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Autore: vero511    26/09/2017    1 recensioni
Ellie Wilson 24 anni, appena arrivata a New York insieme alla sua gioia più grande: il figlio Alex. Lo scopo della giovane è quello di ricominciare da zero, per dare la possibilità ad Alex di avere un futuro diverso dal passato tumultuoso che lei ha vissuto fino al momento del suo trasferimento. Quale occasione migliore, se non un prestigioso incarico alla Evans Enterprise per riscattarsi da vecchi errori? Ma Ellie, nei suoi progetti, avrà preso in considerazione il dispotico quanto affascinante capo e tutte le insidie che si celano tra le mura di una delle aziende più influenti d’America?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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ZACK’S POV

Un’altra faticosa giornata di lavoro si è conclusa: sono piuttosto stanco e la mancanza di Ellie si sente, non intendo solo da un punto di vista sentimentale, ma anche professionale. Lei era infatti incaricata di occuparsi delle scartoffie  e nonostante il mio iniziale rapporto conflittuale, ho sempre pensato che sapesse svolgere egregiamente le sue mansioni.
Io e Matt stiamo facendo del nostro meglio per occuparci di tutto e il supporto di Hamilton è assolutamente fondamentale. Per quanto riguarda Jennifer invece, dipende dai giorni: a volte si getta a capofitto nel lavoro così da tenersi impegnata e non pensare alla sua amica, altre volte è ingestibile.
Credo che il problema principale non sia la distanza in sé, ma il fatto di non avere nessuna notizia sulla Wilson e su Alex. Potrebbero non stare bene, potrebbero essere molto più vicini di quanto pensiamo, potrebbero star facendo qualsiasi cosa. I quesiti che mi pongo e che sicuramente si pongono anche i miei amici ogni giorno, sono molti.
Mi getto sul divano a peso morto, azione che, a detta del medico, dovrei evitare dato che risulto ancora in riabilitazione. Un’altra cosa che non dovrei fare o che comunque sarebbe meglio limitare, è il bere alcolici. Da quando Ellie è partita, ogni sera mi bevo un bicchiere di whiskey davanti al camino. Non mi sono mai ubriacato in questi giorni e non intendo farlo, ma questo misero goccio di liquore in qualche modo mi aiuta a sentirmi più leggero e rilassato. Poso la testa sullo schienale e lascio che il liquido mi riscaldi la gola, quando il mio cellulare inizia a squillare. Sono tentato di non rispondere, soprattutto quando noto che si tratta di un numero sconosciuto, ma poi, preso dalla curiosità, decido di avviare la chiamata.
Inizialmente nessuno si fa sentire, così provo ad insistere: “Chi parla?” “Sono io” una lieve voce femminile mi toglie il respiro e nonostante io sappia con assoluta certezza di chi si tratta, ho bisogno di una conferma: “Ellie?” Non le lascio il tempo di rispondere e le domando subito in merito alle condizioni di salute sue e di Alex, ma soprattutto tento di racimolare informazioni su dove si trovino al momento. È un colpo al cuore realizzare che non può dirmi nulla, anche se udire il suono della sua voce è già di per sé una magra consolazione. Constatare che noi manchiamo a lei quanto lei manca a noi mi riempie il cuore di malinconia e già so che dopo questa telefonata, il bicchiere che ho lasciato sul tavolino non basterà.
Parliamo del più e del meno, aggiornandoci sugli ultimi avvenimenti anche se nulla pare essere particolarmente degno di nota. O quasi. “Io…ecco…ho conosciuto tua madre”.
Credo di aver lasciato il telefono e credo anche che lo schermo si sia appena frantumato a contatto con il pavimento, ma non sono sicuro di ciò che accede intorno a me. Mia madre. Ellie. Non capisco più nulla, la mia testa prende a girare vorticosamente e improvvisamente mi ritrovo steso accanto ai frammenti di quello che era il mio cellulare fino a poco fa.

