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Autore: Red_Coat    21/09/2017    2 recensioni
Questa è la storia di un soldato, un rinnegato da due mondi. È la storia del viaggio ultimo del pianeta verso la sua terra promessa.
Questa è la storia di quando Cloud Strife fu sconfitto, e vennero le tenebre. E il silenzio.
Genere: Angst, Guerra, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cloud Strife, Kadaj, Nuovo personaggio, Sephiroth
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'allievo di Sephiroth'
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C'è un soldato che mi spia da quando sono salito a bordo, il fante che mi ha accolto al porto.
Anche prima, mentre parlavo col secondo pilota, era nascosto dietro un angolo di muro ad ascoltare ciò che ci dicevamo.
Aveva un'aria familiare, ma non riuscivo a capire perché.
Ora mi sono ricordato.
Credevo di averli uccisi tutti, invece qualcuno è sopravvissuto. Tre per la precisione.
Quelli che hanno sparato gli ultimi colpi, e il bastardo che ha dato loro l'ordine.
E sono tutti e tre su questa nave.

\\\

Un’ombra scura si mosse rapida dietro di lui.
Il giovane fante si voltò nella sua direzione, imbracciando il fucile.
Regolò la visiera del casco in modo da poterci vedere meglio, quindi prese ad avanzare cauto, mentre studiava circospetto i dintorni.
Ma fatto qualche passo si rese conto di trovarsi di fronte ad un vicolo cieco, uno dei corridoi della nave che non portavano da nessuna parte e fungevano semplicemente da stiva.
Sospirò e si rilassò abbassando la sua arma, ma proprio allora un bagliore di luce verdino tornò ad allertarlo, balenando sulla parete in lega metallica.
Sgranò gli occhi, si mise di nuovo sull'attenti e voltatosi puntò la canna del fucile nella sua direzione.
Ciò che vide lo sorprese e terrorizzò al contempo.
C'era un globo di luce, proprio a pochi passi da lui, fluido e limpido come l'acqua ma del colore del lifestream.
Ne rimase affascinato, e come attirato da uno strano incanto prese ad avanzare verso di esso, sempre meno vacillante.
Fino a che, quando gli fu giunto proprio di fronte, così vicino da poterlo sfiorare con la punta delle dita, questi non iniziò a colorarsi d'immagini dai colori cupi, dapprima sfocate, e lentamente sempre più chiare.
Gli sembrava ... di averle già viste ...

« Come ti chiami ... ragazzo? »

Quella voce, cupa e sibilante, lo riscosse, facendolo tremare di terrore. Non gli piacque, ma per quanto sapesse che sarebbe stata la scelta giusta, non fu in grado né di scappare, e neppure di distogliere lo sguardo.
Fu come se fosse rimasto intrappolato in una tela invisibile ma fortissima.
Deglutì, cercando di muoversi. Non vi riuscì. Anche i suoi muscoli erano paralizzati.
E per quanto sapesse di non doverlo fare rispose, vacillante.

« Io ... Eugene. »

Le immagini nel globo furono come scosse, come se la sua voce le avesse sfiorate e riportate in superficie nella loro interezza.
Nel rivederle, i ricordi riaffiorarono velocemente nella sua mente, e il terrore e l'angoscia presero completamente il sopravvento.
Zack Fair, il 1st che aveva ucciso ormai quasi due anni e mezzo addietro, nei suoi ultimi istanti di vita, proprio quando l'ultima pallottola aveva spento il suo cuore.
E quel soldato che teneva in braccio il fucile colpevole ...

« Sei tu, allora ... » sibilò avida e cattiva la voce, mentre un nodo gli si stringeva attorno alla gola, impedendolo di respirare.
« No! » tentò di urlare, ma non ci riuscì.

Perché non era una semplice sensazione quel nodo. Ma la conseguenza di un laccio di lifestream che gli si era avvinghiato attorno alle braccia, alle caviglie e al collo e aveva iniziato a stringere, intrappolandolo nelle sue mortali spire.
Il globo si spense, lasciandolo quasi al buio col suono del suo cuore che iniziò a battere all'impazzata e dei suoi lamenti sempre più strozzati.
Ormai libero dall'ipnosi ma non dalle catene che invece si facevano sempre più forti, Eugene prese ad agitarsi e dimenarsi con violenza, cercando di liberarsi. Ma più lo faceva, più il risultato era solo l'asfissia sempre maggiore e lividi, lividi ovunque i lacci stringessero.
La vista iniziò a vacillare, un laccio gli coprì anche la bocca impedendogli di provare a parlare, urlare o respirare.
L'ombra nera riapparve di fronte a lui, e stavolta nonostante tutto riuscì a vederla bene, e quegli occhi brillanti di Mako e violenti lo aiutarono a riconoscerlo.
Sgranò i suoi terrorizzato, scuotendo il capo con forza e cercando di supplicare pietà col cuore che pareva volesse uscire dal petto tanto batteva forte.
"Victor! Victor Osaka! Il capitano di Adam, quell'idiota." pensò "Mi dispiace! Giuro! Mi dispiace ma erano gli ordini!"
Eppure c'era chi era stato disposto a farsi ammazzare pur di non sparare.
Lo stesso ragazzo che lui aveva deriso così tanto.
Victor Osaka ghignò, mostrandosi alla luce del lifestream che illuminò solo i contorni del suo viso, terrificante maschera vendicativa.

