Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Rivaille_02    27/08/2017    2 recensioni
«Sono Levi Ackerman, il vostro professore di educazione fisica. Vi anticipo che, alla fine di tutte le lezioni, dovrete pulire la palestra. Anche se non ci sarò le ultime ore, dovete pulirla. Ci siamo capiti, mocciosi?» spiegò severo. Il professor Levi era un maniaco della pulizia. Non c’è stata classe che non abbia pulito la palestra quando c’era lui.
«Sì prof!» risposero i ragazzi intimoriti dall’insegnante. Solo Eren sembrava non averne paura. Al contrario, quando i loro sguardi si incrociarono, arrossì.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger, Levi Ackerman, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo
Capitoli:
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Eren e la sua squadra passarono tutto il pomeriggio ad allenarsi e a giocare in spiaggia. Cenarono nel ristorante dell’albergo, ovviamente facendo impazzire l’allenatrice da quanto chiasso facevano. Di sera c’era chi usciva per fare due passi, chi andava in spiaggia e chi, come Eren e il capitano, rimanevano nelle loro stanze. I due ragazzi avevano acceso la PlayStation e si erano messi a giocare a un nuovo videogames di calcio.
«Goal! E con questo ho vinto io, Eren!» esclamò Tetsuya abbracciando l’amico. «Hai perso per tre a uno... sei più bravo nella vita reale, Eren...» disse sospirando.
«Sono più bravo nei giochi di guerra...» si giustificò roteando gli occhi.
«Che ne dici di andare a dormire, Eren?» gli chiese sorridendogli. Il castano guardò l’orologio: era quasi mezzanotte. Davvero avevano passato tutta la serata a giocare? Ascoltò quindi il capitano, spense tutto e si mise nel letto. L’unica luce che illuminava la stanza era quella della luna. Tetsuya non riusciva a prendere sonno, così si girò verso Eren. Si accorse che indossava ancora la maglietta.
«Non ti togli la maglietta, Eren?» gli chiese.
«Di notte fa un po’ freddo, quindi preferisco tenerla» rispose senza girarsi. Sembrava fosse impegnato a fare qualcosa. Il ragazzo si alzò per andare nel letto dell’amico. Teneva il telefono fra le mani. Riuscì a vedere con chi stava chattando: Eren l’aveva salvato come “Master”. Sorrideva anche mentre scriveva.
«Chi è questo, o questa, “Master”, Eren?» domandò serio. Il castano si girò col cuore che gli batteva a mille. Non sapeva come rispondere. Tetsuya se ne accorse. «Per caso è qualcuno che ti comanda? O la tua ragazza? Sai, di solito è così...» continuò fissando il telefono.
«Niente del genere» rispose alla fine. Il capitano non gli credette. Lesse i messaggi che si inviavano l’un l’altro. Non riuscì a capire se fosse la sua ragazza o sua sorella. I messaggi di questo, o questa, “Master” erano come degli ordini detti dolcemente. “Ricordati di pulire la stanza”, “Non far arrabbiare l’allenatrice”, “Divertiti”.
«Quanto vorrei anch’io una persona che si preoccupa così per me, Eren...» disse sorridendo. Eren salutò “Master” e ripose il telefono sul comodino. Si girò poi con il corpo dalla parte del capitano, già sdraiato con il viso affondato nella sua maglia.
«Non dormi nel tuo letto?» gli chiese guardandolo. Aveva un’espressione rilassata, come se si sentisse al sicuro stando così vicino ad Eren.
«Perché dovrei, Eren? Sto così bene qui con te, Eren...» alzò lo sguardo verso quegli occhi verde smeraldo che lo facevano impazzire. «E tu stai bene con me, vero Eren?» portò una mano al viso del ragazzo accarezzandolo dolcemente.
«E-eh? C-certo che sto bene con te, capitano. Sto bene quando sto con te, con mia sorella, con...» non riuscì a continuare che Tetsuya gli mise un dito davanti alla bocca.
«Con questo “Master”, Eren?».
«È solo mia sorella... sai com’è, no?» mentì. Non poteva farsi scoprire, anche se l’intera classe ormai lo sapeva.
