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Autore: Alison92    20/09/2017    0 recensioni
Susan Winter, ventitreenne dal travagliato passato e da un presente senza attrattive, viene lasciata in tronco dal suo fidanzato Henry. Senza più un lavoro, rimasta sola nella sua grande città e priva di uno scopo per il quale andare avanti, Susan comprende che per lei è arrivato il tempo di ricominciare.
Non crede più nell'amore, non confida che qualcuno possa cambiare la sua situazione, ripartire da sé stessa è l'unico modo che ha per riprendere in mano la sua vita che l'ha trascinata lontano da qualsiasi gioia.
In biblioteca: è qui che Susan intravede la sua opportunità, fra gli scaffali polverosi e nei volumi che fin da piccola aveva adorato.
Fra lettere mai inviate, opportunità sfumate e vecchi sentimenti che non hanno mai abbandonato il suo cuore, Susan incontra le uniche due ancore di salvezza che possono condurla alla felicità: l'amore e la speranza.
"Lettere a uno sconosciuto", quella che reputa una curiosa trovata della biblioteca cittadina per attirare nuovi visitatori, le concede l'opportunità di cambiare vita, di far pace con se stessa e di scoprire che l'amore non è solo una fievole fiamma destinata a spegnersi.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Secondo Ashley, Susan aveva ottime possibilità, solo molto terrore. Susan ne dubitava, ma qualche ora dopo, anche la lettera dello sconosciuto le dava gli stessi consigli della sua amica.
12 Novembre
Mia cara sconosciuta,
ho il permesso di chiamarti mia cara, no? Tornando a noi, comprendo che tu temi di restare affranta ancora una volta, ma la persona che ami non ti ha abbandonata, quindi perché temere? Non è stato lui e tu non devi lasciarti condizionare dal passato. Il mio modesto consiglio è: buttati, potrai anche uscirne fuori con il cuore frantumato, ma in futuro non rimpiangerai di essere rimasta in silenzio ad attendere, troppo spaventata. Ho vissuto una condizione simile alla tua e, se da una parte comprendo che ho sbagliato a tacere, dall’altra forse è stato meglio in questo modo, perché mi ha dato l’opportunità di riflettere e maturare. Tu invece, lascia che sia il tuo cuore a decidere, permetti che la ragione e la paura facciano un passo indietro e vivi.
Mia cara, non ho consiglio migliore da darti,
il tuo sconosciuto.
Il cuore di Susan sussultò quando lo sconosciuto l’aveva definita “mia cara” e si era proclamato il “suo” sconosciuto. Se solo avesse potuto incontrarlo, come aveva fatto con Ashley. No, Susan stava fantasticando troppo. Era quello lo scopo della pensata dei bibliotecari, permettere di liberare i propri pensieri e i sentimenti senza nessuno che attende di giudicarti. Lei poteva anche avere il coraggio di conoscere chi si celava dietro quelle lettere, ma lo sconosciuto poteva non essere d’accordo. Susan scrisse una lettera per ringraziarlo delle sue parole e per chiedergli di sua sorella e di come si stava evolvendo il loro rapporto. Quel giorno Rachel e Thomas avevano deciso di aprire il ristorante solo per l’ora di pranzo, avevano un evento di famiglia che li attendeva la sera e avrebbero preso un giorno di sosta dal servizio serale.  
-Abbiamo deciso di ampliare i nostri orizzonti e prenderemo anche un altro cameriere, abbiamo intenzione di restare aperti più a lungo e da tempo tu sei stanca di ore troppo faticose di lavoro.
