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Autore: Hikari_Sengoku    02/09/2017    2 recensioni
Ehilá, mi chiamo Hikari_Sengoku, e questa é la mia prima fanfiction su questo fandom. Ringrazio chiunque vorrá leggere e a maggior ragione dare il suo giudizio. Sono a conoscenza dell'usura del tema, ma vedere le cose da un'altra prospettiva é sempre una buona cosa, invito perciò alle critiche costruttive. Per questioni di trama, la storia si baserá unicamente sull'anime.
Cori é una ragazza italiana alle soglie della maturitá, con una famiglia particolare, un fratello scomparso che adorava ed un nonno pieno di misteri... Cosa potrá accadere quando da uno dei suoi anime preferiti pioverá letteralmente uno dei personaggi?
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Roronoa Zoro, Un po' tutti, Z
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Illusione di sicurezza

Stringere fra le mani il volante era una sensazione di paurosa euforia che non sentiva da troppo tempo. Preferiva la moto, indiscutibilmente, ma vedere il mondo attraverso il telescopio di un sottomarino era qualcosa di impagabile. La rotta era perlopiù sgombra di ostacoli, quindi a parte un paio di sterzate per evitare scogli, non aveva avuto motivo di perderla. Chiyo dormiva già da un pezzo. Con gli occhi incollati al visore, poteva osservare il mare cristallino della Grand Line. Infiniti branchi di pesci variopinti le attraversava la strada, e l’acqua era talmente cristallina da poter vedere a chilometri di distanza… Era semplicemente spettacolare. I coralli e le alghe ondeggiavano mollemente sugli scogli. Avevano colori spettacolari! Vide un'infinità di piccoli Nemo volteggiare fra gli anemoni, seguiti da qualche centinaio di piccole Dory. Un’immensa manta la sorvolò, come se stesse volando nel cielo. Era spettacolare, l’aveva già detto? All’improvviso, un’enorme ombra la oscurò. Poco dopo, un’immenso Re del Mare nuotava davanti a loro. Non li aveva notati! Era lungo 500 metri, e sembrava un’anguilla rosa, con le pinne gialle e il muso di un pesce sega. Sgusciava e scivolava nel banco di scogli sommersi alla sua sinistra. Si rese conto che Impel Down doveva essere molto vicina. Ridendo e scherzando, dovevano essersi fatte due ore di viaggio! Era l’ora di usare un po’ di discrezione, perché se l’avessero scoperti sarebbe stato difficile spiegare perché una ragazza e una bambina stessero usando il sottomarino di Cappello di Paglia. Limitò l'altezza del telescopio al minimo e cominciò a nascondersi tra gli scogli. Dopo un paio di minuti, alla sua sinistra si erse, maestosa e minacciosa, la prigione di massima sicurezza di Impel Down. Aveva merlature su tutti i livelli, e assomigliava ad una macabra torta nuziale di mattoni grigi. In cima, vedeva la piccola entrata emersa, con le minuscole chiglie delle navi della Marina, ricoperte di Amalgatolite. Intorno alla prigione come al trono di una Regina, si aggiravano i Re del Mare, ciechi alle navi che sostavano sopra alle loro teste. E in fondo Impel Down questo era, una crudele Regina adagiata sul fondo del mare, che dalla sua esclusiva posizione comandava la vita, la morte e la sanità mentale dei suoi tristi sudditi, la loro Alcatraz, la.loro Isola dei Gabbiani sottomarina, inamovibile Guardiana dell’Ordine costituito. Se non sbagliava, Ace era già lí, a marcire in una delle celle del livello 6, in attesa della triste, pregiudicata sentenza. All’improvviso, dei fari si accesero per scandagliare il fondale. Cori guidò il Submerge Shark III dietro un grosso scoglio, e attese. Un'altra manta li sorvolò di nuovo, e lei ne approfittò per piazzarglisi sotto. I fari giravano, ma nessuno li vedeva. Proseguirono il viaggio sotto alla manta per una buona mezz'ora, a passo d’uomo, o meglio dire, a passo di manta. Zigzagarono un po’ fra gli scogli, per poi incontrare una ripida scarpata. Impel Down era ancora lí, in lontananza, a fissarle con quello sguardo fosco e minaccioso e i suoi fari, otto come gli occhi di un grosso ragno troppo vecchio per muoversi, che si nascondeva dietro un basso banco di sabbia alzata, simile a nebbia lí sotto. A quanto diceva il radar di Franky, erano arrivati. Sopra quella scarpata Fukuzoo, l'isola a forma di zampa di gallina, li attendeva. Lentamente, Cori costeggiò l’isola, finché la prigione non scomparve dietro la curva del terreno. Poi cominciò a risalire. Si fermò a mezz’altezza, mandò su il telescopio. Da un lato, una cala sabbiosa spazzata dal vento, che gli impediva di vedere, dall’altra, una serie di scogli curvi, levigati tanto da avere una piccola curva interna grande abbastanza da contenere il piccolo sottomarino. Quella era decisamente la scelta più prudente. Risalirono piano, e Cori buttò l’ancora all’interno della piccola cala dello scoglio, appena della misura giusta.