« Eugene ... » sussurrò sadico, sfiorandogli il viso con le dita della mano destra « Finalmente ci presentiamo come si deve. »

Poi con un gesto rude e rapido dapprima gli sferrò un pugno e poi afferrò i suoi capelli, sfoderando la sua katana.
Quello rabbrividì, e iniziò a piangere.

« Adesso ti ammazzo ... » fece soddisfatto il first, avvicinando la lama alla sua gola « Smettila con le tue lacrime da coccodrillo, e ricordati di chiedere scusa quando arriverai ... in ginocchio. »

Poi, un bagliore rapido, e un dolore sordo proprio dove batteva il cuore.
La luce del lifestream si spense, il suo corpo cadde a terra e un flotto di sangue scivolò viscido da fuori la sua bocca, a macchiare di rosso le sue labbra pallide.
Fu come se qualcuno gli avesse strappato via l'anima dal petto. Si era inginocchiato, in effetti, proprio come il suo assassino avevo voluto.
Ma aveva potuto vederlo solo fluttuando immateriale, nello stesso istante in cui i fili che lo legavano alla vita si erano brutalmente spezzati.
"Così  ... deve essersi sentito esattamente così ... Zack Fair."


\\\

Victor Osaka attese che il corpo del fante svanisse, godendosi ogni singolo attimo di quel momento, osservando con perfida soddisfazione i contorni insanguinati della bocca, gli occhi sbarrati e pieni di terrore e più di tutti quelle sporche mani che stringevano il fucile dissolversi e scomparire per sempre.
Pochi attimi prima anche il secondo fante rimasto aveva fatto la stessa fine, raggiungendo il fondo del mare con cinque proiettili di pistola che da dietro la schiena avevano colpito dritto al cuore.
Il viaggio era ormai giunto al termine, tra pochi minuti avrebbero toccato terra e lui avrebbe potuto andarsene prima che i sospetti avessero potuto iniziare a diffondersi.
Adesso non restava che far sparire le tracce, e lasciare che quegli idioti avessero ciò che meritavano.
Un nome da disertori e magari una bella indagine sul loro conto, che tenesse occupati anche i turks, inquietasse il loro comandante che a quanto pareva sembrava essere proprio il bastardo che aveva impartito l'ordine e disonorasse la loro immagine, proprio come era successo con Zack.
Certo, con lui a bordo di quella nave era pur certo che qualcuno si sarebbe insospettito e avesse iniziato a chiedersi se non fosse stata sua la colpa. I cagnolini non erano poi così stupidi.
Ma in fondo senza testimoni, cadaveri o prove, nessuno avrebbe potuto dire che fosse andata realmente così, no?
Sarebbero rimaste tutte semplici supposizioni difficili da dimostrare, e dopo un pò nessuno più le avrebbe menzionate.


\\\

La nave attraccò al porto di costa del Sol alle prime luci dell'alba, e per non destare sospetti Victor fu l'ultimo a uscire dalla sua cabina e sbarcare.
Attese che qualcuno dell'equipaggio venisse a chiamarlo, facendosi trovare mezzo addormentato nel suo letto con indosso solo gli stivali e i pantaloni della divisa, il soprabito appoggiato ai piedi del letto e le armi sotto di esso. Rimase dentro ancora per qualche minuto, infine uscì  e se ne andò tranquillamente per la sua strada senza che nessuno notasse più di tanto la sua presenza.
Nel momento in cui la suola dei suoi stivali toccò la sabbia morbida della spiaggia udì la voce del Sergente richiamare i suoi uomini all'ordine, e ghignò, nello stesso momento in cui il secondo pilota della nave si precipitò da lui chiamandolo "Sir".
Si voltò, le mani nelle tasche e uno sguardo serio, disinteressato.

« Signore, arrivederci allora. » disse quello, affannato « Volevo solo salutarla. Spero di rivederla presto. » concluse felice.

Il ghigno sulle sue labbra sottili si fece ancora più visibile.

« Mh. » replicò distratto « Buon viaggio di rientro a te. Ripartirete subito? » chiese, fingendo fosse una domanda di circostanza.
« Ah, non proprio. » fu la replica allegra « Ci fermiamo qualche settimana per aspettare che ci siano tutte le merci, non so quanto di preciso ma ... tempi lunghi, insomma. »  rise, scuotendo le spalle e grattandosi con una mano la nuca.
« Capisco ... » concluse a quel punto allora Osaka, voltandogli le spalle e riprendendo il cammino..
« Arrivederci Capitano! » esclamò per un'ultima volta quello, salutandolo con foga mentre si allontanava.

