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Autore: NicolaAlberti    28/09/2017    0 recensioni
Prima parte cap. 1-10 "PURGATORIO" - Seconda parte cap. 12 - 21 "INFERNO"
Una storia d’amore impossibile immersa in un’ambientazione surreale dai tratti cyberpunk e dai richiami danteschi. Una minaccia robotica che spinge il protagonista alla paranoia e alla fuga tra i meandri di una labirintica e utopica costruzione babelica che ha sostituito l’antica città di Parigi. La ricerca della verità tra le intricate illusioni di una nuova era tecnologica che ha stravolto il mondo, mentre qualcosa di oscuro e insondabile, un dubbio perenne nella mente del protagonista, continuerà a modificare la sua percezione del reale, costringendolo ad esplorare il dedalo della propria coscienza.
Genere: Introspettivo, Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Avanzavo spedito e circospetto, avrei voluto nascondere il mio volto dietro un bavero o sotto uno spesso cappuccio. Tenevo lo sguardo nudo puntato verso il basso, cercando di cogliere maniacalmente, con la coda dell'occhio, i movimenti di chi mi capitava appresso. In realtà considerando che ogni cosa era controllata da robot con sensori e scanner genetici, questo mio comportamento era totalmente insensato, ma avevo il sospetto e il timore che gli osservatori incorporassero anche un qualche sistema di riconoscimento ottico. Le persone mi scivolavano a fianco senza prestarmi attenzione. Ognuno era rapito dalla propria vita e dal proprio mondo. Un mondo appositamente ricreato per distogliere l'attenzione dal pensiero e dalla riflessione, annegando l'uomo in un tripudio di sensi e di peccato.

Arrivai quindi completamente ignorato all'entrata del mio hotel cubicolare e imboccai il lungo e curvo corridoio che portava alla mia stanza. La mia chiave digitale da polso emetteva un tenue segnale acustico che indicava una distanza di poco meno di cinquecento metri. Alzai lo sguardo di fronte a me. Ciò che vidi comparire improvvisamente appena dietro la lieve curvatura del corridoio mi fece gelare il sangue. Istintivamente abbassai la testa e feci qualche passo indietro. Davanti alla porta della mia stanza c'erano due osservatori e un sintetico. Una delle due sfere di vetro nero stava proiettando un fascio laser color rubino sulla mia serratura genetica. Continuai ad indietreggiare cautamente per uscire dal campo visivo e appena ne ebbi l'occasione me la diedi a gambe. Fuggii senza una destinazione precisa, lanciandomi senza alcuna esitazione e senza guida nei complicatissimi meandri di quel labirinto di luci e metallo.

E adesso? Cosa dovevo fare? In quella stanza c'era quanto rimaneva della mia esistenza e forse anche l'unica possibilità  di contattare Amal. Ma, d'altra parte, se avevo ben interpretato le parole di Alma, una volta preso, mi avrebbero sicuramente dematerializzato. Era un rischio che non mi sarei mai sognato di correre, codardo com'ero. Vagavo totalmente disperso e disperato tra i piani del Dedalus. Salii e scesi diverse volte, cercando un posto che fosse il meno controllato e affollato possibile. Ogni volta che vedevo una macchina cambiavo direzione, fuggendo come un pazzo anche dal più tenue riflesso di ogni sfera nera che intravedevo in lontananza. Qualcuno dei passanti cominciò a notarmi, vidi le loro espressioni allucinate. Quando mi accorsi della cosa, la mia paranoia si acuì. Cominciai a pensare che qualcuno potesse denunciarmi agli osservatori o portare la loro attenzione su di me. Ad un certo punto sentii vibrare il polso. La mia chiave genetica pulsava emettendo una luce di un colore blu fluorescente. Ebbi l'atroce dubbio che potessero rintracciarmi sfruttando il segnale guida al contrario. Ma certo! Cosa c'era di più semplice per dei sistemi informatici così avanzati?! Dovevo sbarazzarmene, ma come avrei fatto poi a tornare al mio cubiculum? Mentre mi slacciavo febbrilmente il cinturino osservai per un secondo il quadrante. Il display proiettava una foto di Amal... una semplice olochiamata! Quella luce lampeggiante e quella vibrazione non erano nient’altro che la suoneria della mia chiave. Chissà quali altre funzioni possedeva quell'arnese! Probabilmente era in collegamento diretto con l'olofono dell'abitazione. Mi venne l'atroce sospetto che rispondendo sarei stato sicuramente intercettato. Chiusi gli occhi e deglutii, dovevo rispondere.

Mi appostai sotto l'ombra di una scala magnetica che saliva verso dei locali sopraelevati. Erano delle sale da gioco distribuite attorno ad una sorta di vicolo cieco, un androne chiuso e piuttosto appartato. Un intreccio indescrivibile di emozioni contrastanti mi attanagliava lo stomaco, sentivo i battiti del cuore che mi esplodevano nel cervello. Con voce tremolante dissi: «accetta olochiamata».