“Chiyo sveglia, siamo arrivati” la chiamò mentre si infilava la muta.
“Davvero?! Siamo a casa?” chiese la piccola.
“Non ancora, ma siamo alla tua isola. Se hai fame, Sanji ci ha lasciato il bentou dietro ai sedili. Io torno fra poco, devo sistemare una cosa” continuò mentre si tirava su la strettissima muta.
“Non mi lasciare sola!” piagnucolò la bambina.
“Non ti lascio sola piccola, torno subito! Guarda, mi puoi vedere dall’oblò” le accarezzò la testolina bionda. Infilò la maschera con il boccaglio e le pinne. Non c’erano bombole, e lei non sapeva come usarle. Zampettò fino al portellone, salutò la bimba con gli occhi lucidi, e aprì. Fuori, l’aria sapeva di salsedine e vacanze, e gli unici rumori erano la risacca e lo stridio dei gabbiani, nessun suono di porto, o il suono del mare contro la chiglia di qualche nave. Il sole la stava cuocendo, così scivolò in mare, l'acqua era freschissima. Raggiunse la coda e si immerse sotto. Era stata fortunata: Era un groviglio di alghe! Riemerse, riprese fiato e ritornò sotto. Strappò le alghe e ci ricoprì il sottomarino. Si fece cinque, sei viaggi, ma alla fine sembrava solo un mucchio di verdura galleggiante. Riaprì il portellone ed entrò. Mise le provviste nello zaino, e lo zaino in un sacco di plastica pesante, chiuse il tutto con tanti giri di corda.
“Ok Chiyo, vieni qui. Devo metterti il salvagente” disse estraendo un piccolo salvagente. Aveva due aperture sulla schiena, grandi abbastanza per far passare le ali di Lurichiyo. “Quel cyborg è un genio”, pensò ad alta voce infilandoglielo. “Pronta?”
“Si!” rispose la bambina. Cori agganciò un paio di galleggianti anche al sacco, poi si piegò sulle ginocchia. “Allora monta su. Si torna a casa!” la piccola si arrampicò sulla schiena di Cori e di aggrappò al suo collo. “Lo so che sei felice Chiyo, ma cerca di non strozzarmi!”
“Scusa!” ridacchiò la bambina. Era un peso piuma! “Non ti preoccupare. Reggiti forte, non staccare mai la presa, ok?”
“Va bene” annuì. “Perfetto. Adesso possiamo andare”. La ragazza aprì il portellone e fece scivolare il sacco in acqua. Per fortuna galleggiava! Poi si lasciò scivolare a sua volta. “Mi raccomando, silenzio!” ammonì la bambina, che incrociò le ditine davanti alla bocca.
Cominciò a spingere la sacca verso riva. Doveva ammetterlo: Avere un peso sulla schiena, anche di pochi chili, mentre nuotava, era qualcosa di terribile. Menomale che aveva il boccaglio e le pinne! Le braccine di Lurichiyo la stavano un po' strozzando, ed ai tempi della scuola era sempre stata la peggiore a nuoto. E vai con la rana! Piede a martello Cori, ricordi quello che diceva sempre la professoressa? Porca miseria, che fatica! Ancora pochi metri, solo pochi metri… Manca poco, è vicina, la meta… ancora qualche bracciata…  Porca miseria, ragazzina! Non mi affondare, abbassa quella testa! Manca… poco… manca… poco… ancora un po'… una bracciata dopo l’altra…

Quando arrivò al pontile era semplicemente stremata. Non era una spiaggia, era un porto! Un porto sepolto dalla sabbia, vuoto, ma pur sempre un porto. Lanciò il sacco sulla spianata, lasciò che la piccola lo raggiungesse gattonando sulla sua testa, e poi si sedette, ansimante, sulle scalette. Era distrutta. Poteva essere un chilometro, per quanto ne sapeva lei! Era stata una impresa molto faticosa, ora doveva solo riprendere fiato… “Zia Cori, ho fame” Ti pareva. “Sei bagnata, Chiyo?”
