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Autore: _Nausica    29/09/2017    3 recensioni
Rose Weasley.
Caos e confusione
È il panorama di sempre tra il groviglio indefinito di cugini che la intrecciano in una trama già scritta, e il sigillo di due genitori già brillanti. Un nome incandescente che rischia di plasmarla nel magma dell’anonimia.
Caos e confusione.
È la paura di lasciarsi sommergere dal disordine che le appartiene.
Sembrerà più facile essere trasportata in un mondo dove realtà e inganno si confondono, e quel confine tra fragilità e orgoglio sarà messo a dura prova dal ragazzo, odiato e amato, che irromperà nella sua vita. Costretta ad affrontare quel gioco semplice e affascinante dell’essere in due, farà emergere dal caos il suo significato, il suo reale contenuto.
Finché anche Scorpius Malfoy prenderà forma dentro sé
Dal testo
Il getto di acqua calda la tranquillizzò. Poi le ricordò il calore dei vapori di quella sera impregnare la camicia di Scorpius e spingerla contro il suo petto sicuro; i capelli biondi ricadere sul volto imbronciato; gocce d’acqua accarezzare i suoi lineamenti, seguire il profilo del naso, lambire le labbra sottili.
Avvertì pressione sulle cosce, lì dove lui l’aveva afferrata per lasciarsi imprigionare dalle sue gambe. Per avere la possibilità di toccarla.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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-E il copione? Il copione dov’è?
-Dentro di noi, signore.
Il dramma è dentro di noi.
 

 

 

CAPITOLO X


Wonder





Le dieci e mezza di sera poteva essere ancora considerato un orario consono per bussare alla porta dello studio di un professore. E il fatto che il docente in questione fosse giovane e attraente non avrebbe compromesso in nessun modo tale constatazione. Almeno questo era ciò che Rose continuava a ripetersi mentre attendeva in fila nella Sala d’Ingresso il proprio turno alle Scale Mobili.
Bethany Hockins le stava davanti con i suoi capelli crespi, lunghi fino a metà schiena, ricci e arruffati, talmente tanto vaporosi da ostacolarle la visuale e costringerla a concentrarsi solo su di essi e sul desiderio di riportarli all’ordine con qualche incantesimo che aveva da tempo sottratto a Dominique.
Una folata di vento gelido arrivò dal portone e Bethany tirò su con il naso. Un coro di voci femminili, di risatine eccitate, acute come tanti spilli fece storcere il naso a Rose con disappunto. Poi il gregge si manifestò e Kate Hastings chiuse la coda, tra le dita ancora l’ultima sigaretta, fatta sparire subito dopo a suon di bacchetta. Rose le avvertì seguirla nella fila, mentre questa avanzava lentamente. Il silenzio scese tra le ragazze quando Kate le superò e si posizionò al centro del branco, subito dietro Rose. Lei poteva percepire i risolini e gli sguardi complici, canzonatori che le perforavano la nuca, attraversavano la sua schiena e indugiavano sui suoi capelli, sulle sue gambe, sul suo sedere, su tutto ciò che potesse farla sentire una preda accerchiata da lupi. Esasperata, Rose si voltò, porgendo loro uno sguardo che sperava fosse più fermo di come in realtà si sentisse. Kate si zittì e piegò la testa di lato con un sorriso.
  «Hai perso qualcosa, Weasley?» sibilò la Hastings molto lentamente con voce melliflua e la lingua da serpente che lambiva le labbra. «Oltre la dignità ovviamente» aggiunse. Le ragazze che la circondavano fecero finta di trattenere una risata ma si abbandonarono a risolini discreti, quasi soffocati; una di loro si coprì gli occhi con la mano e abbassò il capo, dando sfogo ad una ilarità che stava fomentando da quando si erano avvicinate a Rose. Quel gesto scatenò anche il resto del branco e il gruppetto al cui centro troneggiavano Kate e Rose aveva ormai attirato l’attenzione di tutti.
  Rose sospirò «Che problema hai?» disse.
 «Con te davvero tanti» esclamò Kate. «Eppure mi basterebbe non vederti ogni giorno alla mia tavola, nel mio gruppo di pozioni. Ormai, mi aspetto solo di trovarti nella mia Sala Comune» disse con un tono sempre più plateale. E Rose glielo riconobbe, era brava ad attira l’attenzione su di sé. Era bella, vivace e prepotente: tutto il necessario per avere ogni situazione sotto controllo. «Davvero non c’è nessuno delle tue amiche che riesca più a sopportarti? O della tua Casa in generale?» disse con un’espressione rammaricata. «Qualcuno del primo anno?» propose con un sorriso beffardo.
Rose strinse i pugni e avanzò di qualche passo lungo le scale, che finalmente avevano preso a muoversi. Si concesse qualche secondo per non guardare nessuno di loro e cercare di ignorare l’attenzione degli studenti che li guardavano curiosi. Puntò lo sguardo su Bethany dai capelli crespi e quando lesse anche sul suo volto tracce di compassione, si rese conto di stare precipitando nel baratro della disperazione.
  «Non mi sembrava che Albus e gli altri morissero dalla voglia di stare in tua compagnia» disse Rose con gli occhi fissi sulla ragazza.
Kate arricciò le labbra indignata e ridusse gli occhi a due fessure. «Sono i miei compagni di Casa, non i tuoi e sarà sempre così. Tra di noi tu non c’entri niente».
  «Eppure non ci hanno pensato due volte prima di mollarti per me» disse Rose, mimando quel sibilo fluente e altezzoso dei Serpeverde.
La scala si fermò all’altezza del terzo piano e Rose salì gli ultimi gradini con tutta la dignità che sentiva di aver guadagnato, ma continuava ad avvertire gli sguardi degli altri che non la perdevano di vista, dopo che si ebbero scostati per aprire un varco e lasciarla passare. Quegli sguardi la seguivano e la studiavano mentre lei si allontanava con il proprio cognome marchiato tra i capelli e l’aria di chi volesse sempre essere al centro del mondo. Quando finalmente voltò l’angolo, tirò un sospiro di sollievo, rilassò le spalle e abbandonò quell’andatura trionfale che aveva imparato ad indossare, ma che detestava più di ogni altra cosa.
 
