Fanfic su artisti musicali > System of a Down
Segui la storia  |       
Autore: StormyPhoenix    25/08/2017    4 recensioni
Los Angeles, primi anni del nuovo secolo. Quasi per caso si incrociano le strade di una ragazza sola e in fuga dal suo passato spiacevole e di una delle band più famose del posto; un sentimento combattuto che diventa prepotente salderà il legame.
(Prima storia sui SOAD, so che è un po' cliché ma vabbè.)
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daron Malakian, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Salveee! :D
Anche se ancora occupata a studiare sono riuscita a scrivere un nuovo capitolo, le idee per fortuna non scappano a dispetto del poco tempo e dunque sto anche avendo tempo per elaborarle al meglio :3 quindi eccomi qui ad aggiornare con un capitolo che, tra l'altro, è anche un po' più lungo del previsto! Non anticipo nulla, vi renderete conto voi stessi della "portata" del capitolo a fine lettura ;)
Come sempre ringrazio calorosamente i recensori e i lettori che sempre mi incoraggiano a migliorare e proseguire con questa storia <3
Buona lettura!





Tornati sul suolo europeo, è la Germania il luogo da cui si ricomincia il tour, sui palchi di due famosi festival tedeschi quali Rock im Park e Rock am Ring. Un clima primaverile alquanto fresco ci accoglie a Norimberga per la prima esibizione e non mi dispiace affatto, è gradevole non doversi ritrovare di già a sudare tanto e credo siano dello stesso avviso anche i miei amici, che pur vivono tutto l’anno in un posto notoriamente caldissimo durante la bella stagione e soprattutto durante l’estate.
Il giorno dell’esibizione giunge portando con sé un cielo abbastanza pulito e un sole un poco pallido, temperature accettabili e una notevole mole di spettatori nell’area festival. Il backstage e alcune zone vicine sono affollate da varie band che attendono di esibirsi e dalle rispettive crews: fra loro scorgo alcuni artisti noti sia ai ragazzi che a me come Lenny Kravitz e Ozzy Osbourne e l’emozione si fa sentire per qualche momento, non essendo abituata a frequentare posti di questo tipo, per cui mi permetto di attirare l’attenzione di Sako con un leggero movimento di gomito per condividere i miei pensieri e lui di rimando sorride, comprensivo.
Da quando io e il chitarrista stiamo insieme non si è mai cercato di nascondere alcunché, dunque la nostra relazione va avanti apertamente, ma neppure tendiamo a mostrarci insieme ogni momento; per questo non tutti quelli dello staff sanno come stanno esattamente le cose, vuoi per altri impegni vuoi per disinteresse, mentre quelli che lo sanno hanno tendenzialmente preso bene la cosa: i miei amici Bree e Paul sono stati semplicemente entusiasti per me, così come Sako e Beno prima di loro, mentre gli altri sanno ma non se ne curano più di tanto dato che questa cosa esula dal piano professionale e il rapporto è principalmente improntato sul lavoro… ho anche il sospetto che a un paio di persone dello staff la cosa non vada giù in qualche modo, ma ciò mi importa relativamente poco: la mia relazione non ha comportato dei privilegi, continuo a lavorare duro come tutti, prestandomi ancora al doppio ruolo di tecnico dell’assistenza e di roadie quando necessario, inoltre le mie ragioni per stare con Daron esulano dal materialismo e devono essere chiare soltanto ai diretti interessati, non per forza anche ad esterni.
«Serj! Daron!» ad avvicinarsi per interloquire con il cantante e il chitarrista è proprio il precedentemente nominato cantante dei Black Sabbath e io, a pochissimi passi da loro e vicino a Sako, quasi mi pietrifico mentre Daron mi passa vicino per raggiungere il suo collega.
«È bello trovarvi qui, ragazzi» esordisce Ozzy, emanando quella sua tipica aura di fascino e carisma. «Sapete, talvolta mi sembra passato così poco tempo dalle prime volte in cui ci siamo visti e in cui avete suonato all’Ozzfest… stiamo già diventando vecchi, sigh... ma voi siete sempre più bravi.»
«Molto gentile, grazie» risponde Serj, con un leggero inchino fatto con la testa.
