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Autore: Yellow Canadair    26/09/2017    3 recensioni
Kaku cercò di incoraggiare Rob Lucci: « Andrà tutto bene, anche se ti hanno portato via le mani. Caro Vegapunk è dalla nostra parte, sta aiutando Hattori, ha aiutato me e Jabura, e aiuterà anche te. Ci deve la vita, e sta collaborando. Andrà tutto bene »
Al ritrovamento del One Piece, i poteri dei Frutti del Diavolo sono scomparsi e i possessori sono svenuti. Il Governo Mondiale è caduto, e i suoi membri sono stati usati per degli osceni esperimenti.
Il CP0, smantellato e separato, a fatica si riunisce, e trova riparo fra le montagne, dove nessuno può udire le grida di dolore di coloro ai quali gli esperimenti hanno portato via parti del proprio corpo.
[Futuro distopico] [Post-One Piece] [Arti che saltano] [Vegapunk... Caro Vegapunk]
Questa storia partecipa al contest “Humans + (prosthetic kink contest)” a cura di Fanwriter.it!
Genere: Angst, Science-fiction, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jabura, Kaku, Kumadori, Rob Lucci, Vegapunk
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dal CP9 al CP0 - storie da agenti segreti'
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★   Iniziativa: Questa storia partecipa al contest “Humans +” a cura di Fanwriter.it!

★   Numero Parole: 1616

★   Prompt/Traccia: (25) Incubi.

 

Veglia con il Lupo

 

Stava sveglio, di notte, a osservare le sue nuove braccia.

Le muoveva lentamente davanti al naso, stringeva il pugno di scatto, lo apriva con calma, girava e roteava i polsi, alzava le braccia al cielo mentre stava steso e le guardava, così strane, così diverse dai suoi muscoli, così più resistenti, così ancora da scoprire.

“Vacci piano” lo aveva ammonito Caro Vegapunk "Niente tecniche strane, niente allenamenti. Devi dare tempo al tuo corpo di abituarsi alle protesi. Loro sono altamente tecnologiche, tu no”

Tsk. Quella donna non sapeva con chi aveva a che fare.

Però, aveva notato Rob Lucci, all’inizio le mani meccaniche ci avevano messo un po’ di tempo per abituarsi agli ordini che trasmetteva dalla sua mente: evidentemente anche loro avevano bisogno di una fase di rodaggio, per calibrarsi.

Si appoggiò un palmo su una guancia: era freddo e liscio.

Hattori aveva accettato subito quel cambiamento. Non gli importava nulla, e Lucci non poteva essergliene più grato. Il colombino, però, si era preso di prepotenza qualche minuto per studiare quei nuovi arti, per girarci attorno, per studiare le articolazioni delle dita, per saggiare con la punta del becco quelle braccia che di umano avevano ben poco e ascoltare il rumorino che produceva il becchettarvi su.

Fasce d’acciaio e placche d’alluminio formavano superbe mani bioniche, gelide ed efficienti. Esattamente come lui. Rob Lucci non potè fare a meno di sorridere soddisfatto.

 

Stava sveglio, di notte, a osservare le sue nuove braccia.

Perché quando chiudeva gli occhi riusciva a vedere la sega che gliele aveva strappate via.

Qualcosa a metà tra il sogno e il ricordo, rivedeva i denti d’acciaio, il rumore folle del motore che li faceva girare, sentiva le cinghie che legavano al letto il suo corpo inerme. Il sangue. Lo scricchiolare delle sue ossa frantumate…

Sognava i volti coperti degli uomini che l’avevano mutilato. Sognava Hattori, brutalmente fatto a pezzi solo per svegliare lui da quella strana forma di coma. Sognava di non svegliarsi in tempo per portarlo via. Sognava di non riuscire più a mangiare, né fare una firma, né farsi la barba come tutti. Sognava il Governo che lo gettava via, come già era accaduto…

Si svegliò di soprassalto e si rizzò a sedere con la sola forza degli addominali, sudato fradicio, col fiato mozzo e con il cuore che gli martellava in petto. Maledetti sogni, l’unico momento in cui tutto il suo autocontrollo svaniva.

« Ehi. Incubi strani? »

Si guardò attorno, cercò di mutare il volto in felino per vedere nel buio, ma quel potere non esisteva più. Pazientò qualche istante, e poi capì che chi aveva parlato era quel bastardo di Jabura.

Il Lupo era seduto nel suo letto, dall’altro lato del piccolo rifugio, con la pilota e Kumadori che dormivano alla grossa, e un lieve russare si levava dall’agente dai capelli rosa.

