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Autore: Helmyra    01/09/2017    2 recensioni
“Mi piace la musica,” commentava l’estraneo, nella vita e nel dolore di Elanilde, “e mi serve uno scudiero. Canterai per me di sera, quando i soldati saranno in congedo e noi due soli, in qualsiasi luogo che abbia attorno quattro mura. Ti terrò per questi motivi, e quando non sarai più utile... ti ucciderò”.
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Spin-off di "A wine of character". Nuovi personaggi e nuove situazioni, a parte la presenza di Dorisa e Sanguine.
Elanilde si prepara al suo debutto in società, attendendo l'assenso di Voranil, gentiluomo e mecenate di Cheydinhal.
La guerra è finita, ma le conseguenze del Concordato d'Oro Bianco forniscono ai Thalmor un'occasione di vendetta.
Genere: Fantasy, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Dovahkiin
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Daedric Maidens'
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Il drago era tornato. Lo scudo che aveva fabbricato l'aveva servita bene in battaglia, e ora giaceva a pezzi tra i rottami della fucina. Elanilde era certa di esser sopravvissuta, di aver trattenuto le lacrime fino a mozzare il respiro, mentre cercava la quiete tra le pellicce. Aveva sempre ovviato all'angoscia con sedativi e false rassicurazioni: all'inizio era stata dura ma poi, col passar del tempo, assistere ad una tortura o al pianto di un prigioniero durante un interrogatorio le provocava una fitta allo stomaco e non il tormento che la costringeva in ginocchio, con gli occhi barricati dietro i pugni per non guardare, scaturito dalla consapevolezza di essere sola in un'infamità perenne.

Ripercorreva gli eventi a ritroso nel dormiveglia, per non dimenticarli. Lo scudo, lo straniero. Sevan, l'arco, lo spiraglio attraverso il portone. La cascata scrosciante, la fuga.

Tremava, non per la spregiudicatezza del piano attuato con Sevan per tirarla fuori dalla rocca, era il ricordo di quella creatura maledetta a sconvolgerla. Anche un'elfa semplice come lei intuiva di non trovarsi di fronte a un prodigio comune, ammesso che la visione stessa di un drago potesse definirsi tale. Trasudava indifferenza, crudeltà... i figli di Akatosh seguivano dettami giusti. Forse aveva di fronte un essere deviato, ridotto a una larva senza volontà. Già, così doveva essere. Se avesse mostrato un briciolo di compassione non avrebbe avanzato per primo... sembrava conoscere i punti deboli di una città che stava in piedi solo per orgoglio.

Era sicura che fosse una visione, che la visione fosse una trappola per istigarle il suicidio al culmine della disperazione. Elanilde desiderava rivolgere la spada verso il petto e farla finita perché la bestia, anche nell'illusione, era invincibile. Né umani né mer attorno a lei erano in vita, giacevano l'uno sopra l'altro tra montagne di ossa e terra riarsa, mentre un uragano rabbioso sovrastava il ruggito del drago.

Erano le anime dei disperati, giunte a punire il male che l'avevano straziate, in una tromba d'aria che si abbatteva su qualunque cosa come una furia cieca. Non aveva molte possibilità: forse anche lei avrebbe raggiunto i morti. Si sarebbe unita a quel coro urlante, e allora sì, avrebbe avuto una voce prima di finire all'Oblivion.

“No!” Ebbe la forza di ribellarsi, spiccare il volo e puntare al muso della bestia. Valeva la pena provare, combattere e opporsi per renderle parte dello stesso dolore. Andare via, certo, ma non col rimpianto di aver assistito alla propria fine.

La curva del ciclone deviò, la scansò consapevolmente, per inghiottire il drago. Fu sorretta da una forza invisibile, infusa a parole da spiriti sconosciuti.

“Non ancora, figlia mia... non ancora.” La lasciarono con poche parole, le ultime che udì prima della fine di un incubo sventato.

“Elan, Elan. Non ignorarmi e per quanto è vero Auri-el, calmati!”

