Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Rivaille_02    14/09/2017    2 recensioni
«Sono Levi Ackerman, il vostro professore di educazione fisica. Vi anticipo che, alla fine di tutte le lezioni, dovrete pulire la palestra. Anche se non ci sarò le ultime ore, dovete pulirla. Ci siamo capiti, mocciosi?» spiegò severo. Il professor Levi era un maniaco della pulizia. Non c’è stata classe che non abbia pulito la palestra quando c’era lui.
«Sì prof!» risposero i ragazzi intimoriti dall’insegnante. Solo Eren sembrava non averne paura. Al contrario, quando i loro sguardi si incrociarono, arrossì.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger, Levi Ackerman, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo
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«Voglio sapere il tuo passato».
Quelle parole fecero sussultare Levi. La sua espressione era un misto fra lo stupito e lo scioccato. Eren poteva leggere la paura nei suoi occhi. Si chiese se sia stata la scelta giusta domandarglielo. Gli accarezzò la guancia.
«Levi?» lo chiamò preoccupato. L’uomo batté le palpebre come se si fosse incantato.
«Perché tutto ad un tratto... tu...?» sembrava come se qualcosa lo bloccasse.
«Se non vuoi tranquillo, non ti obbligo!» ridacchiò il ragazzo mentre l’uomo tornò serio. Pensò a qualcosa per cambiare aria. «Mi sono appena trasferito e non mi sono portato nemmeno un bagaglio! Di certo non sto a tornare a casa... posso mettermi i tuoi vestiti Levi?» gli chiese alzandosi. Il compagno fece lo stesso.
«Non ho vestiti da ragazzo» affermò avvicinandosi alla macchinetta per il caffè. Eren si stiracchiò.
«E i tuoi di sicuro mi staranno piccoli!» esclamò dirigendosi in camera a passo svelto: sapeva che dopo questa battutina Levi gli si sarebbe fiondato addosso irritato. E infatti fu così. In men che non si dica, il castano si ritrovò a terra con l’uomo sopra di lui e i loro visi vicini.
«Prova ripeterlo, moccioso» lo sfidò.
«Sennò che mi fai, Levi?» gli chiese con fare malizioso.
«Lo sai». Era vero: il ragazzo sapeva proprio cosa gli avrebbe fatto.
«Perché allora non me lo fai ora?». Levi non riusciva a resistere alle sue provocazioni. Avvicinò il suo viso al collo di Eren e, appena ci appoggiò le labbra, sentirono un telefono squillare. Avevano la stessa suoneria, quindi non capirono di chi fosse. «Prima fammelo e poi vediamo di chi è dai... sempre sul più bello devono interromperci» si lamentò chiudendo gli occhi aspettando che l’uomo procedesse. Una volta fatto un succhiotto, Levi si alzò per controllare di chi fosse il telefono: era quello di Eren.
«Eren, è tua sorella» lo avvisò. Il ragazzo si alzò di scatto e rispose. Lei voleva sapere dove fosse, con chi e quando sarebbe tornato a casa. Era tranquillo siccome Marco gli aveva detto che gli avrebbe retto il gioco.
«Sono da...» nemmeno il tempo di finire la frase che subito lo interruppe.
«Levi. Sei da lui» terminò lei con tono freddo.
«Cosa? Non è vero!» ridacchiò spensieratamente. Non doveva farla insospettire.
«Marco e Jean sono qui con me e non ti ho visto al club di calcio». Eren sapeva che sua sorella lo controllava come se fosse la sua stalker, ma non avrebbe mai immaginato che sarebbe arrivata fino a quel punto. «Non pensavo che saresti arrivato a scappare di casa... a parte che non sai niente di lui, ma poi è un adulto. Quindi ora torna immediatamente qui» gli ordinò Mikasa parecchio irritata. Si poteva sentire anche un po’ di preoccupazione dal suo tono di voce. Eren guardò Levi come per chiedergli aiuto.
«Ti accompagno a casa» gli disse alzandosi. Nel frattempo la sorella riattaccò e il ragazzo mise il telefono in tasca.
«Ma Levi...».
«Niente “ma” Eren. Il tuo piano è fallito, quindi devo parlare con i tuoi» spiegò mentre prendeva le chiavi.
«Ti ho detto cosa...» non riuscì a finire che l’uomo lo prese per mano avviandosi verso la porta.
«Senti moccioso, te l’ho già detto. Queste cose devi lasciarle ai grandi, tu cosa devi fare invece?» lo guardò prima di aprire la porta.
«Devo concentrarmi solo su di te...» rispose abbassando la testa preoccupato. Dopo di chè uscirono e presero la macchina per andare a casa del ragazzo. Nessuno fiatò. Eren ripensò alle parole di Mikasa: “Non sai niente di lui”. Era vero, non sapeva niente, ma lo amava. Lo amava al punto di scappare di casa e di mettersi contro il mondo pur di stare con lui. Però era davvero curioso di conoscerlo affondo. Con la testa abbassata e gli occhi socchiusi, il ragazzo notò una cosa di cui non si era mai accorto quando era in macchina con Levi: c’erano dei graffi sullo sportello. Spostò lo sguardo verso la parte del guidatore. C’erano anche lì. Non sembravano essere stati fatti da un animale.
