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Autore: heliodor    29/08/2017    5 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Tornare a casa

"Questa è follia" disse Privel mentre cercavano di trascinarlo via. "Ci porterai alla distruzione."
"Tu ci hai traditi" disse lady Gladia.
"Io cercavo solo di difendere il regno da... da... da quel flagello." Indicò Joyce.
Lei si strinse nelle spalle.
"Guarda che cosa ci ha fatto Malag" disse lady Gladia mostrandogli la lettera vuota che Rancey le aveva consegnato. "Gli è bastato insinuare il dubbio per dividerci e farci combattere tra di noi. È questa la sua forza."
"E come pensate di fermarlo?" gridò Privel. "Lui può distruggere intere città."
"Lo fermeremo come l'ultima volta."
Privel rise. "Quella è solo una menzogna e tu lo sai bene. Ragazzina, tu" urlò rivolto a Joyce. "Chiedi a Gladia perché sei nata senza poteri. Chiedile che cosa accadde quel giorno. Lei era presente."
"Portatelo via" disse lady Gladia. Poi rivolta a Joyce: "Non starlo a sentire. Privel è solo un folle."
"Che voleva dire?" chiese Joyce perplessa.
Lady Gladia scosse la testa. "L'unica cosa vera è che per un caso fortuito ero a Valonde quando nascesti. Me lo ricordo bene."
"Sul serio?"
Lady Gladia annuì. "Tuo padre fece suonare le campane a festa per tre giorni. Non lo avevo mai visto così felice. Gli deve essere costato tantissimo mandarti qui."
Joyce trattenne a stento le lacrime. All'improvviso sentiva tutta la nostalgia di casa pesarle sulle spalle. Voleva salire sulla prima nave e andarsene.
Passò i giorni successivi preparandosi per il viaggio di ritorno. Noela passò a trovarla il giorno prima di quello fissato per la partenza.
"Volevo chiederti scusa" disse la strega. In quel momento non indossava le vesti del circolo di Taloras. "Ma non ti avrei mai fatto del male. Ero solo... arrabbiata."
Joyce la capiva. Anche lei avrebbe fatto pazzie per la persona che amava. "Spero che tu e Tharry siate felici."
"Lo spero anche io. Ci aspettano tempi difficili con la guerra e tutto il resto. La rivolta di Privel ha lasciato una profonda ferita."
"A proposito, che fine farà?"
A quella domanda aveva risposto lady Gladia. "Andrà a Krikor, dove meritano di stare quelli come lui."
"Spero che ci resti a lungo" aveva detto Joyce.
"Nessuno torna da quel posto."
L'assassino ingaggiato dal comandante Jakob era tornato, pensò Joyce.
Il generale aveva deciso di fare ammenda per i suoi errori e aveva rinunciato a ogni titolo, dopodiché aveva annunciato di volersi unire al primo contingente di Taloras in partenza per la guerra.
Anche lui era venuto a porgerle le sue scuse. "È stata una follia da parte mia, ma l'ho fatto per proteggere mia figlia."
"Anche incarcerare ingiustamente una persona innocente?" Joyce voleva che si scusasse anche per quello che aveva fatto passare a Oren. Senza contare che per colpa sua era stata baciata in una cella puzzolente, ma preferì non parlarne.
Jakob aveva chinato il capo. "Volevo proteggere Oren. E il modo migliore mi sembrava metterlo sotto custodia in un luogo protetto. Ma avevo sottovalutato la vostra determinazione."
L'ultimo atto era stato il saluto ufficiale di re Hagar, Lionore e Tharry. C'era stata una cena ufficiale alla quale erano stati invitate poche persone, tra le quali lady Gladia e altri stregoni. Si era parlato della guerra e di quante truppe inviare al fronte.
Re Hagar voleva inviare una parte delle forze a Valonde per difendere il regno in caso di attacco. Nessuno voleva che si ripetesse ciò che era accaduto a Londolin.
Solo sentir nominare quel luogo le fece passare la voglia di mangiare.
Passò l'ultima notte a Taloras senza riuscire davvero a prendere sonno se non per qualche ora.