Quando apro gli occhi, un raggio di sole mi acceca. Non so come io sia arrivato al letto e non ricordo nemmeno di aver perso i sensi. Nella mia mente è nitida la fastidiosa sensazione della mia testa che girava e forse il dolore al fianco è una conseguenza del fatto che mia sia ritrovato improvvisamente al suolo, ma dopo questo, nei miei pensieri c’è solo un buco nero.
“Buongiorno dormiglione” il volto del mio migliore amico mi si para davanti improvvisamente. “Che diavolo mi è successo?” Domando mettendomi una mano sulla fronte. “Non ti ha insegnato nessuno che alcolici e medicine non vanno d’accordo?” Il suo tono sarcastico cela un velo di preoccupazione. “Mi stai per caso facendo la paternale?” “Zack, siamo amici da una vita e tu sei un adulto vaccinato, non voglio rimproverarti, ma direi che vederti saltare in aria insieme alla nostra azienda mi ha già spaventato abbastanza.” “Non ho bevuto molto.” Mi guarda scettico. “Solo mezzo bicchiere”. “Quindi mi stai dicendo che quello che ho visto frantumato a terra è stato l’unico?” Annuisco e in nome della nostra lunga amicizia, mi crede senza bisogno di troppe giustificazioni. “In ogni caso non ti ha fatto bene dato che sei svenuto”. “Credo che la causa del mio mancamento sia un’altra” gli racconto ogni dettaglio della telefonata con Ellie.
“Aspetta, aspetta. Tua madre? Ma lei… sì, insomma, se la troviamo possiamo trovare anche Ellie” i suoi occhi si illuminano e la speranza lo accende. “Dubito che sia così semplice…lei è semplicemente scomparsa da un giorno all’altro. Mi ha lasciato una lettera con scritto di non cercarla e che un giorno mi avrebbe spiegato tutto, persino Hamilton mi ha consigliato di dare tempo al tempo anche se io ero intenzionato a trovarla.” “Forse un modo per saperne di più c’è…” lo vedo pensieroso è il suo sguardo si è incupito. Quando capisco a cosa si riferisce, il mio sangue ribolle. “No. Assolutamente no. Non pensarci neanche.” “Ma Zack…senti io comprendo, davvero, ma questo potrebbe essere l’unico modo per scoprire dove si trovano Ellie e Alex.” So perfettamente che ha ragione, ma l’idea di ciò che dovrò fare domani mi fa venire la pelle d’oca.

Il portone bianco con la maniglia d’oro è davanti a me proprio come lo ricordavo. Non metto piede qui da un’eternità e tutto sembra così diverso e uguale al tempo stesso. L’uscio si apre e compare una delle domestiche di cui non conosco il nome, probabilmente è stata assunta di recente. “Posso aiutarla?” “Sono Zack” mi guarda confusa. “Evans” preciso e non hai bisogno d’altro. “Si accomodi, chiamo Chris…ehm…volevo dire, il Signor Evans”. Il lapsus avuto dalla giovane donna è stato sospetto, ma al momento ho problemi più gravi a cui pensare.
“Zack. Non ti aspettavo” Ecco il grande uomo d’affari scendere le maestose scalinate della grande villa che ormai occupa da solo. “Sono qui per avere un’informazione, nulla di più” “Immaginavo”. La freddezza con cui entrambi ci rivolgiamo la parola è agghiacciante, non sembriamo padre e figlio talmente è grande l’astio che intercorre tra noi. “Posso offrirti un thè?” “No grazie, sono a posto così”. “Allora vieni nel mio studio, staremo più comodi”.

Dò un’occhiata intorno a me e tutto è rimasto uguale, persino la porta del suo ufficio, unica stanza in cui io ho sempre temuto entrare, si staglia minacciosa davanti a me. Ho varcato questa soglia raramente, ma è incredibile adesso accorgermi di quanto la sua scrivania assomigli a quella di Arthur che per è stato un secondo padre, molto più presente del primo. “Non sapevo avessi la passione per l’arredamento” afferma sarcastico. “Non sai molte cose di me, e in ogni caso, ad intendersi di mobilio era la mamma” lo vedo irrigidirsi al richiamo della donna.
“Be? Cosa vuoi sapere?” Mi chiede sbrigativo. “Lei dov’è?” Non faccio giri di parole, voglio trattenermi qui il meno possibile. “Non lo so.” “Ma davvero?” “Vorrei ricordarti che abbiamo divorziato. Non siamo tenuti a sapere i nostri reciproci spostamenti” se c’è una persona al mondo che sa tenere testa a Christopher Evans, è suo figlio. “Qualcosa mi dice che stai mentendo. Dimmi quello che sai.” “Ti ho già detto che non ho idea di dove sia” è vero. Ma qualcosa non torna. “Va bene, ammettendo che sia la verità, tu sai qualcosa che io non so. Voglio sapere cosa è successo prima che sparisse.”
Non parla, ma resta immobile come una statua. Allargo le braccia come a voler dire: “allora?” e mi lascio cadere sulla poltrona davanti a lui sollevando le spalle. “Ho tutto il tempo che vuoi”.
“Ho del lavoro da fare.” “Non mi interessa”. Sbuffa e so che è sul punto di cedere. “È venuta da me una sera, aveva bisogno di aiuto. Sembrava…spaventata. Mi ha detto che sapeva delle cose su delle persone, cose che non poteva dirmi.” “Puoi essere più preciso?” “C’entrava qualcosa la tua azienda. Se non ricordo male, un tuo socio in particolare anche se non mi ha fatto nomi. Disse che tu eri in pericolo, che lei aveva sentito tutto. Non so altro.” “Fammi capire, la tua ex moglie viene da te, disperata, dicendoti che tuo figlio è in pericolo, e tu non muovi un muscolo?” Non so cosa mi abbia sconvolto di più tra l’enigmatico racconto di quella sera o il comportamento di quello che dovrebbe essere mio padre. “Sembrava una pazza! Delirava!” Il suo tono si è alzato e non posso sopportare oltre. Mi alzo di scatto e guardandolo profondamente negli occhi gli rivolgono le ultime parole che mi restano. “Mi fai schifo.”
  
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