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Autore: Hikari_Sengoku    25/08/2017    2 recensioni
Ehilá, mi chiamo Hikari_Sengoku, e questa é la mia prima fanfiction su questo fandom. Ringrazio chiunque vorrá leggere e a maggior ragione dare il suo giudizio. Sono a conoscenza dell'usura del tema, ma vedere le cose da un'altra prospettiva é sempre una buona cosa, invito perciò alle critiche costruttive. Per questioni di trama, la storia si baserá unicamente sull'anime.
Cori é una ragazza italiana alle soglie della maturitá, con una famiglia particolare, un fratello scomparso che adorava ed un nonno pieno di misteri... Cosa potrá accadere quando da uno dei suoi anime preferiti pioverá letteralmente uno dei personaggi?
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Roronoa Zoro, Un po' tutti, Z
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Verso Fukuzoo

Penzolare da molli appendici carnose era stato solo l’inizio di una serie di disgrazie per Gabriele. Furioso e spaesato, era fuggito da quella maledetta che gli aveva rovinato la vita. 
Per finire addosso ad un uomo alto per lo meno due metri. Aveva lunghi capelli neri acconciati in una quantità infinita di trecce, così come i baffi e la barba, e vestiva come un becchino all’antica, con un grande cappello col pennacchio nero sotto braccio. L’omone aveva tuonato: “Chi osa urtarmi in questo modo?” poi l’aveva soppesato con quei suoi occhiacci neri. “Mmmh. Non male. Prendetelo!” berciò alla combriccola degli uomini intorno a lui, una massa di villici ignoranti che puzzavano uno più dell’altro di cipolla e fumo. Ebbe il tempo di girarsi, prima che tre di quei corpi grassi e sudaticci gli fossero addosso come belve feroci.
“Perché? Non ho fatto niente!” tentò di difendersi, disperato, dimenandosi nella stretta umidiccia di quei tre uomini dagli occhi porcini.
“Mi hai urtato. Sei fortunato ad avere un bel faccino e che io sia in carenza di merce, altrimenti invece di venderti ti avrei squartato” gli rispose quello che doveva essere il capitano prendendogli il mento fra pollice e indice. “Tutti alla nave, uomini! Si riparte per Sabaody!”

Il ragazzo venne gettato in malo modo sul ponte della barca, tra le risa dei marinai. “Aspetta qui, Principessa. Giusto il tempo di spiccare il volo e poi saremo tutti per te” gli annunciarono mettendolo ai ferri sul ponte.
“Maledetti bastardi! Ve la farò pagare!” urlò l’incosciente.
Risero di rimando quelli, dividendosi nei vari compiti. Terrorizzato, Gabriele strattonò e tirò. Aveva gli occhi spalancati per la paura. Ma non attese tanto, prima che il capitano tornasse. “Tempo scaduto Principessa. È arrivata l’ora del trucco!” gli annunciò l’omone aprendo le catene e trascinandoselo dietro, ignorando le sue indignate proteste ed i tentativi di fuga. “Sta buono, stupido cane” lo apostrofò l’uomo, buttandolo in una cella dove c’erano due massi di cemento.
“Legatelo” ordinò. Due uomini lo afferrarono e legarono i suoi polsi ai due blocchi, e poi le gambe a terra, gli strapparono la maglietta, scoprendogli petto e schiena.
“Vediamo… muscolatura evidente, aspetto gradevole, se non fosse per questo naso… che dici medico di bordo, glielo raddrizziamo?” rise l’uomo rivolgendosi ad un vecchio con la bocca cucita. Poi sferrò un pugno dritto sul setto nasale storto del ragazzo. “Voglio un bel lavoro, medicastro. Intanto io vado ad arroventare il marchio. Preparati, Principessa!” Gabriele gemette, e poi urlò, nell’estremo tentativo di divincolarsi. Inutile, perché il capitano ritornò, sbattendo il ferro arroventato sul pavimento a tempo. Poi senza preavviso, Il 
Dolore,
La Carne
Bruciata
Il Puzzo
Orribile
Della Pelle
Marchiata
A Vita.
Fu abbastanza da perdere i sensi, non seppe se per un minuto, un’ora o un giorno. Quando si svegliò, era stato slegato. Accanto a lui c’era solo il medico (lurido e sporco di sangue quanto il peggiore dei segaossa) ed una sguattera. Sul polpaccio della ragazza, spiccava violentemente IL marchio. Un teschio davanti a due piume incrociate, dentro un cerchio. La pelle della sua schiena tirava e bruciava, scottava e fremeva dalla voglia di vendetta. Le bende tirarono. Il ragazzo vomitò l’anima, sputò e: “
Sparisci”. Il medico comprese all’istante e se ne andò. La sguattera rimase lì a fissarlo con quell’odioso marchio. “Ho detto sparisci, stupida cagna!” urlò tirandole un secchio. Lo squittio delle suole sul pavimento bagnato di sangue non si fece attendere, seguito dall’eco del suono metallico del secchio contro la parete. E Gabriele fu solo.