 
Fino a che la sua immagine non fu abbastanza lontana da somigliare a un puntino, e le loro voci soltanto un rumore lontano ormai impercettibile.
 
***
 
Un colpo al cuore, e un pugno chiuso sbattuto piano sulla superficie della scrivania in segno di vittoriosa esultanza.
Gli occhi di Reno s'illuminarono di frenetica gioia.

« Trovato! » sibilò, osservando le immagini sullo schermo del pc, poi si alzò di scatto dalla sedia e si fiondò fuori, percorrendo spedito il breve corridoio che gli si presentava davanti.

A metà strada un fante gli si piazzò davanti.
Lo avrebbe apostrofato con fastidio intimandogli di tornare al piano SOLDIER, non fosse stato quello a cui lui stesso aveva chiesto una commissione riservata.
Non poteva fidarsi dei suoi colleghi, Tseng in primis.
Loro ... avevano troppa paura di quel bastardo di un ex SOLDIER per proseguire.
Ma non poteva neanche destare sospetti né tantomeno allontanarsi da Midgar, perciò aveva dovuto affidare a qualcun altro il lavoro che avrebbe potuto fare da sé, cento volte meglio e rapidamente.

« Signore, ho verificato ciò che mi ha chiesto. » disse « C'era un certo Victor Osaka su quella nave. È stato autorizzato dal comproprietario dell'hotel della roccaforte. »

"Erick ... quel figlio di ..."

« Bene. » disse contento, prima di congedarlo.

Era fatta. Se Victor si trovava su quella nave al momento della sparizione dei due fanti allora sarebbe stato facile dimostrare che non si trattava di diserzione ma di un vero e proprio omicidio ben organizzato.
Solo che ... mancavano le prove che trasformassero gli indizi in realtà.
Quel farabutto era stato abile non solo a non farsi scoprire, ma anche a far sparire ogni traccia di un delitto, perfino i fucili dei fanti, così che potesse sembrare ovvio che fossero in qualche modo riusciti a squagliarsela non appena la nave aveva attraccato. Coi tempi che correvano ultimamente poi, quella era di sicuro la soluzione più facile, ma spesso non era mai quella giusta.
Scappati? Per andare dove?
Aveva esaminato i loro fascicoli ed era giunto così alla conclusione che i due scomparsi non erano affatto tipi da diserzione: Tanto per cominciare avevano fatto parte della squadra che era stata incaricata di trovare Zack Fair e riportarlo indietro, perciò sapevano molto, molto bene a quale pena i disertori andavano incontro.
Inoltre uno dei due, un certo Eugene qualcosa, era appena riuscito a farsi accettare in SOLDIER dopo quasi otto anni di fedelissimo servizio nell'esercito.
Diserzione? Tsè!
E perché avrebbe dovuto farlo?!
Piuttosto, se c'era qualcuno che lo odiava così tanto da volere questa fine disonorevole per lui questi poteva essere solo un ex SOLDIER mentalmente disturbato che aveva visto morire il suo migliore amico in maniera analoga.
Strinse i pugni, un ghigno appena percepito sulle labbra.
"Non m'inganni, Victor pezzo di merda." pensò "Ormai ti sto alle costole, continua a pensare di essere invincibile! Verrà il momento in cui potrò usare tutto questo contro di te!"
Infine si affrettò all'uscita, diretto al laboratorio scientifico.
Forse per il momento non poteva mettere le mani su di lui, ma una cosa poteva ancora farla.
E non avrebbe esitato stavolta.

 
\\\
 
« Sono passati due mesi e ancora non sei riuscito a dimostrarmi che ciò che dici è la verità, turk. »

La voce del professor Hojo giunse a sfiorargli le orecchie, e Tseng si fermò di colpo, spostando il viso nella direzione dalla quale era giunta, alla sua destra.
C'era una porta socchiusa, e da quella fessura si intravedeva la figura di Reno, la folta chioma fulva e la divisa nera, girato verso lo scienziato che continuava a osservare altero un punto oltre la gabbia di vetro di fronte a sé.
Reno strinse i pugni, rimanendo in silenzio.

« Ho avuto un contrattempo. » rispose dopo un attimo di esitazione « Ma adesso che Victor Osaka è lontano da Midgar, sarà più facile avvicinare il bambino senza ... »
« Smettila di abbaiare e portami la preda, cagnetto. Forse allora potrò crederti. » lo interruppe seccato lo scienziato, e Tseng sentì un brivido correre lungo la sua schiena.

"Bambino?" pensò, scurendosi.
"Non staranno parlando di ..."
Un altro brivido, sempre più intenso e sempre più freddo.

« Adesso vai, non ho tempo da perdere per restare ad ascoltare i tuoi lamenti. »

Un altro istante di silenzio.

« Si. » fu la replica scura del rosso.