“Forse un coltello? Dovrei preoccuparmi? No, non devo preoccuparmi. Sono con Levi, va tutto bene...” pensò accennando un sorriso. Guardò l’uomo. Erano fermi a un semaforo e sembrava essere irritato. Picchiettava l’indice sul manubrio aspettando di ripartire. “Dovrei chiedergli che sono quei graffi?” si chiese Eren ignaro di aver girato, oltre allo sguardo, l’intera testa verso di lui.
«Che c’è Eren?» gli domandò. Il ragazzo scese dalle nuvole tornando a guardare davanti a sé.
«Niente Levi...» prese il telefono per controllare l’ora: le tre e mezza. «È solo che ti vedevo un po’... come dire... irritato?».
«Non è niente. È che ogni volta che vado di fretta becco sempre questo dannato rosso e una fila lunghissima...» rispose sbuffando.
«Anche ora vai di fretta?» gli chiese buttandosi con la schiena sullo schienale.
«Se torni tardi saranno guai per entrambi, okay?».
«“Per entrambi”? In che senso?» Eren era confuso. “Per caso c’entrano quei graffi?” si chiese. Levi esitò prima di rispondere.
«I tuoi lo diranno ad Erwin e sarò licenziato al novantanove percento» spiegò nervoso. Il ragazzo non replicò. Rimasero in silenzio per tutto il resto del viaggio e al castano non piaceva affatto. Parlavano sempre, anche di cose stupide. Era la prima volta che nessuno dei due apriva bocca.
Una volta arrivati a destinazione, trovarono i genitori del castano alla porta. Quando scese dalla macchina e camminò nella loro direzione, la madre gli corse incontro stringendolo a sé. Eren non ricambiò per niente. Guardò suo padre: non l’aveva mai visto così serio. Iniziò a preoccuparsi quando si diresse verso di lui.
«Papà...» lo chiamò a bassa voce. L’uomo lo superò guardando fisso in avanti. Il ragazzo allora si girò: stava andando da Levi. Aveva paura. Aveva paura di cosa gli avrebbe detto. Aveva paura di cosa sarebbe successo. Aveva paura di perderlo. Il cuore gli batteva all’impazzata. Si sentiva mancare il respiro.
«Non osare più avvicinarti a mio figlio». Quelle parole furono un colpo al cuore per Eren. Levi, che era sceso anche lui dalla macchina, si mise le mani in tasca.
«Altrimenti?» lo guardò con aria di sfida.
«Mikasa vi controllerà, e tu sai bene cosa potrebbe succedere se lo dirà al preside. Dico bene, Ackerman?» pronunciò il suo cognome con disprezzo. L’altro sembrava essere messo all’angolo.
«Tsk» fu tutto quello che disse prima di guardare Eren e andarsene. Il padre invitò Eren ad entrare. Il ragazzo esitò per qualche secondo, poi si convinse ad obbedire. Lo accompagnò in cucina, dove si sedettero l’uno difronte all’altro. Si fissarono per un po’. L’uomo iniziò a parlare.
«Eren, sai chi è quell’uomo?» gli chiese.
«È il mio professore di ginnastica e il mio fidanzato... certo che lo so!» esclamò.
«Capisco... quindi non sai niente di lui» dedusse sistemandosi gli occhiali.
«Cosa dovrei sapere scusa?». Il padre gli passò il suo computer. Eren guardo prima lui poi il portatile, poi diede un’occhiata a quel che gli voleva mostrare. C’erano quattro schede aperte. Parlavano tutte di Levi. «Cosa significa?».
«Leggi». Obbedì. Erano tutti articoli di giornale.
“È famoso...” pensò a primo impatto. Lesse poi il titolo della prima scheda: “Prime informazioni sulla banda che sta scatenando il caos a Rose”. Il ragazzo sussultò. “Rose è la regione in cui è nato Levi... ma no, non può essere quel tipo di persona...” cercò di tranquillizzarsi. Continuò a leggere. Più giù c’erano i nomi dei tre componenti che sembravano essere quelli che comandavano: Furlan Church, Isabel Magnolia e Levi Ackerman. I primi due era sicuro di averli già sentiti, ma appena lesse l’ultimo nome pensò che fosse un falso.
«Questo è di sicuro un falso... Levi non farebbe mai una cosa del genere!» esclamò frustrato.
«Guarda gli altri articoli, figliolo». Ancora una volta obbedì. In quello seguente c’erano delle immagini sfocate dove non si riusciva a distinguere bene le persone che cercavano di ritrarre. Nel terzo solo parole e nel quarto altre immagini. Erano limpide e si poteva benissimo distinguere i ragazzi. Eren si ricordò solo allora dove aveva già visto e sentito quei due: erano i migliori amici di Levi che avevano incontrato il mese prima. Appena vide l’ultima immagine, gli caddero le braccia. Non poteva crederci. La foto ritraeva Levi con un coltello in mano mentre con l’altra era impegnato a pulirsi la guancia sporca di sangue. Lo sguardo fulminante che guardava verso un sacco di fianco a lui, nel quale probabilmente c’erano dei soldi. Eren spalancò gli occhi, la bocca aperta per lo shock. Spostò gli occhi verso il padre.