Bussò due volte, perché con una avrebbe corso il rischio di non essere udita e con tre sarebbe sembrata insistente. Quindi bussò due volte. La porta si aprì da sola con suo immenso sollievo: sarebbe stato imbarazzante trovarselo sull’uscio, magari in tenuta da notte, sorpreso e appena imbarazzato con il suo sguardo gentile che la invitava ad entrare e si scusava per il disordine, ma non aspettava visite.
Ed effettivamente di quello si sarebbe dovuto scusare, perché lo studio del professor Perkins era, aldilà di ogni previsione, l’Inferno sulla terra. La stanza sembrava piccola, poiché fiocamente illuminata da qualche alta candela che dal pavimento giungeva al soffitto; Rose scavalcò diversi fili di gomma che collegavano la porta alla scrivania, addossata alla parete. Era ottagonale e delimitata su ogni lato da pile ordinate di libri; questi erano sparsi sul pavimento, ricoprivano le mensole e le librerie, erano aperti sul tavolo, insieme a fogli di pergamena. Tante lunghe travi di legno scendevano dal soffitto e terminavano con delle ruote dai raggi sottili che giravano senza sosta, come mossi dal vento.
Rose si affacciò oltre la scrivania, ma vi trovò soltanto molte penne di piuma spezzate e gettate sul pavimento. Quando pensò di aver scelto il momento sbagliato per disturbare il professore, si accorse di non aver ancora perlustrato un’altra ala dello studio. Proseguì lungo uno stretto corridoio che nel buio della notte non aveva notato e si ritrovò su un ampio terrazzo, dove il vento soffiava potente e un incantesimo lungo la balconata simulava il moto di un mare in tempesta, tanto che Rose fu inondata dall’odore di salsedine e dagli schizzi gelidi e affilati. Da quell’altura non era il Castello incantato che si scorgeva, come da ogni altra finestra della scuola, ma un’ampia distesa verde, seguita da un fitto bosco di alberi floridi e imponenti,
sinistramente compatti e poi ancora in lontananza sembrava di osservare l’immensa superficie del mare.
  «Una vista che nessun altro angolo di Hogwarts ti offre» disse la voce rilassata alle sue spalle. Rose trasalì e si voltò verso Isidore, ma non lo trovò. Emerse dall’oscurità, avvolto in un lungo mantello nero che si distendeva sul pavimento, avvolgendolo in una circonferenza scura. «E’ ciò che mi ha convinto ad accettare il posto. Non la fama della scuola, non l’idea dell’insegnamento, non la magia che trapela ad ogni angolo. Solo questa vista» aggiunse, distendendo il volto in una espressione serena. «Ti sembra assurdo?».
  Rose abbozzò un sorriso. «Un po’».
Lui la guardò un attimo, poi scoppiò a ridere e spalancò le braccia. «Sei sempre così sincera. Mi piace».
  Rose deglutì e iniziò a torcersi le mani. «Professore, mi scuso per l’ora. Sono qui per recuperare la mia bacchetta».
Isidore annuì. «Come è andata la punizione?».
  «Bene?» disse con esitazione. «Lunga e polverosa» aggiunse.
 «Come è giusto che sia» disse con un largo sorriso e gli occhi glaciali piegati dalla tenerezza. «Posso farti vedere qualcosa che allevia ogni pensiero?».
 Rose non lo guardò, ma abbassò gli occhi imbarazzati sulle dita intrecciate. Poi gli sorrise e lo seguì lungo la balconata. Gli schizzi d’acqua l’aggredivano ancora con innumerevoli frustate fredde, ma Isidore la incoraggiò con la mano e la precedette con piccoli passi. Rose chiuse gli occhi, si lasciò inondare dal mare e raggiunse il limite della balconata che si affacciava a strapiombo nel buio pesto. Quando li riaprì avvertì il nulla circondarla da ogni lato e la invase il terrore di precipitare al minimo movimento, finché Isidore non le afferrò la mano e indicò il fondo del burrone; lei sbirciò al di sotto dei suoi piedi e vide le onde del mare scontrarsi contro la parete rocciosa, mentre al centro della tempesta un faro solitario distendeva il proprio fascio di luce riportando la calma lungo la superficie da esso sfiorata. E Rose si lasciò catturare da quel tenue barlume di speranza, che si specchiava su acque increspate, riuscendo ugualmente a trarne conforto.
  «E’ bellissimo» riuscì a sussurrare, nonostante il fiato le mancasse. «Come sa esserlo sola la natura».
Isidore le si avvicinò all’orecchio e mormorò «Ma questa è magia». Lui fece un passo indietro e sparì dalla vista di Rose. La ragazza fu invasa nuovamente dal panico, guardò il faro e la sua luce serafica, ma questa non ebbe lo stesso effetto di prima. Sentì il pavimento cedere sotto i piedi e imitò Isidore, indietreggiando, prima che la roccia cedesse. La tempesta d’acqua la invase ancora una volta e la mano familiare la riavvolse, riportandola ad una realtà asciutta e stabile.
Il cuore di Rose batteva a mille, non sapeva se per l’emozione o per lo spavento. La sua mano rimase avvinghiata a quella del professore.
  «La magia è bellissima, ma è quasi sempre un inganno» disse Isidore. «Non essere mai imprudente, impara a distinguerla».
  Rose deglutì a fatica. «Qual è il senso di tutto questo?»
  «Ti ho mostrato qualcosa che può cancellare i brutti pensieri».
  «In realtà, professore, credo che la mia testa sia incapace di ogni tipo di pensiero in questo momento».
Isidore ridacchio e fece per allontanarsi, ma la mano di Rose ancora lo legava a sé. Rapidamente alzò gli occhi su di lei e la fissò intensamente, cosa che portò la ragazza ad arrossire e a sciogliere, dolente, la stretta. Quando la mano del professore abbandonò la sua, Rose avvertì nuovamente quella sensazione di instabilità, di abbandono, quel terrore di essere assorbita nel nulla, percepì il vuoto intorno a sé. L’immagine vivida cessò con la stessa rapidità con cui si era manifestata, ma la sensazione continuava a turbarla.
Isidore tornò da lei, porgendole la sua bacchetta. Quando Rose la accarezzò con la punta delle dita, si sentì rigenerata, come se le fosse stata restituita la capacità di muovere gli arti.
  «Te l’ho custodita bene» disse lui e Rose, in quel momento, guardandolo negli occhi glaciali, fu certa che in nessun altro posto sarebbe stata più al sicuro.
 