Il giorno dopo la nave per Valonde era pronta a salpare. Lei e Oren vi salirono scortatati da guardie e stregoni del circolo.
Si ripeterono i saluti solenni e si scambiarono le promesse di aiuto reciproco e alleanza, quindi la nave salpò.
Joyce decise di passare la maggior parte del viaggio leggendo. Aveva i suoi libri d'avventura che aveva portato con sé da Valonde e intendeva finirli prima di tornarci.
Peccato che non avesse nessuno col quale parlarne. Le mancava Bryce, che ogni tanto si divertiva a leggere quelle storie che a lei piacevano tanto.
La sorella maggiore non era una lettrice accanita come lei e preferiva altri generi di lettura, come la poesia antica e i poemi epici.
Il risultato era che non aveva nessuno col quale scambiare qualche opinione sull'ultimo lavoro di Adenora Stennig o sulle evidenti incongruenze nella trama del Cavaliere Barbuto.
Poi le venne un'idea.
Salì sul ponte e cercò Oren.
Il ragazzo passava quasi tutto il suo tempo a osservare il mare, come se stesse cercando qualcosa o qualcuno.
Gli si avvicinò quasi in punta di piedi per non disturbarlo.
Appena si accorse della sua presenza scattò in piedi. "Vostra altezza."
"Salve" disse Joyce cercando le parole giuste. "Mi chiedevo, visto che non c'è molto altro da fare, se ti andasse di leggere qualcosa. Perché sai leggere, vero?" Sibyl sapeva già la risposta, ma in quel momento era Joyce.
Oren annuì. "So leggere e scrivere, vostra altezza. E so fare anche di conto. Mi ha insegnato l'anziana del villaggio."
"Perfetto." Gli porse un libro.
Oren lo prese e lo osservò perplesso. "Il Drago e la Principessa Azzurra" disse leggendo il titolo sulla copertina. "Di Adenora Stennig."
"È uno dei suoi primi libri" spiegò Joyce. "La storia è piuttosto semplice, ma è l'ideale per iniziare."
Oren sembrò soppesare il libro tra le mani. "Volete che lo legga?"
"Certo. Se ti fa piacere."
"Lo farò" disse lui deciso.
"Bene. Buona lettura allora."
I due giorni successivi trascorsero tranquilli e all'alba del terzo erano già in vista di Valonde. Salendo sul ponte riconobbe le basse colline che cingevano la città e, sulla cima di una di esse, il palazzo.
Da lì non riusciva a vedere i particolari, ma sapeva che c'era anche la finestra della sua stanza, dalla quale poteva vedere il mare.
La nave attraccò al molo verso mezzogiorno. Ad attenderla c'erano una dozzina di guardie e stregoni e una carrozza scoperta.
I marinai gettarono una passerella tra la nave e il molo e lei poté sbarcare.
Era così felice di essere tornata a casa che non si accorse dei visi severi che la stavano osservando e delle guardie che si posizionavano ai suoi lati.
Persym scese dalla carrozza e le venne incontro. "Voi dovevate restare a Taloras" disse lo stregone con tono aspro. "Era previsto un matrimonio per sancire un'alleanza."
"Il matrimonio non si farà, ma l'alleanza è garantita" rispose Joyce. Aveva con sé la lettera firmata da re Hagar in persona e sigillata con il suo stemma.
Persym non sembrò impressionato da quella notizia. "In ogni caso hai fatto male a tornare."
Joyce fu sorpresa da quell'improvviso cambio di tono.
"Ora verrai con noi."
"Devo andare a palazzo..." cominciò a dire Joyce.
"Il palazzo è interdetto. Tu verrai al tempio."
"Perché?" domandò lei preoccupata.
"Per rispondere a delle domande. E per il processo."
"Quale processo?" Joyce all'improvviso non si sentiva più tanto felice di essere tornata.
"Quello che si terrà tra pochi giorni. Tuo fratello è già stato giudicato. Tu sei la prossima." Così dicendo fece un cenno ai soldati che la circondarono.
