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Autore: Red_Coat    08/09/2017    3 recensioni
Nel calore di un'estate afosa, alla luce di una fiammella e per una manciata di cacao amaro in polvere e un ciuffo di cavolfiore, questa è la storia di quando Ignis Stupeo Scientia s'innamorò per la prima volta in assoluto nella sua vita.
E fu un amore tutto da ... gustare.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gladiolus Amicitia, Ignis Stupeo Scientia, Noctis Lucis Caelum, Nuovo personaggio, Prompto Argentum
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Il meraviglioso fuoco della conoscenza'
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Dolce come un muffin al cioccolato


«Noct, alzati. Dobbiamo andare a fare la spesa.»

La voce del suo consigliere e fraterno confidente raggiunse il principe mentre stravaccato sul divano davanti alla tv era impegnato con l'ultima puntata della sua sit-com preferita, sorseggiando una tazza di caffè.
Alzò gli occhi dalla TV e gli rivolse uno sguardo sospettoso.

«Perchè?» chiese.
«Il frigo è vuoto, completamente.» disse Ignis, incrociando le braccia sul petto «Non puoi restare così fino a domattina.»

Noctis sbruffò annoiato.

«Non puoi andarci tu?» tentò stancamente di svincolarsi, ma stavolta Scientia fu categorico.
«No.» replicò scuotendo il capo con decisione.

Poi afferrò il telecomando da sopra il tavolino e spense la TV senza ripensamenti, proprio sul più bello.
Il principe trattenne un moto di rabbia. Gli rivolse uno sguardo corrucciato al quale lo stratega rispose con uno più severo.

«Forza, due minuti e usciamo.» lo avvisò.

E a questo punto non gli restò che obbedire, sbruffando e trascinandosi verso la camera da letto.
C'era poco da fare, quando Ignis si metteva in testa di responsabilizzarlo non c'era neanche decreto reale che riuscisse a tenergli testa.
Beh, sogghignò, almeno forse sarebbe riuscito a convincerlo a non comprare le schifose verdure.
O ... a impedirgli di farlo.
 