“No” rispose. “Ok, allora prima ci cambiamo e poi si mangia. Su, togliti questo giubbotto” la esortò staccando le clip. Poi anche lei si tolse la muta e le altre cose e tolse lo zaino (fortunatamente illeso) dal sacco, che riempì con i salvagenti e la muta. Aprì le scorte. C’era cibo a sufficienza per due giorni! Cori mangiò poco: Avrebbero dovuto mettersi in marcia presto, meglio farlo a stomaco leggero. Sanji era stato previdente, aveva preparato limoni e zucchero. Gli sarebbe servito, se il posto che cercavano sarebbe stato lontano. Ora, che farsene del sacco? Era solo peso in più. Decise che appeso ad un piolo sotto al pontile nessuno si sarebbe accorto della sua esistenza. Avrebbe sempre potuto andarlo a riprendere piú tardi.
“Chiyo, sapresti dirmi da qui dove sta casa tua?” chiese.
“Dobbiamo salire sulla Montagna delle Meraviglie, questa è la Città Abbandonata!” le rispose la piccola.
“Non dirmi che dobbiamo salire fin lassù!” esclamò attonita Cori. Sopra la Città Abbandonata, c’era un grande monte arso dal sole. La bambina annuì.
“Dimmi un po', come mai la città è abbandonata?” chiese curiosa.
“Non lo so! La mamma dice che è pericoloso, quindi non ci sono mai stata” sembrava quasi felice.
“Yuppi, non sei felice? Finalmente potrai vederla” rispose lei sarcastica. Ma che cavolo! Proprio il posto pericoloso doveva beccare! Porca miseria! Si guardò intorno. Il porto era vuoto, desolato, battuto da vento e sabbia, e le povere casupole che lo sormontavano non sembravano essere da meno. La fissavano coi loro occhi vacui, ostili, pieni di polvere. Erano case di povera gente, pescatori, piccoli mercanti, case di fango secco. Tutte vuote, almeno all’apparenza. Nascondersi lì sarebbe stato facilissimo per un criminale. Porca miseria, porca miseria! Si issò in spalla lo zaino, poi si mise a livello occhi con Lurichiyo. “Chiyo, non ti devi mai allontanare da me, ok? Anzi, torna sulle mie spalle, non sono sicura” le disse fissandola nei grandi occhi rettilei. “Va bene, zia Cori”
“Brava bambina. Dai, monta a capacecio” Chiyo si sedette sulla cima dello zaino, lasciando penzolare le gambine sulle sue spalle. “Vai cavallino!” esultò.
“Stai comoda, eh? Birbante!” Cori si issò e cominciò a camminare. Nel silenzio più assoluto, attraversarono la città. Ogni tanto, inquietanti rumori turbavano la quiete di quel posto dimenticato. Quel posto era abitato, e di sicuro non da gente per bene. Ogni tanto un pianto isterico e convulso scoppiava tra le mura. Era veramente inquietante. Ad un certo punto, incrociarono una casupola con dei panni stesi alla finestra. Pensò che mimetizzarsi sarebbe stato più facile che nascondersi. I misteri più segreti sono alla luce del sole. Rubò un mantello da pellegrino ed uno scialle, lasciò tre monete d’oro in un piattino (che secondo lei erano tre volte il costo di quegli stracci). Strofinò le mani e la faccia con il freddo carbone del camino. Sembrava una vecchia gobba. Poi fece rimontare Chiyo.

 Una mano si allungò, afferrando le tre monete. Il suo possessore fuggì via in un lampo, precedendo la ragazza lungo il sentiero.

La strada era bianca, sterrata, bollente. E in salita. Troppo in salita! Ogni passo era un’agonia di sudore e fatica. Mettiamola così: Si stava allenando. Era solo un allenamento! Anzi, doveva pure allungare il passo. Forse non era stata una buona idea partire subito dopo pranzo.