Poi si voltò, le mani ancora chiuse a pugno lungo i fianchi per la rabbia.
Lo sguardo del collega lo colpì paralizzandogli il cuore non appena fu uscito dalla stanza.
Rimase a guardarlo ad occhi sgranati, mentre quello gli rivolgeva un'intensa occhiata severa.

« Reno ... » iniziò.

Ma lui tentò di divincolarsi, superandolo per proseguire.
Rapido il wutaiano gli agguantò un braccio, sbarrandogli la strada.

« Che stai cercando di fare? » tornò a chiedere, calmo ma severo, guardandolo negli occhi.
« Mollami, Tseng. » sibilò in risposta il rosso.
« Pensa esclusivamente alla nostra missione attuale. » continuò invece imperterrito il moro.

Reno sibilò, con uno strattone si liberò dalla presa e lo superò, voltandosi poi rabbioso verso di lui.

« Questa è la mia missione. » puntualizzò inflessibile « È una questione tra me e il professore, sto già facendo il mio dovere. Tu pensa al tuo. »

Quindi gli rivolse una smorfia infastidita e chiuse lì la conversazione, riprendendo il suo cammino.
Tseng stette ad osservarlo allontanarsi fino a che non scomparve dalla sua vista.
Poi sospirò, e alzò lo sguardo verso la stanza dove gli sembrava qualcuno lo stesse osservando.
Non era una sensazione.
Il professor Hojo stava ghignando.

 
\\\
 
La campanella era appena suonata e come al solito Keiichi stava seduto sul gradino vicino al portone della scuola ormai vuota, aspettando che il nonno arrivasse a prenderlo. Solo, perché la maestra non era ancora uscita a controllarlo.

« Ah, eccoti di nuovo. »

La voce dell'ormai conosciuto nemico giunse a riscuoterlo dall'ammirare gli stralci di cielo azzurro sopra i tetti di metallo della città.
Si alzò immediatamente in piedi, indietreggiando e rivolgendogli uno sguardo scuro.

« Oh, ma dai! » fece il turk avvicinandosi « Non c'è bisogno di reagire così ... » aggiunse fingendo di tranquillizzarlo mentre il ghigno sulle sue labbra diceva il contrario « Non faccio mica così paura, dopotutto ... non quanta ne fa tuo padre, mh? » concluse sarcastico, salendo gli ultimi due gradini che lo dividevano da lui ed ergendosi in tutta la sua altezza.

Keiichi sentì il cuore iniziare a palpitare all'impazzata dentro al suo piccolo petto, ma continuò a fissarlo senza perdersi neanche un suo singolo movimento, pronto ad agire nel più impensabile dei modi per fuggire da lì.
Ma non fu necessario, perché proprio quando questo fece per avvicinarsi di più una voce li interruppe bruscamente, urlando quasi il nome del Turk che si paralizzò, voltandosi e guardando sorpreso la giovane che lo aveva chiamato.
Nel vederla gli occhi del piccolo quasi si riempirono di lacrime di sollievo e gioia.

« Aerith! » esclamò correndole incontro e abbracciandola forte.

La ragazza lo nascose con le sue braccia, sorridendogli per poi rivolgere uno sguardo duro a Reno che ancora non riusciva a credere di esser stato di nuovo fermato in un modo così assurdo.
Da lei poi! Proprio da lei, che scappava dalla Shinra da quando aveva la sua stessa età e anche di meno! Avrebbe potuto rapirli tutti e due volendo, e consegnarli entrambi al professore, ma ... era talmente sconvolto che neanche ci pensò.
Riuscì solo a vedere gli occhi sicuri e chiari della giovane donna fissarlo intensamente, e sotto quella potenza perse per un attimo la sua sicurezza.

« Che stai facendo, Reno? » lo apostrofò, solleticando il suo orgoglio.

Si riscosse, e ghignò.

« Tu che cosa credi? » rise, lanciandole uno sguardo d'intesa.

Lei si scuri ancor di più, prese per mano il piccolo e proprio allora la maestra spuntò preoccupata alle spalle del Turk, osservando la scena.

« C-che succede? » chiese sgomenta.

Reno si voltò a guardarla sorpreso. Ah, giusto. C'era anche la maestra, maledizione!
"Reno, ma che hai? Perché sei così imbecille da farti scoprire oggi?? Di nuovo!"
Aerith sorrise.


« Nulla di grave, Signora maestra. Non si preoccupi. » disse tranquilla, ignorando completamente la presenza del rosso mentre Keiichi le stringeva forte e in ansia la mano.

Quindi sotto lo sguardo attento dei due s'inginocchiò all'altezza del bimbo e gli scompigliò gentile i capelli, scoccandogli un occhiolino rassicurante.
Il giovane si rilassò un poco, ma rimase a guardarla dritto negli occhi per timore di incrociare di nuovo lo sguardo terrificante dell'uomo in nero.

« Senti Keiichi: Ti va di venire un pò con me, a vedere come stanno i fiori? » gli chiese dolce.

Il bambino s'illuminò.

« Si! Va bene! » esclamò contento.