***
 
Fu come aveva presagito la sera prima.
Il giorno dopo, quando si svegliò, aveva la febbre alta, la gola ardente, il naso chiuso e un forte dolore alla testa.
Sua madre e sua sorella insistettero per convincerla a stare a casa, almeno fino a che la febbre non si fosse abbassata visto che riusciva a malapena a stare in piedi.
Ma lei testarda continuò a ripetere che ce l'avrebbe fatta, anche perché non era un lavoro con ferie retribuite e giorni di malattia e le scocciava non poco perdere i soldi che le servivano per le sue spese mediche di routine. Ingurgitò un'aspirina e via, s'immise nel grigiore di una monotona mattina d'inverno, con la pioggia ch'era tornata a scrosciare sin dal primo mattino e il vento che sforzava le punte di metallo degli alti grattacieli del centro.
Non fu facile, affatto, tenere in ordine una casa che non era la sua con quasi trentanove di febbre che andava e veniva e la terribile sensazione di asfissia data dai bronchi quasi del tutto occupati dal muco.
Per fortuna si trattava solo di una riordinata superficiale visto che la casa era poco vissuta e il suo lavoro di tre giorni addietro si era mantenuto quasi del tutto intatto.
Neanche innaffiare le piante fu un problema, visto che quelle in appartamento erano solo quattro o cinque in piccoli vasi, e una volta finito visto che il padrone non si trovava in casa poté concedersi qualche ora di riposo sul divano in comoda ecopelle.  Riuscì anche a sonnecchiare un pochino, ma il difficile arrivò quando, all'ora di pranzo, dovette inventarsi qualcosa da cucinare che andasse bene sia per lei che per la cena del suo datore di lavoro, un uomo d'affari sulla cinquantina fissato col fitness e il cibo salutare.
Non aveva voglia di cucinare, per niente. Anzi, sapeva che se lo avesse fatto in quelle condizioni di sicuro avrebbe combinato qualche disastro, ma era un obbligo che rientrava nei suoi doveri, perciò non potendo esimersi si trascinò giù dal sofà e frugò nel frigo alla ricerca di qualcosa che potesse andare bene.
Alla fine decise per un semplice passato di verdure con formaggio vegetale fresco, una bistecca di carne bianca, alla piastra.
Gli imprevisti non tardarono ad arrivare, purtroppo.
Prese zucchine, porri, qualche patata e un paio di carote, quelle che erano rimaste, e le lavò velocemente sotto l'acqua corrente rabbrividendo.
Le sbucciò con cautela, aiutandosi col pelapatate e fermandosi ogni tanto, quando il dolore alla spalla si faceva troppo intenso, e al momento di affettarle iniziò a tremare, cosa che la portò a procurarsi un paio di tagli alle dita, fortunatamente non molto profondi ma che la costrinsero a indossare cerotti e i guanti in lattice e fare ancora più fatica, rimproverandosi per non averci pensato prima.
Alla fine comunque, dopo quasi un'ora e mezza riuscì a mettere sul fuoco tutto, e tornare a riposarsi sul divano in attesa.
Era così stanca che gli occhi le si chiudevano da soli, così demoralizzata da voler piangere e così dolorante da riuscire a farlo.
Appollaiata sul divano, scalza, con una coperta sulle spalle e le braccia strette attorno alle gambe, Alexandra chiuse gli occhi e sospirò stanca, sprofondando la testa sulle ginocchia ma sollevandola subito dopo perché colta da una mancanza d'aria.
Quando il timer suonò, proprio in quel momento, quasi con rabbia lei si rialzò, abbandonò la coperta sul divano e si diresse in cucina, per ultimare la preparazione.
Frullò tutto col robot da cucina, infine si scottò appena il palmo della mano sinistra mentre stupidamente senza impugnare la presina cercò di spostare la padella con cui aveva cotto la bistecca.
Imprecò sottovoce, correndo a immergere la mano sotto l'acqua corrente.
Infine dopo averla medicata con una pomata cicatrizzante, un po’ di cotone e fasciata con una benda sterilizzata se ne andò in soggiorno a consumare il suo pasto di fronte alla tv, cercando di trovare sollievo nel suo programma di cucina preferito, la gara di cuochi più seguita al momento.
Inutile dirlo, non aveva voglia di mangiare ma lo fece, anche se il sapore soffice e delicato del passato di verdure riuscì a consolarla un poco, carezzandole il palato e i sensi.
Mettere i piatti in lavastoviglie non fu un'impresa così difficile coi guanti in lattice, anche se la mano faceva ancora male, e una volta conclusa anche quell'ultima faccenda tornò sul divano dove, crogiolandosi nel calore delle coperte, fini per riaddormentarsi.
La risvegliò il trillo del suo telefono, verso le cinque del pomeriggio, fortunatamente appena pochi secondi prima che il padrone di casa rientrasse.
Sua sorella le chiese se stesse bene, se aveva incontrato difficoltà e se le andasse di andare a mangiare qualcosa fuori, dopo il lavoro.
Ovviamente sarebbe venuta a prenderla lei.
Sospirò, stropicciandosi gli occhi appesantiti e pensandoci un pò su.

«Non lo so ...» mormorò quindi «Magari potremmo prendere qualcosa da asporto e mangiare a casa. » risolse.

Monica sorrise.

«Va bene.» rispose allegra dall'altro capo «Allora ci vediamo più tardi.»
«Mh, mh.» mugugnò lei, stiracchiandosi e sorridendo «Grazie. A dopo.»