«Anche questo... è un falso... non è vero? Dimmi che non è vero... papà...» l’uomo chiuse il computer e se lo mise davanti.
«Sono articoli di dieci anni fa, Eren. Posso assicurarti che anche in televisione non facevano altro che parlarne. Tua madre può confermare, giusto cara?» chiese conferma alla moglie appoggiata al cornicione della porta. La donna annuì con lo sguardo basso. Il ragazzo non poteva crederci. «Mi ricordavo di aver già visto quel volto... è per questo che l’abbiamo fatto». Non rispose. «Figliolo, lo stiamo facendo per proteggerti... cerca di capire per favore».
«Io... non ci crederò se Levi non mi dirà niente!» esclamò irritato, quasi piangendo. I genitori provarono a parlargli, ma lui scappò in camera. Prese il telefono e, una volta assicurato che i due erano rimasti in cucina, chiamò Levi. Non rispose subito ed Eren iniziò a preoccuparsi. Sussurrò il suo nome mentre le lacrime rigavano il suo viso. Lui? Un ladro? E aveva un coltello in mano... quindi era anche un assassino? Forse si spiegavano anche quei graffi nella sua auto. I suoi pensieri furono interrotti dalla dolce e calda voce dell’uomo.
«Eren? È successo qualcosa? Aspetta... stai piangendo?» si preoccupò.
«Levi... è tutto vero?».
«Cosa Eren? Che ti hanno detto?» domandò ansioso.
«Quello che dicono di te su internet... i giornali, la televisione... tutto quel che riguarda dieci anni fa... Levi, è tutto vero?». Levi sussultò. Eren gli parlò allora degli articoli che gli aveva fatto leggere il padre.
«Eren... c’è un motivo per cui l’ho fatto» rispose. Ormai sapeva tutto, che senso aveva mentire?
«Ora però non sei così, vero? Quando non ci vediamo non fai quelle cose, vero? Quel che ti ho detto non riguarda anche il presente, vero?» le lacrime aumentavano.
«Domani ti spiego tutto... prima degli-».
«Mio padre stavolta non sarà così buono! Levi... non voglio rischiare...» si sdraiò sul letto cercando di asciugarsi le lacrime.
«Se non rischi non saprai mai cosa succederà». Proprio in quel momento entrò la madre, preoccupata per aver sentito il figlio piangere. «Ne riparliamo quando ti sarai calmato, okay?».
«Aspetta Levi... devi rispondermi... per favore...» lo implorò in mezzo ai singhiozzi mentre la donna si metteva a sedere accanto a lui.
«È lungo da spiegare al telefono... senti Eren, ho bisogno di riattaccare. Ci vediamo domani a scuola, okay?» gli disse in fretta.
«Levi...».
«Ti amo» finì per poi riattaccare. A quel punto, la madre prese il telefono di Eren e lo mise sul comodino. Si portò il figlio al petto e gli accarezzò dolcemente i capelli. Il ragazzo strinse la maglia della donna.
«Mamma... perché non volete? Ora... ora non è così, ve lo assicuro...» cercò di convincerla. Quando era con lui non si comportava in quel modo.
«Tuo padre ti ha fatto leggere solo gli articoli di dieci anni fa, vero? Ti ho preso il giornale del mese scorso» gli disse indicandogli il comodino. Eren si staccò e prese il quotidiano. In prima pagina c’era un accenno della battaglia fra bande con una foto in cui poteva distinguere Annie e Ymir. Solo in quel momento capì il perché non erano andate a scuola per alcuni giorni. L’articolo intero si poteva leggere nelle pagine seguenti.
«Non dicono niente di Levi... perché me lo hai dato?» chiese Eren guardando confuso la madre, che girò la pagina facendogli notare un’immagine in cui era presente l’uomo con i suoi due amici armati di coltello. «Era solo sceso a vedere cosa stesse succedendo... non ha niente a che fare con tutto questo».
«Eren, perché non vuoi capire? Perché non vuoi capire la mia preoccupazione? Se parlano ancora di lui in questo modo vuol dire che ha ancora a che fare con queste cose...» spiegò la donna abbracciandolo. «E ti conviene ascoltare tuo padre. Sai cosa può fare, vero?». Eren a quel punto si arrese e decise di obbedire. Pensava di essere forte, pensava di far quel che voleva senza che nessuno lo ostacolasse, pensava di poter vivere come voleva. Si accorse solo ascoltando quelle parole che non era vero, che con i suoi non aveva libertà, che non era forte. Aveva solo quindici anni. Forse era per quello? Forse era per quello che non poteva stare con Levi che era più grande di lui? Ma lo amava. Ed era anche debole. Avrebbe dovuto aspettare i vent’anni, quando sarebbe diventato maggiorenne, per vivere con lui. Avrebbe dovuto aspettare altri cinque lunghi anni e lui non voleva. Voleva stare con lui subito. Aveva bisogno di escogitare un piano, e quella volta ci sarebbe riuscito. 
   
 
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