 
- § -

 
 

Il ritratto della Signora Grassa si chiuse alle spalle di Rose. Lily Potter, intenta a scapicollarsi giù dalle scale del dormitorio femminile, si arrestò appena la vide, assunse un cipiglio di rimprovero e affondò le mani nei fianchi arcuati.
  «Felice di vederti» esclamò Lily con talmente tanto sdegno da indurre la cugina a dubitare fortemente di tale felicità.
Rose lasciò scivolare la borsa con i libri sul pavimento «Mi cercavi?» domandò, massaggiandosi la spalla dolorante.
  «Da qualche giorno circa» sbraitò. «Ho anche organizzato una missione suicida per sottrarre a mio fratello la Mappa del Malandrino … Cosa diavolo pensi di fare?» urlò, frenando con la potenza del suo indice accusatorio Rose mentre cercava la posizione più comoda per stravaccarsi sul divano davanti al camino.
  La ragazza sobbalzò e si guardò intorno allarmata. «Riposarmi?» disse. «Ho passato l’intera giornata in aula studio. Nonostante i tuoi efficaci strumenti di ricerca, ti assicuro che ti sarebbe bastato affacciarti un attimo per trovarmi».
Lily assunse un’espressione contrariata e addolcì i toni, per un attimo troppo scossa dalla rivelazione. «Nessuno mette piede in quel posto» disse a metà tra la giustificazione e l’accusa. Ritenendo la cugina ancora più colpevole, riprese il cipiglio aggressivo. «Fila in camera mia».
Rose piegò le sopracciglia, perplessa dall’improvviso tono autoritario della ragazza. «Sai, tuo fratello James non è il migliore degli esempi da seguire».
   «Per le mutande di Merlino, Rose» la richiamò Lily. «Siamo in ritardo per la festa di Halloween. Non intendo sfigurare davanti a Lucas» esclamò, per poi voltarsi e percorrere la scalinata che conduceva al dormitorio femminile del quinto anno.
Rose osservò il lento danzare delle fiamme intorno agli arbusti, a quel legno raffinato e rassicurante; poi con un sospiro abbandonò il suo divano e seguì la cugina. «Alla festa mancano ancora quattro ore» disse con un lamento flebile e appena udibile, in tono autocommiserativo.
  Lily corrugò le sopracciglia in una espressione chiaramente oltraggiata. «Vuoi dire solo quattro ore» disse. «Se cerchi un miracolo, hai trovato la persona sbagliata» continuò, mentre Lily apriva la porta del proprio dormitorio.
  Bathilda Brown ed Eunice Kneen erano impegnate nell’arricciatura della chioma della seconda, le cui ciocche si ostinavano a rimanere lisce e amorfe, nonostante fossero state più di una volta avvolte intorno alla bacchetta di Bathilda. Eunice, troppo impegnata nell’accurata selezione di una delle tante boccette colorate stipate nel cofanetto davanti ai suoi piedi, non si curò del lavoro della sua fedele amica e riempiva la testa di quest’ultima con una serie interminabile di malignità. Quando Lily Potter fece il suo ingresso sobbalzarono e si ammutolirono, per poi concentrare la loro attenzione sulla ragazza alta e rossa, dalla chioma indomabile, che la seguiva. Eunice si scambiò uno sguardo di intesa con l’amica.
  «Oh Rose» squittì. «Non c’è bisogno di ricorrere a tanto» disse dolcemente.
Bathilda alle sue spalle annuì vigorosamente. «Solo perché le tue amiche non ti rivolgono più la parola e Scorpius Malfoy non ricambia il tuo amore, non devi pensare che sia tutto finito» disse con un sospiro malinconico.
  Eunice, che evidentemente aveva giudicato poco delicato l’intervento dell’amica, si voltò per incenerirla con lo sguardo, cosa che gettò Bathilda in uno stato di più totale confusione. «Con Vincent Nott, secondo me, ha ancora qualche possibilità» disse per giustificarsi, poi agitò le mani come a voler scacciare un pensiero rivoltante. «Dopo Candice Morgan».
  Rose rivolse alla cugina uno sguardo perplesso, mentre questa, una mano sulla tempia e un piede pericolosamente frenetico, evitava accuratamente di guardare verso le compagne di dormitorio.
  «Rose non ha bisogno di loro» disse Eunice con un luccichio negli occhi. «E’ una donna forte e indipendente. E poi, potrà contare su di noi per ogni cosa» aggiunse, guardando con speranza l’interessata.
Il piede di Lily assettò l’ultimo colpo al pavimento, poi la ragazza non si considerò più disposta a trattenersi. «Se ci tenete tanto ad essere d’aiuto, potete portare i vostri sederi ossuti fuori da qui».
  Eunice spalancò gli occhi indignata,ma talmente tanto indignata che si alzò dal letto con fierezza e con un colpo improvviso e si avvicinò a grandi falcate alla porta, trascinando con sé la bacchetta di Bathilda, ancora avvolta intorno ad una ciocca, e quindi la povera ragazza. Lily rivolse alla cugina uno sguardo mortificato.
  Rose si avvicinò al letto,  evitando con difficoltà pile di vestiti e di gonne succinte che avrebbero facilmente portato James Potter ad una morte prematura. Sotto lo sguardo circospetto di Lily, si aggirava con molta cautela, procedendo a tentoni, accompagnando ogni movimento con un sospiro allarmato della cugina. Finalmente individuò un minuscolo quadrato di letto libero da vestiti, si rannicchiò e incrociò le gambe. «Secondo te voleva essere un assaggio di quello che mi aspetta alla festa?» disse. Poggiò il mento sulla mano, immaginando la desolante serata che l’aspettava.
  Lily si morse le labbra «Ignorale, Rose» disse, aprendo le ante del suo armadio e finendoci completamente dentro. «Io lo faccio da cinque anni» borbottò la sua voce ovattata e confusa. Ne riemerse, stringendo tra le mani quello che aveva l’aria di essere un fazzoletto nero impreziosito, ma che Rose iniziò a temere fortemente potesse trattarsi di un indumento.
  «Non penserai di mettere quella roba, vero?»
La ragazza strabuzzò gli occhi e poggiò con molta cura il pezzo di stoffa sul letto. Lo osservò titubante e passò una decina di volte le mani su di esso, cercando di stirarlo al meglio. «Certo che no» disse, per poi rigettarsi nei meandri di quello che ormai aveva assunto l’aspetto di un camerino del Moulin Rouge, a giudicare dalle scarpe che Lily brandiva con fierezza. «Quello è per te».
  Rose non riuscì a trattenere le risate. «Stai scherzando» disse «Io non metterò mai una cosa del genere».
Lily guardò con indulgenza l’eccesso di ilarità della cugina e decise di lasciarsi cogliere da un moto di tenerezza nei confronti della sua totale perdita di senno. D’altronde, lei lo sapeva, le delusioni potevano portare a questo. «Non sai quel che dici, poverina» sospirò affranta. Si diresse a tutta velocità nel bagno, dove armeggiò per diversi minuti con delle fiale, finché Rose non sentì scorrere l’acqua.
La ragazza fece ritorno vittoriosa, con la bacchetta sollevata e una fila disciplinata di vasetti di vetro opaco sigillati con ceralacca e flaconi di erbe disseccate, ciascun contenitore accuratamente etichettato nella nitida calligrafia di Lily. Queste sfilarono davanti agli occhi di Rose e rimasero sospese a mezz’aria, lasciando che lei le contemplasse «Puoi scegliere la fragranza» disse Lily con un eccitato luccichio negli occhi. «Erbe Orientali, Fiori della Siberia …» elencò, per poi sbattere le mani entusiasta. «Se vuoi lasciarli tutti a bocca aperta con la tua sensualità, ti consiglio Brezza del Deserto» concluse con un occhiolino.
  «No Lily» farfugliò Rose «Non voglio colpire nessuno con la mia sensualità, né voglio odorare di erbe».
  «Ti assicuro che l’effetto è garantito».
Rose ammutolì per un attimo, poi sollevò le mani in segno di resa. «Non voglio sapere» decise in ultima analisi.
  «Se pensi che non ti serva per far colpo su Scorpius …» disse Lily a tono basso, ritornando a dedicare la propria attenzione ai suoi vestiti. Ne sollevò uno dorato, ricoperto per intero di pailette, ma una smorfia contrariata la indusse a rimetterlo al suo posto.
Rose si allontanò di scatto dalla parete alla quale era poggiata e andò a sbattere la testa contro il soffitto del baldacchino. Latrò un gemito di sofferenza e di diniego. «Ma di che parli?» brontolò.
  «Stai passando molto tempo con lui ultimamente».
  «Ti sbagli» chiarì subito lei. «Sto passando molto tempo con Al».
  «Per le mutande di Godric, no» esclamò oltraggiata, afferrando un top striminzito e gettandolo ai suoi piedi. Alzò lo sguardo sulla cugina e la guardò scettica. «E’ un pacchetto completo, lo sai bene». 
Rose tornò ad appoggiarsi contro la parete, questa volta muovendosi con più cautela. «Non è una cosa che posso controllare» affermò ormai senza nemmeno pensarci. Ma una stretta alla stomaco la avvertì che stava mentendo, e la mente le ripropose con prepotenza il momento in cui aveva deciso di raccontare tutto a Malfoy. «Non è un piacere ritrovarselo sempre tra i piedi» dichiarò più a se stessa che alla cugina.
  Lily annuì ed emise un suono di approvazione. «Non farò altro che dubitarne» disse, guardando distrattamente verso Rose. Le fece cenno con la mano di avvicinarle una t-shirt o un reggiseno, a seconda delle interpretazioni, accuratamente adagiato sul cuscino.
  «Come sarebbe a dire?».
Lily sospirò un po’ per l’esasperazione e un po’ perché Rose non le aveva ancora avvicinato l’indumento. «Non ci credo più, Rose. E’ storia vecchia e non mi convince» disse, alzando gli occhi al cielo. «Ti dispiace?» aggiunse con una punta di rimprovero, indicando il suddetto capo. Per tutta risposta Rose lo afferrò, si preoccupò di stropicciarlo e lo scagliò con forza verso la cugina, che fu colpita in pieno viso.
  «Se questa è la tua replica sei stata molto eloquente» disse Lily con quel sorriso serpentesco che Rose ritrovava tante più volte in James che non in Albus. Si chiese se fosse arrivato il momento di mandare il Cappello Parlante in pensione.
Rose sbuffò e si alzò dal letto in malo modo, causando l’ennesimo gemito di dolore di Lily. «Scegli delle scarpe che stiano bene sotto quel vestito» dichiarò infine, mentre gli occhi della cugina presero a brillare.
 