“Ehi nana… raccontami un po’… della tua famiglia” le chiese per distrarsi.
“La mia mamma è bellissima, si chiama Symon. Il mio papà si chiama Lerik. Papà ha una luuunga coda verde e gli occhi come i miei, mentre mamma ha tantissime cosine viola, pure in faccia, assomiglia a una farfalla. Una volta papà mi ha portato a vedere l’Arca, è stato bellissimo!” rise la bambina.
“Davvero? E… il tuo villaggio? Ci sono… altri bambini… come te?” chiese ansimante.
“Si, siamo cinque. La mia migliore amica si chiama Kanna, ha le gambe tutte pelosine e le orecchie da asinello!” rispose Lurichiyo.
“Ah, simpatica! Raccontami… un po'… com'è fatta” Cori pensava che tutta la questione del villaggio di Lurichiyo fosse molto strana. A quanto sembrava, erano tutti mezzi-animali. Chiyo assomigliava molto ad una libellula, che in inglese era dragonfly, e guarda caso i suoi genitori assomigliavano ad una farfalla ed una lucertola. E a quanto pare la loro famiglia non era l’unica ad avere questo problema, perché non era normale che una bambina di quattro anni avesse le gambe pelose e le orecchie d’asino, a meno che non fosse la sorella perduta di Pinocchio.
“Certo! Ha i capelli marroni lunghi fino a qua, e due graaandi occhi grigi!” continuò l’abitante dei piani alti.
“Hai altri parenti?” chiese ancora Cori.
“Si, avevo uno zio. Papà lo chiama sempre ‘fratellastro’, ma non è un bel nome” la bimba storse il naso.
“E poi che fine ha fatto?” si incuriosì.
“È sparito, puff!” Chiyo sobbalzò sullo zaino.
“Puff” ripeté Cori sovrappensiero.  Erano in cammino da quasi due ore, e la vetta era ormai prossima. Durante il cammino aveva preso un ramo come bastone, e ci si issava sul sentiero, così in pendenza da sembrare una scala franata. Se si guardava indietro, vedeva la strada fatta snodarsi lungo le curve della terra, e finire poi nella cittadella, mollemente abbandonata alle pendici del monte e il mare, limpido e cristallino, di uno splendido blu. Ormai mancava forse una mezz'ora alla cima. Più si avvicinava, più vedeva due punte emergere dall’altipiano dov’era la loro meta. Un passo dopo l’altro, si avvicinavano sempre di piú, incocciate dal sole. Aveva il fiatone, il sudore le colava ovunque, credeva di puzzare più di una capra, ma era ancora molto lontana dall’essere al limite. Finalmente raggiunsero l’altipiano. Un grande arco di pietra le accoglieva. Dietro, una buona sessantina tra capanne e casette in legno occhieggiavano. Il clima era ardente alle quattro del pomeriggio, e nessuno sembrava arrischiarsi ad uscire.
“Siamo arrivati!” esultò Chiyo. Cori si inginocchiò per farla scendere, ma invece di lasciarla andare da sola, la tenne stretta a se. Era ovvio che non si fidasse a lasciarla andare sola così. “È questo il tuo villaggio?”
“Sì! Noi viviamo sulla piazza, davanti alla casa del sindaco” disse la bimba indicando una casetta un po' più grande delle altre. “Andiamo, ti accompagno” disse prendendola per mano “gli facciamo uno bello scherzetto a mamma e papà? Tu ti nascondi dietro di me, e quando hanno aperto la porta gli fai: ‘sorpresa!’, che ne dici?”
“Si!” rispose la nanetta. La piazza era in terra battuta, e ogni passo sollevava una nuvola di polvere. Arrivati alla soglia, Cori bussò tre volte col bastone. Ad aprirgli fu una ragazza sulla ventina, bassa, con una lunga massa di riccioli castani e due caldi occhi color castagna, e un ragazzo anch’egli sulla ventina, con una folta coda di capelli biondi, di poco più alto. Ma non era certo quello che aveva sconcertato Cori. La ragazza – Symon con tutta probabilità – aveva il volto deturpato, completamente ricoperto da scaglie violacee irregolari, iridescenti, simile per aspetto ad ali di farfalla. Le scaglie si allargavano oltre l’ovale del volto, creando una grottesca maschera irregolare. Strie di quelle scaglie le decoravano braccia e gambe, e aveva le unghie nere. Il compagno non era da meno: Era da lui che Chiyo aveva ereditato gli occhi. Aveva una grossa coda verde scuro, i tratti affilati e strisce squamate e verdi sulle guance e sugli arti, oltre che lunghi artigli neri.
