sotto al seno e lungo fino alle caviglie, l’altro era rosso e le arrivava al ginocchio.
I capelli le si stavano pian piano asciugando da soli, arricciandosi in morbidi boccoli sulle punte. Era autunno ormai e, nonostante le giornate si stessero pian piano accorciando, il clima era ancora mite a Los Angeles, così che Rose non avrebbe avuto bisogno anche di una giacca.
Un problema in meno, pensò, mettendosi le mani sui fianchi e scrutando i due vestiti intensamente.
«Rose». Suo padre stava bussando piano alla porta. «Rose, posso entrare?»
«No» urlò lei, incrociando le braccia al petto. «Non puoi».
Julian sospirò e questa volta Rose si sentì in colpa. «Va bene» si affrettò a dire prima che lui se ne andasse. «Vieni pure».
Julian aprì la porta ed entrò nella stanza. Le si avvicinò senza dire niente e le si mise vicino, osservando anche lui i due vestiti con fare critico.
«Scelta difficile» iniziò. «Devo chiamare la mamma?»
Rose scosse il capo. «Mi piacciono tutti e due, ma non so decidermi».
Julian le sorrise e Rose si dimenticò di essere arrabbiata con lui. «Quello azzurro. E non lo sto dicendo perché è quello che copre più pelle. Ti mette in risalto gli occhi».
Rose arrossì un po’ ed alzò le spalle. «Sì, credo che metterò quello perché è lungo, almeno non si vedono le cicatrici sulle gambe».
«I tuoi marchi sono parte di ciò che sei, Rose». Suo padre la stava osservando con aria dispiaciuta. «Vorrei che fosse diverso, che tu non dovessi essere costretta a vivere questa vita fatta di sofferenza e perdite, che potessi andare all’università e imparare tutto quello che c’è da sapere sui computer, ma…»
«Lo so» lo interruppe lei. «Sono una Shadowhunter. Non vorrei essere qualcos’altro. Ne sono fiera, sul serio».
Julian la guardò con occhi grandi. Fece per dire qualcosa, ma sembrò cambiare idea.
«Me la ricordi così tanto» sospirò infine, e Rose sentì il dolore nelle sue parole.
«Zia Livvy, intendi?» chiese piano lei, sapendo già la risposta.
Livia era stata la sorella di suo padre e la gemella di zio Ty. Era morta, era stata assassinata durante la guerra contro la Corte Unseelie avvenuta prima che lei nascesse. Spesso i suoi parenti le avevano detto che le somigliava, però Livvy era un argomento alquanto tabù nella loro famiglia, perché Rose vedeva la sofferenza negli occhi di tutti quando parlavano di lei, anche a distanza di anni.
Julian annuì. «Non solo per l’aspetto. Voglio dire, anche lei era bellissima, ma era anche determinata, e coraggiosa, e intelligente. Come te»
Rose non sapeva bene come reagire. «Avrei tanto voluto conoscerla»
«Ti sarebbe piaciuta» disse Julian. Poi scrollò le spalle e indicò il vestito azzurro. «Metti quello, ascolta il tuo papà».
Rose si convinse e iniziò a pensare alle scarpe da abbinare. Escluse quelle con il tacco perché Logan non era particolarmente alto e optò per quei sandali argento che aveva appena comprato in saldo da Secret Planet.
Dovresti mettere le scarpe che vuoi senza pensare al ragazzo con cui esci, diceva la voce nella sua testa spaventosamente simile a quella di sua madre, ma lei la scacciò via.
«Lo sai che io e la mamma vogliamo solo che tu sia felice, vero?» disse ad un certo punto Julian, riferendosi a quanto accaduto quella mattina.