Poi si voltò e fece per andare verso la maestra, ma ebbe un attimo di esitazione e si fermò a guardare di nuovo l'estraneo ostile.
Gli lanciò uno sguardo contrariato, abbassò gli occhi e poi li riportò sulla maestra cercando di guardare solo lei.

« Maestra Kim. Lei è un'amica, anche papà la conosce. Posso andare con lei? Se vuole posso telefonare a casa e dirlo io alla mamma. » disse con quella sua vocina dolce, quasi supplicante, riprendendo la mano di Aerith che gliela strinse forte sorridendogli nuovamente.

La maestra sorrise a sua volta, e avrebbe anche acconsentito se non si fosse sentita ella stessa inquietata dalla presenza del Turk, che a quel punto incrociò le braccia sul petto e sbruffò spazientito.

« Mi spiace piccolo, ma senza l'autorizzazione di tua madre o tuo nonno non posso lasciarti andare. Aspettiamo insieme che arrivi, okkey? Poi potrai andare. » decise, spostando ripetutamente lo sguardo dal rosso a loro due e facendogli un occhiolino complice.

Aerith sorrise annuendo, e a quel punto Keiichi fu pronto a cogliere al volo quella opportunità.

« Va bene. » accettò di buon grado, trascinando Aerith con lui fin dentro la scuola.

 
E lasciando solo Reno, a rodersi perché ancora una volta la maledetta sfiga aveva deciso di accanirsi su di lui.
 
\\\
 
Non dovettero attendere molto, Yoshi era già sulla sua strada e arrivò a prendere suo nipote giusto una manciata di minuti dopo, e dopo essersi accertato della situazione fu lieto di accompagnare il nipote dalla sua amica.
Una volta nella piccola chiesetta rimase quasi incantato ad osservare la moltitudine vivace e rigogliosa di petali che emergeva da un grosso buco nelle assi del pavimento consumato.

« Wow! » osservò stupefatto « Che meraviglia! Non sapevo crescessero fiori così belli a Midgar! Sono splendidi! Te ne occupi tu? Da sola? »

Aerith annuì contenta, unendo le mani sul ventre e rivolgendogli uno sguardo grato.

« Si, di solito si. » rispose, scoccando un occhiolino a Keiichi che le sorrise, chinandosi a sfiorare la corolla delicata di un fiore giallo « In effetti non crescono facilmente, solo qui e vicino casa mia. » aggiunse serena, scuotendo le spalle.
« Oh immagino ... » annuì l'uomo « Midgar non è una città facile per nessuno. » 
« Nonno! » propose allora Keiichi, entusiasmandosi « Dici che alla nonna potrebbero piacere? Potremmo portargliene uno. »

Anche Aerith s'illuminò.
Yoshi sorrise e annuì.

« Perché no? » disse.

Poi tirò fuori dalla tasca del pantalone un sacchetto di guil e glielo porse.
Aerith lo accettò sorpresa.

« Oh, non c'è bisogno di ... » titubò « È un regalo, davvero. »

Yoshi annuì continuando a sorridere.

« Anche il mio. » le disse paterno.

La ragazza lo guardò grata, e si prese qualche istante ad osservarlo.
Suo figlio ... si somigliavano così tanto! Entrambi apparentemente protetti da una corazza indissolubile, ma era convinta che pure Victor sotto quel gelo avesse un cuore buono, esattamente come Yoshi Osaka.
Avrebbe ... tanto voluto avere la possibilità di vederlo, un giorno o l'altro.
Anche Keiichi ne era convinto.
Se ne accorgeva ogni volta che ne parlavano, come successe anche quel giorno, dopo che Yoshi li ebbe lasciati soli per andare a controllare nei cumuli di vecchia ferraglia di fronte all'edificio se ci fosse qualcosa di utile per la sua ferramenta.

« È ... » iniziò, mentre erano seduti l'uno accanto all'altra e curavano i loro fiori « Tuo padre è partito da molto? Dov'è andato? » accorgendosi solo allora di quanto fosse sembrata anche troppo curiosa.
« Mh. » annuì sorridente Keiichi « Non da molto in realtà. Solo dodici giorni. È andato di nuovo sulla neve a incontrare il cavaliere dei sogni. » ridacchiò felice.

Aerith lo guardò pensierosa.

« Il ... cavaliere dei sogni? » chiese stranita.

Il piccolo ridacchiò di nuovo.

« Mh, si. È Sephiroth. » spiegò, e lei sentì una sensazione strana pervaderla.

Non seppe definirla, ma la colpi. E continuò a pensarci mentre ascoltava le successive parole del bambino.



« Quando era un SOLDIER papà è stato il suo unico allievo. » le raccontò fiero « Quando io e la mamma siamo venuti a Midgar io facevo sempre incubi, e così papi mi ha comprato una sua statuetta. Lui è il cavaliere invincibile che protegge i miei sogni e caccia gli incubi, adesso. E finché non torna, papà sarà quello che mi porta i sogni belli. »

La giovane ci rifletté su, quindi sorrise.