“Desidera?” Cori si svegliò.
“Sono venuta qui per portarle un dono” simulò una voce tremolante, anziana, poi spinse Lurichiyo, che corse nelle braccia dei genitori. “Mamma! Papà!”. Il padre la prese in braccio, e i tre si strinsero in un abbraccio, scoppiando in lacrime.
“Stai bene, picchietta?” chiese il padre alla bimba, che annuì vigorosamente. La madre invece si rivolse a lei. “La ringrazio infinitamente. Non sa quanto eravamo in pena! Ormai erano dieci giorni che non la trovavamo, temevamo di averla persa per sempre. La prego entri, sarete stanca!” la accolse porgendole una sedia.
“Oh, ti prego” ribatté sciogliendo lo scialle sulla testa “Dammi del tu. Non credo di essere così anziana da meritare questo trattamento!”
Qualcuno bussò alla porta. “E ora chi è?” disse Lerik, mentre apriva la porta ad un uomo dalle grigie orecchie d’asino, le gambe girate al contrario e ricoperte di vello, crudele imitazione di un Pinocchio moderno. Se tanto dava tanto, era il padre di Kanna. Aveva un caschetto di capelli castani, ed una corta barba. “Signor sindaco!”
“Lerik, ero venuto qui per darti una buona notizia, ma vedo che tu ne hai una di gran lunga migliore! Bentornata, piccola! Kanna sará felice” disse l’uomo accarezzando la testa della bambina. Non sapeva perché, ma non le dava una grande impressione. ”Non mi prendere in giro, però! Non è certo colpa mia se la gente mi adora” Sembrava viscido, falso. “Ma vedo che avete ospiti. Penso di dovermi presentare. Io sono Jord, il sindaco. Voi siete?” Una sensazione che non smetteva di acuirsi.
“Cori, piacere.” Rispose lapidaria. Un lampo corse negli occhi dell’uomo.
“È lei che ci ha riportato Chiyo” si intromise Symon.
“Ah, bene! Un altro buon motivo per fare la festa stasera, mi raccomando, non accetterò un no come risposta” rispose quello con un grande sorriso. Falso, mugugnò. “Devo ricordarti che sei sposato e hai una figlia, Jord?” scherzò il biondo, ma il suo commento fu soffocato dall’esclamazione della moglie: “Festa? Quale festa?” 
“Era di questo che ero venuto a parlarvi. In qualità di sindaco devo darvi una splendida notizia, e quale modo migliore che darla durante una festa? Preparatevi, siete stati assegnati ai dolci! Ora scusate, ma impegni urgenti da sindaco mi chiamano!” concluse Jord aprendo la porta con fare teatrale e uscendo. Lerik si rivolse verso di lei. “Non farci caso, non è un cattivo diavolo. È solo che è sindaco solo da sei mesi e non è mai stato umile”. Symon storse il naso.
“Mmm, dobbiamo prepararci per la festa! Cori, se non ti dispiace, lascia pure il tuo bagaglio qui. Sarai nostra ospite per oggi, è il minimo che possiamo fare per sdebitarci!” la invitò la ragazza prendendo in braccio la figlia. Cori abbandonò il vecchio mantello e lo zaino. “Vieni, andiamo a prepararci!” ribadì il concetto Symon tirandola per mano.


Non credeva di aver mai provato niente di più piacevole di quel laghetto termale. Era – credeva – una delle cose più belle che la vita potesse riservarle. Aveva polvere anche in posti che non credeva di avere quando era arrivata, impastata a litri di sudore. E non poteva esistere niente di più bello.
“Allora, raccontami un po’ di te” una voce si intromise nel suo dormiveglia. Era Symon.
