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Autore: Hikari_Sengoku    10/09/2017    1 recensioni
Ehilá, mi chiamo Hikari_Sengoku, e questa é la mia prima fanfiction su questo fandom. Ringrazio chiunque vorrá leggere e a maggior ragione dare il suo giudizio. Sono a conoscenza dell'usura del tema, ma vedere le cose da un'altra prospettiva é sempre una buona cosa, invito perciò alle critiche costruttive. Per questioni di trama, la storia si baserá unicamente sull'anime.
Cori é una ragazza italiana alle soglie della maturitá, con una famiglia particolare, un fratello scomparso che adorava ed un nonno pieno di misteri... Cosa potrá accadere quando da uno dei suoi anime preferiti pioverá letteralmente uno dei personaggi?
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Roronoa Zoro, Un po' tutti, Z
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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La Regina delle Sfighe e la Madre dei Cretini sono sorelle
 
Qualcosa sbatté ripetutamente contro la chiglia della nave. Usopp corse a vedere. “Ehi, ragazzi! È il Submerge Shark III!”
“È vuoto” constatò Robin ad una prima occhiata.
“Si, ma cosa può essere successo? È in uno stato pietoso!” chiese Sanji preoccupato. Il Submerge Shark III non mancava di ammaccature, e sembrava star lí lí per collassare. Aveva alghe appese un po’ ovunque, e tutti i vetri rotti. Sembrava reduce di uno scontro impari. Franky forzò il portello. “Qui manca l’attrezzatura!” mugugnò notando che non c’erano segni di effrazione.
“Spero che Cori stia bene…” sospirò triste e incerta Nami. Zoro la guardò storto. “È stata lei a scegliere di andare, e sapeva di andare incontro al pericolo. Tutto ciò che può essere successo, non è affar nostro, almeno per ora”. Nami fece per ribattere infuriata, sostenuta da Usopp e Chopper, ma Rufy la fermò. “Zoro ha ragione. Abbiamo fatto una promessa, e sono sicuro che la manterrà. Dobbiamo rispettarla”
“Yohohoho! È il prezzo della libertà e della volontà che si guadagnerà con le sue mani!” si introdusse Brook. “Non ci sará niente di più bello, dopo” sussurrò poi sotto voce.
 
