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Autore: JacquelineKeller01    21/09/2017    1 recensioni
[MOMENTANEAMENTE SOSPESA]
Lea ha diciassette anni quando torna nella sua città natale in seguito ad alcuni problemi familiari. Tutto ciò che vuole, dopo un anno intero passato a guardarsi le spalle, è recuperare il rapporto con suo padre e un po' di sano relax. Ma sin da subito il destino sembra prendere un'altra piega.
Isaac è l'essere più irritante che Lea abbia mai incontrato nella sua vita, con quella sua arroganza e i repentini cambiamenti di umore, porterà novità e scompiglio nella vita della giovane.
Tra un rapporto che fatica ad instaurarsi, vecchie ferite non ancora del tutto sanate ed un patrigno che sembra darle la caccia, Lea si ritroverà ad affrontare sentimenti che non sapeva essere in grado di provare, specialmente non per uno come Isaac Hall.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Il giorno di Natale in tutta la California pioveva. 
L'intera famiglia Wilson aveva emesso un sospiro di rassegnazione quando, alzandosi al mattino, aveva visto le gocce di pioggia scivolare lungo le vetrate, l'intera famiglia ad eccezione di Lea che aveva visto in quel mal tempo l'occasione giusta per indossare il suo solito maglioncino in lana rossa, con quell'enorme renna stilizzata ricamata sul petto.
Era stato un regalo di sua nonna a Natale 2011 e da quel giorno era diventata per lei una tradizione sacrosanta indossarlo, poco le importava di star letteralmente schiumando. Che si abiti in California, Alaska o Cuba, il venticinque di Dicembre si indossa il maglione di nonna Rachel.
«Ci pensi mai a come era il Natale quando eravamo bambini?» 
Lea ed Aiden si erano offerti volontari per aiutare con la preparazione del cenone di Natale. Quando erano più piccoli, quando ancora i loro genitori erano sposati e felici, lo facevano sempre. Si mettevano in un angolo a tagliare patate o modellare polpette; delle volte persino suo padre aiutava, o meglio: fingeva di farlo, all'epoca non era ancora in grado di cucinare niente che fosse lontanamente commestibile, era solo un modo per passare del tempo insieme, per creare dei ricordi.
Aiden annuì. «Dean mangiava sempre l'impasto della torta di Mele.» Nella sua voce c'era una vena malinconica, il che era decisamente strano da parte sua. Suo fratello non lasciava mai trasparire le sue emozioni riguardo al passato.
«Tu stavi attaccato alle gambe di mamma e lei doveva nascondere il sacco con l'impasto delle meringhe.»
«Tu, invece, rubavi spicchi dalle mele che sbucciava papà. Sei sempre stata la sua cocca.»
«Colpevole.»
Scoppiarono entrambi a ridere e la piccola Wilson si trovò a poggiare il capo contro la spalla del maggiore.
Da quanto tempo era che non vivevano un momento del genere? Un momento tranquillo in cui, per la prima volta, erano solo due ragazzi di quasi vent'anni?
Lea puntò lo sguardo fuori dalla finestrella e fissò il cielo finire d’imbrunire lentamente.
«E’ incredibile.» Mormorò dopo un breve istante di silenzio. «Ho passato anni senza mai pensare a Dean, senza mai chiedermi come sarebbe stato averlo di nuovo qui con noi, se per caso le cose sarebbero state diverse. Poi torno a casa, torno a casa dopo dieci anni e non riesco a smettere di pensare di lui.»
Aiden avrebbe voluto annuire, dirle che provava le stesse sensazioni ma sarebbe stato un po’ come mentire, perché nonostante tutti quegli anni non era mai del tutto riuscito a perdonare il fratello.
«Io lo incolpo ancora, però.» Mormorò. «Non so se è un modo per sentire di avere ancora un contatto con lui o se forse è solo l’ultimo sentimento che ricordo di aver provato nei suoi confronti, ma non riesco a smettere di pensare che se non si fosse comportato da coglione, se solo avesse dato ascolto a papà, mamma non sarebbe tornata da Gabe e tu saresti salva.»
«Sei sicuro di essere arrabbiato per questo?» Inquisì Lea.