“Non c'è molto da dire. Mi chiamo Cori, ho diciotto anni. Avevo un fratello, morto. Un nonno, morto anche lui. E due genitori, dispersi. O meglio, sono io quella dispersa al momento” mugugnò. “Parlami di te, piuttosto, del villaggio. Sono curiosa”
“Parli del nostro strano aspetto, vero?” rispose mesta la ragazza, pettinando i capelli di Lurichiyo. “Anche su di me non c'è molto da dire. Mi chiamo Symon, ho ventidue anni e la mia vita era normale fino a sei anni fa, quando una terribile epidemia ha colpito il nostro villaggio. Prima vivevamo su un’altra isola. I medici della Marina ci davano per spacciati, così hanno lasciato che un loro collega provasse su di noi una cura sperimentale, o almeno così hanno detto. Ricordo il suo ghigno, e del gas, tanto gas. E occhi gialli. Dopo sei mesi di dolore crudele, meno della metà si sono alzati così dai loro letti, tutti con modifiche che li rendevano più deboli di quanto non fossero prima. Non era affatto una cura, e l’epidemia soltanto una copertura, perché in realtà la ‘cura’ era stata inoculata a tutto il villaggio attraverso il vaccino pochi giorni prima che l’epidemia si scatenasse. Ovviamente il Governo Mondiale non poteva lasciarci a piede libero, così ci ha relegati su Fukuzoo, dopo averlo sgombrato dei suoi precedenti abitanti, creando un mito su di noi. Al momento siamo circa centocinquanta, ma abbiamo solo cinque bambini sotto ai sei anni in tutto il villaggio. Ricordo che all’epoca ero già fidanzata con Lerik. Abbiamo avuto Chiyo due anni dopo, è stato un vero miracolo” sorrise alla fine Symon. Era un racconto molto triste.
“Scusa, mi dispiace, non dovevo chiedertelo” si scusò Cori. Le dispiaceva veramente.
“Non ti preoccupare, sono curiosa anch’io, voglio sapere cosa ti ha portato fin qui, e come hai fatto a salvare la mia bambina” ribatté tranquilla lei, coccolando la bambina sul suo petto, che ascoltava in silenzio.
“La nave su cui l’avevano portata era naufragata, l’abbiamo raccolta e curata. Questa mattina siamo partiti con un sottomarino e siamo arrivati alla Città Abbandonata qui sotto. Poi l’ho presa sulle spalle e me la sono fatta a piedi” disse fiera.
“A piedi da lì sotto con quello zaino sotto al sole? Ci vuole coraggio.” Symon sgranò gli occhi. “ Poi in questi boschi e nella Città abitano gli Alienati”
“Cosa sono gli Alienati?” un brivido corse lungo la schiena. Non sembrava una bella parola.
“Alcuni di noi sono impazziti e vivono come animali nei boschi o nelle case abbandonate. Sono i reietti della nostra società” le spiego gentilmente l’altra insaponando per bene la piccola.
“Oh. Ehm, ok.” sospirò imbarazzata Cori.
“Ma non parliamo di queste cose. A me per esempio piacciono molto le feste, a te?” cambiò gentilmente discorso Symon, notando il suo imbarazzo.
“A me non tanto. Ma quelle di paese si, mi hanno sempre divertito” sorrise.
“Senti, ti va di aiutarmi col dolce?” le chiese. Lurichiyo protestò: “Hei! Quello è il mio lavoro!”
“Lo so picchietta, ma abbiamo poco tempo. Poi dopo sarai la prima ad assaggiarla, d’accordo? Allora?” la consolò la madre. “Va bene” brontolò la bambina.
“Allora andiamo a vestirci. Non ti preoccupare se non hai vestiti eleganti, Cori” Symon si alzò con la bimba in braccio e tornò in casa. Cori sospirò. Cosa le avrebbe prospettato il futuro?

Una mezz'oretta dopo, Cori e Symon erano in cucina per cercare di mettere insieme qualcosa. “Che ne pensi di una torta all’ananas? Ne dovrei avere un po’ sciroppato in dispensa.”
“Penso che sia una buona idea”

Era l’inizio della fine! Quando uscirono dalla cucina c’era più farina addosso a loro che sulla torta, e i vicini erano venuti giá più volte a bussare per la cagnara che stavano facendo. Non rideva così da un secolo! Era tutto cominciato con un’innocua spruzzata di farina, ed era degenerata nel caos più assoluto.