Uno dopo essere svenuto penserebbe di svegliarsi piano, magari prendendo conoscenza lentamente. Invece Cori si svegliò di botto, senza nessun intermezzo tra sonno e veglia. All’improvviso, aprì gli occhi. Sentiva un lieve bruciore alla schiena, e la gola in fiamme. Si guardò intorno. Aveva le mani ai ceppi. La rabbia la assalì. Digrignò i denti e strinse i pugni. Una mano fresca si posò fra le sue spalle.
“Stai ferma, o non ti riesco a medicare” disse la voce materna di Sy. Cori rilasciò i pugni. Era in una gabbia, una cazzo di gabbia! Una macchia rossa si allargava sul pavimento. Sentiva la schiena nuda, e le esili mani di Sy che le fasciavano la parte bassa, dove le corna l’avevano colpita. Sentiva il freddo polveroso del tavolaccio su cui era stesa a pancia in giù sul petto e sull’addome. “Mi dispiace Cori. Se solo potessi, ti salverei, ma non posso. È così ingiusto… Tu sei innocente!” recriminò la ragazza mentre stringeva le ultime fasce. Cori si girò piano, schiarendosi la voce roca per il soffocamento nonostante il pressante dolore alla gola, e le strinse una mano. “Non ti preoccupare, non è colpa tua” le disse guardandola negli occhi, ma lei non sostenne il suo sguardo. “Se solo potessi fare qualcosa…” mugugnò triste Sy.
“Sei con me, è giá tanto. Perché sono qui?” chiese mettendosi a sedere e infilandosi uno straccetto grigio. Symon era seduta di fianco a lei, e non la guardava. “Jord crede che consegnandoti ci lasceranno liberi. La Marina ti cerca Cori!” alzò la voce alzando finalmente lo sguardo su di lei.
“Chi ve l’ha detto?” ringhiò Cori.
Sono stato io”
Disse una voce conosciuta. Una voce che portava con sé una massa di ricci rossicci e un paio di  occhi foschi, pieni di rabbia.
“Gabriele” espirò fra i denti, per poi alzarsi in piedi e guaire, quando i ceppi ai polsi e le caviglie la fermarono ad un metro dalla grata. Ringhiò.
“Aaaah, siamo aggressivi oggi, gattina.” Ghignò il mostriciattolo. “ Tu sparisci” ordinò rivolgendosi a Symon, che osservava la scena con gli occhi spalancati. “Non ti preoccupare Sy, vai. Faccio solo due chiacchiere con Mr. Simpatia qua” tentò di tranquillizzarla. Sy obbedì in silenzio, superò le grate e sparì su per le scale che erano l’unica fonte di luce.
“Perché?” borbottò brusca Cori. Gabriele si esibì in una smorfia: “E me lo chiedi pure?! Tu e quel mucchio di cenere di tuo fratello mi avete rovinato la vita! Se non foste mai nati mio padre mi avrebbe lasciato in pace. Invece mi ha cresciuto perché lo aiutassi a tornare in questa fogna, mi ha tolto mia madre e come ultima beffa è riuscito a buttarmi in questo schifo. Mentre tu te la spassavi con il tuo spadaccino” Cori la prese come un’offesa personale “io ho passato l’inferno!” le urlò in faccia. “È l’ora di vendicarsi” rise.
“Come?” ringhiò di nuovo spingendo contro le catene. Sentiva i pugni formicolare chiusi per la voglia di picchiarlo. Aveva sete di sangue.
“Io so tutto del progetto Venom. È bastata una letterina per risvegliare gli interessi!” spalancò le braccia ridendo. ”Ti prenderanno, e ti distruggeranno pezzo a pezzo” sibilò sorridendole in faccia. Cori tentava di liberarsi. Spingeva, tirava, ma era tutto inutile. “Ma non lo vedi quanto sei patetica?”
“Mai quanto te!” sibilò fissandolo con rabbia. Il volto di Gabriele si indurì. “Ci vediamo su, Cori” sputò con disprezzo, per poi tornare di sopra.
Era sola, in una gabbia sul fondo di una nave, destinata al martirio in una prigione di massima sicurezza. Poteva andare peggio di così?
 