La mattina dopo, la nave era avvolta dalla nebbia. La schiena bruciava ancora da impazzire, ma questo non aveva impedito ai suoi aguzzini di tirargli addosso uno straccio e rimetterlo in piedi a suon di sberle, dargli in mano uno scopettone e mandarlo a pulire il ponte insieme a quell’altra lurida stracciona. In silenzio, la ragazza puliva il ponte, cercando di stargli lontano il più possibile. Aveva provato ad avvicinarglisi, ed era stato un errore molto salato da pagare, perché era stata cacciata prima con gli insulti, e poi a suon di botte, quella stupida cagna remissiva. Dopo di che, Gabriele si era rifiutato di spostarsi dal punto in cui l’avevano lasciato quella mattina, senza che nessuno gli dicesse niente. Protetto dalla densissima nebbia, nessuno faceva caso a lui. La nave filava a gonfie vele, e si erano fatte già diverse miglia.
Era pomeriggio inoltrato, ed il ragazzo era digiuno da quasi due giorni, quando un faro illuminò il ponte. Dopo qualche minuto, un’enorme nave azzurra gli si fece incontro, ed un’uomo dalla prua gli gridò: “Chi invade le acque di Impel Down?”. Un secondo uomo gli sussurrò all’orecchio qualcosa, e l’espressione dell’uomo si raggrinzì. “Pirati! Prendeteli!”
Sulla nave pirata non c’erano più di una quindicina di anime, contando il medico, la sguattera e Gabriele stesso, e la nave in ricognizione non fece fatica a sbaragliarli. Il doppio, forse il triplo di uomini venne vomitato sul ponte della nave, e come fu, come non fu, pochi secondi dopo tutta la ciurma era in manette, compresi i prigionieri.
“Capitano Louis Cooke, detto il Marchiatore, noto schiavista, con una taglia di ben 40.000,000  berry. Deve essere il suo giorno sfortunato, Capitano Cooke, perché non solo ha preso la rotta sbagliata” un coro di risa accompagnò le parole del nerboruto marine “ma ha anche perso la sua merce. Immagino che questi due ragazzi non facciano parte della sua nobile ciurma, non è vero?” chiese retorico pizzicando con le grosse dita la guancia della ragazza e tirando uno schiaffetto a Gabriele.
“È vero, non facciamo parte della sua ciurma, Capitano!” gridò la ragazza rivolgendosi al marine. “Ci liberi, per favore!”
Il ragazzo rincarò: “Gli dia quello che si merita! È solo una sporca feccia pirata!”
Il Capitano Cooke in catene sputò, per poi ringhiare un: “Maledetti sporchi traditori!” ed una sequela di minacce ed imprecazioni che avrebbe fatto impallidire uno scaricatore di porto.
“Chiudetelo in cella.” Ordinò secco il marine, per poi rivolgersi alla sguattera mentre li liberava: “Signorina, può usare il mio bagno per ripulirsi. Entrambi sarete liberi di prendere la prima nave per dovunque vogliate andare. Siete fidanzati, o sbaglio?” chiese gentile.
Il ragazzo lo aggredì di rimando: “Io fidanzato con questo lurido cesso? Meglio la morte” il marine stupito provò a prenderlo per una spalla, ma quello si divincolò: “Non mi toccate!” per poi allontanarsi sul ponte.
“Mi scusi signorina, non mi aspettavo di certo…” tentò di scusarsi il Capitano.
“No, per carità, non si scusi, lei è stato talmente buono! La ringrazio infinitamente!” gli rispose pronta lei.
“Posso immaginare come vi abbiano trattato, se il migliore esponente dell’umanità su quella nave era quel ragazzo. Venite, vi accompagno nei miei appartamenti. Come vi chiamate, signorina?” disse l’uomo prendendola a braccetto. Aveva un simpatico pizzetto.
“Mi chiamo Tomoe Yubashiki” sussurrò intimidita la giovane, sotto gli occhi disgustati di Gabriele.
“Signorina Tomoe, sono disposto a riportarla a casa, se lo desidera” si propose il marine galante.
“Mi dispiace deluderla, Capitano, ma io non ho una casa da molto tempo ormai. Sono sola al mondo da quasi due anni, e vivevo di piccoli espedienti vagando di isola in isola prima che mi catturassero.” Pigolò la ragazza.
“Può rimanere sulla mia nave e nei miei alloggi per tutto il tempo che riterrà necessario, signorina Tomoe. Le prometto che farò tutto ciò che è in mio potere fare perché lei possa avere una vita normale, non si dovrà preoccupare di nulla”
“Capitano, lei è veramente troppo gentile. Perché fa tutto questo?” 
“Perché il suo animo gentile mi ha conquistato signorina, e vorrei avere con lei una conoscenza più approfondita”
A quel punto, Gabriele smise di ascoltare i bubbolii di quella coppia di idioti con una bella smorfia di disgusto dipinta sul volto.