«Mi stai dicendo la verità, Eren?» non aveva mai visto il capitano così... possessivo. L’espressione disegnata sul suo viso ricordò ad Eren quella di un yandere. Gli vennero i brividi. Aveva visto alcuni anime con delle ragazze yandere, come il famoso “Mirai Nikki”, e aveva paura che scoprisse l’identità del suo “Master”, ovvero Levi.
«Potrei mai mentirti?» gli sorrise. Non riuscì a non far vedere l’ansia che aveva. Il telefono iniziò a vibrare. Eren fece per prenderlo ma Tetsuya fu più veloce. Lesse il nome: “Master”.
«Vediamo se è davvero tua sorella, Eren» il capitano pigiò la cornetta verde per rispondere. Si alzò in modo che Eren non potesse riprendere il telefono. «Pronto? Parlo con Mikasa Ackerman?» domandò mentre il castano, per non creare sospetti, rimase a sedere sul letto sperando che Levi si inventasse qualcosa per non farsi scoprire.
Dall’altra parte della cornetta, l’uomo rimase stupito nel non sentire la voce del suo Eren. Si chiese chi fosse.
«Sono un amico di Mikasa e mi stavo domandando chi fosse la persona che ha rinominato “Il mio schiavetto”» era così bravo a mentire. Tetsuya fece un sospiro di sollievo. Se era davvero la sorella, allora Eren poteva essere suo.
«Questo è il telefono del fratello. Ho risposto io perché si era addormentato» spiegò tornando dall’amico. Dopo un po’ riattaccò e mise il telefono sul comodino. Prese poi il castano per i polsi e lo fece sdraiare. «Era davvero il numero di tua sorella, Eren» gli disse guardandolo negli occhi. Il ragazzo non ebbe il minimo segno di arrossamento. Il viso del capitano si avvicinò a quello di Eren. «Ora potrai essere mio, Eren...» gli sussurrò. Il castano girò la testa così che Tetsuya evitasse di baciarlo in bocca.
«Senti, capitano...» iniziò Eren.
«Che c’è, Eren? Per caso il mio Eren in realtà è timido?» sorrise guardandolo.
«Mi dispiace...» continuò a voce bassa. Il capitano non capì.
«Perché, Eren? Guarda che se non sei pronto...» si interruppe quando i loro occhi si incrociarono di nuovo.
«Per me sei solo un mio amico, capitano» riuscì a finire. Era in preda all’ansia. Aveva visto in alcuni anime cosa succedeva se si rifiutava un yandere, ma cosa poteva farci? Lui amava Levi. Avrebbe fatto qualsiasi cosa, corso qualsiasi rischio, affrontato chiunque pur di stare con lui.
L’altro non rispose. Si limitò a tornare nel suo letto. Ad Eren parve strano.
«Quel “Master”...» parlò all’improvviso. Il castano sussultò. «Il realtà non è tua sorella, e quello che ha risposto non era affatto un suo amico...». L’altro rimase in silenzio. Il cuore che gli batteva a mille. Eppure Levi sa fingere così bene, pensò. «Era quel professore che una volta ogni due settimane viene a controllarci, quello con cui parli sempre, quello con cui ti vedo tutti i giorni dopo la pausa pranzo: Levi Ackerman, dico bene?» chiese conferma senza girarsi. Eren si sdraiò con gli occhi che guardavano il soffitto, non rispondendo. Si addormentò poco dopo mentre l’altro piangeva. Ma che poteva farci?
Il giorno seguente sembrava che si fosse dimenticato tutto. Sembrava che quella sera non fosse successo niente. Si parlarono normalmente, si divertivano come facevano sempre. Il castano si stava convincendo che fosse stato tutto un sogno. Per tutta la durata della gita fu così, anche se la notte Eren doveva dormire nello stesso del capitano per via degli incubi che faceva quest’ultimo.
L’ultimo giorno arrivò in fretta e i ragazzi tornarono a Shiganshina. Tornarono a scuola il giorno dopo.
Prima di uscire, Mikasa si fermò sull’uscio della porta. Eren si fermò una volta scese le scale. La ragazza lo prese per un braccio e lo portò in cucina dai genitori che li guardarono confusi.
