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Autore: ClaireOwen    07/09/2017    2 recensioni
[Bellarke - Modern.AU]
“Mi dispiace.”
Sussurra timidamente.
E sa che dovrebbe porgere le sue scuse ad ognuno di loro ma vuole essere sicura che sia proprio lui ad udirle per primo.
Ad ogni modo se c'è una cosa che Bellamy Blake sa fare è stupire e stavolta lo fa riservandole un sorriso docile, spiazzante; china leggermente il capo, prega che nessuno si sia reso conto di quella sua impercettibile reazione perché di certo non è riconosciuto dagli altri come una di quelle persone affabili e gioiose, effettivamente non è dispensando sorrisi che il maggiore dei fratelli Blake si è guadagnato il rispetto da quel branco di scapestrati.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Octavia Blake, Raven Reyes, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XII
 
 
Clarke Griffin arriva alla porta quasi arrancando, alla fine è scappata, non è riuscita a sorreggere le parole dell’ignaro Jordan ed ora che è fuori da quell’inferno non riesce a smettere di correre.
Sa che se lo facesse la sua mente non reggerebbe, permetterebbe anzi ai pensieri di assalirla, verrebbe sconfitta dal cuore e questo la giovane Griffin non l’ha mai permesso, si è sempre fermata prima, ogni volta è riuscita a trovare un qualche trucco per evitare che accadesse.
Ora il suo vecchio asso nella manica è quello di correre, vuole farsi sopraffare dalla stanchezza, sentire il battito cardiaco aumentare gradualmente ed essere sconfitta dalla fatica, deve tenere occupato il suo cuore affinché esso non le faccia brutti scherzi ed istantaneamente si carica di questa nuova convinzione e sente ogni pensiero volare via lontano.
Non è la prima volta che attua questa tattica effettivamente e non è ancora mai stata delusa.
Adesso riesce a percepire l’aria frizzante della sera scontrarsi con il suo corpo caldo per lo sforzo, ha superato con affanno la folla accalcata per entrare e finalmente può permettersi di alzare il suo sguardo verso la desolata periferia, non deve più stare attenta a dove posa i suoi piedi in quella interminabile corsa, sa che a breve dinnanzi a lei si staglierà il cancello che delinea il perimetro di quello squallido locale, tra poco si lascerà tutto alle spalle, sarà tutto finito.
Potrà accasciarsi sull’asfalto ruvido esausta, lontana da tutto il resto persino dalle sue paure.
 
E’ quando volge i suoi occhi all’orizzonte che le sue speranze si sgretolano e le sue sicurezze vacillano in fretta e furia.
Un corpo che non ha avuto mai modo di conoscere fino in fondo ma che tuttavia le appare fin troppo familiare è ritto a due passi dal cancello, ad un soffio da lei; lo riconosce subito e nonostante provi ad intimarsi che dovrebbe ignorare la sua presenza, comprende con altrettanta velocità che non è assolutamente in grado di farlo.
E’ come se Bellamy Blake fosse lì per lei, nel momento e nel posto giusto e Clarke non riesce a trascurare quella forza impetuosa che, come una calamita, la attrae con prepotenza verso quelle braccia.
 
Non pensa più, la sua mente è stata completamente dominata da quell’organo che ha sempre visto come il suo nemico supremo, come un dannato generatore automatico di insicurezze.
Ora però il suo porto sicuro non è più l’asfalto, non l’aria della notte che ha fatto la sua comparsa da poche ore, non l’abitacolo della sua macchina ma il petto di Bellamy, nel quale si ritrova ad affondare il volto, il suo collo al quale si avvinghia con inaspettata veemenza ed il suo viso che dopo pochi istanti sente far pressione sul proprio capo insieme alle braccia che finalmente la cingono rispondendo a quella disperata richiesta d’aiuto in modo spontaneo e protettivo.
 
E’ solo quando ha percepito la reazione di Bellamy che la bionda si è tranquillizzata, la sensazione delle sue braccia che finalmente la stringono le hanno fatto ritrovare improvvisamente una travolgente serenità, hanno placato ogni suo timore, levigato ogni angoscia.
 
Rimangono stretti per una manciata di secondi che a Clarke appaiono come minuti, ore e forse persino giorni, aggrappandosi a quel corpo la giovane Griffin ha perso ogni concezione di spazio e tempo, ha sentito una prorompente energia farsi spazio in lei ma le basta poco per capire che teme maledettamente quel nuovo sentore: infatti capisce che se non dovesse affrettarsi ad interrompere quel contatto, troppo intimo per i loro recenti standard, potrebbe non riuscire più a farne a meno.
 