 
- § -
 

 
Scorpius Malfoy era nel cortile del Castello ormai da un pezzo. Quell’anno il Club del Ballo si era grandiosamente superato con la scelta delle zucche parlanti e la partecipazione dei fantasmi più illustri per la loro spaventosa reputazione. I viali bui e polverosi, offuscati dalla nube densa che aleggiava nell’atmosfera già umida, rendevano il clima più macabro. In sottofondo giungeva la musica dei Lupi della Notte, gruppo malinconico ma molto apprezzato dai ragazzi, che si esibivano lungo la riva del Lago Nero.
Eppure Scorpius Malfoy si stava già annoiando.
Si era allontanato dalla confusione e dalla densa nube di vapore dolciastro  che annebbiava i sensi e irretiva più di quanto potesse fare un bicchiere di Whisky Incendiario Stravecchio, aveva scelto di accostarsi alla recinzione in ferro che proteggeva le pareti antiche della scuola dagli incantesimi che aleggiavano per tutta la superficie del cortile, aveva estratto una sigaretta dalla tasca e ora inspirava il fumo caldo che pizzicava la gola e lo intratteneva meglio di qualunque compagnia.
Delle voci interruppero la sua oasi di pace e le loro ombre avanzavano verso di lui. Alan Doyle era già su di giri, ma perfettamente consapevole di stare stringendo la vita a Kate Hastings, che sghignazzava con Carter Zabini. Dietro di loro Albus Potter avanzava placidamente, la mani adagiate nelle tasche e un sorriso rilassato sul volto.
  «Capitano» lo salutò con un cenno Alan Doyle. «E’ già pronto a fare festa a modo nostro?».
Kate Hastings sciolse l’abbraccio che la teneva avvinghiata a Doyle, non appena vide Scorpius. Si adagiò accanto a lui, in quel misero spazio che intercorreva tra la sua mano e il suo busto e lo salutò con uno squittio. «Me ne passi una, tesoro?» fece lei, accarezzando il suo viso di marmo.
Il ragazzo senza scomporsi, afferrò la propria sigaretta e la porse a Kate. Lei assaporò quel vapore con particolare godimento e dopo un paio di boccate, ricondusse l’oggetto di loro interesse alla bocca di Scorpius, che lambì il bocchino con le labbra e con la lingua.
  «Vincent?» chiese lui tra una nuvola di fumo.
Doyle rispose con un ringhio sommesso, ma fu Carter a parlare. «Passa questa volta».
  «Allora è andata» disse Doyle in una risata. «Ci penserà Potter alla pozione».
Scorpius alzò gli occhi su di lui «Non dire stronzate Alan» disse con voce appena incrinata.
  «Non possiamo uscire dalla scuola senza Vincent» chiarì Albus, fronteggiando Doyle. «E poi io non ho l’accesso illimitato ai depositi di Arrows».
  «E l’idea di correre un rischio?» propose Doyle.
Albus lo guardò intensamente, poi accennò un mezzo sorriso «Non ci penso proprio».
Doyle latrò un basso diniego e guardò Scorpius alla ricerca di sostegno. Il ragazzo inspirò dalla sigaretta che le porgeva Kate e rispose senza guardarlo.    «Albus non correrà nessun rischio» dichiarò, ponendo fine alla questione.
 