Quindi riattaccò, e si guardò intorno senza troppa voglia prima di darsi una mossa e decidersi a rimettere tutto in ordine, alzandosi e dirigendosi in bagno a risistemarsi un po’.
Lavò la faccia, i denti, pettinò i capelli e ripristinò il filo di trucco che era stata capace di indossare.
Infine si diresse in soggiorno e ripose nuovamente la coperta nella cassettiera sotto al sofà.
Proprio nel momento in cui la richiuse, il campanello di casa suonò, e lei stranita rizzò la schiena guardando il suo orologio da polso.
"Chi è a quest'ora?" si chiese preoccupata.
Di solito non veniva mai nessuno a far visita al signor Jeffrey, ed era troppo tardi per il postino. "Sarà un corriere privato?"
Per fortuna era soltanto Mr. Stevenson, tornato prima da lavoro.
La ringraziò come sempre gentile, le pagò la giornata dandole ugualmente la stessa cifra anche se era tornato qualche ora prima, e le diede appuntamento per la settimana prossima, lasciandola libera di andarsene.
"Oh, bene." pensò "Finalmente un po’ di fortuna."
Avrebbe potuto chiamare sua sorella e farsi venire a prendere un po’ prima, e in effetti l'idea la stuzzicava molto.
Tuttavia, non appena mise piede fuori dallo stabile l'aria frizzantina e l'atmosfera pacifica di un calmo ed accogliente pomeriggio invernale, col sole che rifulgeva allegro e nell'aria ancora l'odore della pioggia la spinsero verso una decisione diversa.
Era così bella quella parte di Insomnia a quell'ora! E lei aveva così pochi giorni liberi per godersela.
Inoltre, la febbre sembrava essersi abbassata un po’, e anche se il suo aspetto non era dei migliori e le mani le facevano comunque male all'improvviso ebbe voglia di entrare in un bar, prendere qualcosa di dolce e una bella bevanda calda e sedersi in un angolo ad osservare la gente indaffarata nella speranza di cogliere qualche spunto utile alle sue storie senza troppe pretese.
O magari avrebbe potuto prendere qualcosa e andarsene al parco, sperando che la sua panchina preferita fosse libera.
Sorrise, stringendosi di più nel suo cappotto e affondando il naso rosso nella sciarpa quasi del medesimo colore.
Si, non era male come idea. Avrebbe fatto così.
Del resto giornate come quelle facevano bene al cuore, soprattutto se era quello di un’artista.
 
***
 
Alla fine la gita al supermercato non era andata poi così male, almeno non per Noctis.
Con un mirabile gioco di abilità e prestigio che consisteva nel sottrarre al carrello le verdure indesiderate mentre Ignis era distratto e inserirne al loro posto altre di più pregiato sapore era così riuscito ad evitare che le suddette finissero sul bancone della cassa. In più aveva acquistato per sé un paio di interessanti riviste di pesca, qualche snack e Ignis gli aveva concesso per cena del pesce fresco, anche se alla fine aveva dovuto a malincuore accettare tutta quella carrellata di spezie e salse e rassegnarsi a cucinargli qualcosa che non includesse vegetali.
Al ritorno avevano messo insieme a posto la spesa, e dopo poco la cucina e la sala da pranzo si erano riempite di un delizioso profumino.

«Mhhh ...» mugugnò soddisfatto il principe portandosi l'ultima forchetta di baramundi alla bocca.

Ignis alzò gli occhi su di lui, sorrise soddisfatto ma non troppo.

«Sarebbe stato molto più buono se mi avessi permesso di comprare qualche pomodoro e qualche altro ortaggio in più.» precisò, bevendo poi l'ultimo sorso d'acqua nel bicchiere e asciugandosi la bocca col tovagliolo.

Il principe scosse il capo, si spaparanzò sulla sedia.

«Mi accontento volentieri.» disse «Caffè?» propose poi.

Ignis sospirò rassegnato, si alzò e scosse il capo.

«Non posso purtroppo.» replicò  sistemando la sedia «Devo tornare prima, oggi. Dovrai lavare i piatti da solo, pensi di farcela.»

Ora fu il principe a sospirare. Guardò fuori dalla finestra, oltre le sagome longilinee e dritte dei grattacieli dove il sole stava lentamente calando all'orizzonte.
Erano le sei e la giornata era già finita.
Avevano cenato presto in effetti ...