“Neanche Lurichiyo fa così casino” si introdusse Lerik con un sorriso. Symon si girò, in trappola fra le sue braccia, ma qualsiasi protesta venne soffocata da un bacio. “Mi piaci con tutta questa farina addosso” disse malizioso. Symon si girò verso di lei in imbarazzo e Cori finse di vomitare. Sy rise e lanciò un pugno di farina in faccia al marito per togliersi dall’imbarazzante situazione. “Anche tu mi piaci molto con la farina adosso!”
Mancava poco più di un’ora alla festa, e Lurichiyo e la sua famiglia scesero in piazza per lasciare che la bambina e Kanna, la sua migliore amica, si incontrassero. Appena scesi in piazza, un piccolo tornado piagnucolante aveva stritolato la nanetta al grido disperato di: “Chiyo!!”, contraccambiato subito da un “Kanna!!”. Era proprio come gliel’aveva descritta: Una bambina dalle gambe caprine ricoperte di vello scuro e due simpatiche orecchie da asino, con due grandi occhioni grigi pieni di lacrime e una bella capigliatura castana. Non lontano da lì, una donna piuttosto alta guardava distrattamente la scena, forse più presa dalle sue unghie che da altro. Aveva anche lei le gambe caprine, ma ricoperte di vello nero pece. Aveva lunghi capelli biondi, lisci, e due piccoli occhietti grigi, dal taglio morbido. Una folta coda nera sbatteva sui suoi fianchi per scacciare le mosche. Dalla vita in giù era più simile ad un cavallo che ad un essere umano. Aveva una strana macchia di pelo bianco in mezzo alla fronte, ed un paio di orecchie elfiche di un rosa molto carico, simile al colore del tessuto cicatriziale, solcato da piccole cicatrici da taglio. “Lei chi è?” chiese a Sy.
“É Gretel, la compagna del sindaco e la madre di Kanna. Povera bambina, per ritrovarsi una madre così…” Le rispose con una smorfia di disprezzo Sy.
“Perché?” chiese incuriosita.
“Kanna è nata per sbaglio, ne lei ne suo padre l’hanno mai voluta. La abbandonano spesso a se stessa. Quando possiamo, ce ne occupiamo noi. È una bambina dolcissima, anche se purtroppo non è molto intelligente. Un altro buon motivo per allontanarla, per i suoi genitori” sorrise malinconica Sy.
“Capisco. Non ami molto il sindaco e sua moglie, non è così?” indagò Cori.
“Una volta eravamo amici, tempo fa. Poi è arrivata quella sottospecie di sanguisuga e Jord è lentamente sparito” rispose l’altra ammiccando un sorriso divertito al marito alla parola ‘sanguisuga’.
“È proprio una brutta cosa” disse tanto per dire.
“Giá giá” Sy si stava deconcentrando.
“Vado a dare una sistemata alle mie cose” annunciò tornando nella casa.


Per la festa tutto il villaggio si era dato da fare: La piazza, prima una landa desolata e polverosa, si era trasformata in una gioiosa riunione di tavoli, striscioni, musica e danze. Tre tavoli erano imbanditi con ogni ben di Dio: Dolci (tra cui la loro torta meravigliosamente sbilenca), primi e secondi piatti dall’aria appetitosa, un maiale con una mela in bocca grosso quanto un piccolo bue. Cori aveva attratto non pochi sguardi scortesi e qualche ingiuria, ma niente di grave. Nel complesso, era un’allegra festa di paese. La ragazza stava raccontando a Lurichiyo che il suo nome era quello di una graziosa principessa bambina, quando il sindaco salì sul palco e richiese l’attenzione di tutti.