Il giovane Wilson spostò il capo dall’altra parte, sentendo le lacrime pizzicargli gli occhi.
Non se la ricordava nemmeno l’ultima volta in cui aveva pianto, era successo tanti di quei secoli fa, ricordava solo di aver promesso a se stesso che non lo avrebbe fatto mai più e di certo non voleva rompere la promessa per Dean. Ne aveva versate fin troppe di lacrime per lui.
«Sono arrabbiato perché mi ha lasciato solo.» Ammise in sussurro.
Per anni Aiden Wilson aveva guardato al fratello maggiore con occhi sognanti. Voleva imitarlo, essere come lui, e nel perderlo non aveva perso solamente la sua famiglia o un migliore amico, aveva perso anche la sua bussola. «Perché ha lasciato in mano a me questa situazione di merda. Lui sarebbe stato capace di tirarti fuori dai guai, lui sapeva sempre come risolvere le cose.»
Lea tirò su con il naso.
Trattenersi dal piagnucolare era stato impossibile.
Discorsi del genere non ne faceva da anni, la sua famiglia aveva reso Dean un argomento tabù e quella che più ne aveva sofferto era la piccola Wilson che, per tutta la vita, aveva percepito questo fratello come un arto fantasma.
«Non riesco più a ricordare la sua voce o il suono della sua risata. Non ricordo più niente.» Singhiozzò.
Se ne era resa conto la sera del suo compleanno, quando era rientrata da casa Hall. Aveva proceduto all’interno della sua stanza nel buio più completo ed aveva urtato la scrivania facendo cadere a terra una vecchia foto.
Dean era piegato a terra, teneva Aiden sulla schiena e Lea gli aveva stretto le braccia al collo. Era stata una delle ultime foto che avevano scattato tutti insieme e lei non l’aveva mai notata prima di quel momento…
…Era stata la prima volta in cui lo aveva realizzato, realizzato di essere più grande di suo fratello maggiore e per un istante si era sentita colpevole di essere viva.
Il fratello maggiore restò per un breve istante a fissarla, incapace di muoversi, di pensare, persino di respirare. Voleva abbracciarla ma era come se l’interno mondo si fosse bloccato ad eccezione della sorella.
«Promettimi che tu non mi lascerai mai…» Sussurrò Lea, asciugandosi gli occhi con le maniche del maglione rosso.
Aiden fu solo capace di annuire. «Mai!»




«Norman benvenuto, ti trovo bene.» Esclamò Marìa Elèna stringendo l'uomo in un veloce abbraccio, prima di stampargli due baci su ambo guance.
Lea li fissò dal fondo della stanza e provò l'urgente bisogno di vomitare.
Aveva provato a farsi andare a genio quell'uomo, dieci, cento, migliaia di volte, ma proprio non ci riusciva; l'unico motivo per cui aveva acconsentito ad averlo lì quella sera e fare la gentile, era perché non era riuscita a convincere Isaac ad abbandonare suo "padre" e passare la sera di Natale insieme a loro. 
Fosse stato per lei lo avrebbe lasciato marcire sul fondo di un burrone, per quanto le importava…
«Buona sera.» Salutò l'uomo a bassa voce. «Ho portato questa.» Mormorò, mostrando una bottiglia scura e dall’aria costosa. «E' succo d'uva, sto cercando di restare sobrio e di non tenere alcolici in casa, ma mi sembrava brutto presentarmi a mani vuote.»
Le sembrava un po’ impacciato, avrebbe osato dire timido, un uomo nuovo. Ma non le piaceva comunque.
Una settimana di sobrietà ed un bel vestito non cambiano certo gli errori di una vita.
«Se continui a startene così imbronciata, ti verranno le rughe prima del tempo.» Sussurrò Isaac al suo orecchio, indugiando qualche istante a quell'altezza.
Lea sussultò sul posto, portandosi una mano all’altezza del petto.
«Mi hai spaventata.» Mormorò a sua volta, incapace però di trattenere un sorrisetto.
