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Autore: stirlingite27    10/09/2017    0 recensioni
[Lindsey Stirling]Quando nasci nel Deserto, la vita è difficile. Quella è una terra vasta e spietata. I Padroni dominano su orde di schiavi e uccidono a loro piacimento. La terribile Arena è una minaccia costante. Però, una luce si accende nel buio: una giovane coppia, una come quelle di un tempo. Lei è figlia degli Dei della Luna, lui degli impetuosi Dei del Sole. Insieme, devono unire tutti, per cancellare pregiudizi millenari e tradimenti e riuscire a cambiare il Deserto. Una storia ispirata da un video di Lindsey Stirling!
Traduzione della storia "Escaping the Arena" di @stirlingite27 su Wattpad.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4 - Conversazioni

 

Dire che Kairos fosse seccato sarebbe stato un eufemismo. Era furioso. Non le aveva forse detto centinaia di volte di stare attenta? Non erano più a casa, adesso le cose erano diverse e non poteva permettersi di tirar fuori la sua vera indole. Dava la colpa anche ad Argus ed Alexios, i due fratelli avevano sempre avuto un brutto carattere e tendevano a scontrarsi spesso. Litigare per l'acqua, che cosa stupida. Fortunatamente per loro, non era più nella posizione di poterli punire.

Si avviò silenziosamente verso la tenda di Lindsey, e lungo il tragitto fece del suo meglio per attenuare la rabbia, sapeva che non sarebbe andato da nessuna parte se le avesse fatto una sfuriata.

"Buongiorno, Derek." lo salutò una delle ancelle e compagne di Lindsey quando entrò nella tenda soffocante, facendo attenzione a usare il nome fittizio. Non si poteva mai sapere, chi potesse stare a sentire fuori da quelle mura.

"Buongiorno," rispose con tono distratto. "Dov'è scappata, stavolta?"

"Sono qui," fece Lindsey dal fondo della tenda. Era ancora distesa a letto, o per meglio dire su ciò che erano costretti a usare come letto, una scena inusuale. In genere, la ragazza aveva fin troppa energia per riuscire a stare coricata a lungo.

Kairos dimenticò immediatamente di essere arrabbiato. Quel sentimento fu rimpiazzato dalla preoccupazione per la sua più cara amica. Attraversò di corsa la stanza, inginocchiandosi poi accanto al giaciglio improvvisato sul terreno duro e prendendole la mano.

"Stai bene, Linds?"

Lei ridacchiò e sorrise rassicurante. "Sto bene, Kai, non sono malata. È solo che ultimamente non ho dormito molto. La notte mi tenta troppo."

"Ho sentito del tuo incontro con il consigliere e il figlio del Padrone."

Lei rise di nuovo. "Una parte di me era sorpresa che tu non fossi saltato fuori dall'ombra per tentare di salvarmi. Apparentemente, sarò una sarta. Delia ed Elene verranno con me."

L'umore di Kairos migliorò leggermente. Lindsey era brava a trovare del positivo in ogni situazione. "Beh, almeno loro hanno esperienza. Detesterei vedere i vestiti che cuciresti con queste mani." Strinse le mani delicate di lei nelle sue, mani che non avevano mai provato giorni di vero lavoro in tutta la sua vita.

"Il consigliere mi ha minacciato con l'Arena, Kai." sussurrò lei. Lui la sentì appena.

Aveva già saputo della minaccia, glielo aveva detto Argus. Una parte di lui avrebbe voluto torcere il collo al consigliere, magari un giorno ne avrebbe avuto l'occasione. Ma per il momento, era esattamente dove avrebbe dovuto essere, lì con lei, a scacciare le sue paure come aveva sempre fatto.

"Non succederà mai," le sussurrò. "Linds, sarai al sicuro, ma devi cercare di non attirare l'attenzione. Le persone qui non comprendono una donna che detiene il potere. È una cosa che disprezzano e temono."

Gli occhi di lei avevano iniziato a riempirsi di lacrime, e lui sapeva che era questo il vero motivo per cui era rimasta a letto per tutto il pomeriggio. Era un trucco che aveva usato fin da quando era piccola, per chiudere il mondo fuori e nascondersi sotto le coperte. Poche cose ormai la facevano correre al suo rifugio, ma quando succedeva, si trattava sempre di qualcosa che la terrorizzava.

"Papà mi ha cresciuta troppo indipendente." disse lei, tirando su col naso.

"Qualcuno direbbe che ti ha viziata." Kairos sorrise quando lei fece una risatina.

"Solo tu." replicò, divertita. Era bello poter scherzare di nuovo con Kairos, la faceva sentire di nuovo a casa, e non lì in quel posto orribile. Gli diede un colpetto giocoso, alzandosi dal letto. Kairos aveva sempre quel tocco magico che riusciva a farla sentire meglio.