“Cari concittadini, sono qui per ben piú di una semplice comunicazione di servizio. Innanzitutto voglio ringraziare la nostra ospite, che ha riportato fra noi la piccola Lurichiyo.” Gli applausi furono pochi e molto contenuti, mosci. “Ma soprattutto, sono qui per annunciarvi ciò che aspettiamo da ben sei anni: Il nostro riscatto! Domani, una delegazione andrà ad Impel Down per discutere con un pezzo grosso della Marina, che speriamo ci darà cure e libertà! Per questa delegazione avrò bisogno di Lerik, per la sua conoscenza delle scartoffie del vecchio Governo, e di Uhrog, per la navigazione. Non fare quella faccia Uhrog, lo so che peschi nonostante il divieto. Ho bisogno poi di altri sei uomini qui e adesso per portare sulla nave ciò che ci servirà e domani come equipaggio, qui c’è una lista con gli idonei. Per tutti gli altri, preparatevi ad armare l’Arca, perché quando torneremo, saremo liberi!” un’acclamazione corale fuoriuscì dalle bocche di tutti i presenti: Gente che esultava, si abbracciava… “Una sola cosa vi chiedo: Questa sera avremo bisogno della piazza per raccogliere il necessario, quindi sono costretto a chiedervi di continuare la festa nelle vostre case, o nei bar, ma di lasciare libere le strade”. Symon e Lerik si guardavano increduli. Cori era sinceramente felice per loro. La gente nell’euforia generale abbandonò in fretta e furia la piazza, tranne i membri dell’equipaggio e Symon con la bimba addormentata in braccio, che sussurrò al marito: “Io vengo con te. Non è pericoloso per me, e non ti lascio solo” con un tono che perentorio era dire poco. Lerik protestò per un po’, ma alla fine si arrese. Jord, dopo aver parlottato con gli uomini dell’equipaggio, si diresse verso di loro: “Lerik, va pure a casa con la tua famiglia, per adesso non c'è bisogno di te qui, presentati domani con le scartoffie” gli disse posandogli una mano sulla spalla. Cori fece per seguirli, ma il sindaco la fermò: “Signorina Cori, vorrei discutere due paroline con lei, stia tranquilla, solo cinque minuti”. La sensazione di viscidume ritornò prepotente. Quel Jord non le piaceva affatto.
“Eccomi” lo raggiunse lapidaria.
 Jord sorrise enigmatico. “Ragazzi, è il vostro turno” disse facendo segno agli uomini dietro di lui.
Un uomo dalle mani a tenaglia la attaccò frontalmente, costringendola ad arretrare. Fece giusto in tempo ad evitare uno sgambetto, e stava per urlare, quando una massa gelatinosa le ostruì la bocca. Un uomo dal volto simile a quello di un uomo pesce le aveva sputato addosso. Non provò nemmeno a liberare la bocca, provò a scappare. Una contro sei era veramente troppo, ma gli uomini si erano stretti intorno a lei, impedendole di fuggire. Provò a sfondare la barricata buttandone uno a terra con un Morote Gari, ma due corna le si infilarono nella schiena, facendola cadere in avanti. Un laccio si strinse intorno alla sua gola e la tirò su. Le aveva chiuso la trachea, porca puttana, la stava soffocando! Qualcuno la teneva sollevata da terra. Cori si agitava inutilmente, cercando disperatamente di staccare il laccio dalla sua gola. Il viso divenne paonazzo, mentre le lacrime le ostruivano la vista ed il dolore diventava insopportabile. Con la vista offuscata, vide una massa di ricci e due brutti occhiacci che conosceva fin troppo bene. Tentò di liberarsi più forte, provò a spingere verso il basso, ma inutilmente. I suoi calci all’aria si facevano sempre più deboli, mentre la vista la abbandonava. Il dolore era veramente diventato insopportabile, ma mai quanto la voglia di respirare.
“Ci rivediamo, bastardina” fu l’ultima cosa che sentì prima di svenire.






Glossario:
Morote Gari: Tecnica appartenente alle Te-Waza, ovvero tecniche di braccia. Dopo aver sbilanciato l’avversario, Tori (colui che compie la tecnica) afferra da dietro le gambe di Uke (colui che subisce la tecnica), e lo fa cadere sulla schiena.

 Ed eccomi qua con questo nuovo capitolo, creato apposta per introdurre Symon e la sua famiglia, che ve ne pare? Si, è un capitolo un po’ narcisista in effetti. Immagino che si capisca chi è il personaggio di fine capitolo, no? Spero che il primo capitolo senza personaggi originali sia piaciuto, entro uno, forse due capitoli dovrebbero tornare, comunque. Grazie a chi recensisce e a chi segue in silenzio, è veramente importante per me il vostro giudizio! Inoltre, quest'oggi, 2 settembre 2017, io compio 18 anni! Evviva! Sia lode all’eroe trionfatore (citando il Genio). Alla prossima,
Hikari_Sengoku


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