Nuovamente quindi il timore la spinge a sciogliersi da quel groviglio di mani, braccia e fiato.
Un passo indietro, la testa bassa, non ha ancora il coraggio di guardare in volto Bellamy Blake, del resto non ha mai amato mostrarsi vulnerabile ed il fato ha voluto che quel ragazzo dai capelli corvini l’abbia già osservata troppe volte in preda alle sue paure.
Vorrebbe voltarsi, cancellare quegli ultimi minuti dalle loro vite, andare via e non averlo mai incontrato a quella stupidissima festa.
Il Bellamy che conosce non le lascerà via di scampo, ne è ben conscia, non si limiterà ad andare oltre quel bizzarro accaduto, le chiederà spiegazioni che lei non è in grado di fornire.
Clarke Griffin non sa perché si è precipitata tra le sue braccia come se fosse la cosa più naturale da fare e non è davvero sicura di volerlo sapere.
Per questo una parte di lei la esorta a far finta di nulla e per quanto sia possibile, a superare in fretta il suo profilo ancora stordito dall’accaduto.
Ma il maggiore dei Blake è rapido e prima che lei possa fare qualsiasi cosa la blocca: così Clarke non può far altro che osservare la mano di lui stringersi attorno al suo esile polso con un movimento delicato che tuttavia sembra deciso a non lasciarle alcuna via di scampo.
“Clarke… stai tremando.”
La voce è calma, profonda, in grado di scaldarle il petto.
La ragazza, guidata da quelle parole, osserva le sue braccia lasciate scoperte dal tubino nero che ha indossato per l’occasione, solo adesso riesce a vedere distintamente i brividi increspare la sua pelle candida e a percepire lucidamente il tremore che l’ha assalita.
Non ha freddo però.
Ed ha di nuovo paura che quella reazione sia causata da chissà cosa, il suo corpo accalorato dall’aria consumata del locale non c’entra, né tanto meno la fatica che ha provato dopo quella corsa forsennata.
C’è dell’altro.
Scuote la testa in un gesto che rivolge a sé stessa: non può permettersi di perdere il controllo in quel modo.
Percepisce lo sguardo di Bellamy indugiare sul suo corpo, cercarla ed il panico l’assale, non può rispondere a quel richiamo eppure non ha via di fuga, la mano del ragazzo è ancora lì sul suo polso e non sembra essere intenzionata a lasciarla andare tanto facilmente.
La giovane Griffin allora espira lentamente poco prima di arrendersi e puntare i suoi occhi in quelli del maggiore dei Blake: hanno lo stesso colore del cielo, sono scuri, come il manto senza luna che domina sulle loro teste.
“Credo di essermi sentita poco bene.”
Sussurra a fior di labbra, per un attimo ha sperato che quella mezza verità uscisse fuori in modo più convincente invece la tradisce istantaneamente, lascia trapelare in modo violento che quella non è altro che una conseguenza di qualcosa molto più complicato.
 