 
***
 
Quella notte non riusciva a dormire. Negli ultimi sedici anni era diventata un'abitudine per lei aggirarsi nei corridoi e nelle sale deserte del castello prima e del tempio dopo.
Di tanto in tanto, quando tornava al castello, le notti si facevano ancora più cupe e solitarie.
Anche quella sera, al calare delle tenebre, sapeva che il sonno che cancellava tutti gli affanni della giornata non sarebbe giunto se non dopo che avesse espiato almeno in parte le sue colpe.
Per lungo tempo era stata solo Gladia, la principessa senza corona, condannata da una legge antica e ingiusta a non poter avere ciò che le spettava di diritto.
Era cresciuta con quella idea precisa in testa: diventare regina a ogni costo.
I suoi poteri si erano rivelati molto presto, rendendola famosa nel regno.
Molti stregoni venivano da terre straniere per vederla esercitarsi nel minuscolo cortile del palazzo, sotto gli occhi attenti di maestro Emirjon e di altri tre membri del circolo di Taloras.
Emirjon aveva grande ammirazione per lei. Voleva che imparasse in fretta. "Tu hai un glorioso destino dinanzi a te" le diceva spesso.
Gladia non capiva tanto entusiasmo, ma in quegli anni l'unica cosa che le stava veramente a cuore era non deludere le aspettative di suo padre e del suo mentore.
Voleva diventare la strega più forte di sempre e si allenava ogni giorno per raggiungere quello scopo.
Pensava che le bastasse quello per convincere suo padre a cambiare la legge e permetterle di cingere la corona.
Crebbe con quell'unico desiderio per dodici anni, fino alla sua consacrazione.
Il giorno in cui indossò la veste del circolo fu lo stesso in cui capì che non avrebbe mai ereditato la corona.
Infatti la sera stessa re Hakun decise di abdicare a favore del figlio Hagar, in modo da permettere a questi di salire al trono.
Gladia ne uscì distrutta. Tutti i suoi sogni, tutti gli sforzi che aveva fatto, tutte le sofferenze che aveva patito. Tutto era stato inutile. Lei era solo una patetica strega come tutte le altre. Non sarebbe mai diventata regina.
"Tu sei destinata a essere molto di più" le disse Emirjon quando gli confessò quello che sentiva.
"Di che destino parli? Per me c'è solo l'oscurità e l'oblio."
"Al contrario. Il tuo nome risplenderà nel firmamento. I poeti dedicheranno intere epopee alla tua storia. La tua vita sarà narrata nei libri d'avventura."
"Non capisco."
"C'è una persona che devi conoscere."
"Chi?"
"Uno stregone."
Emirjon glielo presentò. Era un ragazzo alto, col mento a punta e una barbetta rada. Sembrava sempre imbronciato e chiuso nei suoi pensieri. Ma aveva occhi vigili che non sembravano perdere nessun particolare.
"Mi chiamo Robern" aveva detto presentandosi la prima volta.
"Gladia" aveva risposto lei con cortesia.
Così era iniziata la seconda vita di Gladia, fatta di interminabili riunioni con gli altri stregoni e streghe del circolo, di viaggi verso regni dal nome che a stento riusciva a pronunciare e di complicate ricerche genealogiche che maestro Emirjon le affidava di tanto in tanto.
Aveva ricostruito intere linee di sangue, alcune risalenti al secolo precedente, scoprendo che la maggior parte delle case regnanti erano imparentate.
"È necessario per rendere il sangue più forte" le aveva spiegato Emirjon. "Presto toccherà anche a te."
"Cosa?"
"Fare la tua parte."
"Credevo di farla già."
"Ci sono molti modi" aveva risposto Emirjon.
Robern era sempre lì. Col tempo aveva capito che anche lui faceva parte dei compiti che Emirjon svolgeva per il circolo di Taloras, ma lo scopo di tutto quello le era oscuro.
Emirjon non voleva parlarne.
"Pochi sanno" aveva detto una volta. "Ed è necessario che sia così."
La curiosità di Gladia era cresciuta, insieme all'affetto e al sentimento che provava per Robern.