Ondolemar le tergeva le labbra con un fazzoletto mentre le sue braccia, mai così calde e accoglienti, le impedivano di agitarsi e tremare. Lo strinse forte, per accertarsi che fosse davvero lì con lei.

“Questo è troppo... perché ti chiedo di rimanere nella rocca? Per evitare disastri. A quanto pare, un residuo di energia negativa ha contaminato la tua mente. Hai battuto i denti, pianto e ringhiato tutto il tempo, sai perché? Prendere quella pozione è stata l'idea peggiore che potessi avere. Gli hai offerto l'anima su un piatto d'argento! Ringrazia gli Déi se tutto è andato bene... ignori i pericoli di queste rovine, altrimenti non ti azzarderesti a fare la sbruffona contro un'entità ignota. Mettitelo bene in testa, sei uno scudiero, un fabbro...”

Si chiuse ancor di più nell'abbraccio, per evitare di sentirsi persa, sola. L'Inquisitore rinunciò alla predica per indulgere in un piacere più gratificante. Era sempre stato combattuto tra l'affetto e la necessità di doverle impartire ordini, però... non era tardi, magari, per lasciarle intendere quanto desiderasse risparmiarle la guerra. Tenerla fuori dal pericolo, sebbene ciò significasse essere veicolo di odio, disprezzo.

Riemergeva a galla il rimpianto, assieme alle travi carbonizzate della bella casa di Cheydinhal.

“Adesso capisco.” Le sussurrò, pettinandole la frangia. “Mi ostino a tenerti perché sono un debole. Avrei potuto contravvenire all'ordine di Valermo, invece non l'ho fatto. Ho preferito ubbidire perché era comodo, il modo più semplice per guadagnarmi la stima e il rispetto della mia famiglia. Non posso cambiare il passato, ma migliorare il presente. Ti prego, scappa via: affitterò una casa per te a Solitude, per ridarti ciò che ti ho tolto. Sposami. Può darsi che questa città balorda diventerà la mia tomba... se vivrò ancora, sceglierai se togliermi la vita. Sposami, però, eredita ciò che possiedo e vivi. Vivi meglio di quanto tu abbia fatto con me... non sei tu a meritare di morire.”

Gli sfiorò il viso, marcando la fossetta sul naso, le linee dure ai lati della bocca. In modo terribile e maldestro l'aveva sempre protetta, sebbene ciò non le restituisse gli anni tumultuosi passati in schiavitù. Era giunta l'ora di decidere, la scelta o il compromesso.

Che sciocco! Aveva di fronte il vero prigioniero, colui che per amore era disposto ad annullarsi, pur di garantirle un futuro felice e redimersi. Altmer stupido e ostinato, fino alla fine seguace di cause perse.

Elanilde non condivideva la passione per il dramma, preferiva le favole sugli animali, le storielle dei villaggi presso il lago Rumare. Gli avrebbe donato un briciolo di tenerezza, una scintilla di pazzia: accostò le labbra alle sue e lo baciò, come avrebbe fatto una sposa. L'avrebbe ricordata così, fino alla fine; si sarebbe illuso di averla avuta solo per un attimo.

“Senza di te sarei comunque morto. Arriverà il calesse tra quattro giorni, non c'è modo di fare più in fretta. Se vorrai... donarmi l'estasi, al sorgere delle lune, sentirò meno la mancanza. Anche se non ricambi sei tu l'unica che vorrei come compagna”.

Legare ad una persona limitata, imperfetta, il proprio destino. Un errore di calcolo madornale per l'Inquisitore, osannato ad Alinor e inviso alla nobiltà di Skyrim, credere ad un effimero senso di sicurezza dato dall'amore. Ripudiava ogni logica, cedeva al romanticismo.

Ecco, alla fine, il vero Ondolemar.

Gli sfiorò la punta delle orecchie e volò via, tenendo fede al pericoloso scambio di promesse. L'aspettava il calore dell'officina, un armamentario di spade da molare e scudi scalfiti, lavori estenuanti e intrapresi a cottimo che in periodo di guerra sono la norma.