«Ci proverò.» rispose, rassegnato.

Ignis sorrise di nuovo sotto i baffi.

«Usa la lavastoviglie. Le capsule sono sotto il lavandino, nello sportello di destra, in fondo.» gli concesse «E ricordati di portare fuori la spazzatura domani, prima di andare a scuola.»
«Mh.» fece Caelum già annoiato e sovrappensiero.

Ignis Scientia scosse un'ultima volta il capo, quindi afferrò il cappotto ocra dall'attaccapanni vicino alla porta d'ingresso e se uscì, salutandolo cordialmente.
 
***
 
«Un caffè caldo lungo e un muffin al cioccolato. Da portare via, grazie.»

Disse con un sorrise gentile la giovane Baker, alla signorina col cappellino nero e un caschetto del medesimo colore che stava dietro al bancone, e quella con altrettanta cordialità annuì e le preparò subito il suo take away.
Pagò alla cassa sovraffollata, quindi se ne uscì e attraversata la strada s'immise nel parco attraversando il cancello principale e incamminandosi sul sentiero lastricato.
Mancavano poco meno di cento metri alla sua panchina quando un uomo in tuta ginnica la travolse urlandola e facendo si che il caffè contenuto nella busta di carta marrone le si rovesciasse addosso, sul cappotto nero e sulla sua camicia bianca preferita.
Rimase immobile a fissarsi, la bocca spalancata in una espressione sorpresa mentre cercava di tornare a respirare e non mettersi a urlare, resistendo al calore ardente del liquido nero sulla pelle.
"Non ... ci posso credere." pensò sconvolta.

«Oh mio dio, mi scusi!» esclamò quello mortificato «Dio mio, si è fatta male?» le chiese squadrandola.

"Ecco fatto. Un tizio fulvo vestito come un evidenziatore servito con caffè bollente per completare il mio menù a base di sfiga. MHHH, CHE BONTÀ! Sul serio ..."
Sorrise, stringendo i denti.

«Oh, non è niente. Non si preoccupi.» replicò sforzandosi di essere gentile nonostante tutto, mentre in realtà avrebbe tanto voluto tirargli la sua borsa di pelle in faccia più e più volte fino a sfondargliela.
«Ne è sicura?» ripeté quello, ancora palesemente sconvolto.
«Si si, davvero. Sto bene. Buona giornata.» concluse, stringendosi ancora di più nel suo cappotto e affondando la faccia nella sciarpa quasi del tutto, riprendendo il cammino.

"E che tu possa strozzarti con la tua dannatissima cena!" gli augurò dentro di sé, quando finalmente poté sedersi.
Gettò il muffin nel cassonetto assieme a tutto il sacchetto con un gesto nervoso, e lasciando adito a qualche lacrima di scivolare bollente sulle sue guance ignorò tutto ciò che le stava intorno e chiuse gli occhi, soffocando un singhiozzo.
"BASTA!" protestò dentro di sé.
Sospirò.
"Ho fame.
Ho freddo, ho sonno e sono ferita...
Voglio tornare a casa...
"
Si concesse ancora qualche istante così, ad occhi chiusi ad ascoltare i suoi stessi sospiri e il pulsare della vita attorno a sé.
Poi li riaprì, e quando lo fece fu sorpresa di vedere di fronte a sé una mano che reggeva una nuova coppa fumante di caffè, invitante, profumato e scuro.
La marca era la stessa del negozio in cui lo aveva preso lei.
Alzò lo sguardo, quindi si volse alla sua sinistra e trattenne il fiato.
Un uomo le si era seduto accanto, avvolto in un elegante cappotto ocra, attorno al collo una sciarpa blu scuro e a proteggere le mani un paio di guanti neri di quelli sportivi, da guidatore ma di fattura pregiata.
Impossibile per lei non riconoscerlo. Le bastò dare un occhiata al suo profilo attraente e sofisticato e ai suoi capelli per farlo.
"Non ci credo ..." pensò tra sé, mentre ascoltò il cuore accelerare i battiti e una strana sensazione riempirle lo stomaco.
Lui nel frattempo fissava il cielo, ma quando si rese conto di essere osservato le rivolse la sua attenzione.
Sorrise, e Alexandra si sciolse.
Era lo stesso sorriso con cui l'aveva disarmata subito dopo averle lasciato i cavoli.
Ma come diamine faceva? Aveva qualche potere nascosto o un asso nella manica a lei sconosciuto?