«E quella ragazza con i capelli verdi lì dietro, che parla con qualcuno che presumibilmente fa parte del vostro team?»
«Oh, è anche lei nel team» si fa sentire Daron finalmente «sta sostituendo un altro nostro tecnico infortunato; è una lavoratrice particolarmente alacre e precisa» continua, poi si volta e mi fa cenno, al che mi faccio avanti timidamente.
«È un piacere conoscerti, sostituto tecnico dalla buona fama» dice Ozzy «penso tu sappia già il mio nome ma io non so il tuo.»
«N… Nikki Gray» per un attimo mi impappino, poi mi riprendo per bene e finalmente ergo la testa sul collo ben dritto, guardando in faccia il mio interlocutore senza però poter vedere i suoi occhi, nascosti dietro occhiali da sole tondi e scurissimi.
«Da quanto tempo lavori per i System Of A Down? E che mansione svolgi?»
«Sono entrata nel team a gennaio, sostituisco il tecnico d’assistenza e collaboro con il team tecnico per qualunque problema di hardware e software.»
«Benissimo. Ti trovi bene con loro?»
«Una meraviglia!»
«Buono a sapersi! Sono indubbiamente dei tipi peperini, ma sono persone piacevoli e musicisti notevoli.»
«Concordo.»
«Oh, vedo che qualcuno mi fa segno là dietro, non so cosa diamine voglia ma è meglio che vada a vedere» Ozzy si acciglia un po’, risistemandosi gli occhiali sul naso. «Vogliate scusarmi… ci becchiamo dopo, ragazzi» ci saluta e si affretta verso una meta ignota.
«Mi… mi avete appena presentata al famosissimo Ozzy Osbourne? Credo di star per avere un colpo» esclamo, ancora sorpresissima.
«Considera la cosa come un piccolo regalo di compleanno anticipato» scherza Daron, facendomi una linguaccia e prendendomi poi per mano.
«Uh, giusto, domani è il tuo compleanno!» rammenta Serj, ad occhi sgranati. «Dovremo pur fare qualcosa, no?»
«Beh, visto che dopodomani voi suonerete al Rock am Ring c’è da viaggiare, e certamente ci saranno altri impegni… dubito che ci sarà il tempo per fare qualunque altra cosa» rispondo, un po’ mogia. «E poi non voglio costringere nessuno...»
«Però te lo meriti, quindi è deciso, si farà qualcosa» conclude Daron, poi mi tacita con un dito sulla bocca «e tu non potrai farci nulla, non potrai protestare e, cosa più importante, resterai all’oscuro di tutto fino al momento giusto.»
«E va be-» il chitarrista mi bacia senza alcun preavviso e poi mi lascia andare; resto impalata, rossa in viso, a guardarlo mentre raggiunge gli altri. Non mi ha neanche dato il tempo di “arrendermi” e ringraziare, mannaggia.
«Mi fate venire l’iperglicemia, giuro» al mio lato compare Sako, con un sorriso divertito.
«Che esagerato, Karaian» lo prendo in giro, fingendo di alzare gli occhi al cielo.
«Niente affatto, Gray» mi risponde per le rime, poi ride. «Sul serio, siete tanto carini insieme e sono felice per voi.»
«Sei gentilissimo, Sako, grazie mille davvero. Comunque, quanto manca all’esibizione dei ragazzi?»
«Non saprei, credo non molto.»
«Ti sei già accertato che sia tutto a posto?»
«Sì, tutto sistemato, pare sia tutto okay.»
Guardandomi intorno, qualcosa cattura la mia intenzione e metto a fuoco Daron che parla con un membro della crew che mi dà le spalle e, visti i capelli biondicci del tipo, si tratta quasi certamente di Paul. Per un attimo riaffiorano ricordi di marzo, di quella serata a Glasgow in cui malessere, confusione ed alcol mi crearono una situazione imbarazzante e indesiderata… non ne ho mai fatto parola con Daron e penso sia giusto così, è stato un momento di sbandamento come probabilmente ne ha avuti anche lui e non servirebbe a molto dirglielo, anche perché i miei sentimenti di allora non furono minimamente intaccati dalla cosa, però talvolta mi chiedo se lui ha mai intuito o pensato qualunque cosa al riguardo… in ogni caso vedo che sta trattando il roadie in maniera gentile e alla pari e alla fine del discorso, qualunque sia stato, gli dà un paio di pacche su una spalla in maniera amichevole. Ah, i maschietti e lo spirito di cameratismo!