Adesso capiva gli animali in gabbia. Era lì dentro da un paio d’ore, ma le sembravano secoli. Dopo aver fatto un centinaio di volte il giro della cella, alla fine si era seduta per terra e aveva atteso. Forse era rassegnazione. O magari non aveva compreso la situazione in cui si trovava. Sapeva solo che dentro di lei c’era un pericoloso mare in bonaccia. Tutto calmo. Con lo sguardo fisso, vedeva e non vedeva le intercapedini fra le assi della parete, i nodi del legno, i chiodi. Masticava la rabbia, questo sì. Era incazzata nera, ma era una rabbia che non arrivava fino in fondo. Era anche tremendamente triste, ma anche questa sensazione non superava un certo livello. Pensava ai suoi genitori, che non l’avrebbero più rivista, al suo Maestro, che nonostante tutto le voleva bene e che ora probabilmente la credeva morta ammazzata da qualche parte, e a tutti gli altri. Era triste. Ma non abbastanza da agitare la calma piatta dentro di lei. Jord scese le scale con quattro marine al seguito. Aveva le tasche vuote.
“È lei. Non lasciatele spazio, è abbastanza brava nel corpo a corpo, potrebbe riuscire a buttarsi” la indicò. I marine aprirono la gabbia e la costrinsero ad avvicinarsi tirando al massimo i ceppi, in modo che non potesse combattere. Prima di scioglierle i ceppi, la ammanettarono. Manette di amalgatolite, ma lei non aveva mangiato nessun frutto del diavolo. Salirono sul ponte. Cori non attese oltre, cominciò a dimenarsi come un’anguilla, tentando di colpire i marine con le manette, un blocco unico di pietra. Niente da fare, i marine erano in estrema superiorità numerica e sguainate le sciabole la costrinsero in ginocchio davanti ad un vecchio dai lunghi baffi grigi e gli occhi nascosti dalle sopracciglia cispose, ed una donna alta, arcigna. Aveva i capelli biondi tenuti su da due affilate bacchette d’argento.
“È lei?” emise gelida la donna, fissandola dall’alto del suo tacco 15 e della sua immensa mole di superbia.
“Straordinario, un esemplare femmina! Credi che ci permetterà di studiarla, o reagirà come l’altro soggetto?” chiese allegro il vecchio battendo le lunghe mani ossute, dalle vene sporgenti.
“Considerata la familiarità, non mi arrischierei nemmeno a provare a trattarla civilmente. Bestie come queste tendono a mordere la mano che li nutre” disse lugubre la ripugnante scienziata. Cori, disgustata, le sputò in faccia. Una smorfia di disgusto si dipinse sull’algido viso della donna, che si pulì con un fazzoletto che poi gettò a terra, calpestandolo mentre si girava. “Dottor Kopechy, proceda con il test, poi la porti a battesimo e infine giù al Dipartimento di Sanità della Prigione. Ordinerò che venga preparato il tavolo operatorio.” Ridacchiò la bastarda, abbandonando il compagno. Questi ridendo sinceramente divertito sotto i lunghi baffoni, si avvicinò a lei e con un movimento secco le posò sul dorso della mano un oggetto circolare. La pelle bruciò all’istante, e Cori urlò stringendo il braccio al petto. Una bruciatura tonda faceva mostra di se alla base della mano. Il vecchio ridendo sommessamente indicò la via della prigione. I marine cominciarono a pungolarla e spingerla sull’altra nave, e poi sulla piattaforma di cemento. Davanti a lei, con un lugubre clangore, si spalancavano le porte dell’Inferno. Dietro di lei, sentiva le urla di Lurichiyo allontanarsi sempre di più. Circondata da un plotone di marine, era inutile ribellarsi. Sguardo alto, testa fiera… non si sarebbe piegata, né ora, né mai.
 
“Hihihihihi, seguimi ragazzo!” ordinò ridacchiando il vecchio rivolgendosi a Gabriele, che da un angolo si godeva la scena.
“Cosa? E perché?” chiese infastidito.
“Ma è ovvio! Nel caso qualcosa andasse storto, la tua presenza sará una garanzia più che sufficiente per le tue parole menzognere! Non ti preoccupare, ti metteremo negli alloggi degli ufficiali. Certo, dovrai condividere la stanza, ma sará sicuramente un soggiorno migliore del suo, hihihihihi” ridacchiò lo scienziato indicando Cori che, a testa alta, oltrepassava le fatali porte.
“E se non obbedissi?” ringhiò il ragazzo.
“Allora dovresti seguirmi con la forza, hihihihihihi!” Quella risata cominciava a dargli sui nervi, pensò mentre i marine gli facevano formazione intorno.
“D'accordo idioti. Eccomi” si arrese mentre veniva portato via.
 