Era un uomo come tutti, glielo leggeva nel sorriso, negli occhi sbiaditi che cercavano in lei la proiezione di un ideale. Elanilde ricambiò, avendo pena e rimpiangendo ciò che poteva essere.

Prima dell'ultimo giorno.

 

Sevan aveva congegnato un sotterfugio ideale, garantendo al servo del Thalmor una breccia tra la postazione di Moth-Gro Bagol e la rivendita di Ghorza, al di là delle arcate. Messo alle strette, Igmund aveva ceduto alle pressioni dello zio e convocato ufficialmente un presidio imperiale. Ad Emmanuel spettava il controllo del Reach per costringere il drago – o qualunque cosa fosse – a rimanere confinato tra le montagne. Il legato dunmer, nominato un sostituto a Winterhold, si era guadagnato per merito il diritto di gestire l'emergenza a Markarth e mediare tra lo Jarl e i cittadini. Igmund, ovviamente, avrebbe preferito altre soluzioni, tuttavia vinse il buonsenso e abbandonò ogni antipatia e screzio. Anche se i dissapori stentavano ad estinguersi, i colloqui ripresero e divennero più lunghi e frequenti. Con incredibile sollievo per Raerek e Faleen.

Alla forgia, invece, i colpi di maglio si erano fatti assordanti. Il fabbro orsimer era stato costretto a prolungare il lavoro, a molare le lame nottetempo per effettuare la battitura nelle ore di luce. Non rischiava, comunque, di esaurire spazio sulle rastrelliere, dato che un emissario di Sevan Telendas – o meglio, un cadetto sempre diverso – giungeva a reclamarle prima che penzolassero dai ganci tra le fenditure nella roccia.

Ne aveva visti passare tanti, nessuno però era tanto improbabile quanto quello che gli avevano inviato quel giorno. Era un ragazzetto bretone dinoccolato e lentigginoso, di certo alle prime armi, ma sfacciato come pochi. Giocherellava con una moneta da un septim che, non sapendo se per scherzo o segno di devozione, aveva forato e appeso al collo come portafortuna. L'aveva sfilata dal laccio di cuoio ed era irritante vederla scintillare oltre il fumo acre delle braci, mentre piroettava in aria tra un'acrobazia e l'altra.

“Testa, rimango qui e aspetto che mi rivolgete la parola. Croce, mi prendo le spade e me la filo comunque...”

“Ah, piantala, novellino!” Grugnì Moth-Gro Bagol, tentando di risultare minaccioso ma finendo per esalare un sospiro stizzito. “Ti diverti a indossare l'armatura, eh? Sono quelli come te che muoiono per primi sul campo di battaglia. Fossi in te ci avrei pensato due volte ad arruolarmi!”

Il cadetto ridacchiò, per nulla risentito. Lanciò la moneta un'ultima volta, gli finì sul dorso della mano senza troppe cerimonie e in un tintinnio secco.

“Testa!” Sbottò sottecchi. “La fortuna vi arride, vecchio stivale rattrappito.”

Cosa?” Conosceva Emmanuel e Sevan, la loro solerzia durante l'addestramento, ma per l'ultimo squadrone di sicuro avevano dato fondo alle campagne. Un tipo del genere lo vedeva bene in una taverna, col liuto in una mano e il boccale nell'altra, non ad onorare l'Impero.

“Ripetilo ancora se hai il coraggio, sbarbatello! Rattrappito, a me? Non hai nemmeno idea di cosa significhi rimanere serrato nei ranghi, con il sole di Hammerfell che ti brucia le pelle. Piuttosto stammi a sentire e tieni bene a mente le mie parole. Vuoi mollare? Fallo appena puoi e se cerchi qualcuno che ti spiani la strada nella vita, be', trovati un bardo! Per la barba di Malacath, quel giullare maledetto, perché l'hanno cacciato via? Ti avrebbe risposto per le rime e non avresti fiatato oltre!”