Quando giunsero in vista del piccolo porto di Impel Down erano passate si e no un paio d’ore. Era un coacervo di navi della Marina. Quella su cui stavano non era neanche delle più grandi. C’era una grande agitazione al porto, sembrava che fosse arrivato da poco un acquisto molto importante per Impel Down, perché la guardia sembrava tutta in subbuglio. Il Capitano non avrebbe voluto dirlo, ma era molto felice di liberarsi del proprio carico, strano a dirsi in special modo dell’altro schiavo liberato, che anche se solo per un paio d'ore, l’aveva tediato tanto da fargli rimpiangere di non aver lasciato che la nave si perdesse nel banco di nebbia, nonostante a bordo vi fosse anche la sua nuova fiamma.
Fu anche per questo motivo che Gabriele fu quasi buttato fuori a calci dalla nave, e pregato di scegliersi in fretta la nave che l’avrebbe portato via, o sarebbero stati felici di garantirgli un posto proprio dentro la prigione. E crediamo fu sempre per lo stesso motivo che nessuno, quando Gabriele scelse una barchetta dalle modeste dimensioni, pure piuttosto malandata, si premurò di avvertirlo che quella nave portava a Fukuzoo, un’isola popolata da uno strano quanto inospitale gruppo di indigeni, che era stato trasferito lì per motivi oscuri sei anni prima, e la cui oscurità aveva fatto sorgere miti e leggende su quello strano popolo e sugli stessi motivi che aveva spinto il Governo Mondiale ad isolarli nelle vicinanze di una prigione di massima sicurezza.
Dopo un viaggio che Gabriele definì come “semplicemente schifoso”, la bagnarola lo lasciò sulla calda spiaggia arroventata dal sole dell’isola.