 
-
 
 
Arrivano dei momenti in cui bisogna mettere da parte sé stessi e Bellamy Blake lo ha sperimentato sulla sua pelle fin troppo spesso.
Con Clarke è stato diverso però, sebbene avesse desiderato sentirla così vicina da anni, ha compreso quasi subito che qualcosa era fuori posto.
L’ha sentita tremare tra le sue braccia, ha avvertito sul proprio petto il suo affanno caldo che penetrava velocemente sulla sua pelle passando per il cotone della camicia e la preoccupazione ha subito predominato su qualsiasi altro sentimento.
Non ha faticato dunque a dimenticare i suoi desideri ed ha rivolto tutta la sua attenzione su di lei, prima rispondendo con quanta più forza potesse a quel gesto: l’ha circondata con le sue braccia temendo quasi di farle male per un istante, tuttavia non ha smesso di farlo finché lei stessa non ha deciso di liberarsi dalla presa.
Poi l’ha osservata esitare, escogitare un modo per scappare ancora, l’ha notata fuggire il suo sguardo, ha percepito ogni sua insicurezza ed ha cercato nuovamente il suo corpo: le ha preso il polso tra le dita ed il palmo della sua mano – abbastanza grande da circondare quell’esile lembo di pelle – infine ha tentato con tutto sé stesso di starle accanto; non solo nel senso più fisico del termine, ha cercato qualcosa di molto più profondo.
Clarke gli ha mentito maldestramente e lui non lo ha davvero accettato ma non è nemmeno riuscito a giudicarla per averlo fatto, ha capito perfettamente e quando finalmente Clarke ha abbassato le difese gli è bastato guardarla in quegli occhi limpidi, incapaci di nascondere la verità.
Infatti il maggiore dei Blake non ha fatto nulla per farle pesare quell’innocente bugia, sa così bene cosa voglia dire mentire per fuggire dalle spiegazioni, per rendere tutto meno complicato.
Tuttavia ha deciso di non arrendersi, così la sua presa si è spostata: dal polso ha cercato la sua mano, le proprie dita si sono intrecciate alle sue generando una piccola scossa nel suo corpo, una leggera scarica che lo ha destato definitivamente, gli ha fatto comprendere a pieno che lui non era lì casualmente, era lì per lei fin dall’inizio.
Non gli importava nulla di quella  stramaledetta festa, nulla dei goliardici rimpianti da liceali, voleva solo vederla al di fuori del lavoro, delle loro vite sistematicamente dense d’impegni e tempo agli sgoccioli.
Bellamy Blake l’ha guardata negli occhi ancora un po’ prima di farle un cenno con la testa e dirle in modo quasi imperativo:
“Andiamo via da qua.”
Lei ha annuito incerta, guardandosi appena alle spalle, come se volesse essere certa di non lasciarsi dietro nulla di davvero importante ma nonostante quella leggera insicurezza sembrava davvero non aspettare altro.
E non le ha chiesto nulla anche se il suo cuore continuava ad essere striminzito dal dolore che sentiva scorrere in lei.
Sono arrivati alla macchina in silenzio, Clarke è entrata velocemente, non gli ha nemmeno dato il tempo di provare ad essere gentile e aprirle la portiera, una volta dentro con lui ancora al di là del finestrino intento a passarsi una mano tra i capelli per la mancata accortezza, l’ha vista tirare un sospiro di sollievo e si è ritrovato ad emularla automaticamente.
 
Ora Bellamy entra titubante, ha paura di fallire, sente la tensione impadronirsi del suo corpo, teme di non riuscire ad abbattere le spesse barriere che Clarke ha innalzato.
Non è più ingenuo come una volta, capisce al volo che la giovane Griffin è restia al dialogo eppure è chiaro che una parte di lei abbia accettato e forse persino cercato il suo aiuto.
Accende distrattamente l’aria calda, può individuare ancora i brividi sulla sua pelle, poi cerca nello stretto abitacolo la copia di “Carrie & Lowell” di Sufjan Stevens che sua sorella gli ha regalato ormai qualche Natale fa e quando la trova è quasi sorpreso che se ne stia ancora lì, piena di polvere.
Abbassa il volume appena la prima nota fa capolino dalle vecchie casse, non vuole incoraggiare il silenzio della principessa, ma non ha nemmeno intenzione di rendere il tragitto – per dove poi? – velato da un imbarazzante mutismo.
Si schiarisce la voce, si gratta il viso con leggera ansia e volge lentamente il suo volto verso lei, alla ricerca, per l’ennesima volta, del suo sguardo.
“Senti… Non devi sentirti obbligata a parlarmi se non vuoi.”
E sa benissimo che il tono lo tradisce, è così evidente che in realtà stia intendendo tutto il contrario. Non ce la fa a vederla ridotta in quello stato, non di nuovo e la sua sete di sapere cos’è che sia in grado di turbarla in quel modo lo sta a dir poco lacerando.
“Tu metti in moto…”
Quella è la sua risposta, secca ma a tratti implorante.
Qualsiasi cosa affinché tu stia bene
Ma non lascia uscire quella frase, che è come un eco del passato, dalle sue labbra ed esegue semplicemente gli ordini annuendo e guardando nuovamente dritto davanti a sé.
Tuttavia appena Bellamy Blake gira le chiavi nel quadrante qualcosa non va per il verso giusto, la vecchia autovettura tentenna e rumori poco rassicuranti risuonano nel cofano, di mettersi in moto sembra non averne davvero intenzione ed il ragazzo si lascia sfuggire una leggera risata.
E’ gutturale e laconica, poi è persino divertita ma quello cerca di non darlo a vedere
“Mi dispiace principessa, temo che sia passata la mezzanotte e la mia carrozza sia ritornata una zucca…”
La ragazza si lascia scivolare in un moto di leggero sconforto sullo schienale del sedile, i suoi occhi si puntano sul tettino della vettura per poi spostarsi lentamente su di lui.
“Hei, non siamo obbligati ad entrare, lo sai questo, vero?”
La voce è roca ed ora anche il suo viso è totalmente rivolto a lei, sta imparando a gestire quella sensazione di totale spaesamento che lo assale ogni qual volta quelle due iridi turchesi e limpidissime si intrecciano alle sue scure e polverose.
“Io non dovrei essere qui, non dovrei trattenerti, tu dovresti essere dentro a divertirti insieme agli altri…”
“Sei fuori strada Griffin, non mi sento obbligato okay? Sono qui perché voglio farlo.”
“E quindi cosa facciamo? Ce ne stiamo qua fin quando qualcuno non verrà a cercarci?”
Il maggiore dei Blake alza le spalle sorridendo.
“E’ un’ipotesi bella e buona, non trovi?”
Ascolta la ragazza sbuffare e d’un tratto gli sembra di poter entrare indietro nel tempo solo chiudendo gli occhi.
 