Negli ultimi tre giorni sorrideva sempre, sorrideva come un ebete anche quando non c’era niente per cui valesse la pena sorridere, ad esempio l’introduzione della prima Guerra Mondiale…
Da quel sera sulla spiaggia le loro interazioni erano state ridotte al minimo, entrambi troppo occupati con gli ultimi giorni di lavoro e di scuola prima delle vacanze Natalizie.
Si erano visti di sfuggita la sera prima, per meno di mezz’ora.
Lea stava facendo il turno di chiusura e si era recata sul retro a gettare il sacco della spazzatura. Isaac le aveva circondati i fianchi con un braccio, mentre con la mano libera le aveva tappato la bocca.
Per un istante la piccola Wilson aveva urlato e si era dimenata, preoccupata dalla possibilità che potesse trattarsi di Gabe, che l’avesse trovata e fosse intenzionato a finire il lavoro lasciato incompleto a New York.
Quando aveva visto gli occhi azzurri del giovane Hall, i suoi avevano perso la sfumatura di terrore che li aveva invasi e si erano letteralmente infuocati per la rabbia.
Inutile dire che avevano fatto pace subito dopo, baciandosi a lungo contro la porta di ferro battuto del retro bottega.
La giovane sorrise, mordendosi il labbro inferiore.
«Devo ancora darti il tuo regalo.» Sussurrò, prima di scivolare velocemente su per le scale, non lasciandogli la possibilità di replicare oltre.
Se in un altro momento Isaac l’avrebbe seguita con riluttanza, curioso e contento di quell’atmosfera gioiosa e calorosa, che lui non aveva mai del tutto conosciuto, in quel preciso istante lasciò che la ragazza lo trascinasse, decisamente più allettato dall’idea di restarsene da solo con lei.
«Non ho mai voluto un regalo.» Protestò il giovane, afferrandola per un passante dei pantaloni e spingendola all'indietro, bloccandola contro la porta ed il suo corpo. «Mi basta un saluto per bene.» Mugugnò.
La piccola Wilson si ritrovò inevitabilmente ad arrossire, prima di trovare il coraggio di sollevarsi sulle punte e stampargli un bacio, un vero bacio, sulla bocca.
Prima di lui, Lea non aveva mai baciato per prima, aveva sempre aspettato che fossero gli altri a fare il primo passo. Con Isaac era diverso, quando erano insieme si sentiva come calamitata verso di lui...
Il giovane morse le sue labbra, prima di passarci sopra la lingua, quasi a chiederle il permesso.
Era diverso da qualsiasi ragazzo l'avesse mai baciata prima d'allora; diverso da Seth immaturo ed inesperto, diverso da Patrick rude e violento...
...Baciare Isaac era un po' come tornare a casa dopo un'intera giornata d’inferno: rassicurante. Non c'era altra parola per descriverlo.
La prima volta in cui le labbra del giovane avevano toccato le sue, la piccola Wilson non aveva sentito le fantomatiche farfalle nello stomaco, quelli che erano impazzati dentro di lei erano dei veri e propri fuochi d'artificio. Quella sera le sue labbra sapevano di pioggia e di sale.
«Incomincio a credere tu abbia qualche sorta di fetish per le porte.» Sussurrò.
«Ti aspetti che ti risponda che ho un fetish per te?»
«Se ti aspetti che tutto questo vada avanti, no.»
«Grazie a Dio.»
Questa volta fu Isaac a baciarla per primo e Lea gli strinse le braccia attorno al collo.
Sarà stata l’inesperienza o forse il fatto che non aveva mai desiderato nessuno tanto quanto aveva desiderato lui, eppure, ogni volta che la baciava, la giovane non riusciva a ricordare che cosa, essere baciati, prima di quel momento, significasse.
Quando il giovane si allontanò dalla sua bocca, muovendo un passo all’indietro Lea non riuscì a trattenere un mugolio di dissenso.
Isaac ghignò soddisfatto. «Allora?» Esclamò, muovendosi in giro per la stanza. «Questo regalo?»
La piccola Wilson annuì, riscuotendosi da quell’improvviso torpore e tornando con i piedi per terra.
«Siediti sul letto.» Ordinò.
Trovare il regalo giusto per il giovane Hall non era stata certamente l’opera più semplice che la piccola Wilson avesse mai affrontato, i gusti del ragazzo erano decisamente discutibili e per la maggior parte aveva tutte le cose di cui aveva più bisogno.