Il ragazzo, niente affatto intimorito, sghignazzò a bocca chiusa. Moth-Gro Bagol scosse la testa, si arrese e decise che continuare a lavorare era la soluzione migliore per non infilarlo di testa nella fornace. D'altronde, aveva abbastanza sale in zucca da capire che certe battute non erano gradite.

Il giovane bretone passò in rassegna con lo sguardo le spade di ferro, quelle di metallo dwemer; molte in stili comuni, altre più insolite e decisamente frutto della fantasia dell'armaiolo. Tra quelle riposte nell'angolo più lontano dell'officina vi era una spada d'acciaio lucente e un giustacuore leggero, di cuoio indurito sul fuoco, con foderatura ed inserti in pelle d'orso.

Si lasciò sfuggire un fischio di apprezzamento.

“Bella questa.” Si piegò e distese una mano verso il corsaletto imbottito. “A quanto, fabbro?”

“Dubito che ti paghino abbastanza per potertela permettere, e comunque non è in vendita.” Ribatté Moth-Gro Bagol, in segno di sfida e al contempo fiero del suo aiutante. “Se t'interessa, però, l'ha forgiata Elanil, un elfo che risiede qui alla rocca. Spero che oggi sia il giorno giusto, gli avevo detto di non metterci troppo... è davvero ingenuo!”

Non capì di cosa andasse cianciando, anche se il tipo doveva essere davvero in gamba per strappare un complimento a un orco tanto burbero. Continuò ad ammirare da lontano ciò che avrebbe potuto renderlo il vanto dell'accampamento.

Tra un rintocco e l'altro intravide alla porta un altmer che indossava una casacca sformata e delle braghe acciambellate sugli stivali, all'altezza delle ginocchia. Dalla familiarità con cui si muoveva intuì che dovesse essere il talentuoso autore delle armature. Si presentò in un cenno deferente e prese ad arroventare sul fuoco una lastra di metallo: in quei movimenti frettolosi avvertiva il desiderio di diventare una figura di sottofondo e scomparire.

“Elanil.” Chiamò l'orsimer. Il garzone sgranò gli occhi.

“Allora, ce l'hai un nome, tu?” Il bretone si accorse d'esser stato interpellato solo quando lo vide fare un cenno col capo. “Non hai voglia di parlare ora?”

“Ba... Bastian. Mi ero fermato a curiosare, tutto qui.”

“Bene, Bastian: prendi quello che ti serve, con la spada e l'armatura che ti piacciono tanto, e va' via. Elanil verrà con te: per effettuare le saldature ho bisogno di stagno, qui non ce n'è abbastanza. Appena fuori, manda a dire a quello smidollato di Tacitus che è più utile come fattorino e non da armaiolo. A mia sorella non dispiacerà l'assenza.”

L'elfo cominciò a sudare freddo.

“Ce l'hai ancora il volantino in tasca, vero? Mostralo a questo galantuomo, di certo saprà che la strada a a sud-est è quella migliore per passare indisturbati e raggiungere l'accampamento. Ah, e prima di uscire, recluta, di' alle guardie al portale che sono i lingotti di primo conio che cerco per la prossima forgiatura, e quelli si trovano solo alla miniera fuori le mura. Elanil è muto, non so quanto bene faccio ad affidartelo, ma se è una divinità o il caso che ti ha mandato qui, allora sono obbligato ad accontentarmi. Non c'è più tempo da perdere, che tu lo voglia o no. Puoi tornare a lavoro quando i Thalmor avranno smontato le tende, Elanil. Non serbarmi rancore se ti congedo senza troppi complimenti, ma ti serviva una scusa e uno stratagemma per uscire fuori dalla fortezza. Un paio di mesi alla Legione ti faranno bene.”

Moth-Gro Bagol diede una pacca affettuosa sulla spalla dell'apprendista, che a stento tratteneva le lacrime. A Bastian parve una separazione sofferta, che passava inosservata quanto tutti gli anni d'amicizia trascorsi a temprare lame e colare metalli. Elanil si curvò in un profondo inchino, degno di un re, il massimo rispetto che potesse elargire al maestro, non avendo parole per farlo.