Sono sempre stati così loro due.
Ci sono stati l’uno per l’altra a prescindere dalla loro volontà.
E non hanno mai imparato a gestire quella vicinanza, quel loro modo così semplice ed al tempo stesso intricato di comprendersi che a volte sembrava rivelargli tutto il contrario, hanno preferito fuggire quasi sempre, sì lo hanno fatto ogni volta eccetto che in quella sera afosa.
Lo hanno fatto per esempio anche quella volta in cui una giovanissima Clarke aveva suonato al campanello di casa Blake in lacrime.
Erano passati pochi giorni da quel piccolo inconveniente causato dall’irrequietezza della piccola Griffin che tanto aveva innervosito ed al contempo ammaliato Bellamy.
La casa era vuota quel pomeriggio: Octavia era andata da qualche parte con sua madre mentre suo padre era, ancora nel pieno della sua attività lavorativa, intento a coprire turni massacranti.
Così Bellamy ne aveva approfittato per godersi quel raro momento di solitudine che gli appariva sublime e prezioso.
Si era impossessato dell’altrimenti inavvicinabile poltrona di Michael in compagnia della sua copia nuova di zecca del “Mito di Sisifo” di Albert Camus.
Non era una lettura facile eppure si sentiva maledettamente attratto da quel modo così estremo di concepire l’esistenza come un qualcosa di assurdo che rende l’uomo prigioniero.
Ma il professor Kane aveva detto alla lezione di presentazione del corso di laurea al quale voleva iscriversi che quel libro forniva la chiave per la libertà, spiegava il senso o meglio il non-senso della vita e li aveva invitati alla lettura del breve saggio per poi riparlarne in un’altra sede che avrebbe indicato agli interessati per mail.
Bellamy non aveva perso tempo ed ora pregustava la sua pacifica immersione in quella lettura così affascinante.
Così quando qualcuno suonò al campanello in modo esageratamente insistente avrebbe solo voluto fingere di non essere in casa e lo avrebbe fatto se il suo pensiero non fosse corso prima ai suoi famigliari.
Una parte di lui sapeva che non potevano essere loro, Octavia e sua madre erano uscite da troppo poco tempo mentre suo padre avrebbe lavorato ancora per svariate ore ma il suo pessimismo aveva preso il sopravvento e per un attimo aveva immaginato che qualcuno di loro potesse aver avuto qualche problema.
Quindi, udendo il suono continuo del dispositivo, aveva scaraventato il volume a terra ed era corso ad aprire la porta.
Quando al suo cospetto vide la chioma biondissima di Clarke Griffin che ormai non faceva più tanta fatica a riconoscere, sentì la seccatura impossessarsi completamente della sua persona.
“O’ non c’è, è uscita con nostra madre.”
Disse piuttosto spazientito, tutto ciò che voleva fare era liquidarla in fretta e tornare alla sua lettura, ovviamente non si era minimamente reso conto in che condizioni versasse l’amica di sua sorella, almeno non fin quando la sentì tirare su con il naso e la vide alzare la testa che aveva tenuto, fino a quel momento, inchiodata in basso, verso la superficie del porticato.
Il suo viso solitamente diafano era arrossato così come i suoi occhi solitamente limpidi come il cielo. Il trucco che doveva averli adornati durante la giornata adesso colava disordinatamente sulle sue guance in un pasticcio di lacrime e pigmenti scuri.
Velocemente sentì un nodo stringerglisi in gola.
“Potrei aspettarla qui?”
La voce era flebile, roca probabilmente per il pianto e forse per il leggero imbarazzo che le costava farsi vedere in quello stato.
“Vieni dentro.”
Aveva detto Bellamy cercando di mantenere un tono il più neutro possibile, non capiva bene perché ma non riusciva a rimanere impassibile di fronte a quella ragazzina ridotta in quel modo.
Clarke aveva fatto due passi in avanti sino ad entrare nella modesta casa dei Blake e solo dopo si era permessa di rivolgere il suo sguardo verso il fratello della sua migliore amica, in quel momento le loro iridi s’intrecciarono in un legame magnetico.
“Dio santo ma che ti è successo?”
Lei si era morsa un labbro ed aveva scosso la testa.
“Vai a darti una sciacquata almeno, sai dov’è il bagno, no?”
Così la ragazza aveva annuito ed era sparita dalla sua vista.
Bellamy aveva preso il cellulare e mandato un messaggio a sua sorella, qualunque cosa fosse sembrava piuttosto urgente. Poi aveva recuperato la copia del suo libro da terra e l’aveva messa a posto sullo scaffale arrendendosi allo stato di cose, infine si era diretto verso la cucina e aveva messo sul fuoco un pentolino con dell’acqua per preparare un tè caldo.
Quando la piccola Griffin era riapparsa, finalmente pulita e un po’ meno scossa, Bellamy l’aveva invitata con un cenno a sedersi al tavolo della cucina, poi le aveva messo davanti una tazza fumante e aveva rivolto i suoi occhi altrove.
Non sapeva davvero cosa fare, del resto non si poteva certo definire in confidenza con lei e non voleva insistere nel  farle domande alle quali evidentemente Clarke non aveva intenzione di rispondere.
L’unica cosa a cui riusciva a pensare, mentre fuggiva lo sguardo della bionda e giocherellava nervosamente intrecciando le dita delle sue mani, era che, grazie al cielo, sua sorella gli aveva risposto velocemente al messaggio ed ora doveva essere già sulla via del ritorno.