Il silenzio era rotto solo dalle grida disperate dei prigionieri. Alla fine, l’impianto strutturale della prigione non era male, anzi, assomigliava al castello di Spoleto (anche se quello non era nemmeno lontanamente così vasto e pericoloso), e a lei era sempre piaciuto. I marine spinsero Cori fin nella Sala delle Perquisizioni, poi non trovando niente, scesero col montacarichi fin giù al quarto livello, dove ad attenderla c’era un calderone pieno di acqua bollente. Ti prego solo pochi secondi, ti prego solo pochi secondi. I marines la insalamarono per bene e la appesero sopra al calderone. Giá solo a quella distanza scottava. Cori strinse gli occhi, serrò la bocca, e sperò soltanto che finisse in fretta. I pensieri si annullarono per quel
Misero
Infinito
Istante
In cui si trovò sott’acqua. Era completamente ustionata dove non c’erano le corde, scottava da morire. La sciolsero e la buttarono a terra come un fantoccio, per poi rialzarla prendendola da sotto le ascelle, ma Cori, orgogliosa, si divincolò, mentre miracolosamente sentiva che la lana e lo scarpone avevano salvato i suoi piedi. Dopo un paio di barcollanti passi, i marine la ripresero di nuovo. Camminare era faticoso, tutto il corpo pulsava e bruciava da impazzire. Tutto il suo corpo fumava. Ogni passo era dolore. Scesero ancora col montacarichi, e poi attraversarono tutto il sesto livello, senza pause, senza tregua. Sentiva gli occhi di quei potenti detenuti addosso, i loro sguardi pieni di pietá, o solo di rancore, nel vederla procedere con la testa china e i capelli gocciolanti, la bocca contratta in una smorfia. Ma non poteva cadere, avrebbe fatto più male. Alla fine vide un cartello: Dipartimento di Sanità. Oltre, le celle erano completamente piastrellate di bianco, ma non diversamente pulite. Solo più vuote. In fondo al corridoio, le porte aperte di una sala operatoria, forse mai utilizzata per scopi medici.  I marines ce la buttarono sopra in malo modo, e poi la bloccarono perché non potesse scappare. Delle manette le ancorarono mani e piedi alla tavola. Inutili, fievoli proteste del suo corpo, delle proteste che sembravano più gemiti che urla, mentre sbatteva invano i polsi e le caviglie doloranti contro il freddo acciaio. La scienziata si infilò il guanto di lattice con uno schiocco gommoso.
“Siamo pronti?” emise gelida ai marine, che risposero con un secco “Sissignora!”. Poi scese con le labbra sottili a livello dell’orecchio di Cori: “Se fino adesso hai creduto di provare dolore, era soltanto un’anticamera di questo. Considerala come una piccola vendetta personale.” Ghignò. Sentì i sottili capelli biondo grano solleticarle la guancia. Girò la testa e con i denti li tirò.
“Ah! Ma avrai ancora poco da ribellarti!”  disse la donna strappando la ciocca dai denti di Cori. “Dottor Kopechy, porti il macchinario!” urlò. Con pochi colpi di rasoio tagliò i capelli di Cori dal lato sinistro, mentre un marine le bloccava la testa. Poi, con il bisturi fece sei piccoli taglietti lungo la curva dietro l’orecchio, da sopra fin dietro. Un fiume di sangue si versò sul tavolo, impregnando gli abiti e bagnando il pavimento. Ma la donna li ignorò, continuando a scavare dentro i tagli, procurando continue, dolorose fitte. Cori non voleva darle la gratificazione di sentirla urlare, e si morse la lingua fino a farsene uscire il sangue. Poi finalmente il bisturi si staccò, provocando un’ondata di sollievo. “Il vero dolore arriva adesso” sussurrò la dottoressa, infilandole senza avvertire uno spinotto (o così sembrava) nei tagli. Il dolore era
Insostenibile.
Qualcosa le stava tagliando il cervello, bruciando i nervi.
Urlò, e così ancora ogni singola volta, tanto che l’intero livello giurò di aver sentito le urla di un demone incatenato nelle profondità della prigione, bramoso del loro sangue. Non riusciva a respirare dal dolore! Ad un certo punto, il mondo era dolore. Sentiva di viaggiare avanti ed indietro tra sonno e veglia, e ogni volta che si svegliava era più terribile della precedente. Urlò e urlò, finché non venne assordata dalle sue stese urla. Non sentiva nient’altro che le spine che le tagliavano i nervi, uno ad uno, pezzo a pezzo finché non le parve di sparire dietro quell’immane massa di dolore. Cori non esisteva più, schiacciata da quella massa. Era solo
Pulsante
Orribile
Tremendo
Dolore.
La portarono via che era a malapena cosciente per provare sollievo. Le ammanettarono le mani ‘ad angelo’, e poi i piedi. Accanto a lei, solo il borbottante rumore del macchinario che le succhiava via le forze come una tenia.  Poi svenne.
 