« Niente di grave » asserì Lucci togliendosi i capelli dalla fronte con uno scatto della testa, ben attento a non offrire lati deboli al suo rivale storico. Il letto di Kaku, accanto al suo, era vuoto: era il suo turno di guardia.

Jabura si alzò dal letto e si diresse verso il secchio con l’acqua accanto al fornelletto a gas. Alzò il coperchio, immerse una gavetta di acciaio e la portò al collega. La posò a terra, vicino al nido di stoffa di Hattori, e poi porse a Lucci la protesi dell’avambraccio destro, perchè se la mettesse e potesse bere da solo.

« Succede spesso a tutti, di svegliarsi nel mezzo della notte » disse, senza guardare negli occhi Lucci ma aiutandolo a montare sul moncherino l’avambraccio meccanico.

« Non è niente che debba allarmare nessuno » ribattè Lucci « Puoi tornare a dormire »

« Razza di irriconoscente! » ringhiò il Lupo « Non ci riesco. Secondo te che ci facevo, sveglio? »

Rob Lucci accese la propria protesi, brillarono i neon azzurri sulle nocche e lungo l’avambraccio, e illuminarono il volto stanco del suo collega, i suoi capelli sciolti che scendevano a cascata fin sul petto, con tanti, troppi, fili bianchi in tutto quel nero. Si ricordò che anche lui ne doveva aver passate di brutte. Bevve piano dalla gavetta, sentendo in bocca il sapore del metallo.

« Quanto dureranno questi disturbi? » domandò.

Jabura si strinse nelle spalle. « Non me ne intendo. Lili ha parlato di stress post-traumatico, ma non ne sa molto nemmeno lei. » sorrise amaramente « Mi dice sempre di svegliarla, se di notte c’è qualcosa che non va, ma… » ma era stanca anche lei, che tutto il giorno, e spesso anche la notte, andava su e giù tra le valli per assicurarsi che nessuno li scoprisse. Jabura si voltò verso il cumulo di coperte che nascondeva la donna, di fianco alla massa più voluminosa di Kumadori. « Se non ti senti bene la sveglio »

« Non mi serve niente » ci mancava solo di tirare giù dal letto tutti quanti per un brutto sogno! Avevano quattro anni? Posò la gavetta e con la mano meccanica lasciò una carezza delicata su Hattori, per non svegliarlo. Dormiva accoccolato vicino al suo cuscino, e non poteva più ficcare la testa sotto l’aluccia come al solito, quindi si ritirava sotto un drappo scuro per sfuggire alle luci e stare al calduccio.

« Succede anche a te, allora. » mormorò infine, rivolto al collega.

« Fare incubi? Io? No. Qualche sogno mi innervosisce, tutto qui. »

Il che, tradotto, voleva dire incubi spaventosi che lo tormentavano facendogli rivivere chissà che ricordo fino a svegliarlo. Jabura minimizzava sempre, per fare il duro.

« Cosa ti ha… innervosito? Io che ti superavo nei Doriki? Di nuovo? » lo provocò sfacciatamente.

« Idiota » scoprì i denti Jabura « Se ci tieni a saperlo, sogno quando mi hanno tolto le vertebre. Senza anestesia, maledetti. Quando ho capito che, senza, mi sarei cacato addosso per tutta la vita » sbottò furioso, voltandosi poi verso i compagni addormentati per controllare che la sua ira non li avesse svegliati.

Rob Lucci non riuscì a trovare nulla per ribattere. Conosceva cosa portavano i danni a livello spinale… cosa succedeva invece se la colonna veniva addirittura rimossa? E “senza anestesia”? era impossibile, Jabura era noto per raccontare un sacco di balle… se fosse stato vero, sarebbe  stato  inconcepibile che fosse ancora vivo… scosse la testa, voleva scrollarsi di dosso l’immagine di cosa doveva aver passato il collega.

« Beh, adesso sembri in salute. E non hai l’odore di uno che si caga addosso… almeno quello » perché senza acqua corrente, di odori in quel rifugio se ne sentivano tanti, troppi.

« In salute… ringraziando quella pazza di Caro. Ci ha messo cinque giorni, per rimettermi insieme »

I mesi di prigionia erano i ricordi più brutti della sua vita. Quando si era svegliato, paralizzato, e gli avevano detto che non si sarebbe mosso mai più, che sarebbe stato solo un corpo a disposizione degli scienziati Antigovernativi… quei giorni in cui gli veniva iniettato di tutto, in cui era intontito, aveva le allucinazioni, non poteva muoversi e, anche se non l’aveva mai detto a nessuno, era spaventato a morte.