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Quella sera, Gavi camminava per i corridoi della casa di suo padre. Le tende dipinte si muovevano per via del vento leggero, regalando alla stanza torrida un po' di frescura.

Le case degli Enmity erano vecchie, piccole capanne fatte di argilla ricavata dalla sabbia. Fortunatamente per la sua fazione, una grande montagna piena di caverne aveva fornito ulteriori ripari per i cittadini. Nel tempo il monte era stato tagliato e modellato, trasformandolo in una casa funzionale per la popolazione. Era una comodità che aveva probabilmente salvato la fazione in più di un'occasione.

La casa di Blackflag era sull'orlo della montagna. Una grande struttura che fungeva da entrata alla residenza del Padrone era stata costruita davanti alle rocce, ed era sorvegliata da due guardie. Non che qualcuno fosse così stupido da minacciare il crudele Signore.

Gavi fece un cenno alle guardie entrando nella casa della sua infanzia; a sedici anni gli erano stati consegnati i suoi appartamenti personali più all'interno della caverna. Era un erede di riserva, non troppo importante, ma abbastanza da permettergli di vivere comodamente. Aveva sempre odiato la residenza di suo padre, era appariscente ed eccessiva, così come aveva voluto ogni moglie di Blackflag.

Gavi trovò il padre seduto nella grande sala da pranzo. Non era proprio enorme, ma era abbastanza ampia da poter contenere buona parte della classe più alta degli Enmity. Blackflag adorava intrattenere i suoi ospiti con feste sontuose e molto alcol. Ma la sua forma di divertimento preferita erano solitamente gli schiavi, che amava "far allenare per l'Arena" sul suo palco personale.

"Buonasera, padre." salutò Gavi, abbassandosi ad accarezzare Riffraff, il cane del genitore. Il cucciolo scodinzolò felice per l'attenzione ricevuta.

Blackflag alzò appena lo sguardo dagli appunti del suo consigliere per salutare il figlio. "Vinny."

"A dire il vero sono Gavi, padre, ma apprezzo lo sforzo." Il giovane si sedette alla sua sinistra. Blackflag non gli aveva mai prestato molta attenzione, i due si scontravano spesso su questioni di politica e gestione sociale. Gli altri figli raramente osavano contraddirlo, soprattutto Bram, il più grande e l'erede al trono.

L'uomo più anziano lanciò uno sguardo stanco al figlio più giovane, quello che più gli somigliava. Probabilmente l'unico che sia davvero mio. Le madri degli altri erano tutte puttane.

"Cosa ti porta qui alla mia tavola, Gavi? Non mi dirai che correre dietro al mio consigliere ti abbia improvvisamente annoiato? Sono sicuro che a uno dei tuoi fratelli tornerebbe utile una mano nel deserto."

Gavi e Blackflag si scontravano anche sulla sua resistenza al non voler essere un cercatore di provviste come i fratelli. Blackflag non capiva proprio l'utilità delle imprese politiche che il figlio aveva scelto. Non comprendeva il fascino che gli schiavi esercitavano su di lui.

"Sono certo che non dite davvero, padre, detesterei rovinare la mia pelle candida passando le mie giornate a marcire nella sabbia." disse sarcastico Gavi, non che a Blackflag importasse sul serio, non dava mai importanza alle sue opinioni.

Il padre sospirò pesantemente prima di voltarsi verso di lui. "Sei davvero il degno figlio di tua madre, nessuno su questa miserabile terra mi ha dato il dolore che voi due mi procurate."

Quest'affermazione fece sorridere e riempire d'orgoglio Gavi, che considerava un complimento essere paragonato alla sua cara madre, ed era stato un complimento, da parte di Blackflag, dirlo. Bella era morta quando Gavi aveva dieci anni, ed era stata l'unica donna che Blackflag avesse mai davvero amato. Quand'era morta, qualcosa dentro di lui si era spezzato e mai riparato. Perfino la sua relazione con il figlio che allora preferiva si era deteriorata. Adesso erano estranei.

I due rimasero in silenzio, tranquilli. Gavi era abituato al silenzio, era decisamente meglio che litigare, e in quei momenti immaginava il padre com'era stato quand'era piccolo. Niente litigi, niente delusioni.

"Li hai visti?" chiese infine Blackflag. Era da quando gli schiavi erano arrivati, mesi prima, che moriva dalla voglia di fargli quella domanda. Se c'era qualcuno in grado di riconoscerli, quello era proprio Gavi.

Il ragazzo si appoggiò allo schienale della sedia, studiando il volto del padre. In effetti, era sorpreso che lui gliel'avesse chiesto così spudoratamente. Davvero si aspettava che gli dicesse la verità?

"No, Padre. Credo che siano morti."

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