Alla fine, Cori si era addormentata come tutti gli altri. Quando si svegliò, aveva la testa di Nami sullo stomaco, mentre la sua era sulle gambe di Zoro, a sua volta appoggiato ad un barile, che ronfava beatamente. L’alba era prossima, ed un venticello fresco faceva venire la pelle d’oca (tranne a chi, come Brook fece notare nonostante dormisse della grossa, la pelle non ce l’ha). Così depose delicatamente la testa della Navigatrice sull’erba fresca e tornò in infermeria per farsi lo zaino. Chiyo dormiva ancora, raggomitolata nelle coperte come un gattino. Era triste, farsi lo zaino da soli senza che nessuno ti mettesse fretta. Ad una ad una, ogni cosa ritornò al suo giusto posto. Poi con pochi gesti fluidi Cori sciolse la legatura quadra della croce e si riprese il cordino. Guardò i comodini vuoti che lei stessa aveva creato con qualche legatura quadra e un paio di tavolette, e decise di lasciarli. Chiuse e strinse le clip dello stuoino e con un ultimo sguardo all’infermeria, se lo mise in spalla per depositarlo fuori, vicino all'albero maestro, poi ci si sedette contro, fissando malinconica lo spettacolo davanti a lei, illuminato dall’alba dietro di lei. Nemmeno due giorni, e già ripartiva. Un po' le dispiaceva, lasciarli così. Avrebbe voluto restare lí con loro a lungo, e poi erano gli unici che le erano rimasti. Oltre loro, non c’era nessuno lì fuori da cui tornare. E sciolta l’euforia della sera prima, quello splendido momento in cui era stata pienamente sicura di qualcosa, non era nemmeno sicura che una volta partita, loro sarebbero stati disposti a riaverla indietro. Da quel poco che sapeva del futuro di quel mondo, i prossimi tempi non sarebbero stati felicissimi per la Ciurma di Cappello di Paglia. E dulcis in fundo, un bell’attacco di nostalgia potente. Persa nei soliti, tristi pensieri, non si accorse del tempo che passava e forse si addormentò pure, perché non vide Rufy, nel pieno delle sue incontenibili forze, lanciarlesi addosso. La sua espressione era un misto di sgomento e sorpresa, prima che la sua spina dorsale si infrangesse contro l'albero maestro, mozzandole il respiro.
“Ma sei scemo? Mi hai fatto male!” protestò Cori, che non era propriamente sicura di non avere un trauma cranico.
“Scusa Cori. Fuggivo da Sanji e Nami!” rispose il ragazzo di gomma con il suo classico sorriso a trentadue denti, prima di spararsi di nuovo da qualche parte spinto dalla minaccia del Cuoco e della Navigatrice.
Si avvicinava l’ora della Partenza, così Cori decise di evitare la classica parata militare di saluti e cominciò a salutare uno per uno i ragazzi della Ciurma. Prima però doveva svegliare Lurichiyo, che dormiva ancora beata in infermeria.
“Tesoro svegliati, è ora di andare” la scosse gentilmente. Sembrava così piccola e fragile!
“Mamma?” mugulò lei di nuovo, raggomitolandosi nel lenzuolo.
“No piccola, sono Cori. Alzati, che è l’ora di tornare a casa” le faceva tanta tenerezza. La bambina si alzò stropicciandosi gli enormi occhietti smeraldini.
“Dai, vestiti, o faremo tardi. Dobbiamo salutare tutti!” la spronò mentre la aiutava a sfilarsi la sua canottiera. Dovette tagliarla ad un certo punto, perché si era incastrata con le delicatissime ali.
“Mi mancheranno un sacco, Zia Cori” sussurrò assonnata la bimba.
“E questo Zia Cori da dove esce?” chiese curiosa e felice la ragazza.
“Sei troppo grande per essere mia sorella. E poi solo le zie vogliono bene così” com’era tenera! Non aveva fatto chissà che cosa! Quella bambina le piaceva sempre di piú.
“Sono d’accordo. Che ne dici, andiamo?” le disse spupazzandola un po’.
“Sii!” rise la piccola.