«Sì» rispose Rose, raddrizzando un po’ le spalle. «Ma voglio sapere quello che succede. Tra poco avrò diciotto anni e non potrete più trattarmi come la vostra bambina, sarò ufficialmente un membro del Conclave e voi…»
«Sarai sempre la nostra bambina» sussurrò suo padre, così piano che Rose credette di esserselo immaginato. Poi si passò una mano sul viso, come se fosse profondamente stanco. Aveva dei cerchi violacei sotto agli occhi che rendevano il loro colore ancora più intenso. Probabilmente aveva fatto tardi la sera precedente e aveva dormito poco, pensò Rose. «Era solamente un incubo, Rose, e la mamma era dispiaciuta che abbiate avuto un sogno tanto brutto».
«Ma…»
«Non è nulla» tagliò corto lui, poi le mise una mano sulla spalla e una sulla guancia. «Promettimi che non ci penserai più. Devi pensare al tuo appuntamento adesso, e a divertirti. Okay?»
Rose annuì, distogliendo lo sguardo.
«Vuoi che ti faccia le trecce?» le chiese poi lui, toccandole distrattamente i capelli. Julian faceva sempre le treccine a Rose e a Holly; d'altronde quando ti ritrovavi a crescere due sorelle più piccole dovevi per forza imparare a fare certe cose.
«No, grazie» disse Rose. «Li tengo sciolti questa sera».
«Certo» Julian le sorrise, un sorriso delicato, quasi nostalgico, e abbassò la mano. «Sarà meglio che vada ora, ho promesso a Holly che l’avrei portata nello studio a colorare».
Si avviò verso la porta e abbassò la maniglia, poi si voltò. «Buona serata. Promettimi solo che starai attenta».
«Io sono sempre attenta» replicò Rose, con una strana sensazione all’altezza dello stomaco.
 
Logan la stava aspettando davanti all’Istituto come d’accordo. Era appoggiato a uno dei pilastri del portico con le mani infilate nelle tasche e un’espressione rilassata sul viso. Indossava una camicia a maniche corte con una stampa floreale e un paio di pantaloni cachi che gli arrivavano al ginocchio. Era una sera piuttosto calda e soffiava una leggera brezza che gli scompigliava i capelli rossi.
«Rose» disse con un sorriso quando la notò. «Sei bellissima».
Lo stomaco di Rose si contrasse. Nessuno a parte i suoi familiari –e Jace- le aveva mai detto che era bella. Non che Rose si facesse complessi sul suo aspetto, ma era carino sentirselo dire dal ragazzo che ti piace.
Be’, non avrebbe potuto dire altrimenti, no? Si ricordò con una punta di cinismo.
«Grazie» gli rispose, scacciando quei pensieri dalla mente e cercando di comportarsi come una persona normale al primo appuntamento. Che cosa le aveva consigliato Cath?
Fagli anche tu dei complimenti e fingiti interessata a ciò che dice anche se in realtà preferiresti buttarti da uno scoglio.
«Anche tu stai bene» aggiunse, ed era vero. Logan era bello, non bello da far male come Will, ma bello in un modo più delicato e meno appariscente.
Decisero di andare a mangiare in un ristorante messicano in riva al mare. Rose di solito evitava la cucina messicana perché era abituata alle enchiladas di sua zia Cristina, però doveva ammettere che anche quelle che provò quella sera erano molto buone.
Alla fine della cena, era chiaro a Rose che Logan stesse cercando in tutti i modi di impressionarla. Siccome lui aveva diciannove anni, le aveva raccontato di quando era andato a Idris per prendere parte a una riunione del Conclave, incontrando così Simon Lovelace, che era stato Console per parecchio tempo ed era una figura di spicco nel Concilio. Rose gli aveva parlato precedentemente di Will e George e delle loro famiglie, ma Logan sembrava non aver collegato le cose e lei non glielo aveva fatto notare.
Aveva anche scoperto che era un surfista, e Rose odiava i surfisti, perché si credevano i padroni della spiaggia e non le permettevano di nuotare in santa pace. Ma non disse neppure questo.
«Ti ho già parlato del fatto che so tradurre due lingue demoniache?» le chiese poi lui, mentre si dirigevano verso il molo di Santa Monica.