«Salve.» fece, invogliandola con un gesto della mano ad accettare la bevanda «Spero non le dispiaccia. Ho visto la scena, e sono molto desolato per ciò che è successo.»

La giovane continuò a fissarlo come fosse una visione celeste, poi pensò che se non voleva fare di nuovo la figura dell'idiota avrebbe dovuto fare qualcosa e allora annuendo parve risvegliarsi.

«Oh, i-io ...» bofonchiò, annuendo e afferrando il bicchiere «No, affatto. Anzi ... grazie.» Si sciolse, sorridendogli gentilmente e trovando finalmente il coraggio di guardarlo in viso.

Arrossì, incontrando i suoi potenti e profondi occhi verdi.
Aveva una potenza di sguardo da far rabbrividire, per la miseria.
Sembrava essere capace perfino di scrutarla dentro.
Abbassò di nuovo gli occhi, e togliendo il tappo nascose il viso nella coppa, iniziando a sorseggiare il dolce nettare.
Lui le sorrise di nuovo, annuendo come per dirle che lo aveva fatto con piacere, quindi le lascio qualche momento di intimità permettendole di bere il suo caffè in silenzio.
Più che berlo,lo trangugiò assetata, e alla fine si espresse in un lungo sospirò soddisfatto di approvazione, sorridendo sollevata.
L'uomo fece lo stesso tornando a guardarla.

«Va meglio?» domandò.

Lei annuì, continuando a sorridere.

«Mh. Si, grazie.» replicò stanca.

Le girava un po’ la testa, e la sensazione appiccicosa del caffe che le si era riversato addosso la infastidiva. In più, le sembrava che la febbre forse tornata a salire.
Ma quell'uomo era così composto e bello che il solo guardarlo la faceva sentire meglio.

«Mi spiace per la camicia, purtroppo non ho nulla per smacchiarla, qui.» le disse allora, a proposito, come se fosse colpa sua.

Lei si guardò come se si fosse ricordata solo ora del brutto scontro avvenuto poco prima.

«Oh, non si preoccupi.» rispose, tornando ad arrossire «Domani mattina la porterò in lavanderia e vedrò cosa potranno farci. Purtroppo credo che resteranno gli aloni, però.»
«Mh. Lo credo anche io.» convenne lui dispiaciuto, annuendo per poi aggiungere con un sorriso, porgendole la mano destra «Ah, le mie scuse. Ho dimenticato di presentarmi: Ignis Scientia, piacere di rivederla, Miss...»

La giovane gli rivolse uno sguardo affascinato e accettò di stringergli la mano, sperando di non rabbrividire.
Lo fece, e abbassò gli occhi con un sorriso mentre si presentava imbarazzata ed emozionata.

«Alexandra Jane Baker ... stavo giusto chiedendomi quando sarebbe successo.» aggiunse scherzosa.

Sorrisero entrambi, divertiti.
Poi lui si alzò e le porse la stessa mano per aiutarla.

«Ho la macchina proprio qui vicino, posso accompagnarla se desidera.» propose.

"Cavolo!Cavolo!Cavolo!Si!!"

«I-io ... non vorrei essere un disturbo.» replicò rimanendo sottotono anche se all'improvviso le sembrò quasi le fossero spuntate le ali ai piedi «Casa mia è praticamente dall'altra parte della città.»

Ignis tornò a sorridere rassicurante.