«Devo dirvi una cosa ora che c’è Eren» avvisò. Il ragazzo la guardò stranito. Gli adulti la invitarono a continuare. Prese allora un bel respiro, guardò poi il fratello e parlò. «Eren è gay ed è fidanzato con il prof di ginnastica» dichiarò. Ci fu qualche secondo di silenzio che al castano sembrarono un’eternità. La reazione della madre non fu certo delle migliori. Infatti andò dal figlio e gli prese le spalle. Aveva un’espressione preoccupata e scioccata. Il padre era rimasto seduto sulla sedia a leggere il giornale che gli copriva il volto.
«Eren, quel che ha detto Mikasa è la verità?» gli chiese. Eren abbassò lo sguardo. La donna sussultò per poi guardare il marito. «Tesoro, digli qualcosa! Non può avere una relazione con un uomo... ha solo quindici anni!» lo implorò.
«Eren» iniziò con tono serio.
«Papà, mi dispiace... ma io-».
«Ti da voti alti?».
«Come al solito».
«Allora va bene».
«Tesoro!» esclamò irritata la madre. A quel punto il padre abbassò il giornale e guardò serio il figlio.
«Ascoltami Eren. Cosa fai con questo professore?» gli chiese.
«Cosa dovrei fare, scusa?».
«Vai a casa sua qualche volta?». Eren annuì. La madre era scioccata. «E cosa fate?».
«Mangiamo e mi aiuta a fare i compiti» rispose scocciato.
«Non fate altro?». Il ragazzo scosse la testa. «A volte ci dici che la notte dormi a casa di amici, giusto?».
«Non mi farebbe mai cose del genere!» esclamò stringendo i pugni. «Levi non è quel tipo di persona! Vi ho già detto quel che facciamo, gli avete anche parlato ai colloqui, cos’altro volete sapere?!». Mikasa lo prese per il colletto e lo guardò negli occhi. Era abbastanza arrabbiata.
«Digli quel che fate in vice-presidenza» gli ordinò.
«Cosa dovrem-».
«Fallo Eren!» gli urlò contro. La madre gli osservò il collo.
«Eren, è un succhiotto quello?» gli chiese ancora più scioccata di prima. Il ragazzo non rispose. «Eren Jaeger» alzò la voce. «È quello che fate veramente?». Eren si arrese.
«Mamma, non lo abbiamo mai fatto. E sì, questo è un dannatissimo succhiotto. Me l’ha fatto il giorno prima della partenza. E se vuoi sapere quel che facciamo veramente, beh, oltre a quel che vi ho detto prima, ci baciamo e dormiamo insieme. Vi basta come risposta?! Diamine...». Nessuno aprì bocca. Il ragazzo salutò tutti e corse a scuola. Non passò da Armin perché probabilmente stava ancora dormendo. Aveva ancora l’influenza. Una volta davanti l’edificio, Eren si guardò attorno: Levi doveva già essere arrivato. Doveva trovarlo, voleva sfogarsi, voleva piangere, voleva urlare. Conosceva i suoi, di sicuro gli avrebbero fatto cambiare scuola o avrebbero fatto trasferire Levi in un altro edificio, magari lo avrebbero fatto tornare a Rose. No, non poteva succedere. Non doveva accadere. Pensando a lui, si era completamente dimenticato di aver lasciato indietro la sorella. Si sentì uno stupido. Si sentì in colpa. Si avvicinò al portone della scuola e cercò di chiamare un bidello per farsi aprire. Ne vide arrivare uno biondo con un viso a lui familiare. Eren si stupì nel vederlo lì. Non faceva molto caso ai bidelli, anzi, a dire il vero non li incontrava mai. Per questo non ci avevo fatto caso. L’uomo gli aprì la porta facendolo entrare. La richiuse subito dopo.
«Signor Hannes? Che ci fa lei qui?» gli chiese il ragazzo sorpreso.
«Io qui ci lavoro! Perché non ti guardi mai intorno, Eren?» rispose l’altro sorridendogli. Eren aveva incontrato Hannes quando andava in terza elementare. Anche lì faceva lo stesso lavoro. Qualche giorno dopo il suo arrivo, il castano, Armin e Mikasa iniziarono a passare la maggior parte del tempo con lui che ben presto diventò un amico di famiglia.