“Buongiorno Cori. Dormito bene?” le chiese gentile Nico Robin dal divano che correva lungo tutta la parete interna dell’acquario.
“S-si, Robin. Sono venuta qui per ringraziarti. Mi hai raccontato di una delle mie terre d'origine, e te ne sono molto grata. Ora posso capire meglio mio nonno ed il suo popolo…” cominciò Cori, che teneva per mano la piccola Chiyo.
“Un popolo che è anche tuo, Cori-san. Sono felice di averti conosciuta. Ora posso dire di sentirmi meno… sola” era strano sentirlo dire da una componente della ciurma più unita e casinara del mondo, ma capiva il punto di vista di Robin. Anche se lontana, lei poteva dire di discendere da uno studioso di Ohara, poteva dire di far parte, in un certo senso, di quella meravigliosa stirpe di archeologi e scienziati. Ora l’archeologa poteva dire di non essere l’unica sopravvissuta, perché poteva spezzare questo fardello con lei.
“Robin-sama!” la chiamò la bambina bionda, protendendo le manine pallide. Robin la prese sulle ginocchia: “Cosa c'è, Luri-chan?”
“Ti voglio bene” disse la piccola abbracciando il collo della donna.
“Anch’io piccola. Ora va a salutare gli altri” la spronò deponendola a terra e spingendola verso Cori. Le due ragazze si sorrisero prima di dividersi. “Allora… alla prossima” la salutò.
“Alla prossima, Cori-san”

Cori e Lurichiyo scesero nella stiva, dove il carpentiere ed il cecchino stavano collaborando a qualche nuova diavoleria. Chopper li osservava con estremo interesse, e Cori si accodò. Li guardarono arrabattarsi per un paio di minuti tra enormi chiavi inglesi e altri arnesi, prima che le notassero.
“Ohi, sorelle! Arrivate giusto in tempo! È pronta!” annunciò Franky in una delle sue classiche pose.
“Cosa è pronta?” chiese la riccia incuriosita.
“La tenda! Zoro ci ha detto che preferisci combattere a mani nude” rispose il cyborg.
“Così il grande Capitano Usopp ha avuto l’Illuminazione! Con un faticoso lavoro da spia, ho notato che non avevi una tenda, e io e Franky ci siamo dati da fare e abbiamo inventato la Spider-tent, che si monta da sola, occupa pochissimo spazio ed è espandibile!” si sbrodolò Usopp, mostrandole un tubo di una trentina di centimetri, con una valvola sulla sommità e largo più o meno quanto il suo braccio. Glielo lanciarono. Non pesava più del suo stuoino.
“Grazie, mi sará veramente utile!” gioì Cori saltellando. La sua prima tenda! “Grazie Usopp!” abbracciò il cecchino, che arrossì. “Non è niente….”
Cori si staccò, per poi saltare ad abbracciare stretto Franky. “Grazie Franky! Siete dei veri amici!” disse mentre ritornava coi piedi per terra e Lurichiyo salutava il suo amico ‘gigante’ con un abbraccio da cui Cori stentò a staccarla.
“Ciao Chopper! Sei veramente un bravo medico” ok, lo ammetteva, l’aveva fatto apposta! Chopper cominciò a gongolare ondeggiando fra i ringraziamenti e gli insulti. “Ahh! ~ Adulatrice! ~ Non dire queste cose, scema!”