Comparve una miniatura della testolina di Amal a pochi centimetri dal display. Aveva gli occhi spalancati e ridenti, con il loro inconfondibile taglio mediorientale, e i capelli corvini le cadevano con leggerezza ai lati del viso sfumando nell'aria. Le sue labbra erano aperte in un sorriso un po' ingenuo. «Haaaaa!!!», urlò con voce acuta. Mi prese un colpo. Dovevo avere un'espressione allucinata, ma mi sforzai di sorridere e, fingendo stizza, posi un dito sulle labbra. «Sshhh, ma che cazzo Amal! Ti ha dato di volta il cervello? Non sai in che situazione mi trovo!». Lei rispose ridendo ancora più chiassosamente, strinse leggermente gli occhi e rispose: «Ha ha ha, certo che lo so! Ti ho visto in centro al tredicesimo, sai!!». Quindi non era solo una mia impressione, mi aveva visto. Risposi sarcastico: «Eee ti credo, mi hanno fatto praticamente una perquisa dei geni! Tutta quella la gente che mi guardava... ma che cazzo succede in sto posto??!». Lei esplose in un altro urlo seguito da una risata che mi costrinse a coprire gli altoparlanti dell'olofono con la mano. Mi guardai intorno sudando freddo. «Che belloo! Sei quiii! Mi hai seguito perché mi ami vero??» disse Amal. Un'espressione placida sorse spontanea sul mio viso, sorrisi dolcemente: «ma certo, come potevi pensare che avrei lasciato andare tutto a quel modo?». Divenne seria. Riuscivo a capire quando lo era. Riconoscevo i suoi sentimenti anche dietro alla risata perenne che usava come maschera per nascondere l'immediatezza dei suoi cambi d'umore. Continuò il discorso esitando: «... sai che non potevo farci niente io... cioè... boh. Capisci che quello che ho fatto era l'unico modo per poterti stare lontana... intendo, senza conseguenze... Tu per me sei tutto! Eccoo!!». I contorni della vicenda alla quale faceva riferimento, e che avevo appena rievocato, mi sfuggivano. Era come se stesse parlando di un suo passato e non di qualcosa che io avevo vissuto direttamente sulla mia pelle. Era una sensazione che già diverse volte mi era capitato di provare da quando mi trovavo nel Dedalus. Sapevo tuttavia che era una memoria che mi riguardava e di cui facevo parte. Che fosse ancora una volta un effetto collaterale della materializzazione? Forse il processo di transizione aveva alterato i miei ricordi, cancellandoli o, per così dire, allontanandoli? Risposi in maniera automatica, come se stessi recitando la battuta di un personaggio, la cosa mi sorprese: «ma stai scherzando? Non ho mai dubitato per un solo secondo di te! So che l'hai dovuto fare!». Ma cosa era successo? Cosa mi aveva fatto in passato Amal?! I discorsi che facevamo avevano immediatamente ripreso quel nostro modo scherzoso e banale di comunicare, anche in mezzo alle situazioni più disperate. Tutto era avvenuto con naturalezza, mi bastò semplicemente un suo sorriso. «Ascolta Amal... sono nei casini... gli osservatori mi cercano!». «Ma sììì, ma sììì, chissene... anche a me mi stanno cercando, ha ha ha, mi hanno sgamato a rubare in un negozio!», ribatté ridacchiando dietro alle mani, mentre gli occhi le si spalancavano nuovamente. «Ma ti sei rincoglionita? Che cazzo fai?». Sbottai con un tono di rimprovero. «... comunque... io qui rischio la dematerializzazione! Altro che rubare!». «Ma vaaa!! Vedrai che andrà tutto bene... ti proteggo io!», disse protendendo le labbra e mandandomi un bacio. «Seee, ti vedo a combattere contro le palle di vetro tirando calci e sbracciando mentre urli: "stronziiiiiii"!», dissi ridendo di gusto. Ero felice. «Come faccio a trovarti? Credo che sto coso che ho al polso li porti da me... devo sbarazzarmene». «Ti ho detto di non preoccuparti! Se ti fai le pare è sicuro che ti trovano, se stai tranquillo vedrai che non può succederti niente. Quell'affare è indifferente se lo butti o meno, se lo tieni forse ti è più facile richiamarmi... mah, magari puoi fare altre cose che non sai neanche di poter fare... insomma fidati!». I classici ragionamenti sconclusionati di Amal! Eppure qualcosa, dentro di me, mi suggeriva di seguire i suoi consigli. Proseguì: «Allora, se vuoi farti trovare, semplicemente stai vicino ad una porta e aspettami... ti trovo io, ciaooo amooo!». Prima che potessi ribattere qualsiasi cosa, la sua testolina scomparve. E adesso?? Avrei dovuto posizionarmi vicino ad una porta qualsiasi e lei mi avrebbe trovato? Era una cosa che deviava da ogni logica! "Magari ha un dispositivo che le permette di rintracciarmi", pensai. Ma chi mi assicurava che non mi avrebbero trovato prima gli osservatori? Mi abbandonai comunque a quell'irrazionale speranza, dato che, ormai, mi ero reso conto che in quel luogo potevano trovare compimento le cose più assurde, ma soprattutto perché Amal, terminando l'olochiamata, non mi aveva dato altra scelta.