«Signor Hannes, sa per caso se c’è il professor Ackerman? Avrei bisogno di parlargli urgentemente» arrivò dritto al punto. L’uomo si guardò intorno.
«Penso che non sia ancora arrivato, mi dispiace» rispose.
«Sono arrivato circa dieci minuti fa, Jaeger. Cosa c’è?». Levi apparve da dietro Hannes camminando nella loro direzione. Eren sussultò. Quasi pianse.
«Prof... devo parlarle in privato» gli disse guardandolo negli occhi. L’uomo gli fece cenno di andare con lui. Come al solito, entrarono in vice-presidenza. Una volta chiusa la porta, il ragazzo si buttò fra le sue braccia piangendo. Levi gli accarezzò i capelli.
«Ti sono mancato così tanto?». Gli baciò dolcemente la fronte. Eren provò ad asciugarsi le lacrime. «Tranquillo, ora sei con me. Basta piangere, dai...» gli prese il viso fra le mani e lo baciò appassionatamente. Il ragazzo poté solo chiudere gli occhi e ricambiare. Gli strinse la giacca. Intanto aveva smesso di piangere. Aveva smesso di pensare a tutto. Era con Levi, l’uomo che amava più di qualsiasi altra persona al mondo, l’uomo per cui si era messo contro tutti. Si rilassò. Spostò le mani dalla schiena dell’insegnante ai suoi fianchi. Lo bloccò al muro. Levi aprì gli occhi staccando le labbra da quelle di Eren. Il ragazzo fece lo stesso.
«Mi hai davvero bloccato al muro? Eren... non sei portato per fare l’attivo, dai» gli sorrise l’uomo accarezzandogli il viso.
«Ah no? Vogliamo vedere?» lo sfidò facendo un sorriso malizioso, come se stesse cercando di avere qualcosa. Come se volesse di più.
«Era per questo che sei venuto prima?». Eren sussultò. Abbassò la testa. «Cosa c’è? È successo qualcosa in gita?» gli chiese serio.
«No... Levi, è solo che...» iniziò il ragazzo affondando la testa nella giacca dell’insegnante.
«È solo che...? Eren, parla» gli ordinò preoccupato. Il castano si morse il labbro.
«Mikasa ha detto ai miei che stiamo insieme e non l’hanno presa bene. Stamani sono venuto prima perché sono scappato... gli ho detto tutto, ho provato a spiegargli che non sei una cattiva persona, ma non vogliono ascoltarmi...» iniziò a piangere.
«Perché gliel’ha detto?».
«E che ne so! Se n’è uscita così...» esclamò. Alzò poi lo sguardo verso quegli occhi argentei di cui si era perdutamente innamorato. «Io voglio stare con te, Levi. Non so come convincerli... io...» non riusciva a parlare da quanto piangeva.
«Cosa vuoi fare, Eren? Vuoi che ci parli io?» gli chiese dolcemente mentre gli asciugava le lacrime.
«Non li convincerai mai» affermò convinto Eren. Li conosceva, non sopportavano tanto queste cose. Mikasa voleva che lo odiassero? Questo si chiedeva il ragazzo.
«Allora dimmi che vuoi fare».
«Voglio scappare».
«Dove? Devi andare a scuola, Eren».
«I miei non sanno dove abiti, mi hai anche detto che non hai dato il tuo indirizzo alla scuola». Levi aveva capito.
«È troppo presto per condurre una vita di coppia».
«Levi...» Eren fece gli occhi a cucciolo, quelli che facevano impazzire Levi. Quelli che, ogni volta che li guardava, gli veniva voglia di bloccarlo al muro e di baciarlo come non mai.
«Eren...» si morse il labbro. «Non mi guardare in quel modo quando siamo a scuola...» lo avvertì.
«Dimmi prima se posso trasferirmi da te o no, Levi...» lo disse con quella voce che faceva sempre eccitare Levi.
«Certo che sì, Eren... e non farmi eccitare a scuola...».
«Tanto ho il cambio» scherzò Eren baciandolo con passione.
   
 
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