Rose conosceva tre lingue demoniache e sua madre le aveva insegnato a imprecare in cinque. Ovviamente suo padre ne era all’oscuro. «Uhm, penso che tu lo abbia accennato prima».
Sì, lo aveva accennato prima.
Era ormai calta la sera e le luci del Luna Park brillavano frizzanti, creando un contrasto con l’oscurità del cielo e dell’oceano, che ora sembravano un tutt’uno indefinito. La ruota panoramica aveva sempre affascinato Rose, nonostante non ci fosse mai salita perché era un po’ spaventata dalle altezze. La metteva a disagio l’idea di stare sospesa nel vuoto e si domandava spesso come i mondani potessero prendere l’aereo in tutta tranquillità. Si era però ripromessa che prima o poi ci sarebbe salita –sulla ruota, non sull’aereo- perché doveva essere meraviglioso poter ammirare Los Angeles e le sue luci dall’alto.
Il molo non era molto affollato quel venerdì, complice il fatto che le giornate si stessero accorciando e facendo pian piano più fredde, e Logan e Rose riuscirono a raggiungere la sua estremità passeggiando tranquillamente.
«Qual è la tua arma preferita?» le chiese lui ad un tratto, appoggiandosi con la schiena al parapetto del molo.
Rose si affacciò alla ringhiera e guardò l’oceano davanti a sé, beandosi dell’odore del mare e dei suoi spruzzi sulla pelle. «Cortana».
Logan aggrottò le sopracciglia e parve non capire. «Cortana?»
«Sì» disse Rose. «È la spada di mia madre. E presto sarà mia».
«Ah, ma certo». Logan annuì, capendo di cosa stava parlando. «La famosa Cortana della famosa Emma Carstairs».
Cortana era una spada molto conosciuta nel mondo degli Shadowhunters, forgiata da Wayland il Fabbro con lo stesso acciaio e tempra di Gioiosa e Durlindana. Poteva tagliare qualsiasi cosa. Qualsiasi.
«Sono sicuro che la porterai con l’orgoglio di tua madre» disse Logan. «Anche se è una spada corta e non è molto pratica. Preferisco le spade angeliche».
Rose era felice che lui fosse sincero con lei, però le sembrava di star sbagliando qualcosa, perché di ogni cosa che lei diceva, lui pensava l’opposto.
Rose non capiva e sentiva gli ingranaggi del suo cervello lavorare per cercare una spiegazione al comportamento di Logan. Era normale? O non avevano molte cose in comune? Cosa doveva fare?
Certo che era normale, si disse, con una punta di panico che iniziava a farsi spazio nel petto. Si stavano conoscendo, era così che funzionava. Semplicemente Rose non era abituata a uscire con nuovi ragazzi: aveva sempre avuto solo George e Will, e loro erano i suoi migliori amici. Non aveva avuto bisogno di conoscerli perché ci era cresciuta insieme.
«Quindi di solito usi le spade angeliche?» chiese allora, voltandosi verso Logan e dando le spalle all’oceano.
«Già» disse lui. «Me la cavo anche con arco e frecce, ma preferisco le spade angeliche. Sono più comode e spaventano i demoni».
Il suo ragionamento non faceva una piega, e Rose si rese conto di aver preso troppo sul personale il commento su Cortana. Anche Will adorava le spade angeliche, come molti altri Shadowhunters. Era lei quella strana che preferiva una spada corta.
Qualcosa catturò l’attenzione di Rose. Aveva visto con la coda dell’occhio un’ombra aggirarsi tra i mondani, per poi scomparire dietro a un lampione. Sbatté le palpebre un paio di volte, ma era sparita. Aveva una forma umanoide e non sembrava un demone, ma Rose l’aveva intravista per così poco tempo che poteva sbagliarsi. Non si era disegnata alcuna runa quella sera, non pensava che ne avrebbe avuto bisogno, perciò la sua vista notturna non era particolarmente affilata in quel momento, e si convinse di esserselo immaginato.