«Nessuno disturbo.» le confermò «Posso accompagnarla alla fermata della metro, allora.» e allora lei fu lieta di annuire, e accettare l'invito appoggiandosi con delicatezza al suo braccio, contenendo a fatica l’istinto di abbracciarlo.

Da vero gentleman lui la scortò sorreggendola fino alla vettura,  le apri lo sportello e la aiutò ad accomodarsi restituendole la borsetta che le aveva tenuto, poi lo richiuse con delicatezza e sali al posto del guidatore.

«Le fa male?» chiese dopo un po’, mentre era impegnato alla guida.

Lei smise di guardarsi intorno sbalordita dall'evidente lusso confortevole dell'abitacolo e lo guardò, impiegando un po’ a capire ma poi tornando ad arrossire fortemente.

«Oh, no ... » balbettò «Ehm ... solo un pochino. Comunque è sopportabile.» risolse fingendosi forte e serena.

Scientia annuì calmo.

«Infortunio sul lavoro?» chiese, discreto e comprensivo.

Jane sorrise.

«In un certo senso.» replicò «Mi sono affettata un dito mentre tagliavo le zucchine e ho preso una padella calda senza guanto.» spiegò, incupendosi alla fine e appoggiandosi contrariata al finestrino, brontolando «Tutti errori da pivella, oggi non era decisamente la mia giornata.»
«Capita anche ai migliori.» osservò allegro lui, sorprendendola «Ma devono essere curate, o le rimarranno le cicatrici.» consigliò tornando serio.
«Oh, quelle non sono un problema.» disse «Ne ho già un mucchio di simili, quando non sto molto bene mi riempio sempre di lividi, a volte non so neanche io come ci sono riuscita.» più rivolta a sé stessa che a lui, che comunque restò ad ascoltare con vivo interesse.

Era malata, dunque. Un brutto raffreddore o un'influenza che ci avrebbe messo parecchio a passarle.
Urgeva un rimedio.

«Ci penso io.» decise.

Quindi fermò la macchina di fianco al marciapiede e scese chiedendole di aspettare un secondo, e lasciandola così di stucco a guardarlo mentre si dirigeva veloce verso la farmacia e vi entrava.

«Ma cosa ...?» Si chiese stupita.
Si toccò la mano con quella sana e rimase senza fiato a fissare il vuoto, ritornando a bocca aperta a gettare la testa in avanti sulla comoda testiera ergonomica del sedile «Non è che ... vuole medicarmi la mano? Lui?»

Sorrise, incredula scuotendo il capo e prendendosi la testa tra le mani.

«Non ci credo ... ricco, gentile, elegante ...» Ci rifletté ancora qualche istante, infine tornò a scuotere di più il capo sempre più sconvolta «Ah! Se sto sognando non svegliatemi, vi prego ...» supplicò, riprendendosi in fretta quando udì lo sportello riaprirsi.

Scientia riapparve sul sedile di fianco, con una busta bianca e azzurrina stretta tra le mani.

«Ecco qua.» fece, sorridendole «Chiedo scusa, Miss Baker. Posso?» chiese gentile, indicando la sua mano fasciata.

"Se puoi??"

«Si. C-certo.» fece lei in risposta, porgendogli senza esitare l'arto e rimanendo a guardare incantata mentre con dolcezza e tatto lui le sfilava piano la benda, applicava un po’ di pomata sulla ferita e poi la ricopriva con uno spesso strato di una garza un po’ più morbida.

Per tutto il tempo trattenne il fiato, e ancora non riuscì a decidere se fosse uno splendido sogno o la realtà.

«Ecco fatto, ora dovrebbe andare.»

La sua voce gentile e profonda la risvegliò quasi all'improvviso.

«Spero di non averle fatto molto male, potrebbe pizzicare un po’ i primi giorni.» aggiunse, rimettendo tutto ordinatamente nella busta, esattamente come gli era stato consegnato.
«Mh?» fece lei, confusa.