“Seguite attentamente le istruzioni, sono un veterano.” Moth-Gro Bagol colse la nota di preoccupazione e fece di tutto per rassicurarlo. Bastian credeva di rimediare delle vecchie spade tirate a lucido o scudi per la fanteria, invece si ritrovò a scortare un aspirante commilitone verso l'accampamento, dove si sarebbe unito al resto dell'esercito.

“Non c'è bisogno che tu mi mostri il foglio, è il Legato che cerchi, giusto?” Sorrise. “Ho sentito dire che avremmo avuto un nuovo fabbro, ma mai mi sarei aspettato di essere io a compiere la missione. Be', spesso la gloria arriva quando non la si cerca. Faremmo meglio a muoverci!”

La messinscena si svolse nel modo in cui venne dettata dal mastro fabbro. Prima una puntata da Ghorza e l'incerimonioso commiato per Tacitus, poi l'avviso alle guardie, che lasciarono uscire Elanilde dopo aver udito le motivazioni dalle labbra del soldato. Giunti oltre i bastioni la corsa si fece man mano più rapida, fino a divenire una fuga bella e buona dalla città che, da mesi, era stata la sua prigione.

Ondolemar. Una parte di lei provava timore di fronte alla probabile vendetta che l'Inquisitore avrebbe cercato di scagliare contro Moth-Gro Bagol e il presidio, complici volenti e nolenti dell'azione. Appesantiti com'erano dalle armi non avrebbero potuto ponderare altri diversivi, se non intraprendere la strada tra gli sterpi evitando il sentiero a ridosso del fiume, scoperto e in piena vista dalle vie d'accesso principali. Sollievo, costernazione e nervosismo si alternavano l'un l'altro, mentre Bastian scostava gli arbusti, evitando di fenderli con la spada.

“Ci potranno seguire solo con un segugio alle calcagna, in mezzo all'erba e agli sprazzi di terra dove brucano i cervi e cacciano i lupi gli odori e le impronte si confonderanno. Sarà un fastidio per noi, ma anche un diversivo, dovranno abbattere qualche bestia feroce nel frattempo. Ti assicuro che ne verremo fuori, ho in serbo un bel piano.”

A Elanilde non restò altro che concedergli fiducia ad oltranza. Il sole di metà mattina aveva ormai scalato i picchi ad est, ombreggiandone le cime; baluginava tra il velo fitto di nebbia che offuscava i monti a confine. La conoscenza del territorio non giocava a loro favore: tra i crinali aguzzi e le rocce contornate dai cespugli di ginepro, Rinnegati e mercenari del Reach erano del tutto a loro agio. Risalendo il profilo del versante a est, Elanilde si sentì afferrare da sensazioni che la scaraventavano in basso, di colpevolezza e ingratitudine. Davvero era così stupida, al punto da rimpiangere un legame durato anni, contro il suo volere? Perché non la serenità, invece, di giorni, decisioni e conquiste che le sarebbero sempre appartenute? Scrollò le spalle, imputando all'abitudine l'insensatezza dei propri dubbi. Un legame illusorio...

E se tale lo riteneva, perché indugiare nel piacere che le regalava il calore delle sue braccia, le note profonde e carezzevoli della sua voce? Momenti felici, una scialuppa su un mare tempestoso fatto di rimproveri, castighi e goffe lusinghe.

Sei una sciocca, ciò non basterebbe mai a farti tornare indietro. Adesso puoi andare ovunque, essere chiunque. Puoi avere il meglio, è la libertà che ti spetta. Non fermarti!

Avrebbe preferito morire, nel vedere la casa natale affossarsi tra le braci. Desiderava consumarsi nel fuoco, piuttosto di servire il nemico che l'aveva insultata tenendola in vita. Eppure era morta quel giorno, a Cheydinhal, e ogni giorno moriva nella città antica. Il favore di Kynareth dimorava nel Reach se avesse saputo cercarlo, se avesse deciso di vivere e spezzare i legami col passato.