“Ho scritto ad O’.”
Aveva detto quindi in modo esageratamente apprensivo.
“Credo che sarà qui tra poco.”
Clarke aveva annuito, i suoi occhi vitrei e stanchi ora si posavano insistentemente sulla persona di Bellamy ed a quel punto il ragazzo ne era stato inevitabilmente catturato, non poteva più fuggirgli, dopo tutto era stato lui a parlare per primo, a cercare un contatto e persino a sperare di rassicurarla.
Perché era davvero così, si sentiva dannatamente impotente e la lieve frustrazione che derivava da quella condizione era assolutamente insopportabile, quindi il maggiore dei Blake aveva tentato maldestramente di fare tutto il possibile per scrollarsi di dosso quella sensazione.
Il tè, il tono fin troppo amichevole e costernato e poi il messaggio a sua sorella, la quale avrebbe sacrificato qualsiasi cosa pur di stare al fianco di quella ragazzina, lui stesso stava facendo qualsiasi cosa affinché lei potesse ritrovare la serenità.
E non riusciva davvero a spiegarsi perché sentiva dentro lui quel bisogno impellente di saperla felice.
Fortunatamente la sua voce ancora flebile e turbata lo aveva distolto da quella catastrofica valanga di pensieri.
“Grazie davvero Blake…”
Poi Clarke prima di continuare aveva preso a tartassarsi con le dita una ciocca di capelli che le ricadeva sulla spalla, il nervosismo e un tacito imbarazzo facevano decisamente da padroni a quel tavolo.
“Io… Mi dispiace per averti disturbato è che… Non sapevo cosa fare, dove andare, sono una stupida, avrei dovuto chiamare prima Octavia per assicurarmi che fosse qui.”
Ogni tratto del suo viso emanava mortificazione e Bellamy non era sicuro che quello fosse ciò che volesse
“Hei, non preoccuparti Grif… Clarke. Sono sicuro che avrai avuto i tuoi buoni motivi per presentarti qui di getto e poi non hai disturbato, a dire il vero non stavo facendo un granché e avevo persino una spasmodica voglia di tè.”
Ora il maggiore dei Blake stentava a riconoscersi: non solo si era sforzato a chiamarla per nome, aveva anche mentito spudoratamente su ciò che voleva fare.
Ma Clarke aveva sorriso leggermente per quella strana battutina con cui aveva concluso la frase e la curva delle sue labbra rosee gli aveva fatto uno strano effetto, era stata in grado di tranquillizzarlo all’istante.
“Io non sono convinta di aver avuto davvero una buona motivazione…”
Aveva detto spiazzandolo, di certo Bellamy Blake non si aspettava che quella ragazza potesse cominciare a fidarsi di lui tanto da raccontargli cos’è che l’avesse distrutta in quel modo.
“Ma io non ci ho capito più nulla quando li ho visti lì…”
“Lì dove?”
- E poi chi? – Ma forse era meglio fare una domanda per volta.
“Nel mio posto preferito… Sulla riva del Potomac Park, dove ci sono i ciliegi. Lui lo sapeva, era una delle pochissime persone a saperlo, quel luogo è il solo in cui riesco a sentirmi al sicuro, lontana da tutti e da tutto, è il mio posto dove vado quando ho bisogno di staccare e lui ci ha portato la sua nuova stupida conquista, quando sapeva perfettamente che io…”
Si era morsa un labbro e non era riuscita a continuare la frase ma quelle poche informazioni erano bastate per far sì che nella mente di Bellamy si delineasse il preciso quadro di come stessero le cose.
C’era un lui che con tutta probabilità aveva lasciato Clarke e questo forse doveva anche saperlo, Octavia gli aveva accennato qualcosa al riguardo e la giovane Griffin evidentemente non aveva preso così bene la rottura…
E chissà se poi questo fantomatico lui non fosse lo stesso di quella lontana e sfocata partita di paintball.
Improvvisamente i nervi di Bellamy si erano tesi, poteva sentirli a fior di pelle un solo pensiero riusciva a farsi largo nella sua testa: se avesse avuto quel bastardo sotto tiro lo avrebbe colpito con tutta la forza che aveva in corpo, ne era certo.
Erano sensazioni che non riusciva a controllare, non gli appartenevano eppure erano affiorate con prepotenza senza nemmeno dargli il tempo di rifletterci davvero sopra.
Sentiva solo una profonda empatia nei confronti di quella ragazzina che era sempre stato convinto di non riuscire a sopportare, che aveva sempre visto come una maledettissima spina nel fianco.
Ma adesso tutto ciò che avrebbe voluto fare era prenderle una mano e rassicurarla, sussurrarle che tutto sarebbe andato per il verso giusto.
E stava davvero per farlo, almeno prima che potesse udire lo scatto della serratura ed osservare una preoccupatissima Octavia Blake precipitarsi in cucina e tirare a sé la sua migliore amica.
Alla fine era finita così, dietro la porta accuratamente serrata della camera di Octavia quello strano contatto avvenuto tra Bellamy e Clarke era stato spazzato via del tutto, lui, come di norma, era stato estromesso da tutto ciò che stava avvenendo in quella stanza.
Non aveva insistito.
Aveva deciso di lasciar correre, del resto tutta quella storia non doveva significare nulla per lui, così si era imposto di non fare nemmeno domande ad O, aveva preferito dimenticare quel bizzarro legame che aveva percepito, quell’intrinseco bisogno di farle percepire che, in quell’istante, lui aveva scelto di essere lì per lei.
 