Quando arriva finalmente il turno dei ragazzi di esibirsi tiro un grosso sospiro di sollievo e mi sento di colpo più contenta; fuori dal backstage il pubblico è rumoroso e il cielo, stando agli sprazzi visibili, è uguale a prima, forse il sole è diventato soltanto più caldo e brillante.
«Forza ragazzi, andiamo a spaccare culi!» esclama Serj; un abbraccio collettivo, qualche “rito” pre-concerto, poi sono pronti per comparire di fronte ai fans; il cantante apre la fila, dirigendosi verso il palco. Daron si ferma un attimo e mi stampa un bacio sulla fronte; «A dopo» mormora sorridendo, poi segue gli altri, ed io raggiungo i miei colleghi nel solito posto nel lato del palco.
Si parte con “Prison song” come già accaduto in altri concerti e si prosegue direttamente con “Jet Pilot”, una canzone che trovo apprezzabile e molto sottovalutata, “Deer dance” accompagnata da qualche momento di sclero; durante “DDevil”, però, fare il matto costa a Daron un colpo con la fronte contro un microfono vicino a lui, ciononostante continua a suonare come se nulla fosse accaduto. All’inizio di “Suggestions” qualcuno lancia una bottiglia vuota sul palco e sempre lui è a creare un momento strano e divertente: come ipnotizzato segue la traiettoria dell’oggetto, poi si avvicina, si inginocchia e continua a strimpellare in quella posizione per un po’.
Si arriva quasi in un batter d’occhio a “Psycho”, una delle perle della setlist dei ragazzi. Una sorta di ballo, come in trance, coinvolge il corpo del chitarrista sulle note del basso di Shavo che suona l’intro del brano… poco dopo una cosa nera atterra direttamente sulla mia faccia, la prendo in mano e riconosco la maglietta di Daron con il finto collarino da sacerdote e la scritta “Fuck your prayers”, la stessa che indossava il giorno in cui ho ammesso di essere innamorata di lui, dunque alzo lo sguardo e ho la conferma che il chitarrista si è denudato in pubblico come al solito… ah, ci risiamo…
Durante il brano si verificano piccole corse, al momento dell’assolo che è ormai il mio preferito si assiste a strani movimenti, poi ad un certo punto sia Shavo che Daron sono in ginocchio sul palco, dando le spalle al pubblico: il primo rimane molleggiato, il secondo si abbassa a terra, suona ad occhi chiusi e ad un certo punto scalcia un po’ in stile bambino prima di rialzarsi e cimentarsi nella solita piroetta finale… in tutto questo lasso di tempo non so se ridere o urlare per quanto sono gasata e la mia faccia continua ad essere più colorita del solito.
Dopo “Chop Suey!” che è ormai una delle mie canzoni preferite, a sorpresa viene regalata ai fans una piccola cover di “La Isla Bonita” di Madonna: all’inizio quasi nemmeno io la riconosco, ma appena Daron inizia a cantare qualcosa torna in mente e sorrido… ad un concerto metal certamente non ci si aspetta una cover pop, ma come sempre i System sono imprevedibili e impossibili da incasellare entro schemi o aspettative.
 
A fine concerto le migliaia di persone sotto il palco tributano un saluto entusiasta prima di ripiombare nell’attesa concitata del prossimo artista; già da qualche minuto sono seduta nel backstage quando i ragazzi compaiono nel mio campo visivo, sfatti e fradici di sudore ma contenti.
«Yeeehaaa!» l’esultanza del momento prende il sopravvento; assisto all’assalto dei tecnici degli strumenti da parte dei ragazzi prima che si gettino su di me intrappolandomi in un abbraccio sudaticcio nel quale ad un certo punto mi pare di soffocare, al che Serj e colleghi capiscono che è il caso di farmi respirare di nuovo.
«Siete stati fantastici» esalo, ancora senza fiato.