Si guardò la mano e la vide accuratamente fasciata con una garza che sembrava fatta di seta, e sulle dita ferite dell'altra un paio di cerotti trasparenti waterproof, robusti e accuratamente chiusi attorno alle falangi.
"Male? Quale male? Perché, mi ha sfiorata?"
Avvampò.
"Oh mio dio! Mio Dio!"

«No.» balbettò, tentando di essere altrettanto rassicurante ma fallendo miseramente «Non ho sentito nulla.»

"Ero troppo concentrata a fissarti con la mia faccia da ebete."
Lui sorrise soddisfatto.

«Bene, meglio così.» replicò, consegnandole quindi la busta «Le ho preso anche uno sciroppo per la tosse secca e qualcosa per la febbre.» La informò «L’avrei accompagnata fino a casa ma purtroppo non posso trattenermi molto. Crede di riuscire ad arrivare ugualmente? Altrimenti posso chiamarle un taxi.»

Per l'ennesima volta la giovane arrossì avvampando.

«Oh, non preoccupar ... tevi, ce la faccio, si. T-la ringrazio, non c'era bisogno si scomodasse così tanto per me.»

Scientia sorrise rimettendo in moto la macchina e ripartendo con calma.

«È stato un piacere. Spero solo si rimetta presto.» le disse, e lo ripeté di nuovo quando fu il momento di salutarla, dopo averla accompagnata sotto braccio fin dentro il vagone della metro e averle dato le ultime raccomandazioni.

Lei lo salutò con un cenno della mano e un sorriso incredulo, lo stesso che mantenne per tutto il viaggio e anche una volta arrivata a casa.

«Com'è andata? Stai bene?» le chiese preoccupata sua sorella, dato che non l'aveva trovata più al luogo dell'appuntamento e aveva provato a chiamarla senza ricevere risposta.

Lei la guardò sognante, annuendo e carezzandole la spalla con una mano per poi volteggiarle intorno felice.

«È andata ... bene. Anzi, benissimo. E io sto ... magnificamente!» replicò, guardandosi con un sorriso contento e affascinato la mano accidentata.

Monica corrucciò la fronte, stranita.

«Sei sicura?» domandò preoccupata «Non è che ti è salita di nuovo la febbre? Sei strana.»

E a quel punto lei si voltò a guardarla e concluse, pensandoci per un po’ su per poi tornare a sorridere sognante.

«No ... non credo sia la febbre ... e se lo fosse allora non provate a darmi nessuna aspirina perché non ho alcuna intenzione di guarire.»

Quindi rise, e tornata in camera si lanciò a braccia aperte sul letto, buttandosi di schiena e chiudendo gli occhi cercando di rivedere in ogni più piccolo dettaglio quelli del suo soccorritore.
"Ignis ... Ignis ... Scientia." ripeté più volte dentro di sé.
Quindi sospirò profondamente, rilassata.

«Perfino il suo nome è figo ... e interessante! »

"Mi ha chiamato Miss!" sorrise di nuovo, divertita e quasi confortata.
"Miss Baker, ihihiiih! Nessuno mi ha mai chiamato così, di solito sono solo Signorina, Alex, o al massimo la domestica di casa."

Quindi si mise di nuovo a sedere e infine sprofondò con la testa nel cuscino, allargando le gambe doloranti e lasciando pendolare le braccia ai lati del letto.
"Mi ha aperto lo sportello, offerto il suo caffè ... e mi ha anche accompagnato fino alla metro. A me ... me! Ma da dove viene, dal paradiso?"
Un altro sospiro, stavolta più stanco.

«Chi diavolo sei, Mr. Scientia? Sei troppo bello per essere vero. Dev'esserci qualcosa che non va in te, deve...» biascicò, guardando la busta dei medicinali che aveva lasciato sul comodino proprio di fronte al suo sguardo «Non puoi esistere davvero ...»