«Credo sia meglio che vada». Si passò le mani lungo le braccia, sentendo improvvisamente freddo. «Mio padre non vuole che faccia troppo tardi».
Non era vero, Rose non aveva un coprifuoco da anni ormai, e non sapeva come mai stesse mentendo. Anche se doveva ammettere che l’ombra l’aveva fatta agitare un po’.
Stai facendo la paranoica, si rimproverò. Cercò di pensare razionalmente: se ciò che aveva visto fosse stata una minaccia, li avrebbe già attaccati. E poi non era una sprovveduta, aveva delle armi e il suo stilo con sé.
«Ma certo». Logan parve preso di sprovvista, ma si ricompose subito e le sorrise. «Non vorrei mai far arrabbiare Julian Blackthorn. Ti accompagno».
Rose si rese conto che sicuramente gli era sembrata una ragazzina che doveva ancora dar conto ai propri genitori.
Wow, brava. Si disse depressa. Tu sì che sai come fare colpo.
Sulla strada del ritorno, Rose si domandò se Logan fosse a conoscenza della relazione che sua madre e suo padre avevano avuto alla loro età. Chissà che tipo era Cameron e se era stato davvero innamorato di Emma. Rose si sentiva quasi dispiaciuta per lui perché sapeva che sua madre non aveva neanche un briciolo di tatto e che probabilmente lo aveva trattato in modo molto superficiale. Se poi non era una relazione seria, significava che…
O mio Dio. Rose si rese conto solo in quel momento che sua madre era sicuramente andata a letto con il padre di Logan.
Che schifo, che schifo. Rose, ma perché pensi a queste cose? Smettila immediatamente.
L’idea che i suoi genitori avessero avuto, e che avessero tutt’ora, una vita sessuale la faceva rabbrividire. Lei e Holly erano state trovate sotto a un cavolo. Era molto più semplice pensarla così.
Senza rendersene conto, erano arrivati davanti all’entrata dell’Istituto. Rose non capiva bene come si sentiva, provava tanti sentimenti tutti insieme e faceva fatica a separarli. Era contenta, certo che lo era, ma provava anche qualcos’altro: non aveva dimenticato l’incubo avuto la notte precedente, né la figura sul molo, e in qualche modo fu sollevata di essere di nuovo a casa.
«Grazie per la serata» disse a Logan. «Buonanotte».
Ma non fece in tempo a mettere il piede sul primo gradino che lui la prese delicatamente per un braccio e le mise due dita sotto al mento. «Aspetta, Rose. Lascia che ti saluti come si deve».
Posò le labbra sulle sue e Rose rimase immobile per una manciata di secondi, perché non se lo aspettava per niente.
Logan la attirò a sé e cercò di approfondire il bacio, e Rose glielo lasciò fare, aprendo la bocca e permettendogli di esplorarla con la lingua. Cercò di scollegare il cervello: gli accarezzò la base del collo, dove la pelle era più delicata e si incontrava con i capelli, e lo sentì sospirare sulle sue labbra. Logan si allontanò leggermente e la guardò negli occhi. Rose non aveva mai baciato nessuno e non sapeva se lo aveva fatto bene, ma lui sembrava soddisfatto e lei si rilassò.
«Ci vediamo domani?» le chiese, dandole un bacio a stampo.
Rose gli sorrise e annuì, pensando che allora l’appuntamento non doveva essere andato poi così male.
 
NOTE DELL'AUTRICE
Lo so, lo so, oggi non è venerdì, però questo weekend non potrò pubblicare e quindi ho anticipato a oggi. :)
Non ho molto da dire in realtà. Avete finalmente conosciuto Logan, a voi i pareri: meglio lui o Will? Penso di sapere già la risposta, ma chi lo sa... ahaha.
Nulla, spero che il capitolo vi sia piaciuto! 

A presto,

Francesca 
  
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