 
- § -
 

 
Quando Rose Weasley scese i gradini del dormitorio femminile di Grifondoro, percorse le scale mobili fino ad arrivare alla scalinata principale della Sala d’Ingresso e si fermò finalmente davanti all’immenso portone, pensò che la cugina avesse scelto le scarpe più belle che possedesse, ma sicuramente non le più comode. Tuttavia la persona a cui erano dirette tutte le proteste più colorite che le venissero in mente non era Lily, bensì sua madre. La carissima madre che alla richiesta di insegnarle l’incantesimo per vincere le vesciche da tacco alto, aveva risposto oltraggiata con un netto rifiuto, sostenendo che mai avrebbe privato la figlia di quelle esperienze che ogni adolescente dovrebbe provare per capire il senso della vita.
Lily Potter la precedeva di qualche passo, nel suo abito di pailette dorate cui aveva deciso, infine, di dare una possibilità, bella e sicura, seppur ancora minuta e dalle forme troppo graziose per rendere quel corpo fasciato d’oro vagamente sensuale. Rose varcò il Portone e respirò quell’aria fresca di un fine ottobre inglese, limpida e raffinata dalle frasche sempre verdi.
L’intero parco del Castello era stato trasformato in un borgo antico, tanto che a mala pena Rose riusciva a riconoscerne i tratti: le vie strette e ostiche erano tetre, solo lievemente illuminate da qualche candela sospesa o dal passaggio inaspettato dei fantasmi.
  «Fantastico! Questo vapore era proprio ciò che serviva ai miei capelli» esclamò Lily «Per non parlare dei tuoi» disse, scrutando preoccupata la folta chioma che aveva tentato di domare per ore.
Ma Rose non le dava più retta. Quella sola folata di vento che l’aveva colpita, aveva svolto con eccellenza il proprio lavoro e la ragazza fu presa da una risatina incontrollata. E lo stato in cui si trovavano i suoi capelli era davvero l’ultima cosa di cui le importasse.
Temette di stare perdendo completamente il controllo, quando vide il fratello passarle più volte davanti, saltellando per sfuggire all’inseguimento di una zucca feroce, finché intorno a lui non si creò un folto pubblico divertito, segno che quella immagine a cui stava assistendo non fosse frutto della propria immaginazione.
Impugnò la bacchetta, puntò la zucca e dichiarò a voce ben udibile «Reductor» che creò un’esplosione di minuscoli pezzettini fluorescenti. Tutt’intorno calò il silenzio e poi la gente eruppe in un applauso poderoso: c’era chi fischiava, chi urlava il suo nome, che si congratulava da lontano e ne chiedeva una replica.
  «Bell’inizio» commentò meravigliata Lily.
  «Grazie Rosie» biasciò Hugo con un po’ di affanno. «E’ da due ore che mi insegue».
  «Diamine Hug, devi imparare a difenderti da solo».
  «Cugina, sei un portento» urlò Fred Weasley da lontano. «Uno spettacolo che in confronto il duello tra Nick e il Barone Sanguinario è roba da tutti i giorni» continuò, sempre urlando, nonostante le si fosse ormai avvicinato. Tirò sul col naso, poi socchiuse gli occhi annebbiati e mise a fuoco la figura della ragazza che la fronteggiava. «Hai dimenticato qualcosa? Tipo i vestiti» aggiunse sghignazzando.
  Rose arrossì violentemente, ma in suo soccorso sopraggiunse Lily chiaramente punta sul vivo. «E’ un vero schianto Fred, non trovi?».
  «Di sicuro lo schianto è quello che avrà James appena ti vedrà» disse con un ghigno.
  «Al diavolo James!» pronunciarono in coro le due ragazze.
Hugo la guardò con attenzione con i suoi grandi occhi vitrei. «Io ti trovo molto bella» disse con serietà, al termine della propria analisi.
Fred scoppiò a ridere «Si può sapere tu da chi hai preso?».
  «Sicuramente non ha nulla del sangue Veela» disse Louis, poggiando una mano sulla spalla più bassa di Hugo. «Però ha ragione» commentò, studiando Rose. «Scelta audace, ma sempre di classe. Il tubino nero non tramonta mai» disse annuendo in segno di approvazione. «Complimenti Lily».
   «Che occhio Louis» commentò Rose divertita.
Fred lo guardò come se avesse bevuto qualche bicchiere di troppo. «Lily?».
  «Vittoria della Coppa di Quidditch per i Corvonero, l’anno scorso» rispose il ragazzo prontamente, aggiustando le maniche della camicia, già perfettamente piegate. «Portavi lo stesso vestito, ovviamente sapevi che James non sarebbe mai venuto».
  La piccola Lily sorrise nervosa e afferrò due bicchieri volanti. Ne porse uno alla cugina e l’altro lo svuotò in due sorsi. «Secondo giro?» disse, guardando allegra Rose.
La ragazza annuì e si diresse verso il tavolo più vicino. Il lastricato creava una strada stretta che fiancheggiava il largo prato e, nonostante questa fosse limitata dalle zucche illuminate e sospese lungo il percorso, Rose ebbe difficoltà a far combaciare i tacchi alti e le irregolarità della pietra. Giunse al tavolo ovale, privo di gambe, coperto da un lungo velo e vi si appoggiò con un sospiro di sollievo, quando vide Johanna riempirsi il bicchiere e svuotarlo, per poi riempirsene un secondo o un terzo, per quel che ne poteva sapere lei, il tutto in completa solitudine. I suoi tacchi a spillo sulla pietra non le avevano permesso  di passare inosservata e Johanna si era voltata alla ricerca della fonte di quel rumore.
  «Ciao» disse Rose al suo profilo duro.
Johanna si versò un altro bicchiere. «Ti trovo bene, Rose» disse, poi Rose non rispose, lei girò i tacchi e si allontanò.
  «Joa» la chiamò, mormorando, ma il suono era poco più che un sussurro. «Joa» ripeté con più convinzione, mentre i piedi già procedevano sulle orme dell'amica.
  Johanna le camminava davanti nel suo abito lungo a fantasia che le conferiva un aspetto esotico, come se dovesse svanire in una nuvola di fumo da un momento all’altro. «Non ho quello che cerchi» disse nella sua marcia.
  «E che cosa cerco?»
  «Qualcuno che ti odi, ma che non abbia un buon motivo per farlo»
Rose rimase per un attimo senza nulla da dire. «Tu invece ce l'hai?».
Johanna finalmente si fermò e si voltò. «Sì» rispose con una luce fiera negli occhi «Ma non ti odio».
  «Lo so» disse, abbassando lo sguardo.
Joa sbuffò una risata amara «No, non lo sai, perché hai deciso tu per me. Hai preferito allontanarmi per non sentirti dire questa verità: io avrei sempre scelto te, Rose Weasley».
Rose la fissava con gli occhi sgranati e persi «Sei l’unica che lo dice e che non ha paura di dimostrarlo».
  «Si, certo» Joa rise nuovamente di quella risata senza gioia e alzò gli occhi al cielo. «Facciamo che ne riparliamo quando questo ti basterà».
Johanna le concesse un ultimo sguardo e Rose non seppe se interpretarlo come ultima opportunità; in ogni caso non fu abbastanza lesta, come suo solito. Ci rimuginò sopra diversi secondi che scandivano la sua incertezza come delle lame pendenti sulla sua fronte imperlata di umido vapore annebbiante. Troppo tempo trascorse in quello squarcio di tempo in cui Rose guardava la ragazza senza trovare le parole, chiedendosi se conoscesse davvero Johanna Jordan o se lei fosse solo l’ennesima amara delusione.
Infine Johanna le voltò le spalle e svanì dal suo campo visivo.
Lily Potter l’aveva raggiunta e adesso la guardava con occhi silenziosi, ma opprimenti. Rose non poté sopportare l’ennesimo sguardo comprensivo, anche se disteso sul volto della piccola Lily.
  «Hanno finito l’Acquaviola» disse Rose con tono fermo. «Vado a vedere se il tavolo sul retro è più fornito».
 