-
 
 
Clarke Griffin si arrende.
E’ dannatamente complicato persino per lei decifrare le sue emozioni in quel momento, ha ottenuto quel che voleva dopo tutto, se ne sta abbastanza lontana da quella maledetta confusione, da quei visi che si dovrebbe sforzare di riconoscere, ai quali dovrebbe persino sorridere, da quei corpi con i quali avrebbe dovuto condividere lo spazio e i movimenti in una danza forzata e frenetica stimolata solo dal tasso alcolico presente nel loro organismo.
Eppure si sente inerme nelle grinfie dell’auto del maggiore dei Blake, si sente debole, priva di qualsiasi tipo di difesa, non è solo una sensazione, è la realtà dei fatti.
Bellamy l’ha letteralmente accolta ma in un certo senso l’ha pure fatta prigioniera in quello spazio angusto e confortevole al tempo stesso, non ci sono più vie di fuga ed il silenzio che comincia a soffocarli non è più un’opzione.
I ringraziamenti con la famiglia Blake non hanno mai funzionato e ironicamente Clarke lo ha sperimentato sulla sua pelle più volte, con ognuno ha avuto la riprova che nessuno di loro accetta la pura e semplice evasione in momenti simili.
No, arrivano fino in fondo sempre, ti scavano nel profondo, hanno quella maledetta capacità di estirpare ogni pensiero anche il più remoto ed intimo.
E sanno farlo in modo naturale e inequivocabile, gli basta uno sguardo, un gesto e sono già dentro di te, in un istante non ci sono più segreti che non siano anche i loro.
Così Clarke si ritrova ad espirare un’ultima volta prima di abbandonarsi irrimediabilmente a Bellamy Blake, butta fuori il fiato pesantemente, si libera da quel senso di frustrazione che assale ogni persona quando si sente costretta a dover far fronte alla realtà nonostante sia l’ultima cosa che si vorrebbe fare.
 