"Non per una come me, almeno."
Ma intanto, quando poco dopo il sonno giunse a soprassalirla, anche lì lo ritrovò, elegante, gentile e disponibile come nella realtà.
Ignis Scientia.
Il primo uomo ad averla trattata come una regina nonostante fosse solo poco più che una semplice dama di corte.
Il primo ad essersi accorto di lei per la donna che era, e nient'altro.
Un sogno dolcissimo dal quale non avrebbe mai più voluto svegliarsi.
Molto, molto meglio di un muffin al cioccolato!

 
***
 
Il giorno dopo …
 
"Gentile Sig.na Alexandra Baker, la contatto per conto dell'ASIG.srl per confermare l'appuntamento di stamattina e chiederle un anticipo sull'orario.
Causa riunione urgente, la aspettiamo per le consuete pulizie settimanali dello studio alle 8.30 invece che alle 9.30

Maurice
"

Erano le sette e dieci quando il cellulare squillò nella tasca del cappotto dove lo aveva lasciato.
Alexandra quasi non lo avrebbe sentito, stordita com'era, se non fosse stato per la vibrazione.
Invece riaprì gli occhi, appannati e doloranti, e mentre cercava di rimettersi in sesto senza riuscirci si rese conto che, forse, quell'oggi sarebbe stato ancora più difficile muoversi di ieri.
Ingoiò a vuoto un paio di volte, sentendo la gola dolerle, e si passò la lingua sulle labbra sentendole secche e amarognole.
"Aaah!" pensò disperata "Oggi non va. Proprio non va."
La febbre le era salita di nuovo, non era difficile capirlo, complice sicuramente anche l'aver dormito con ancora indosso gli abiti del giorno prima.
Non poteva uscire così, avrebbe dovuto fare almeno una doccia e cambiare la sua divisa, ma quando lesse il messaggio le venne da strapparsi i capelli.

«No, no, no!» protestò, abbandonando poi nuovamente la testa sul cuscino.

Sospirò pesantemente. Quindi si fece coraggio, e dopo quasi un'ora riuscì a uscire di casa, pulita e ordinata ma con le gambe che le tremavano quasi fossero gelatine.
Non avrebbero retto a lungo, se lo sentiva.
Anche perché adesso la vera sfida era arrivare in tempo a quasi tre isolati lontano da lì, camminando nella sottile pioggerella scrosciante che aveva preso a scorrere ininterrotta allagando le strade.
Perfetta in un comodo e al contempo elegante completo nero classico di giacca e pantaloni, un'altra camicia bianca quasi come quella che aveva appena perso e un paio di stivaletti a punta, di pelle nera.
Appena fuori dal portone ebbe un attimo di incertezza, ma poi si strinse nel soprabito rosso e s'immise in strada, col suo ombrello di plastica rosso fuoco a proteggerla dal diluvio.
Amava la pioggia e le giornate uggiose, ma avrebbe preferito viverle attraverso il vetro della finestra di casa sua, magari con una tazza fumante di the in mano e qualche biscotto alla cannella, o una fetta di torta al cioccolato.
Di sicuro non al lavoro con una febbre da cavallo e le gambe che tremolavano minacciando di cadere da un momento all'altro.
"Ce la faccio, Ce la faccio, Ce la faccio!" si ripeté, passo dopo passo.
Ma non fu abbastanza, e così appena a metà strada ebbe un forte giramento di testa, le forze le mancarono e lei letteralmente cadde a terra come una pera cotta.
O almeno, l'avrebbe fatto se mani forti e gentili non l'avessero afferrata prontamente, impedendole la rovinosa caduta che di sicuro le avrebbe fatto molto male.

«Miss Baker, sta bene?»

Il suo cuore si fermò all'istante.
Quella voce. "Miss ...?"

«Alexandra, mi sente?» ripeté l'uomo, ma lei non trovò neanche la forza di rispondere.

Semplicemente svenne stremata, e l'ultima cosa che udì, come in un sogno, fu la voce della Signorina Eve che esclamava preoccupata avvicinandosi.

«Oh mio Dio! Alex!»

Poi ... più nulla.
Fino all'attimo del suo risveglio.
"Eve? Che ci fai nel mio sogno?"

(Continua …)
 
   
 
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