 
- § -


 
Scorpius e Albus si scambiarono un cenno d’intesa fugace e impercettibile. Nessuno se ne accorse, ma loro si erano capiti perfettamente. Scorpius lasciò che Kate lo accarezzasse ancora, perché era bella e sensuale, anche se il suo profumo da donna gli faceva prudere il naso.
Alan Doyle non sembrava contento della decisione del gruppo. «Da quando Vincent se la fa con la Grifondoro vi siete rammoliti tutti quanti» farfuglio tra le labbra che reggevano la sigaretta.
  «Non è che la Weasley vi sta trasformando in due sfigati?» disse Kate in una smorfia oltraggiata.
  «Piantala Kate» intervenne Albus con tono pigro e automatico, che aveva perso da tempo quel carattere perentorio dei primi anni di scuola, quando le insopportabili ingiurie contro la cugina erano una novità. Ora replicava debolmente, forse inerme davanti ai due mondi frammentati a cui apparteneva, due realtà inconciliabili come gli ricordavano ogni giorno i suoi due migliori amici.
Kate Hastings avvicinò nuovamente la mano al volto di Scorpius, ma questo si ritrasse con un cenno del capo, mentre le labbra si piegarono appena in una espressione indecifrabile. Kate pensò di poterla interpretare come infastidita. «Che ti succede Scorpius?» disse, allontanandosi quel tanto che le permettesse di posare su di lui i suoi occhi scuri e indagatori.
Scorpius Malfoy in quel momento decise che il profumo di Kate fosse davvero insopportabile e si meravigliò di non essersene mai reso conto fino a quel momento. Quindi irrigidì le spalle, abbandonando ogni parvenza di rilassatezza e chiarì in questo modo tutta la propria irritazione. Rivolse alla ragazza uno sguardo spento, mentre la voce risuonava aspra «Mi annoio terribilmente» disse.
La ragazza lo incenerì con lo sguardo «Ti annoia parlare della cugina di Al?» disse con durezza.
Scorpius alzò gli occhi al cielo. «Quale delle tante?» chiese.
  Kate rilasciò una risatina amara. «Mi prendi in giro?» esclamò. Guardò scettica i ragazzi che assistevano alla discussione, alla ricerca di sostegno. Alan Doyle le rispose con una debole smorfia divertita, mentre inspirava del fumo che andò a confondersi con quello già presente, avvolgendo i presenti in un’atmosfera ancora meno distinta. «Quella che ti gironzola sempre intorno» aggiunse, questa volta allontanandosi con ostentato rifiuto dal ragazzo.
  «Rettifico: parlare con te mi annoia terribilmente» rispose Scorpius in uno sbuffo, mentre la propria irritazione cresceva ad ogni parola.
 «Ragazzi, calma» si intromise Carter Zabini, avanzando verso il centro del gruppo con le mani tese. «Abbiamo ancora quelli del primo anno di cui occuparci, non perdiamo la concentrazione».
  Alan si schiarì la gola con fare teatrale e avanzò di qualche passo in una pomposa camminata. «Per quelli c’è sempre tempo» disse. «Piuttosto, il gruppo delle intelligentone del settimo anno era nei pressi del tavolo degli alcolici. Io ne approfitterei» aggiunse in una risata che si perse nel fumo della sua sigaretta.
Scorpius questa volta sorrise all’amico e convenne con lui che le Corvonero del Settimo ubriache potessero essere una giusta consolazione all’assenza di intrattenimenti più creativi.
Intanto la nebbia satura di fumi incantati e di buoni odori si diradava man mano che il vento freddo di ottobre la spazzava via, consumandosi poi tra le fronde umide di rugiada. In quel barlume di limpidezza Scorpius intravide una chioma accesa e vivida, nonostante l’aria ovattata, aggirarsi incerta tra gli alberi e camminare nella loro direzione.
Scorpius si irrigidì appena, quel tanto che permise a Kate di innervosirsi maggiormente e di allontanarsi una volta per tutte. Poi la conferma ai suoi dubbi venne chiarita da Albus Potter che si discostò dal gruppo per farsi più indistinto e andare incontro alla cugina.
  «Come se non bastasse!» esclamò Kate a voce alta.
Scorpius sapeva di avere gli occhi di Kate fermi su di sé e rimase immobile come solo un sasso sarebbe stato in grado di fare. Per impiegare il tempo pensò di cercare un’altra sigaretta nella tasca dei pantaloni, ma con suo enorme disappunto scoprì di averle terminate. Soffocò un’imprecazione e si voltò verso Alan allungando una mano in una muta ma esplicita richiesta, che il ragazzo in automatico si preparò ad esaudire.
La voce bassa e confusa di Rose Weasley gli giungeva all’orecchio come una calda melodia di sottofondo che penetra con insistenza nell’area della sua attenzione.
  «Accidenti Weasley! Profilo basso questa sera?» esclamò Alan con un tono di voce piacevolmente sorpreso.
Ma che cazzo va dicendo? 
Scorpius conosceva quell’intonazione, quella venatura di meraviglia e di interesse, che tante volte aveva insaporito le intenzioni di Doyle, ma mai fino a quel momento lo aveva sentito rivolgersi in quel modo a Rose Weasley. A quel punto non poté fare a meno di voltarsi verso la ragazza dai capelli rossi giusto in tempo per vederla arrossire violentemente ed incrociare stizzita le braccia al petto.
Gli bastarono due passi, o forse qualcuno in più, e in un attimo era accanto ad Albus e inspirava del fumo dalla sigaretta mentre con gli occhi perlustrava la figura di Rose Weasley avvolta in un morbido abito nero.
  Ogni più ignobile desiderio di importunarla con battute sconvenienti, gettandola in quell’imbarazzo che tanto la tormentava,  quel malsano e inspiegabile bisogno di vederla disarmata sotto il potere delle proprie allusioni, ogni intenzione più provocatoria svanì nel nulla e Scorpius non ricordò nemmeno perché avesse mai pensato di prenderla in giro. Solo strabuzzò gli occhi e tacque.
La ragazza aveva la pelle ancora più candida sotto la luce lunare, ma le gote si tinsero di porpora, addolcendo quell’espressione dura che lei si impegnava ad assumere. Sbuffò, evitando di guardare Scorpius in viso. «D’accordo, ho scelto un abito sbagliato» farfugliò, tamburellando le dita sul braccio incrociato.
Sbagliato? Sì, sbagliato per te. 
Non era un abito che le apparteneva, ne era certo. C’era qualcosa di incredibilmente sbagliato nel modo in cui il suo corpo fosse fasciato con tanta perizia da quel tessuto aderente, che la avvolgeva con forza, premeva nei punti in cui esso si incurvava in una linea sinuosa. Gli sembrò sconvolgente constatare che quella figura, esile come era sempre stata e come ancora le appariva in divisa scolastica, fosse in grado di riempire con tale soddisfazione i movimenti del vestito o quelli di una mano avida di esplorarla. D’istinto avvertì il bisogno di toccarla.
Strabuzzò gli occhi nuovamente, questa volta per riprendere coscienza e fare appello alla propria lucidità, evidentemente messa duramente alla prova dai fumi incantati. Ma gli occhi ricaddero sul suo petto roseo e su quei seni floridi e invitanti, nonostante la loro discrezione.
  «Sei bellissima» disse con incredibile fermezza.