Erano diventati amici, confidenti e infine amanti. Gladia l'aveva confessato al suo maestro, aspettandosi un severo rimprovero, ma lui si era detto contento. Aveva benedetto quell'unione.
Lo stesso anno in cui re Andew e Marget di Valonde ebbero la loro quarta figlia, Bryce, Gladia scoprì di aspettare un bambino.
Le regole del circolo non vietavano ai suoi membri di contrarre matrimonio o generare prole, ma il suo stato interessante, al di fuori di ogni consuetudine, generò talmente scandalo da costringerla a lasciare il regno per portare a termine la gravidanza in pace.
Andò a Norridor, la tenuta di famiglia, dove trascorse gran parte del tempo ospite di amici.
Emirjon andò a trovarla più volte per assicurarsi che stesse bene. "Ovviamente non potrà ereditare il trono" le disse il suo maestro. "Ma re Hagar ha promesso di concedergli delle terre e un titolo."
"E Robern?"
Emirjon si era rabbuiato. "Non riusciamo a contattarlo. Sono mesi ormai che è sparito."
Gladia non riuscì a trattenere le lacrime.
"Che cosa ti rattrista così tanto?"
"Sarò sola" aveva risposto.
"Noi saremo tutti con te" le aveva assicurato Emirjon. "Questo bimbo porterà una nuova luce nelle nostre vite. Ci darà speranza."
Gladia continuava a non capire le parole del suo maestro, ma decise di accettarle come parte del suo destino.
I mesi passarono e lei si preparò al parto. Pochi giorni prima che il tempo scadesse, Emirjon venne di nuovo a trovarla. "Resterò fino a dopo la sua nascita" aveva promesso.
Gladia si era sentita sollevata da quel pensiero.
Quella notte stessa, non riuscendo a prendere sonno, era scesa nei giardini per una passeggiata. Era lì che aveva trovato Robern.
Non era diverso dall'ultima volta che l'aveva visto, ma c'era una luce diversa nei suoi occhi. O forse la luce che prima c'era ora si era spenta.
"Ciao Gladia" aveva detto salutandola.
"Rob" aveva risposto lei. In quei mesi il risentimento verso di lui era cresciuto. Immaginava di incontrarlo e scacciarlo via alla prima occasione in cui l'avrebbe rivisto, ma trovarselo di fronte così all'improvviso cancellò con un sol colpo tutto l'odio e il rancore. Lo amava come l'ultima volta che si erano visti e sapeva di averlo già perdonato.
Corse tra le sue braccia ma lui la respinse.
"Rob?"
Lui non osava guardarla negli occhi. "Mi dispiace tanto."
Fu allora che Gladia vide il corpo riverso a terra di Emirjon e le ferite sul torace e il volto. Anche Robern era ferito al fianco, segno che i due si erano battuti.
"Che cosa hai fatto?" gli chiese sconvolta.
"Quello che dovevo. È il mio destino."
Gladia si chinò sul corpo di Emirjon. Lo stregone non respirava. "L'hai ucciso?"
Per tutta risposta Robern le afferrò il braccio e la costrinse ad alzarsi.
Lei tentò di divincolarsi, ma la sua presa era ferrea. Le dite le artigliarono la carne del braccio affondando in profondità.
"Lasciami" gemette Gladia.
Robern la tenne ferma e con l'altra mano le sfiorò il ventre. "Ti amo" disse mentre posava la mano sul ventre rigonfio.
Gladia si sentì avvampare nel punto in cui la mano l'aveva sfiorata. Il dolore fu così intenso che le tolse il fiato e la fece piegare in due. "Cosa stai facendo?"
Robern la lasciò andare. "Non mi rivedrai mai più." Le voltò le spalle.
Gladia sentì qualcosa di umido e appiccicoso correrle lungo la gamba. Guardò in basso e vide la vestaglia imbrattata di sangue all'altezza dell'inguine. Le lacrime le riempirono gli occhi. "Perché Robern, perché?" gridò con voce strozzata dal pianto. "Perché?"
Lui non si voltò, ma non mantenne la promessa. Lo rivide anni dopo a Valonde.

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