“Sai, io sapevo dal principio che venire qui stasera non era una buona idea… Ma Raven mi ha fatto promettere che ci sarei stata e, sai che non so dirle di no.”
Guarda dritto davanti a sé mentre lascia che le parole scivolino fuori dalle sue labbra, di sguardi ce ne sono stati fin troppi e conosce troppo bene l’effetto che quegli occhi scuri come la notte hanno su di lei. Non riuscirebbe ad evitare di sentirsi ancora più nuda ed indifesa, le sue stesse parole che la stanno già spogliando di ogni protezione e non è convinta di poter andare oltre.
“Non sei la sola, se non fosse stato per O’ nemmeno io avrei messo piede a questa idiozia.”
In altre circostanze avrebbe sorriso all’idea di Bellamy soggiogato dalla piccola Blake, è sempre stato un adorabile cliché, lo ha pensato dalla prima volta che ha avuto modo di vederli insieme per più di dieci minuti.
Ma decide di annuire semplicemente e continuare a parlare
“Ad ogni modo adesso dovrò trovare una scusa abbastanza plausibile per giustificare la mia assenza… Dio sono così sollevata al pensiero che non mi abbia visto cedere…”
Si ferma e sente di nuovo lo stomaco in subbuglio esattamente come al bancone quando Jasper ha posto quella che per lui era un’innocua domanda.
Perché ripercorrere tutto quello? Perché rievocare lo strazio? Perché ripensare a lei?
Non ne vede il punto.
Ma quei pensieri le fanno dimenticare in fretta che si trova al cospetto del maggiore dei Blake e così viene anticipata in fretta dal suo insolito compagno di confidenze.
“Le rotture non sono mai semplici da assimilare.”
Dice solo cercando in qualche modo di facilitarla nel tirar fuori tutto ciò che da troppi giorni la sta torturando.
La bionda si schiarisce appena la voce.
“Le pause sono peggio.”
“Oh…”
Lo ha colto in contropiede, lo evince dal tono spezzato dall’incertezza e da una sorta di delusione latente che la confonde appena.
“La verità è che in questi giorni ho pensato che avrei preferito di gran lunga se la nostra fosse stata una vera e propria rottura. Era da un po’ che le cose non funzionavano come avrebbero dovuto, sai Lexa vive a Londra da tempo ormai e le relazioni a distanza sono un qualcosa di così rarefatto che a volte perdere di vista i sentimenti è quasi automatico, io non me ne sono accorta per almeno un anno, poi quando finalmente ho avuto modo di rivederla, di toccare nuovamente la sua pelle… Io non ho più sentito nulla. E a volte penso che non me ne sarei mai resa conto se non si fosse presentata davanti a me in carne e ossa.”
Vorrebbe non sapere perché sta dicendo tutto questo a quel ragazzo dai capelli corvini che un tempo le ha fatto battere il cuore all’impazzata ma la verità è che ne è ben conscia: non riesce a mentire a Bellamy, non ci è mai riuscita.
Tutto ciò che il maggiore dei Blake ha fatto o detto fino a quel momento l’ha portata a questo, a svelare ogni sua angoscia, ogni suo dubbio e una parte di lei si odia per non essere in grado di evitarlo.
“Penso che sia il senso di colpa a farti stare così, a prescindere da tutto le vuoi bene, tieni a lei e averla delusa, averla portata a questo ti distrugge. Ma non è colpa tua, dovresti saperlo, sei stata sincera, cosa sarebbe successo se non le avessi dimostrato che i tuoi sentimenti erano mutati? Portare avanti una farsa è molto più complicato, più doloroso.”
Bellamy si stava sbagliando.
 
Clarke non era stata affatto sincera, le era bastato così poco per capirlo.
Durante quei giorni passati insieme a Lexa Woods aveva faticato così tanto per dare l’impressione che andasse tutto bene.
Ma fin dal primo loro contatto aveva notato che qualcosa non andava, era mancata la solita scarica di adrenalina che provava quando incontrava quegli occhi smeraldini ad esempio. Troppo presa a riprendersi dall’incontro ravvicinato ed inaspettato avvenuto con Bellamy, l’aveva abbracciata meccanicamente, senza che la sua pelle fosse attraversata da alcun fremito.
Da quel momento e soprattutto dopo la conferma avuta la stessa notte, quasi impaurita da ciò che non riusciva più a provare nei suoi confronti, non aveva fatto altro che cercare scuse, ideare scappatoie per rimanere lontana e passare un po’ di tempo sola.
Aveva agito d’istinto, senza riconoscersi, quasi totalmente nel panico.
Alla fine aveva preferito passare il pomeriggio con Bellamy Blake piuttosto che salutarla come si deve prima della sua partenza.
Ciò che l’aveva sconvolta è che per lei era stato maledettamente semplice scegliere, nonostante la delicata circostanza per cui era avvenuto, avrebbe potuto rimandare l’incontro con il maggiore dei Blake ma aveva fermamente deciso di non farlo.
Aveva stranamente seguito il suo cuore e ne aveva pagato tutte le conseguenze, la decisione era semplicemente ricaduta su ciò che voleva fare, invece di pensare a ciò che avrebbe dovuto.
Ed immaginare che Lexa era diventata una sorta d’impegno morale le aveva fatto venire dei mostruosi crampi allo stomaco.
Si era sentita impotente, non poteva ignorare i suoi desideri eppure riconosceva di essere stata una codarda, la giovane Woods non meritava nulla di tutto questo, non dopo quello che avevano passato insieme, non dopo tutto quel tempo.
 