«Troppo gentile» risponde Serj, con un leggero inchino a mani giunte, e gli altri ringraziano a seguire.
«La gamma di espressioni facciali che hai avuto durante tutta l’esibizione di oggi è stata meravigliosa, bestiolina» Daron si avvicina e mi scompiglia i capelli; non so proprio cosa replicare e arrossisco di nuovo, porgendogli la sua t-shirt.
«Hai perso le parole? Aspetta, ti aiuto io» il chitarrista inizia a farmi il solletico e io grido e scappo via dalla sua presa, nelle orecchie le risate dei nostri amici e soprattutto quella sguaiata di John e Sako.
La scenetta dura qualche minuto, poi sono costretta a fermarmi perché la milza mi sta maledicendo in almeno tre o quattro lingue e a quel punto anche il ragazzo si ferma, ansante. «Sei adorabile» mormora, mi stampa un bacio leggero sulle labbra e poi va a munirsi di qualcosa per asciugarsi un po’ prima di rivestirsi.
«Forza ragazzi, il cibo ci aspetterebbe pure ma ci sono altri pretendenti!» il più vecchio della band ci chiama a raccolta e ci avviamo; nel mentre Daron intreccia discretamente le dita di una mano con le mie e improvvisamente mi sembra di camminare sulle nuvole.
Arrivati nell’area pranzo sospiriamo al notare che non è passato nessun “barbaro” a devastare il buffet e che quindi ce ne sarà per tutti. Ci imbattiamo di nuovo in Ozzy, stavolta impegnato a parlare con un uomo dall’aspetto singolare, robusto, vestito di nero e con la faccia parzialmente pitturata di nero.
«Ciao ragazzacci, complimenti» ci apostrofa il più vecchio, con un sorriso, e il suo interlocutore annuisce in segno di approvazione.
«Grazie mille» replica Serj, quieto. «Ciao Maynard, come stai?»
«Non c’è male, grazie, e tu?» parla finalmente l’altro, rivelando una voce peculiare.
«Anche io, ti ringrazio.»
«Ehilà» una voce giunge alle orecchie da una direzione opposta; ci voltiamo e ci troviamo di fronte un omone con barba e capelli lunghi e biondi dallo stile rocker “sporco”, intento a riempirsi un piatto.
«Oh, ciao Zakk» Daron risponde al saluto per primo, affabile, ricevendo un sorriso dal nuovo arrivato. Insomma, è la giornata delle celebrità e io sono frastornata.
Mentre i miei amici proseguono le loro chiacchierate io mi guardo intorno, masticando con aria pensierosa e scambiando occasionalmente qualche parola con Sako, che pure sembra non volersi immischiare più di tanto nelle conversazioni.
«Chi sono le persone che hanno salutato Serj e gli altri?» chiedo.
«Quello con il viso dipinto è Maynard James Keenan, il cantante dei Tool» replica il tecnico della batteria, snocciolando informazioni con molta facilità «mentre quella sorta di vichingo rockettaro è Zakk Wylde, chitarrista per Ozzy Osbourne e chitarrista e cantante dei Black Label Society, noto anche come “colui che stupra le chitarre”.»
«Oh… il primo nome non mi è del tutto nuovo, il secondo sì» proferisco, poi mi gratto sulla testa, imbarazzata «temo di essere un po’ ignorante, tendo ad ascoltare musica senza informarmi troppo sugli artisti.»
«Non fartene una colpa, non c’è motivo» mi consola Sako, con una “fraterna” pacca sulle spalle.
Proprio un secondo dopo mi volto alla ricerca del mio ragazzo e scorgo un movimento con la coda dell’occhio che subito desta la mia attenzione; fingo di distrarmi nuovamente, poi torno a fissare nella stessa direzione di prima e colgo in flagrante un viso affacciato da dietro le cabine WC che scompare dopo un secondo… che ci fa qui Tom?!
«Sako?» richiamo l’attenzione del mio amico, incredibilmente perplessa. «Credo di aver appena visto Tom, l’ex roadie.»
«Quel Tom? Dove?» il ragazzo si guarda intorno, condividendo il mio stato d’animo.
«Credevo di averlo visto dalle parti dei bagni» replico, poi l’enfasi del momento scema subito via. «Forse mi sono confusa.»