E decise di vivere, accelerando il passo. Di vivere, perché non aveva nulla da perdere.

Bastian si fermò ad annusare l'aria. Sembrò interdetto, incerto sulla direzione da prendere. Elanilde lo osservò in silenzio, ma quando riprese il cammino notò che aveva scelto il sentiero a sud, di raccordo con la destinazione opposta. Si affrettò ad andargli incontro, lo trattenne per un braccio e indicò l'altra riva con una brusca bracciata.

“No.” Le strinse il polso con un sorrisetto da brigante. “Non ho detto che ho un piano in serbo? Allora non essermi d'intralcio e muoviti. Abbiamo già sprecato troppo tempo alla miniera.”

Provò a divincolarsi, ma il legionario serrò le dita con maggior forza.

“Sei testardo, bene! Abbiamo qualcosa in comune. Che ne dici di fartene una ragione e basta? Sai, non mi piace dare ordini e sei una bella gatta da pelare. In marcia!”

Non le restò altro che assecondarlo. Un impeto di collera, di livore, la convinceva a inchiodare a terra i calcagni e resistere. Per tutta risposta, Bastian prese a trascinarla lungo la rupe, verso un anfratto di roccia scavata nascosto dietro delle colonne rocciose e acuminate che ne schermavano l'entrata.

Ebbe subito un cattivo presentimento. Il ragazzo aveva mostrato di desiderare ardentemente il corsaletto e la spada, ma scacciò l'infausta eventualità mantenendo calma e nervi saldi, risalendo il pendio assieme. Entrambi si fermarono di fronte a un'apertura che sembrava una caverna naturale, sebbene il fondale fosse illuminato da ciò che apparivano torce fissate alla parete in roccia. Elanilde si chiese quale motivo avesse la Legione Imperiale di Skyrim, un corpo armato legale, per nascondersi al buio alla stregua di briganti e impostori. Era bastato il precedente cambio d'atteggiamento a convincerla che, forse, Bastian potesse avere dei secondi fini.

“Avanti, entra. Perché te ne stai lì impalato, ora? Ah, forse perché questo non è il campo del Reach? Infatti è un covo segreto. Muoviti, su!”

I sensi di Elanilde si allarmarono, temendo di finire in trappola: le armature bramate dalla recluta, trascinate in un fagotto di iuta tra le spade d'ordinanza, le suggerirono la mossa da attuare.

Fu un atto repentino, liberatorio. Bastian finì muso a terra, dopo un violento calcio nelle reni. Il grosso sacco gli finì addosso, impedendogli di riaversi dal colpo e dando all'elfa il tempo necessario per prendere lo slancio verso il fiume e non guardarsi indietro.

“Cosa aspettate? Avanti, inseguitela, idioti!” Giunsero stridule urla ed insulti di bassa lega dalla caverna, che la esortarono ad accrescere il ritmo della corsa. Dall'entrata della grotta fuoriuscirono, come uno sciame di vespe impazzite, un manipolo di dieci legionari armati e intenzionati ad avere la meglio nell'inseguimento. Da futuro fabbro imperiale si era trasformata in una sorta di improbabile fuggiasco, con alle calcagna grossi energumeni che parevano scelti apposta per braccarla su ogni fronte.

Questo è un incubo, pensò, scavalcando un recinto sgangherato e in rotta verso il nord. La permanenza alla rocca non l'aveva favorita in agilità, perciò investì tutte le forze restanti nell'assurdo tentativo di scalare la muraglia rocciosa e recuperare terreno. Aveva sorpassato di molto la fattoria oltre il ponte, e già intravedeva da lontano una costruzione tetra, immonda, che pareva scavata nella montagna contro il volere della natura stessa. Secoli, o millenni di perdizione, fatti di sacrifici umani e oscenità inenarrabili.