« Oh ... » mormorò, intenerita.

Poi però si rabbuiò quasi all'improvviso, guardandosi intorno e inginocchiandosi poi vicino ai suoi amati fiori, sfiorandoli pensierosa con le dita.
Un peso enorme sembrò gravare sul suo cuore, Keiichi la osservò preoccupato.

« Lo sai …? » mormorò nostalgica, gli occhi un pò lucidi e la voce tremante « Quando ero un pò più piccola di adesso ... anche io avevo un cavaliere dei sogni ... »

Il bimbo tornò ad illuminarsi.

« Davvero? » chiese, sorpreso e contento.

La giovane donna annuì di nuovo. Sorrise, ma la tristezza appesantì ancor di più il suo volto.

« Anche lui ... anche lui era un SOLDIER, sai? » rispose, respirando affannata quasi stesse per piangere, ma poi riavendosi e guardandolo con un sorriso, tornando a sedersi « Poi però se n'è andato ... e i miei sogni sono rimasti freddi e bui. » concluse.

Keiichi annuì, facendosi un attimo pensieroso.

« Hai provato a chiamarlo? »  chiese allora « Io e papà ci sentiamo lo stesso, anche se lui è lontano adesso. Così se che tornerà! » concluse ingenuo.

La ragazza sorrise intenerita, annuì facendogli una carezza.

« Si, ci ho provato ... » replicò « Gli ho ... scritto così tante lettere ... ma lui non mi ha mai risposto. » s'intristì di nuovo, tornando a guardare i fiori pieni di vita.
« Forse è perché non poteva. » aggiunse il bambino.

Aerith sentì un brivido attraversarle la schiena.
Il suo sguardo si perse oltre il verde dell'erba che ricopriva il terreno.
Non rispose, e allora il bambino provò ad aggiungere, osservandola preoccupata.

« Hai provato a cercarlo? »

Lei alzò lo sguardo a fissarlo, quasi sorpresa.
Il giovane sorrise.

« È questo quello che ha fatto papà con Sephiroth e con Zack, il suo amico. Per questo è partito di nuovo quando Sephiroth lo ha chiamato. »

Un altro colpo al cuore.

« Z-Zack ... ? » mormorò, tremando.

Keiichi annuì.

« Si. Zack Fair. Era il migliore amico di papà, quando era ancora un SOLDIER. » disse, poi sorrise di nuovo « È stato anche a casa della nonna al lago, quando Mami e Papi si sono conosciuti. » le spiegò, e lei ascoltò incredula quel racconto, sentendosi quasi mancare.

Erano ... amici?
Victor Osaka e Zack Fair ... erano migliori amici, in SOLDIER?
E dopo? Cosa era successo dopo che Victor aveva lasciato? Si sentivano ancora? 

Avrebbe voluto chiedere di più, ma proprio allora il portone della chiesa si spalancò e Yoshi fu di ritorno per riportare il nipote a casa.
Prima di andarsene, Keiichi la abbracciò forte e la salutò scuotendo in aria la manina destra, con aria angelica e un sorriso vispo.

« Ciao ciao, signorina Aerith! » le disse.

Lei rimase in silenzio a guardarlo, riuscendo a malapena a rispondere al saluto con un gesto fiacco, e quando infine il portone si richiuse crollò in ginocchio sul pavimento, con una mano sul cuore e le lacrime a gonfiarle l'orlo degli occhi senza che riuscisse a scacciarle o in alternativa a dar loro libero sfogo.
Mentre i suoi amati fiori la stavano in silenzio ad osservare.

 
***
 
Due giorni erano passati, dal suo sbarco a Costa del Sol, dopo una traversata tutto sommato tranquilla tranne che per qualche nuvola nera che aveva oscurato il cielo sopra la nave durante il nono e il decimo giorno, facendo tamburellare sul mare con una pioggerellina calma e fitta che aveva impensierito i cuori di tutti ma specialmente il suo, memore della tempesta che proprio in quel tratto lo aveva coinvolto durante il primo viaggio.
Ambita meta turistica anche in quel periodo perfino dai SOLDIER, che sognavano di trascorrere li le loro già scarse ferie, anche lui come tutti un tempo aveva sognato di andarvi, ridendosela con Zack e fantasticando insieme su ciò che avrebbero fatto assieme li.
Quanto tempo trascorso in chiacchiere inutili che facevano bene al cuore.
E invece adesso, una volta giunto non l'aveva neanche visitata come si doveva, disilluso e troppo ansioso di abbandonarla.
Si era fermato un secondo appena a far scorta di pozioni e nutrimento, e alla fine era ripartito subito, lasciandosela alle spalle.
Certo, avrebbe potuto comunque farlo al ritorno, ma non ne aveva alcuna voglia.
A dirla tutta non gli piaceva neanche tutto quel chiacchiericcio e i fabbricati che portavano il marchio Shinra ovunque, a ricordargli che anche quel posto lontano ormai apparteneva a loro.
Camminò di giorno e si fermò la notte a riposare, dove capitava mangiando cibo liofilizzato o cacciando qualcosa di piccolo e arrossendolo sul fuoco con cui si riscaldava.
"C'è un solo angolo del mondo in cui quelle sanguisughe siano riuscite ad arrivare?" si era chiesto percorrendo le strade del centro turistico.
Trovò la risposta proprio quella sera, la tredicesima del suo viaggio, nel cielo limpido sopra di sé.