«Forse sì e forse no, non lavora più nel nostro team ma magari è stato assunto da qualche altra band nella sua crew. In ogni caso, perché avrebbe dovuto spiarci?»
«Non ricordi?» storco un po’ il naso nel rievocare il ricordo. «A gennaio, durante una delle date del Big Day Out, l’ex groupie di Daron gli ha fatto un servizietto per corromperlo così da poterci raggiungere nel backstage, luogo che teoricamente le era stato interdetto.»
«Forse mi sovviene qualcosa… credo di aver cercato di rimuovere l’accaduto perché era troppo squallido» risponde, accennando una risatina ironica. «Tu credi che quei due siano ancora in contatto?»
«Mai dire mai…»
«Giusto, meglio rimanere sull’attenti.»
 
In una notte primaverile, una ragazza bruna è ferma sul ciglio della strada dalle parti di Las Vegas, una mano impegnata a fare un segno che dice: ho bisogno di un passaggio.
Molte auto passano senza fermarsi, alcuni autisti esprimono apprezzamento per la giovane e il suo abbigliamento alquanto succinto, consistente in shorts cortissimi, top nero, Converse viola e calze a rete, poi finalmente un furgone bianco sembra ascoltare la muta preghiera e si ferma, ponendo soluzione al suo problema.
«Grazie, era ora che qualcuno mi desse retta» la ragazza brontola, salendo a bordo; si siede in maniera non troppo composta e chiude la portiera, così che il veicolo possa ripartire.
«Non mi entusiasma il tuo tono lagnoso, comunque non c’è di che» una voce maschile non molto profonda le risponde: appartiene ad un ragazzo, suppergiù venticinquenne, con capelli biondicci e occhi scuri, robusto ai limiti del sovrappeso, vestito con abiti slargati e scoloriti. «Visto il punto in cui stavi, suppongo tu debba tornare verso Los Angeles, è così?»
«Sì.»
«Stavo andando verso San Francisco ma vabbè, posso allungare un po’ il percorso per una bella ragazza. Come ti chiami?»
«Tina. Tu?»
«Jake.»
Il viaggio dei due giovani procede tranquillamente per un po’; lei non parla, lui talvolta canticchia qualcosa in maniera palesemente stonata. Ad un certo punto un rumore sospetto avvisa il guidatore che ha una gomma quasi a terra.
«Merda, ho una ruota bucata» impreca tra i denti «meno male che qui vicino dovrebbe esserci una stazione di servizio.»
Ed effettivamente è così: un chilometro più avanti, quando ormai la ruota è quasi del tutto moscia, appare una piccola costruzione con un’insegna illuminata, affiancata da un’altra casupola come talora se ne trovano per strada, adibite a camere da letto per gente di passaggio.
«Ovviamente è tutto chiuso… toccherà aspettare domani mattina» sbuffa Jake, scontento.
«Beh, nel frattempo possiamo occupare quella casetta lì vicino e riposare» propone Tina, con disinvoltura.
«Buona idea.»
Dopo aver parcheggiato i due scendono dall’auto: prima che lei possa fare alcunché si accorge che lui l’ha bloccata contro il cofano anteriore del furgone.
«Intendi pagare?» domanda lui, con voce bassa e improvvisamente più graffiata, guardandola dall’alto in basso.
«Pagare? Non si era minimamente accennato a questo, prima!» Tina protesta con voce alta e stridula, poi si calma; si guarda attorno un paio di volte prima di rispondere. «In ogni caso ho con me a malapena tre dollari, se proprio vuoi essere pagato posso farlo solo in natura.»
«Prospettiva interessante, direi» risponde l’altro, con una risatina. Tina lo fissa: gli occhi castani le ricordano colui a cui solitamente scaldava il letto, un certo musicista armeno nato in America, sebbene quelli di Jake siano decisamente più piccoli e porcini. Anche il timbro della voce glielo riporta alla mente, anche se solo per una vaga somiglianza. Ma lei con quel tizio ci andava a letto per il gusto di potersi vantare di essere intima di una celebrità, di essere una groupie “ufficiale”, non perché ne fosse innamorata: fisicamente non lo trovava così attraente, e poi la musica che componeva le faceva alquanto schifo, la riteneva roba talora troppo strana e talora troppo melensa, lontana da sonorità commerciali in voga che suonavano sicuramente meglio alle sue orecchie.