 
In quel posto mancava completamente la concezione del tempo. Non si capiva nemmeno se era giorno o notte. Era solo un’eterna notte buia. Quindi non mentiva quando diceva che si era svegliata di notte. La prima cosa che aveva sentito era una dolorosa fitta quando aveva alzato la testa, che partiva dalla curva dell’orecchio. Le ustioni non facevano più troppo male, erano solo gonfie e rossastre. Poi aveva provato a sgranchirsi, ma ogni movimento era lento e terribilmente stancante. Anche solo sgranchire le spalle le distruggeva la testa e la lasciava sfinita. Con questo andazzo, avrebbe di nuovo finito per lussarsi le spalle. Il ticchettio dei tacchi della dottoressa risuonò lungo il corridoio, seguito dai passi soffocati del vecchio. La cella si aprì con un clangore metallico. Nel totale silenzio, i due scienziati armeggiarono col macchinario, poi con lo stesso oggetto circolare con cui era stata ustionata il giorno prima, le procurarono un’altra ustione poco più sopra. Sentì il sangue ribollire nelle vene e scaldarsi. Dalla bocca fuoriuscì uno sbocco di fumo, ma si trattenne stringendo i denti. Non avrebbe rivelato il suo potere. Impassibile, la dottoressa sfoderò una frusta e la colpì due volte sul petto. Cori gemette. Il sangue impiastrò subito le vesti logore e lerce.
A quel punto, la donna si avvicinò: “Il dottor Kopechy verrà ogni giorno per testare la tua reazione. Spero che sarai gentile con lui, in fondo è stato il capo laboratorio di tuo nonno. Se opporrai resistenza, lui mi chiamerà ed io aumenterò le torture. Pensa bene a ciò che vuoi fare, Esperimento 01.” Ghignò allontanandosi. Cori cominciò a guardarsi intorno. Attaccati agli spinotti nella sua testa c’erano lunghi tubicini rosati, che finivano in un macchinario alto un metro, lampeggiante e borbottante come le migliori macchine. Ogni movimento era una dolorosissima fitta alla testa, che spesso le faceva perdere l’orientamento. Una delle frustate aveva colpito dritto sulle costole mobili di destra, l’altra poco piú in basso a sinistra. Il sangue scorreva copioso ed aveva già imbrattato le bende sull’addome. Ogni respiro era doloroso come se avesse ingoiato spilli e questi stessero uscendo dalla ferita, che di per se sentiva poco. Stava perdendo le forze ogni secondo di piú. Fra pochi giorni, andando avanti con quell’andazzo, non sarebbe più riuscita nemmeno ad alzare la testa. Una volta che il ticchettio dei tacchi di quella disgraziata maledetta si fu disperso, una voce attraversò l’aria polverosa tra la sua cella e quella di fronte, una voce sibilante, giovane, ma non acuta.
“Ehi, stai bene?”
Cori a mala pena sollevò lo sguardo, stirando le labbra in un mezzo ghigno che scopriva i denti. Attaccato alle sbarre della cella di fronte alla sua, sulle prime intravide solo una sagoma fumosa, che poi prese via via corpo. Era un ragazzo, forse della sua stessa età. Era a torso nudo, e dalla vita in giù il suo corpo era sostituito da una lunga coda serpentina dai riflessi di malachite. Anche lungo il corpo asciutto vi erano rade strisce squamate. Attorno al collo aveva un grosso collare fluorescente, con un lucchetto. Il volto, invece, era prevalentemente intatto: Bei tratti affilati, una sottile bocca disegnata, quasi femminea, ed una folta coda alta di capelli corvini. Ma la cosa che più la attirò furono gli occhi: Due pietre smeraldine prive di sclera, solcate dalla pupilla rettilea.
“Sei il fratellastro di Lerik, non è vero?” gli chiese con la voce roca e graffiante per il troppo uso.
“Fratello, se permetti. Non credo che dopo tutto quello che ha fatto per me non si consideri ancora mio fratello. Ma se lo conosci, credo che tu giá lo sappia” le rispose dolcemente, avvicinandosi ancora di piú alle sbarre.
“In realtà lo conosco poco. Ho salvato Lurichiyo naufraga qualche giorno fa e l’ho riportata a casa, tutto qua.” Rispose lenta scrutando una macchia scura che il ragazzo aveva a livello del cuore, a sinistra. Assomigliava ad un Jolly Roger che aveva giá visto, ma non ricordava bene quale…
“Come sta ora?” chiese sollecito lo zio.
“Bene” rispose sintetica, concentrandosi sul misterioso simbolo, simile ad uno smile.
“Scusami, non mi sono presentato. Mi chiamo Bashe” si presentò con un inchino.
“Cori, piacere” Entrambi scoppiarono in una risatina secca e scoppiettante, che terminò per Cori con una dolorosa fitta ed uno sbocco di sangue. Aveva finalmente riconosciuto la macchia: Era il Jolly Roger di Trafalgar Law.
“Tu come mai sei qui?” chiese Cori curiosa, graffiando ancora la gola, strofinando piano i polsi ustionati nelle manette.
“Faccio parte dei pirati Heart, e sono quello che sono. Il primo mi è valso la cattura, il secondo la stanza VIP.” Ridacchiò roteando gli occhi. “Tu invece?”
“Sono capace di teletrasportarmi e di fare qualche altro scherzetto, tipo isolare ciò che tocco dal mondo esterno” ribatté roteando gli occhi a sua volta. Gli spettacolari occhi di Bashe si illuminarono immediatamente.
“Davvero? Sembra fichissimo” sembrava solo un ragazzino eccitato, più che un membro della ciurma di una delle più note Supernove, in quel momento.
“Si, soprattutto quando non sai come cacchio usarlo e finisci per marcire sul fondo di una prigione con due simpatici sadici sega-ossa per compagnia.” Ridacchiò, tossicchiando sangue in giro. Dire una frase così lunga tutta d’un fiato era stata un’impresa.
“Ti stai dimenticando di me. Io compenso tutte le fatiche e il dolore” cercò di consolarla sorridendo.
“Hai ragione, scusa” balbettò tossendo. Parlare stava veramente diventando troppo difficile. Le piaghe cominciavano a bruciare, e anche la testa non voleva smettere di pulsare e trasmettere fitte estremamente dolorose, da perdere l’orientamento. In più, la pelle intorno alle ferite sulla sua schiena tirava incredibilmente, aggiungendo altra pena.
“Secondo te, cosa mi faranno domani?” sospirò penosamente. Bashe continuava ad ondeggiare dietro le sbarre, fissandola preoccupato, cercando di mantenere un contatto visivo.
“Non lo so, giriamo la ruota della fortuna?” rispose ancora più incerto. Cori si sentiva la testa estremamente pesante, ma non doveva dormire…
“Ti prego, se vuoi, continua a parlare” lo pregò alzando penosamente lo sguardo su di lui. Bashe sembrava spaventato. All’improvviso, una nebbiolina nera invase il suo campo visivo.
“Ce-certo. Però devi ascoltarmi, che poi dopo ti interrogo”
 