Quando era stato salvato (una fuga rocambolesca, su una barella trafugata, perchè non poteva camminare), aveva pregato Kaku di ucciderlo. Uno Shigan dritto al cuore, tanto non avrebbe sentito nulla. Era il suo mestiere, uccidere, no? Gli risparmiasse l’umiliazione di vivere ridotto così, e lo uccidesse.

E Kaku aveva detto ok. Però a una condizione: andare prima da Caro Vegapunk.

Caro Vegapunk aveva protestato, lei il debito l’aveva saldato riparando le gambe di Kaku, era inutile quella questua davanti alla sua porta di casa, con il rischio di svegliare i vicini in piena notte. Ma poi, per fortuna, guardando quel gruppo di amici che la pregavano con le lacrime nel cuore, si era convinta e aveva fatto trasportare Jabura dentro casa.

Poi aveva scoperto che c’era da sostituire un’intera spina dorsale, e l’aveva presa come una sfida personale.

Lì, dalla scienziata, Jabura era stato cinque giorni, in un seminterrato che faceva da laboratorio e sala chirurgica, e lei gli aveva collegato alle costole rimaste una colonna vertebrale di metallo, aveva ricollegato i nervi e le terminazioni, e dopo quei cinque giorni sotto i ferri ne erano passati altri dieci, perchè le ferite e i tagli che aveva praticato Caro per impiantargli quella protesi ai limiti della fantascienza si cicatrizzassero. Immobile a pancia in più per tutto quel tempo, ma non gliene era importato: uscito dal seminterrato, dopo i primi cinque giorni, era riuscito a stringere le dita attorno alla mano di Lili.

« Concentrati su qualcosa di bello » gli consigliò Jabura, pensando alle lacrime di gioia della ragazza, che copiose erano scese quando l’aveva visto muoversi di nuovo. « Qualcosa che ti faccia pensare al futuro » perché di futuro e di speranze parlavano i versi che Kumadori aveva declamato sciogliendosi dalla commozione.

E tanto per cominciare, aveva minacciato Kaku di scaraventarlo fuori dalla finestra, se si fosse azzardato ad avvicinarsi per fargli uno Shigan.

« Torna al tuo posto » sospirò Rob Lucci, rimettendosi sotto le coperte e scollegando la propria protesi « Il prossimo turno di guardia è il tuo, no? »

Vide il compagno dargli le spalle, con le luci della sua colonna bionica che mandavano dei bagliori offuscati dalla stoffa dei vestiti; lui doveva mantenerla sempre accesa, non poteva spegnerla o toglierla a piacimento, altrimenti… Lucci s’incupì ancora di più.

Ma per fortuna il Lupo reagì: « Ci vado da solo! Mica avevo intenzione di farti la guardia per tutta la notte! »

« E basta… » si levò un lamento cavernoso dal fondo del rifugio.

I due litiganti si chetarono.

Stava sveglio, di notte, a osservare le sue nuove braccia.

E anche se a volte si svegliava, spaventato, sapeva che c'erano i suoi compagni tutt'attorno a lui.

 

 

 

 

Dietro le quinte...

E non sapete CHE BELLO pubblicare questo capitolo! È il primo a cui ho pensato, la conversazione tra Lucci e Jabura, la confessione (un po' sbilenca, incompleta e nascosta) di quanto anche per il Lupo siano stati difficili i mesi di prigionia, anche se non lo ammetterà mai in maniera palese -tipo durante il duello con Sanji, che diceva "non mi fai niente, sei scarso", e pensava "chi accidenti è questo, che mi sta facendo il culo?!" 

E poi ci sono le paure di Rob Lucci, che così orgoglioso ha difficoltà a gestire un corpo che, a volte, ha bisogno dell'aiuto degli altri. Ma per sua fortuna, i suoi amici non lo lasciano mai solo! Però ehi, come fuziona bene questo braccio meccanico, chissà che per uccidere non sia meglio del vecchio! 

Adoro Jabura, chi mi segue da un po' credo l'abbia leggermente capito, e sono contentissima quando mi ritaglio un capitolo solo per lui ♥ Vi piace?

Grazie a tutti coloro che stanno seguendo e grazie ai recensori, GRAZIE RAGAZZI, siete magici ♥♥♥ e vi do appuntamento in settimana per l'ultimo capitolo! Eh sì, fine della raccolta :( ma forse più avanti aggiungerò qualche altro capitolo. Per ora è tutto!

Un bacione a tutti

Yellow Canadair

  
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