Il pericolo immediato prevalse sulla superstizione, sui mostri che forse avrebbe ritrovato solo nella sua mente. Cercò riparo dietro le arcate di quelle rovine sconosciute, di cui non conosceva neanche il nome. Scivolò di schiena lungo il profilo di una colonna e s'accovacciò a terra, credendo di aver posto fine alla corsa. Un respiro, poi un altro, a labbra schiuse e col fiato mozzo. Non l'avrebbero rincorsa sin lì, non avrebbero mai osato. Si concesse il tempo di recuperare le energie, quanto bastava per riaversi e strascinarsi fino al portone di bronzo segnato da crepe e ragnatele.

E lo sentì scricchiolare sotto le dita. Prima la meraviglia, poi lo sgomento. Un artiglio freddo e metallico l'afferrò per il collo e temé il peggio. Forse le storie sui draugr erano vere, forse era stata sventata a sottovalutare le leggende e a confidare sulla paura ancestrale dei locali. Eppure, alla luce del sole, la cosa che tanto l'aveva atterrita si rivelò come il guanto di un soldato. Di un legionario, ed Elanilde sgranò gli occhi perché credeva di averlo ingannato.

Invece, il trucco le si era ritorto contro perché non riusciva a spiegarselo, era quasi impossibile che fosse lì, che si ritrovasse la sua mano sul volto a impedirle la vista, a tapparle la bocca; a costringerla con l'incanto in un sonno dal quale non si sarebbe più destata.

“Anche questo faceva parte del piano, o almeno, il Capo l'aveva immaginato.” Commentò Bastian, mentre una fila di seguaci gli si faceva largo alle spalle. “Ora che è qui dobbiamo solo attendere che l'altro cada nel tranello, e poi, direi che è fatta!”

Voleva ribellarsi e non aveva forze, urlare ma non aveva voce. E perdendo i sensi, si giocò pure la facoltà di resistere.

 

“È scappato, Signore.” Fu il laconico verdetto del cadetto Thalmor. “Durante il servizio in officina. Pare che abbia persuaso un legionario imperiale ad accompagnarlo oltre le mura, le guardie ai bastioni non lo hanno fermato. Aveva propositi leciti.”

“Leciti?” Sibilò l'Inquisitore, voltandosi ad affrontare lo sguardo dello sfortunato messaggero e battendo il pugno sulla bella scrivania. L'attendente trasalì.

“Pa-pare una mansione alla miniera.” Balbettò. “Sarebbe dovuto rientrare in breve tempo, però, sia lui che il soldato sono svaniti dal circondario. Il resto della scorta...” Indugiò, facendosi coraggio. “è sulle sue tracce, se è necessario perlustreranno tutto il Reach. Nel frattempo, saremmo lieti di potervi assistere in qualunque mo...”

“Non avete idea di cosa significhi perdere uno schiavo in cattività da anni?” Tuonò Ondolemar. Un calamaio si rovesciò, macchiando il ripiano e le pergamene lì accanto. “Qualcuno che considereresti la tua ombra, soldato. Incaricato di sottostare ad ogni compito, di custodire ogni minimo segreto. È come se aveste regalato agli Imperiali tutte le informazioni – finanche le più riservate – sul mio conto.”

“Un errore madornale a cui intendiamo riparare, mio Signore.”

“Non cercare di blandirmi con la tua cortesia!” Urlò, gettando sia le carte imbrattate che il vetro vuoto in un vaso dwemer. “E no, non sarà la scorta a rimediare. Manda un comunicato all'Ambasciata e chiedi dell'Inquisitore Rulindil. Metterò fine a questa storia personalmente.”

“Ma...”

“Basta con le chiacchiere! Farà bene il Terzo Emissario, se userà il terrore per inculcarvi un po' di buon senno! Non ho bisogno di ulteriori spiegazioni: finché non avrò delle buone ragioni per convocarvi, siete tutti richiesti di guardia fuori l'ufficio, l'accesso alla rocca e i bastioni. E adesso, fuori di qui!”

Il giovane altmer s'inchinò, quasi quanto un fuscello pronto a spezzarsi, congedandosi col peso che quell'ordine aveva sull'intero avamposto a Markarth.