La prima serata passò così, con Cori distrutta che ascoltava le chiacchiere allegre di Bashe. Quello che Cori non sapeva, e che aveva spaventato il ragazzo, era che la sua pelle stava fumando, ed era lucida di sudore, finché ad un certo punto l’atmosfera si era raffreddata e la ragazza era caduta in un sonno profondo. La giovane mezza-serpe aveva provato subito simpatia per la poverina della cella di fronte, che sembrava stare lì per puro caso, ed avendo da sempre un carattere solare e aperto, aveva subito provato ad intavolare una conversazione. Per la prima decina di frasi era andata bene, poi Cori aveva cominciato a stare un po’ male e lui aveva assolto felice al compito assegnatogli: Non era uno di quelli a cui si secca la lingua facilmente, e voleva sinceramente aiutarla. Così aveva cominciato parlando di quello che era successo al villaggio sei anni prima, quando quel losco figuro li aveva trasformati in mezze bestie, e lui aveva solo dodici anni e aveva perso il padre e la madre, che condivideva con Lerik, e il fratellastro l’aveva ‘adottato’. Diceva che all’inizio Lerik non lo poteva vedere ma che grazie all’aiuto di quella santa donna di sua moglie alla fine i suoi sforzi per avvicinarlo avevano dato frutto. Fin da piccolo era sempre stato l’anima della festa, e quando era nata Lurichiyo era stato eletto come babysitter ufficiale dalla piccola, che lo adorava. In paese, non molti lo vedevano di buon occhio per via dell’aspetto ingannatore: Una favola metropolitana che aveva preso piede nel villaggio sosteneva che la trasformazione avesse tirato fuori il vero io delle persone, ma allora c’era da chiedersi perché Gretel non si fosse trasformata in una vipera, invece che in una mezza-giumenta (anche se la trasformazione non era stata clemente con lei). Ma quelli erano pfui! Dettagli. Sei mesi prima, la ciurma di Traffy aveva subito un dirottamento per seguire uno dei cuori di cui il Capitano sembrava avere bisogno, ed erano curiosamente sbarcati sulla loro isola in cerca di rifornimenti. Un’occasione d’oro per lui che voleva fare il pirata da sempre! Così zitto zitto, forse grazie alle sue doti fisiche particolari, era riuscito a farsi accettare ed era fuggito, cosa di cui adesso si rammaricava un tantino, perché ripensandoci ora capisce Lerik e avrebbe voluto dargli più fiducia. Era stato affibbiato alle macchine perché aveva un discreto livello da carpentiere. Giusto tre giorni prima, all’arrivo su Sabaody, era stato prima scambiato per un FUG, uno schiavo fuggitivo, poi era stato riconosciuto, e da allora le cose erano andate a scatafascio. Fino al giorno prima, era lui la cavia preferita di quella bionda infame. Dopo poco quest'ultima affermazione, Cori si era addormentata, perdendosi un’interessante disquisizione sulla crudeltà di quell’essere inumano. Bashe se ne accorse, e sorridendo sussurrò per lei ‘una notte serena ed un riposo tranquillo”.
 