Le aveva detto il signor Waterson, mentre passava le dita sulla barba grigia. Le aveva inoltre dato una discreta somma che coincideva con la sua paga mensile e Susan uscì dal locale, al termine del servizio pomeridiano, con il sorriso stampato sul volto. L’indomani avrebbe dovuto comprare ciò che le occorreva per i pasti, pagare alcune bollette e cambiare una lampadina che si era fulminata nel bagno, ma la cifra era sufficiente e le sarebbe rimasta certamente una parte, che avrebbe risparmiato in caso qualcosa le avesse impedito di lavorare. La piega presa dalla sua vita le piaceva, aveva Ashley e Felix, un lavoro e stava riacquistando il sorriso sul suo volto. Il prossimo passo era recarsi in biblioteca, consegnare la lettera e godersi la giornata libera. La sua cassetta non era vuota quella volta, erano stati lascianti almeno tre diversi bigliettini. Dando un’occhiata discreta alle altre cassette fragili, si rese conto di non essere stata l’unica a ricevere più posta del solito. Che la tanto odiata pubblicità l’avesse raggiunta anche lì? Il primo bigliettino era un disegno, un tenero coniglietto disegnato da una mano precisa e sicura le sorrideva, alzando la piccola zampa come per rivolgerle un saluto. Susan sorrise e conservò con cura il disegno, poi si concentrò sulle altre due lettere che aveva ricevuto. Un foglio conteneva alcuni versi su cui Susan si soffermò.
Ieri ti ho riposto il mio cuore,
oggi soffro per tua sola causa,
domani non saprai più
il mio nome.
Fra cent’anni ti verrò a cercare,
fra secoli ti ritroverò,
mio amore,
ti rincontrerò fra mille anni.   
Quelle parole scavarono un solco fra i sentimenti di Susan. Mille anni, era questo il tempo che sarebbe trascorso finché non avrebbe potuto rivedere i suoi occhi scuri? Si distrasse da quel pensiero e guardò l’ultimo foglio, dove qualche fanatico aveva scritto un misto di parole e previsioni sul futuro, chiedendole di professare le giuste credenze, di tenersi pronta per la fine. Susan accartocciò il foglio, che riteneva solo uno spreco di tempo e carta. Affidò la sua risposta alla cassetta e dentro di sé, sperò che quello sconosciuto l’avrebbe nuovamente definita “sua”. Susan guardò l’orario sul grande orologio in legno della biblioteca. Erano appena le quattro del pomeriggio e poteva andare ovunque, quella serata era sua. Chiamò Ashley per informarla che era libera e la ragazza le disse che sarebbe passata a prenderla a casa sua nel giro di una mezz’ora. Susan uscì dalla biblioteca, nel suo cardigan blu notte e con indosso una semplice maglia bianca e una gonna in tinta. Quel giorno un timido sole aveva illuminato e infuso la giornata con i suoi raggi autunnali e adesso la città era avvolta da un raro tepore. Attraversò le strade caotiche senza badare molto alla gente indaffarata che le passava davanti, che non le rivolgeva nient’altro che uno sguardo assente. “Sembrano di plastica” rifletté quando una donna nel suo completo nero le passò accanto di fretta, urtandola. “Tutta plastica, solo finzione e apparenza”. Finché restavano al loro posto, a Susan non interessava molto di quelle bambola dalla carne simile alla sua. Infondo, lei non era poi così dissimile da loro.
L’unico problema della plastica è che brucia e quel giorno incendiò. Lo scontro poteva essere stato causato dall’uomo trentenne alla guida, come dal signore in compagnia della moglie, nel pick-up cinereo. La dinamica non fu chiara, l’unica cosa che Susan riuscì a imprimere nella sua memoria a lungo termine, fu lo scontro violento, la carcassa dell’auto che si trovava sulla sua traiettoria. Non ci rifletté molto quando si scagliò sul marciapiede e finì sull’asfalto che le lacerò la maglia candida. Piccole fiammelle cominciarono a bruciare a pochi metri da lei. Suo padre, poteva esserci suo padre lì dentro. Si alzò di scatto e corse verso la vettura che aveva subito più danni. In breve tempo, tutti i passanti indaffarati avevano cominciato a correre urlanti, chiedendo aiuto e attaccandosi ai propri smartphone. L’auto capovolta mostrava l’uomo intrappolato nel suo posto da guidatore, con la mano fracassata dai cristalli del vetro e il sangue sgocciolante da una ferita alla testa. Le mani di Susan si fecero strada fra pezzi di vetro e i frammenti dello sportello. Far uscire l’uomo era difficile e urlò con quanto fiato aveva in gola, affinché qualcuno l’aiutasse. I suoi polpastrelli raggiunsero la carotide dell’uomo e un fievole battito era ancora udibile.