Cori irruppe in cucina spalancando la porta. Il cuoco, com’era giusto, stava ai fornelli, da cui proveniva un delicato profumo di limone. “Sanji! Scusa se ti disturbo, ma volevo ringraziarti per ieri, è stato davvero un gesto gentile da parte tua!”
“Non c'è di che, Cori-san. È stato un piacere! Ti devo anche ridare questi fogli, ti sono caduti dallo zaino mentre lo portavi sul ponte. Ho visto un paio di ricette interessanti e ne ho corrette un po’.” I fogli che Sanji le stava porgendo facevano parte del suo quaderno di caccia, ed altro non erano che canzonieri e ricette alla trappeur e sui bidoni.
“Grazie! Sai dove posso trovare Brook? Vorrei salutare anche lui!” gli chiese.
“Credo che tu lo possa trovare o ad allenarsi in palestra, oppure a provare il violino sul ponte” la consigliò il biondo.
“Grazie Sanji. Allora… ci vediamo!”. Nel breve attimo di silenzio che seguì, Chiyo arrossendo salutò il cuoco con la manina, e fu pizzicata sulla guancia dal ragazzo. “Ciao piccola Luri-chan! Da grande farai strage di ragazzi!” poi Sanji tornò a cucinare, e Cori e Lurichiyo andarono alla ricerca di Brook.

L’aria tagliata faceva uno strano rumore, sia che fosse tagliata da un fioretto che dalle affilate corde di un violino. Stavolta era il  violino a far vibrare l’aria in una serie di velocissimi suoni. Era un turbinio di incredibili note, straordinariamente ordinate nonostante il loro manifesto caos, che la loro stessa natura (veloci, impercettibili battiti d’ali di un colibrì) esprimeva. Era una splendida, folle danza, un po’ malinconica, ma tremendamente pulsante di vita, agonizzante, ferita, ma mai come allora viva. Contrariamente a chi la suonava, tintinnanti, candide ossa dentro ad un elegante completo d’altri tempi. Si sarebbe detto un tremendo ossimoro, se Brook non fosse stato quello che era. Quello che l’anima del musicista esprimeva era terribilmente vivo! Era disperante lutto, tremenda frustrazione, vibrante desiderio di volare alto, tornare al nido dal pozzo in cui era caduto. Si percepiva l’estraniante voglia di vivere, e la disturbante sensazione che l’essere membro della ciurma gli aveva dato, la felicità incredula di cui non riusciva ancora a credersi parte. E poi, d’improvviso finì, con le basse parole proferite dalla schioccante mascella.
Danse Macabre” furono le secche, basse parole dello scheletro. Niente di più appropriato.
“Complimenti, non molti sarebbero in grado di fare quel pezzo” si congratulò Cori mentre la bimba scivolava dietro le sue spalle, impaurita.
“La ringrazio, Cori-san. Per me è un onore sapere che la mia umile musica sia stata di vostro gradimento” le rispose cortese il vecchio gentilscheletro.
“Grazie a te. Se mai volessi dilettare la ciurma con una musica un po' più allegra, forse questo ti potrebbe essere utile, io ne ho tanti…” rispose porgendogli un suo vecchio canzoniere. C’erano tante vecchie canzoni lì che di sicuro sarebbero piaciute a dei pirati, come Il vascello fantasma, o Scouting for boys, o magari anche Vinassa! Per non parlare di Spirits, che era bella prima di Terra di betulla, la canzone che segnava la fine delle attività, il riposo dopo una lunga giornata di fatica. 
“Grazie Cori-san. Ciao, piccola Lurichiyo!” disse salutando con la mano ossuta la bimba nascosta dietro di lei. Le due si avviarono, quando Brook la fermò di nuovo. “Signorina, potrei chiederle una cortesia?”
“Si?”
“Potrebbe mostrarmi le sue mutandine?”