« Le stelle ... » mormorò ad alta voce, sdraiato su un soffice manto d'erba col rossore delle fiamme che riusciva a riscaldare solo una parte del suo viso e del suo corpo, quella destra, esposta più vicino al falò.

Sorrise, sistemandosi meglio con le mani sotto la nuca e le braccia sopra la testa.

« Li non sono ancora arrivati ... » ripeté, quasi sollevato e compiaciuto.

"Probabilmente perché sono troppo lontane per loro." pensò, stavolta concludendo dentro di sé "Per fortuna ... altrimenti solo la dea sa che sarebbe potuto accadere."
Ci pensò un altro pò su, poi all'improvviso si scuri, impensierendosi.
Keiichi. Era bastato qualche ricordo fugace a riportarglielo alla mente, e all'improvviso si accorse di essere stato talmente assorto da essersi dimenticato di richiamarlo.

« Ca**o! » esclamò picchiandosi con una mano la fronte.

Guardò l'orologio. In fondo erano appena le 20.45, forse non era ancora andato a dormire.
Quindi estrasse il cellulare dalla tasca e aprendolo si accorse di un nuovo messaggio di posta.
Era di Hikari. Lo apri con un sorriso, e lo lesse con le lacrime in bilico sugli occhi.
"Ciao amore mio.
Mi manchi ... mi manca la tua voce ...
Come stai?"
Sospirò, ricacciando in dentro le lacrime baciò appena lo schermo e schiarendosi quindi la voce premette il tasto verde per chiamare.
Appena due bip, e poi qualcuno rispose. Non poté parlare, ma non ce ne fu bisogno.
La funzione videochiamata gli mostrò il viso commosso e rosso di lacrime della sua sposa, che lo salutò con un sorriso, portandosi la mano libera sulla bocca e poi muovendola per salutarlo, emozionata.
La imitò, sentendo crescere dentro di sé la voglia matta di stringerla forte a sè per consolarla e la frustrazione per non poterlo fare.

« Ciao piccola. » le disse, sforzandosi di sorridere.

Lei fece lo stesso, mimando un "dove sei?".
Lui scosse le spalle, mostrandole i dintorni e il fuoco acceso.

« Da qualche parte tra Costa del Sol e l'Icicle Inn. Qualche altra settimana e sarò arrivato. » le rispose scoccandole un occhiolino.

Lei sorrise divertita, mimando una faccia sorpresa e poi scoppiando a ridere assieme a lui.

Era ... così bello rivedersi
E sapere di avere ancora qualcuno che lo aspettava, dall'altra parte del mondo.
A volte i viaggi come quello erano sfiancanti proprio per questo, la solitudine uccideva più dello sforzo fisico.
E poi ... Dio quanto si mancavano!

« Hai mangiato? » le chiese dolce.

Lei sorrise ancora e annuì. "Tua madre mi ha preparato la cena.
Pasta al sugo di verdure, carne con sughetto di pomodorini e per dolce la torta di mele. Ma quella l'ho fatta io.
"
Rise, nascondendosi il viso con la mano.
Lo fece anche lui, poi assunse la sua aria sorpresa di qualche   minuto prima, sgranando occhi e bocca in una mimica quasi teatrale ma buffa.
Risero di nuovo, divertiti e sollevati.
E Victor sentì il cuore alleggerirsi immediatamente da tutti gli inutili pesi e dalle preoccupazioni accumulate, che stramazzarono con un pesante tonfo al suolo.

« Allora anche quella deve essere buona! » replicò infine, rivolgendole uno sguardo pieno di amore.

"Tu? Hai mangiato?"
Annuì allegro.

« Mh. » rispose, scuotendo le spalle e mostrandole quindi la scatoletta di latta vuota « Carne in gelatina e qualche barretta proteica. Mangerò meglio quando sarò arrivato all'hotel. » la rassicurò.

Lei si finse minacciosa. "Ah, sarà meglio per te. Se torni dimagrito ti rimpinzerò così tanto da farti scoppiare."
Victor sorrise mascalzone.

« Lo farai anche con i baci? » chiese.

Hikari arrossì, abbassò per un attimo gli occhi e subito dopo oscillò avanti e indietro il capo.

"Vedremo ..." disse "Se sarai stato abbastanza bravo, può darsi di si."
Lui sorrise innamorato.

« Uno per ogni giorno. » pattuì.

Lei sghignazzò.
"Anche due." aggiunse "Dipende da te."
E proprio allora all'improvviso una vocina squillante arrivò a interromperli, e dietro di lei apparve saltando sul letto il piccolo Keiichi.