-Presto!
Continuò a urlare, finché un uomo non le venne accanto e l’aiutò a liberare l’uomo dalla sua gabbia di metallo. Parecchie ferite erano state aperte dalla colluttazione sulla pelle dell’uomo e si potevano scorgere delle bruciature. Quando la plastica brucia, emette un odore orribile. Susan mise l’uomo in posizione laterale di sicurezza, dopo aver cercato di fermare la fuoriuscita di sangue dalla ferita alla testa. Aveva le mani e gli abiti bianchi grondanti di sangue e polvere, ma dopo aver fatto il possibile per l’uomo, si diresse verso la seconda auto. L’uomo alla guida era ancora cosciente e aveva preso solo un brutto colpo al collo, oltre ad aver subito una pioggia di vetro sulla sua testa, che gli aveva aperto diversi tagli sul corpo. La donna, era riversa per terra con il viso pallido. Un rivolo di sangue scendeva lugubre dall’orecchio sinistro della donna.
-No.
Sussurrò Susan e sentì gli occhi bruciarle. L’otorragia significava trauma cranico, che si traduceva in morte. Spostare la donna era inutile, poteva solo pregare qualcuno di avvisare immediatamente che una donna giaceva morente sulla strada. I soccorsi arrivarono e i due uomini divennero stabili, per la donna le lotte furono estenuanti. Susan fu chiamata dalle autorità per raccontare la sua versione dei fatti e fu lì che seppe che stavano indagando per omicidio stradale colposo. Si ritirò a casa sua alle sette di sera, non era stato necessario spiegare molto ad Ashley, dato che la notizia si sparse velocemente per tutta la città. Susan non voleva parlare, desiderava solo recarsi nel suo appartamento e buttar via gli abiti imbrattati di sangue e rovinati dall’asfalto. Scagliò gli abiti del cestino, senza riflettere, poi si stese sul suo letto e si lasciò andare ai suoi pensieri. Secondo uno dei medici, aveva fatto del suo meglio e comprese subito che Susan aveva avuto a che fare con il primo soccorso, dopo aver visto come aveva trattato le ferite dell’uomo. Susan tornò a contare le stelle, apparentemente sbiadite quella notte. Passò la novantaduesima stella, ma il sonno non era ancora giunto. Al millesimo puntino luminoso che tentava di contare, si alzò dal suo letto e infilò i suoi soliti abiti logori. Voleva suonare, voleva liberarsi dal ricordo del padre e dalla sensazione d’impotenza difronte alla morte di una donna sull’asfalto ancora caldo. Andò a suonare, nella scuola di musica ormai fatiscente che era divenuta l’unico luogo nel quale rifugiarsi. La tremula luce della luna proiettava spettri nella stanza del pianoforte e poteva sentire la voce del padre aleggiare per l’aula. Si lasciò andare alla musica, le sue dita vagarono per i tasti formando melodie che credeva di aver dimenticato. Le lacrime non tardarono a giungere e i polpastrelli cominciarono a bruciarle, a causa della foga che stava mettendo nel brano carico di malinconia. Le dita le scivolarono sulle ultime note e batté il palmo contro i tasti. Gridò e pianse, ripensando al rivolo di sangue che lento bagnava il nero dell’asfalto. Era in ginocchio sul pavimento, a pochi passi dal suo amato strumento, quando braccia forti la circondarono. Si dimenò e tentò di liberarsi, ma appena riconobbe il tocco caldo e rassicurante di chi la stringeva a sé, si lasciò andare.                                      
 
  
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