Lea aveva passato giorni interi in giro per la città alla ricerca di quello che poteva essere il regalo più adatto. Poi, una mattina, mentre se ne andava a scuola, il dono perfetto le era letteralmente piovuto dal cielo.
Estrasse il piccolo pacchettino dall’interno del suo armadio prima di prendere posto sul letto, al suo fianco.
«Pacchetto artigianale?» La schernì lui, guardando quella confezione regalo un po’ troppo irregolare e stropicciata.
«Non devi portarti a casa la carta, aprilo e basta.» Lo rimproverò Lea.
Per prima cosa Isaac aprì la bustina annessa e fissò la vecchia fotografia, ingiallita dal tempo, che c’era al suo interno. Lui ed una piccolissima Lea se ne stavano seduti dentro una piscinetta gonfiabile nel giardino di casa Wilson, dietro di loro, una giovanissima Soraya Hall, li stringeva entrambi in un abbraccio mentre i due bambini cercavano di nascondere un faccino imbronciato.
Il giovane Hall se la rigirò tra le dita per qualche istante, prima di passare l’indice lungo i contorni del volto della madre.
Non se la ricordava così bella, francamente parlando, negli ultimi anni della sua vita non era mai stata bella…
«E’ la mia mamma!» Mormorò, la voce roca ed impastata. Sembrava non parlasse da una vita, mentre si trattava solamente di un paio di minuti.
Lea al suo fianco, cercò la sua mano, intrecciando le loro dita.
«L’ho trovata in soffitta, pensavo potesse farti piacere averla.»
In realtà aveva passato notti insonni pensando a quella foto. Una parte di lei temeva che potesse rifiutarla, che gliela rendesse o che potesse prenderla male, mentre l’altra cercava di essere razionale ed avere fiducia nella stabilità emotiva di Isaac…
«Vediamo il regalo!» Sussurrò lui, dopo una seconda breve pausa, infilando la foto nella tasca interna del chiodo.
Non sapeva come sentirsi a riguardo, era sicuramente felice, ma allo stesso tempo non riusciva a trattenersi dal provare una profonda malinconia.
Fosse stato una settimana prima avrebbe spaccato i muri.
Tutto sommato, quella lettera, probabilmente, aveva aiutato ad acquietare alcuni dei suoi demoni.
Le dita del giovane strapparono la carta violetta del pacchetto con più decisione quando quei pensieri sfiorarono la sua mente, rivelando, al suo interno, una tracolla in pelle nera, ricoperta di ricami colorati in cotone.
«Molto Indie.» Constatò, rivolgendo alla giovane un sorriso.
Avrebbe dovuto comunque comprarsene una nuova per la sua chitarra, quella nella sua stanza aveva letteralmente deciso di frantumarsi in mille pezzi.
«Lo ha detto anche la commessa.» Esclamò Lea, portandosi una mano dietro il capo. «In quel momento ho solo sorriso ed annuito, non me lo ricordavo il nome di quella musica  strana che fai tu.»
«Musica strana?»
«Si insomma, hai capito, quello stile un po’ così, lento, che ti fa pensare una cosa ed è tutt’altro. Quella musica strana che a me mette ansia.»
«Che ne dici se ti ringrazio e chiudiamo qui il discorso?»
Lea annuì. «Forse è meglio!» Mormorò, tentando di nascondere il rossore con una ciocca di capelli.
Isaac rise.
Lea Wilson non perdeva mai occasione per essere Lea Wilson.
«Sai cosa mi piace di tutta questa situazione?» Mormorò il giovane, poggiando la fronte su quella della ragazza. L’altra scosse il capo. «Posso baciarti senza dover chiedere il permesso.»
«Sai cosa piacerebbe a me in tutta questa situazione?» Mormorò una voce maschile alle loro spalle.
Lea ed Isaac si voltarono, incontrando, a soli pochi passi da loro, la figura imponente di Peter Wilson. «Mi piacerebbe se la smettessi di sedurre tutti i miei figli. E adesso scendete, è pronta la cena. Vi voglio entrambi a capotavola.»
   
 
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