Scorpius pensò subito dopo di aver detto la cosa più sbagliata che gli potesse venire in mente e se ne pentì, ma Albus Potter non si dimostrò perspicace come era sempre stato, né particolarmente magnanimo, poichè si voltò a guardarlo con una tale rapidità che l’amico pensò, per un momento, si fosse rotto l’osso del collo; poi Albus lo scrutò con i suoi grandi occhi accesi in una espressione sorpresa.
  Per sua grande fortuna la ragazza di fronte a sé non arrossì, ma si limitò a dischiudere gli occhi e a fissarlo meditativa. «Smettila di fare l’idiota, Malfoy» disse in un sospiro.
E Scorpius si ritrovò a decidere di seguire il suo consiglio, poiché idiota era esattamente come si sentiva. «Non dovresti girare tutta sola la notte di Halloween» disse.
  «Con questo incontro credo di aver scarnificato la lista delle possibili disgrazie della serata» rispose all’istante lei. Poggiò una mano sul fianco, in quell’arco flessuoso che si creava tra la vita e l’anca e abbandonò appena il peso su quel braccio. Poi arricciò le labbra in una espressione imbronciata e solo in quel momento Scorpius notò il rossetto scuro, dello stesso colore delle labbra ma con una tinta più intensa, che accentuava la loro morbidezza.
Inspirò un lungo sorso di vapore per ripristinare la propria composta indifferenza. «Non mi sembri molto divertita» disse.
  «Tu dici?». Rose Weasley sembrava davvero seccata. «E poi perché ti interessa?».
  «Già Scorpius, perché ti interessa?» chiese Albus, incrociando le braccia al petto e studiando con cura l’amico.
Generalmente apprezzava Albus Potter e il suo sottile umorismo derivante da un acume raffinato e delicato. Lo trovava un compagno incredibilmente affine alla propria personalità, grazie alla loro capacità di sintonizzarsi sempre sulla stessa linea di pensiero, ma in quel momento realizzò che il ragazzo potesse facilmente essere considerato l’individuo più irritante sulla faccia della terra.
Scorpius avvicinò la sigaretta alle labbra per l’ultima volta e la gettò ai propri piedi. «Perché posso trovare io il modo di farti divertire» affermò con un sorriso.
  «Oh ti prego, dimmi che stai scherzando!» esclamò Albus, senza preoccuparsi di celare un’espressione disgustata.
  «Al, mi avvisi tu quando posso affatturarlo?» intervenne Rose che guardava il ragazzo perplessa, mentre incrociava le braccia sul petto, sperando di poter celare quanto quella sera aveva deciso di lasciare scoperto.
Scorpius si avvicinò di qualche passo e lei indietreggiò appena; si piegò nella sua direzione per sussurrargli qualcosa ma esalò il suo profumo, quello delicato e fresco, di brezza estiva nonostante il freddo autunnale e per un attimo dimenticò ogni cosa. Stette diversi secondi incerto, chino su di lei, mentre Albus e gli altri li guardavano straniti. Quando si riprese, avvertì una sensazione calorosa infiammargli il collo e parlò con tono brusco e silenzioso. «Sei ancora interessata a quello che combina Vincent?».
Rose Weasley, come si aspettò, rimase senza parole, abbandonò quell’aria indisponente per dedicargli tutta la propria attenzione.
Una mano pesante si poggiò sulla sua spalla e lo costrinse a voltarsi.
  «Che arie concitate» esclamò Alan Doyle, guardandoli con occhi vispi. «Cosa state combinando qui?» disse e i suoi occhi si posarono con poca discrezione sulla ragazza.
  «A quanto pare Scorpius ha deciso di sorprenderci questa sera» rispose Albus, rivolgendo uno sguardo intenso all’amico.
  «Bene, quali sono i programmi?».
Scorpius sospirò e dopo aver allontanato da sé lo sguardo pressante di Albus, si rivolse all’altro ragazzo. «Ci vediamo in giro Alan, abbiamo delle faccende da sbrigare» disse.
Il ragazzo annuì meditativo, poi spostò con interesse lo sguardo su Rose Weasley, che arrossì lievemente e prese ad abbassare il vestito sulle cosce. «E le Corvonero del Settimo?» chiese.
Uno sbuffo amaro provenne dalle labbra dischiuse di Rose. «Se sei già impegnato, non ti disturbare» commentò. Poi aggiunse posando i suoi grandi occhi blu sul volto di Scrorpius. «Malfoy. Non ho intenzione di rovinare i tuoi piani per la serata».
  «Dolcezza, puoi unirti a noi» intervenne Alan Doyle, rivolgendole un largo sorriso. «Se il Capitano fa il difficile, ti tengo compagnia io».
Scorpius avvertì un formicolio insistente stuzzicargli il dorso della mani, le nocche e la punta delle dita. Le bloccò, incrociandole tra di loro e iniziò a premere il pugno contro il palmo dell’altra mano. Decise di concentrare il proprio sguardo su altro che non fosse il volto del compagno di Casa, che, lì al suo fianco, si esibiva in quella abituale attività di grossolano seduttore. L’aria compiaciuta che indossava, quell’odore forte da animale predatore e la scelta dei tempi di corteggiamento erano sempre gli stessi, ma la ragazza non lo era. Di certo non lo aveva mai visto pavoneggiarsi con la Weasley.
Oltretutto stava interferendo con quella che era già di per sé una debole organizzazione di un piano operativo. Guardò Albus con insistenza, ma lo vide indifferente come suo solito, con un ghigno lieve ad increspargli il volto, mentre gli occhi vagavano curiosi.
   Rose Weasley non poté trattenersi dallo storcere il naso. «Che proposta allettante» disse.
Lungi dal considerare il tono scettico della ragazza, Alan Doyle prese le sue parole per un incoraggiamento. «Potrebbe essere una buona occasione per conoscerci un po’ meglio».
A quel punto Scorpius alzò gli occhi al cielo ed esigette un rapido intervento da parte di Albus. Lo squadrò ancora una volta, ricevendo in cambio un’alzata di spalle e un espressione vacua. Rifletté assurdamente su quanto sarebbe stata preferibile e più utile la presenza del Potter maggiore, quello borioso e irritante, ma con un minimo di senso di protezione familiare in più.
  «Credo di poterne fare a meno, grazie» fu la semplice risposta di Rose.
Doyle emise un basso mugolio di approvazione, come se tutto ciò lo divertisse. «Non ti facevo una tipa timida».
  «Non è timida» latrò Scorpius seccato. I tre ragazzi si voltarono a guardarlo e lui si premurò di controllarsi. «E’ chiaramente un rifiuto, Doyle. Non è interessata. Ora dacci un taglio» disse, in un debole tentativo di risultare indifferente.
Il silenzio fu insopportabile. Lo colmò una domanda inopportuna, che Scorpius sapeva sarebbe arrivata «Qualcosa ti infastidisce Scorpius?» ma non pensava che a porla sarebbe stato Albus.
Guardò l’amico intensamente, ripromettendosi di risolvere, alla prima occasione di totale lucidità e calma, la questione sulla sua snervante invadenza: magari con qualche fattura che gli avrebbe ricordato di chiudere la bocca nelle situazioni future.
Scorpius ripose la mani nelle tasche dei pantaloni. «Sì, mi infastidisce annoiarmi e perdere tempo» disse, poi guardò la ragazza di fronte a sé.   «Weasley, credevo avessi una certa urgenza».
La ragazza sembrò colta alla sprovvista. Si guardò intorno senza comprendere appieno cosa stesse succedendo. «E’ così». 
  «Non ho tutta la serata da perdere con te» disse Scorpius rivolgendole un cenno del capo. «Trova un altro modo per divertirti».
 