Si entra finalmente nella casetta, trovandovi un letto ancora sfatto ma apparentemente pulito; Jake inizia subito a spogliarsi, gettando a casaccio i propri vestiti su una sedia lì vicino, poi avvia un approccio sessuale nei confronti di Tina, che ci sta senza troppi problemi, prima di finire sul letto a consumare il rapporto.
«Che avevi prima della scopata? Eri pensierosa» proferisce Jake, fumando una sigaretta come d’abitudine dopo il sesso.
«Niente di che. Pensavo al ragazzo con cui andavo a letto fino a non molto tempo fa.»
«Oh. Chi è?»
«Un musicista armeno, si chiama Daron Malakian, suona in una band metal chiamata System Of A Down.»
«Dunque eri la sua groupie?»
«Sì, finché non mi ha scaricata su suggerimento dei suoi amichetti e di una nuova sgualdrina.»
«Capito.»
«Anche tu prima sembravi concentrato a pensare a qualcosa in particolare, comunque.»
«Beh, in effetti sì. Pensavo che, con questo look, mi ricordi una mia ex.»
«Si vestiva come me?»
«Sì, più o meno. Era tutta strana, fissata col rock e col metal.»
«Come mai è finita tra voi due?»
«Perché era una puttana frigida e mi ha grandemente mancato di rispetto più volte.»
«Oh, capisco… beh, almeno ti sei disfatto di questa brutta persona. Posso chiederti come si chiamava?»
«Nikki.»
Il cuore di Tina manca un battito, poi salta quasi fino alla bocca dell’esofago. Starà mica parlando di quella stessa Nikki che ha incontrato lei? Se così fosse, lui rappresenterebbe una possibilità di vendetta.
«Non mi è nuovo quel nome, sai?»
«Dubito tu possa averla conosciuta, ci sono tante Nikki in giro per gli Stati Uniti e lei ha fatto perdere le sue tracce anni fa. Abitavamo nella stessa città, e se n’è andata poco tempo dopo la nostra… rottura.»
«Ma ne ho conosciuta una che sta appresso ai System Of A Down da mesi, lavora con loro. Proprio lei mi ha rivoltato contro il chitarrista con cui andavo a letto, presumibilmente per averlo tutto per sé.»
«Uhm… descrivila.»
«Quando l’ho vista per la prima volta aveva capelli lunghi, di un colore strano, ed era vestita un po’ come me, ma più “coperta”. Aveva gli occhi castano scuro, un piercing al labbro e forse anche dei tatuaggi sui polsi. Magra al limite dell’anoressia e bassina.»
All’udire quelle parole, Jake sente un fremito interiore di gioia cattiva: la fuggitiva è stata scoperta e rintracciata. Sembra che Nikki continui a condurre una vita sregolata, senza Dio e senza famiglia, dedita a musica probabilmente piena di messaggi subliminali cattivi e altre cose sconce, forse ora è diventata anche la puttana personale di quei musicisti da quattro soldi nominati dalla tizia. Pensava di farla franca, scappando dopo aver tentato di infangare il suo nome e quello della sua famiglia con quelle accuse di stupro e violenza senza alcun successo… ma ora quell’essere insignificante è stato scovato, e la vendetta può avere inizio.
«Pare proprio che stiamo parlando della stessa persona, allora… com’è piccolo il mondo. Sai dove abita?»
«No, ma credo stia abitando insieme ai musicisti per cui lavora. Non so nemmeno di preciso il loro indirizzo, ma ho conoscenze che potrebbero aiutarmi.»
«Benissimo. Sai, penso di aver capito cosa vuoi fare… vuoi vendicarti, e anche io voglio vendicarmi. Possiamo unire le forze per questa comune causa. Ti va?»
«Perché no? Ci sto.»
I due nuovi complici si scambiano i numeri, con la promessa di mantenersi in contatto per il nuovo comune progetto, prima di addormentarsi per la stanchezza post-coito.

 
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > System of a Down / Vai alla pagina dell'autore: StormyPhoenix