Mi avvicinai ad una delle porte delle sale giochi, attendendo inesorabilmente l'arrivo di qualcuno o qualcosa. Pensai che probabilmente la prima persona che avrei avuto modo di vedere uscire da quella porta sarebbe stata un giocatore spennato con gli occhi gonfi e l'alito che puzzava di alcol. Peggio ancora poteva uscirne un droide di sorveglianza che mi avrebbe immediatamente segnalato agli osservatori, decretando così la mia fine. Quasi nello stesso istante in cui mi accostai alla porta, questa si aprì e ne uscì una ragazza poco più che diciottenne con una pettinatura all'orientale. Ai lati della testa i capelli erano raccolti in due chignon e due ciuffi scuri le contornavano il viso color bronzo: era Amal!

Erano passati a malapena una manciata di secondi dal termine dell'olochiamata al momento in cui lei comparve dalla porta della sala da gioco e, per di più, aveva una pettinatura diversa da pochi istanti prima. «No, adesso mi dici come cazzo hai fatto! Eri qui dentro per tutto sto tempo?! E poi... i capelli???». Lei protese le dita scuotendole di fronte ai miei occhi e, abbassando la voce in un tono grave, disse: «magiiiaaaa». «A parte gli scherzi... c'ho messo molto di più di quello che pensavo, non so quanto tempo abbiamo... Ti sono mancata?». Senza esitazione risposi: «non sai quanto!». «Caaaroo». Fece una breve pausa e mi guardò intensamente stando in silenzio. Volevo avvicinarmi per baciarla, ma esitai imbarazzato e dissi: «forse dovremmo andarcene da qui». «Vaa beeene... Dove vorresti andare?». «Non ne ho la minima idea, conosci un posto al sicuro?». Lei fece un sospiro e disse: «Ooo, ma che palleeee, non l'hai ancora capito? Non c'è un posto che sia veramente pericoloso qui al Dedalus... è solo una tua paranoia!». «Ma...», tentai un obiezione che venne immediatamente interrotta dalla sua irruenta spontaneità. Mi prese per mano e aprì la porta della sala da gioco. «So io dove portarti, ti mostro l'ultimo piano!». Quando varcammo l'uscio ci ritrovammo nel bel mezzo di un disco-club. Il posto era stracolmo di gente e una musica elettronica si diffondeva a massimi volumi, mentre uno speaker gridava qualcosa in una lingua che non distinguevo. «Ma non doveva esserci una sala da gioco qui?», le chiesi perplesso. Senza rispondere alla mia domanda si limitò a dire: «tranquillo, conosco una scorciatoia se abbiamo fortuna in un paio di varchi siamo in cima». Si diresse senza esitazione in mezzo alla calca alzando le braccia e urlando, mentre sculettava a suon di musica. Io la osservavo esterrefatto cercando di tenere il passo. Uscì quasi subito dalla calca, salutando di tanto in tanto qualcuno dei presenti con un bacio sulla guancia e, lasciandosi alle spalle la gente, si diresse con sicurezza verso i bagni. Attraversammo una porta scorrevole che conduceva ad uno spiazzo antistante agli ingressi dei servizi per le donne e per gli uomini. «Niente... cessi! Cazzooo, che palleeee!» disse lei stizzita. «E cosa ti aspettavi di trovare? Un ascensore?», domandai abbandonandomi sarcasticamente alla mia stupida ovvietà. Lei si voltò verso di me e disse: «ascolta... proviamo qualcosa di diverso. Tieni la mia mano e immagina che il muro sia poroso. Immagina che sia fatto di sabbia oppure come un liquido... una roba del genere insomma. Seguimi senza fermarti!». Io, che ancora navigavo nella piena ignoranza di ciò che stava succedendo, credetti che fosse sotto l'effetto di qualche droga o fosse totalmente impazzita. Si diresse verso una parete completamente spoglia e mentre mi teneva la mano destra allungò l'altro braccio verso la parete.

Impossibile!!!

La sua mano attraversò senza difficoltà , anche se lentamente, lo strato metallico della parete e, piano piano, dopo la mano, passarono il braccio, la spalla e il resto del corpo. Stava per scomparire completamente dietro il muro trascinandomi a sé. Mi dovetti a quel punto convincere che tutto quello che mi aveva detto era reale. Chiusi gli occhi e pensai di attraversare una parete liquida. Gradualmente mi sentii immergere in una specie di fluido molto denso e colloso, come il miele. Prima la mia mano, poi il braccio passarono attraverso il liquido, poi immersi il viso. Trattenni il respiro mentre il mio cuore esplodeva ritmicamente all'interno del petto. Sentii come una brezza leggera sfiorarmi le guance, sentii il tepore di un sole che sembrava reale. Ripresi a respirare e mi calmai.

«Apri gli occhi», disse Amal.

 

   
 
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