Le due ridiscesero sul ponte. Brook era già lí, steso con un bernoccolo in testa. Niente che non si fosse meritato. Era mattina inoltrata. Nami andava loro incontro col suo classico passo militare.
“È l'ora di andare” comprese Cori, e Nami perse parte della sua irruenza.
“Si. Il sottomarino è pronto” le disse la Navigatrice.
“Allora ci salutiamo qui. È stato un piacere conoscerti, Nami” le disse porgendogli la mano, per poi ritrarla quando vide la roscia guardarla storto. Doveva ricordarselo: La stretta di mano non era fra i saluti preferiti di quella gente. Una padella volò dietro le loro teste, al che la Navigatrice si incupì. “Ammiro la tua pazienza, sai?” le disse, e Nami le sorrise, per poi porgerle una borsetta etnica. “Per ogni evenienza”. Si vedeva che non era felice di dargliela, e apprezzò lo sforzo.
“Grazie” le rispose, per poi attirarla in un abbraccio. Insieme andarono alla scaletta, dove un sorridente Rufy le attendeva. “La prossima volta che ci vedremo sarò più forte, e avrò preso la mia vita nelle mie mani.” Sarò utile. “Degna”. “Questo è un arrivederci”
“Lo so! Perché mi hai promesso che mi farai vedere quello che sai fare!” gli rispose il ragazzo col suo classico sorriso.
“Ciao, fratellone!” Chiyo gli si appese al collo, tirandolo giù. “Ah si, nanerottola? Io sono troppo grande per essere tua sorella, e invece lui” Rufy si era infilato le dita nel naso “può essere tuo fratello? Ma io ti spupazzo!” Disse Cori riprendendosi la bambina e ‘torturandola’ di solletico. 
“Noi andiamo!” annunciò saltando nell’abitacolo con la bimba sulle spalle. Avrebbe voluto salutare Zoro, ma girando la nave non lo aveva trovato. Le dispiaceva, perché era lui quello con cui aveva passato più tempo. Almeno un abbraccio poteva permetterselo, quello scorbutico… Un tonfo la distrasse. Zoro, appeso alla scaletta di corda, pendeva giusto all’imboccatura del sottomarino. “Non mi saluti nemmeno, ragazzina?” proferì col suo solito tono ghignante.
Cori posò la bimba a terra e corse ad abbracciarlo. “Grazie di tutto”. Era leggermente commossa. Le sarebbe mancato avere a che fare con lui tutti i giorni.  Zoro imbarazzato le strinse la vita col braccio libero. “Alla fine non è stato tanto male conoscerti ragazzina.”
“Ti voglio bene anch’io Zoro” rispose dandogli un bacio sulla guancia, al che il ragazzo arrossì, seguito immediatamente da Cori, che si ritrasse. Gli porse la mano. “Ci vediamo”. I due si strinsero la mano, forte da far scricchiolar le ossa. “Puoi contarci” Era quasi una sfida a chi sarebbe andato più lontano.
Zoro risalì sul ponte, dove tutti esplosero in un “arrivederci!”, sbracciandosi. Il portellone si richiuse sopra le loro teste.
“Ok Chiyo, è l’ora di tornare a casa. I gentili passeggieri sono pregati di infilarsi le cinture, siiiii paaaarteeeee!” gridò per rianimare l'atmosfera. Si lanciò sul sedile di comando, abbassò la leva e diede gas.





Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento. Non è andato gran ché avanti con la storia, però spero sia stato interessante! L’unico, grande dilemma che ho avuto riguarda i saluti, soprattutto quello di Zoro, ma spero di non essere scaduta nell’OOC. Grazie per chi continua a recensire, mi è di grande sostegno e aiuto, e a chi legge! Per chi volesse saperlo, la musica che suona Brook è questa: https://m.youtube.com/watch?v=R6w_3oKsh5g . Per quanto riguarda le altre canzoni che ho citato, beh, credo che ormai sia palese: Sono una scout fiera (pure troppo) di esserlo, quindi appariranno altri piccoli cameo all’interno della mia storia, esattamente come ricorreranno le tecniche di judo, e tra un po’ anche quelle di kendo. Recensite numerosi! Alla prossima,
Hikari_Sengoku


http://www.grandeblu.it/index.php?url=saccheggio&id=53936
   
 
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