Era di nuovo appesa a quelle maledette manette, ma la stanza sembrava essersi dissolta in un nero uniforme. Davanti a lei c’era un ragazzo, i cui lineamenti erano un curioso miscuglio. Sembrava che le sue sembianze si modificassero continuamente, come un corso d'acqua, ma che la sua essenza rimanesse sempre la stessa. Ogni tanto appariva una zazzera verde, un’altra volta bizzarri occhi smeraldini, ancora poi un paio di piccoli occhi castani e capelli riccissimi. Rimaneva in silenzio di fronte a lei, nel buio più totale. Le sue labbra non si muovevano, ma diverse voci, disperatamente non in sincrono, attraversavano l’aria:
Lasciati andaaaare” sussurravano le voci sibilanti. “Sai di poterlo fare” sembravano quasi dolci.
“No” rispose decisa.
Peeerchéééééé?” piansero. “Ti farà maaleeeee!” gridarono acute da spezzare i timpani. La creatura di fronte a lei si mosse, portandosi a quattro zampe, avvicinandosi a lei, spalancò una bocca grottesca, larga quanto il suo viso, come se fosse stata tagliata, scoppiando in un urlo, o forse uno stridio, che la mandò nel panico, era quanto di piú orribile potesse immaginare. Irti denti aguzzi facevano da contorno ad un maleodorante buco nero. Improvvisamente, diventò grande il doppio, il triplo di lei e oscurò ogni visuale. Ne percepiva l’alito pestilenziale, ne vedeva la bava violacea, quasi sanguigna, gocciare sul pavimento incandescente e sfrigolare. Nonostante tutto, le sue sembianze continuavano a confondersi, creando un caos psichedelico che cominciò ad avvolgerla nel suo vortice pauroso di immagini e colori e forme completamente privo di senso.
Fallooooooooo! Fallooooooo! FALLOOOOOOOOOO!” urlavano le voci sempre piú acute, finché tutto non venne avvolto dalle fiamme e dopo interminabili istanti, venne inghiottito.
 
Doveva proprio smetterla di mangiare pesante la sera.
 
 
 
 
Ehilà, bella gente! Questo, vi avverto, è solo l’inizio di un paio di capitoli che scadranno veramente nell’horror! Le cose peggioreranno, anche gli incubi. Che ne pensate del mio piccolo Bashe? A parte questo, spero che anche questa parentesi della mia storia possa piacervi nonostante i toni splatter, non durerà in eterno. Grazie a chi recensisce, fa davvero un lavoro gradito! A presto,
Hikari_Sengoku


http://www.grandeblu.it/index.php?url=saccheggio&id=53936
   
 
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