Il suo flusso di coscienza però s’interrompe bruscamente, infatti Clarke si ritrova a trasalire non appena percepisce il tocco incerto e delicato della mano di Bellamy sulla sua guancia.
Sente il suo corpo accaldarsi e non è in grado di dire se sia dovuto a quel contatto inaspettato o a quei pensieri che per troppo tempo ha cercato di reprimere.
Rimane ferma immobile per qualche secondo prima di rivolgere il suo sguardo a Bellamy.
Sorride impacciato, una smorfia che non gli appartiene e che deve aver riservato a pochissimi eletti nell’arco della sua vita.
“C’era una lacrima e ho pensato di…  Scusa.”
Balbetta quasi e Clarke, che deve avergli riservato un’occhiataccia fino a quel momento, non riesce proprio a trattenersi dal rispondere a quell’espressione in modo analogo.
“La verità è che è tutta colpa mia Bell.”
Sospira poco dopo.
“Ricordi quel pomeriggio quando ci siamo visti, subito dopo che sei tornato?”
E’ sorpresa, non ha più abbassato lo sguardo, non l’ha rivolto altrove, con una semplicità sconvolgente ha tenuto i suoi occhi incollati a quelli di Bellamy ed ora può finalmente osservarlo annuire.
“Le avevo promesso che ci saremmo viste, mi aveva detto che mi avrebbe fatto una sorpresa; la sera stessa sarebbe partita ed io ben conscia della situazione le ho dato buca, ho preferito vedere te.”
L’imbarazzo riaffiora prepotentemente quando nota la bocca sottile e morbida del maggiore dei Blake schiudersi appena in un bizzarro moto di stupore.
Vorrebbe dire qualcosa per evitare fraintendimenti, solo ora capta la profonda ambiguità che può celarsi dietro quella frase ma proprio quando sta per dar fiato a mille parole che ancora non hanno preso davvero forma nella sua mente, il telefono di Bellamy squilla in un modo che appare quasi assordante.
E’ allora che il ragazzo distoglie l’attenzione da lei e si precipita a rispondere al cellulare. Clarke però non riesce a distaccarsi dal suo volto e, mentre l’altro parla con chissà chi, osserva con avidità ogni ruga che pian piano affiora sulla pelle del ragazzo.
Così quando lo sente sussurrare con il fiato corto
“Oh mio Dio.”
Non ha dubbi sulla natura di quella esclamazione, ci legge preoccupazione e angoscia e non riesce a rimanere impassibile, sente i nervi tendersi, il suo pensiero corre veloce ai cari di Bellamy: sua madre Aurora, Michael, Octavia…
Appena il maggiore dei Blake termina la telefonata, tutto ciò che vorrebbe fare è donare la libertà ad ogni suo interrogativo ma qualcosa la trattiene.
Il moro a sua volta invece le chiede agitato
“Possiamo usare la tua macchina? Dobbiamo arrivare il prima possibile al Children’s National Medical Center.”
Lo sussurra tutto d’un fiato e Clarke si vede costretta ad annuire senza riuscire a dire una singola parola, la sua mente è completamente annebbiata dal panico che trasuda dalle membra di Bellamy Blake.

 

Angolo autrice: Non so davvero come farmi perdonare per l'immenso ritardo, sono mortificata.
E' stato un periodo diverso da come avevo immaginato e in cui mi sono ritrovata stretta tra mille impegni. Il caldo assurdo poi non ha aiutato l'ispirazione e quindi ho spesso rimandato ognu cosa per evitare di combinare pasticci irrimediabili.
Eppure devo dirvi che sono contentissima di essere tornata e non vedo l'ora di sapere qualcosa da voi a riguardo del nuovo capitolo!

Spero non abbiate dubitato della continuità di questa storia, non sarei mai sparita senza lasciarvi alcuna spiegazione e mai lo farò, mi auguro solo, in ultima battuta, che possiate perdonarmi.
Un abbraccio,
Chiara.
   
 
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