« Ciao papi!!! » esclamò salutandolo entusiasta con entrambi le mani, muovendo a ritmo anche il capo e il resto del corpo e facendo ballonzolare i riccioli lunghi dei suoi capelli corvini.

Il sorriso sul volto dell'ex SOLDIER si accentuò.

« Hey, piccola peste! » lo salutò allegro.
« Sei arrivato a Costa del Sol? » chiese ancora curioso il piccolo.

Victor annuì.

« Si. » replicò allegro « E credo proprio che dovremo assolutamente tornarci insieme a luglio, per il tuo compleanno. »
« Yeeeah!! » esclamò entusiasta Keiichi sbracciandosi di nuovo, poi ridacchiò e si strinse forte alla madre, abbracciandola da dietro.

Risero insieme, tutti e tre fino a che non furono abbastanza stanchi da essere costretti ad andare a dormire.

« Allora buona notte, campione. » gli disse Victor schioccandogli un occhiolino.

Keiichi provò a rispondergli alla stessa maniera ma non riuscì a chiudere solo un occhio, e allora dapprima li chiuse entrambi e poi si aiutò abbassando con una mano la palpebra per poi salutarlo sventolandola in aria.

« Notte papi! Torna presto! »
« Contaci! » sghignazzò Victor, prima di vederlo sparire saltellando come era arrivato.

Rimasero soli, lui e Hikari. E all'improvviso la tristezza calò di nuovo lentamente su di loro.

« Allora ... » provò a concludere lui, con un nodo in gola « Buona notte. »

Hikari sospirò, si sforzò di continuare a sorridere, e annuì fingendosi serena.
"Notte ...” replicò dolce lei, con di nuovo quella strana luce triste negli occhi “ Sognami." Gli chiese poi.
Victor allargò il suo sorriso di un poco.

« Lo farò. » le assicurò « Anche tu ... pensami anche tu, un poco. Sognami ... »

Infine, dopo averla vista annuire, le mandò un ultimo bacio e aspettò di ricevere il suo prima di chiudere definitivamente la chiamata, durata circa un'ora e trenta minuti.
Rimase a lungo a sognarla ad occhi aperti, dopo, tornando a guardare le stelle fino a quando pieno di quella melodrammatica visione non si addormentò a poche ore dall'aurora.

 
\\\
 
 
Yoshi e Yukio ascoltarono il vociare vivace e rilassato proveniente dalla camera matrimoniale in fondo alnl corridoio.
Erano appena arrivati e Osaka aveva appena finito di informare Yukio della spiacevole situazione ferificatasi quel pomeriggio, quando la voce di Keiichi che esclamava

« Ciao Papi!! »

E la successiva risposta di Victor, dall'altro capo del telefono, li aveva resi ancora più in pensiero.
Si guardarono negli occhi, preoccupati.

« Dovremmo parlargliene ... » azzardò Yoshi « Avvisarlo. Anche se è lontano deve comunque saperlo. »

Yukio annuì, senza pronunciarsi. Rimasero ancora per qualche istante in silenzio, ad ascoltare la discussione da lontano. Poi il medico sospirò, e scosse il capo.

« Meglio di no. » decise « Lasciamo stare per ora, comunque non potrebbe tornare indietro e lo impensieriremmo inutilmente. Lo faremo quando sarà tornato. Per adesso ci penseremo noi a proteggerlo, non dobbiamo lasciarlo solo neanche un attimo. » decise, e Yoshi annuì convinto.
« Sono d'accordo. » replicò.
« Resterò io per stanotte, domani ho dei pazienti qui vicino e potrei accompagnarlo io a scuola. » decretò allora Fujita, togliendosi il cappotto e appendendolo.
« Si. » replicò Yoshi « Io torno da Erriet, domani chiudo prima per andare a prendere e ci troviamo di nuovo qui, come oggi. Va bene? »
« Benissimo. »  lo accontentò disponibile il dottore, appoggiandogli una mano sulla spalla con una pacca d'incoraggiamento.

Osaka fece lo stesso, sorridendo sollevato.

« Grazie. A domani. » lo salutò, per poi aprire di nuovo l'uscio e incamminandosi giù per le scale.
« A te. A domani. » ricambiò quello.

Poi, richiusa la porta, si concesse qualche istante sul divano per riprendere fiato e riflettere, a mani giunte davanti al viso.
Quando era Mikio aveva dovuto usare le sue conoscenze tecniche per proteggere Victor dalle sue paure e aiutarlo a crescere forte.
Ora ... sarebbe stato ancora in grado di usare le abilità fisiche apprese in SOLDIER in un'altra vita  per difendere suo figlio?
Sospirò di nuovo, lasciando ricadere le braccia oltre le ginocchia: non poteva esitare, avrebbe dovuto farlo ad ogni costo per forza di cose, almeno fino al ritorno di suo padre.
Doveva riuscirci.
  
   
 
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