Non mi posso fidare di nessuno, fu la magra conclusione dell'ufficiale. E così, la sua priorità è sempre stata la fuga. E io, un intralcio... un ostacolo tra il presente e la sua libertà. Allora era tutto una finzione. Sono stato io lo sciocco, lei, invece... ha sempre pensato a se stessa. Soltanto a se stessa.

Se lo meritava, qualunque prigioniero a vita si sarebbe affrancato cogliendo al volo il primo barlume di speranza. Anzi, doveva ammettere che era stata abbastanza coraggiosa da osare, fortunata poi nell'aver trovato i giusti alleati che patrocinassero l'impresa.

Ondolemar aprì la cristalliera e si versò una coppa di vino di Auridon. Accavallò le gambe, chiuse gli occhi e meditò. Un tradimento simile le sarebbe costato la vita, lui non intendeva sprecare il tempo che gli restava dietro la carriera, le regole, i conflitti. Gli stessi eventi che avevano permesso alle loro strade di incrociarsi, di proseguire su fronti opposti. Rigirò il tronco della coppa tra le dita, cercando nella bevanda una risposta, se non al dolore, almeno ai dubbi che lo incalzavano.

Sfiorò la catenella che indossava al collo, e dopo aver forzato la chiusura ne sfilò una chiave d'ottone leggero ornata di riccioli e volute. La pose nella serratura e lentamente tirò la maniglia con l'indice della mano destra. L'amuleto di Ogmund spiccava tra lettere private e referti, rubando un brillio alla luce ovattata delle candele. Gli scivolò tra le dita e lo fissò con astio, come se l'oggetto stesso fosse la causa della sua dannazione.

Poi, dallo stesso cassetto, prelevò una pergamena fosforescente, l'ultima rimasta di una serie di orpelli magici provenienti dall'Ambasciata. Un potente incantesimo di tracciamento, che aveva serbato appositamente per il bardo. L'unico espediente rimastogli per una vendetta dalla quale l'attacco del drago l'aveva distolto.

Qual è la mia scelta? Si chiese. Quella ragionevole, che avrebbe perpetuato l'infelicità e l'assuefazione al dovere, oppure quella irrazionale, dettata dal desiderio?

Sei solo un sogno, si disse stringendo i denti, con la rabbia che gli torceva le membra. Il futuro sarebbe stato tetro perché lui l'aveva voluto. Avrebbe compianto la sua assenza, questo era certo, e con cosa si sarebbe consolato, con la certezza di esser sempre stato un militare ineccepibile? Uno stregone a cui non restava altro che il rango e la divisa cucitagli addosso dal padre?

Meritavano, quei sogni, di bruciare su una pira per convenienza personale?

Ah, no.

Scaraventò il monile a terra, aveva preso la sua decisione. E fu una risata compiaciuta quella che risuonò nello studio dell'Inquisitore, mentre strappava via il sigillo.

 



Potrei dire che il titolo del capitolo mi si addice, dato che aggiorno a cadenze bibliche...

Ultimamente ho ritrovato lo spirito per scrivere e mettere insieme delle frasi. Il “copione” della storia è sempre lì, a fondo pagina... mi limito a sviluppare i concetti e a descrivere gli eventi di questa storia che, in teoria, avrebbe già un finale. Ho provato, come sempre, a cambiare e sperimentare. Le ultime parti dovrebbero essere più veloci, più scorrevoli, sto cercando di essere più moderna e di mantenere lo stile descrittivo, andando però al punto. Ci sono delle cose lasciate volutamente in sospeso e dettagli insoliti.

Vi ringrazio, come sempre, per la pazienza nell'attesa e i consigli.

A presto, spero! :)

EDIT (02\09\2017): Il testo, nella parte iniziale, è stato modificato. Non è cambiato sostanzialmente nulla, ho mantenuto i particolari della descrizione e la sequenza di azioni. L'ho reso solo più scorrevole.
  
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