 
- § -
 

 
Inizialmente aveva osato camminare speditamente sull’erba e con una notevole agilità; poco dopo aveva
messo piede sul solito lastricato infernale, dimentica totalmente dei tacchi vertiginosi, ed era precipitata sull’asfalto, atterrando sulle ginocchia. I palmi delle mani le bruciavano, mentre l’aria le si appiccicava alla pelle nuda e il freddo le faceva rizzare la peluria sulle braccia. Si tolse le scarpe in un gesto rapido e le conservò tra l’indice e il medio. Poi corse all’inseguimento del ragazzo che era già sparito.
Aveva lasciato ad Albus l’arduo compito di liberarsi di Doyle e di trovare qualche spiegazione per giustificare la loro bizzarra fuga. Meglio per lei, non le piaceva affatto quel tipo né il modo in cui l’aveva scrutata per tutto il tempo                                                        
Non era il solo.
Lily aveva ragione, si ritrovò a pensare con un certo fastidio. Quel vestito non era passato inosservato.
All’improvviso vide una figura alta e indistinta, poi un paio di lanterne corsero in suo soccorso e illuminarono il viso di Scorpius Malfoy. Lei corse nella sua direzione, avvertendo le pietroline graffiarle la pianta del piede.
  «Malfoy sei uno stupido, te l’hanno mai detto?» disse con il poco fiato che le era rimasto.
Lui inarcò le sopracciglia e la perlustrò nuovamente con il suo sguardo. «Hai perso qualcosa?» disse, finchè non incontrò le scarpe tra le sue mani e trattenne a stento una smorfia divertita. Cercava di mantenere quell’atteggiamento sdegnoso.
  «Come ti salta in mente di sparire in quel modo?».
  «Scusami?» disse con una calda risata. «Ti devo dare delle spiegazioni?».
Rose incrociò le braccia al petto «Sarebbe un inizio».
Malfoy afferrò un paio di bicchieri che passavano di lì e, come Rose si aspettava, non pensò minimamente di offrirgliene uno. Bevve un lungo sorso.     «Che cosa ti passa per la testa questa volta?»
Rose pensò di aver la mente sufficientemente annebbiata dai fumi per potersi permettere di essere sfacciata «Qualcosa ti infastidisce, Malfoy?».
Con sua immensa soddisfazione il volto del ragazzo si irrigidì. «Ti riferisci a qualcosa in particolare, Weasley?».
Rose rimase sorpresa nel constatare che il ragazzo sapesse essere ancora più sfacciato di lei. Allora lo guardò a lungo, non curandosi di poter essere indiscreta. Osservò il suo volto affilato, duro per lo sforzo di renderlo sicuro e impenetrabile, ma il taglio dolce degli occhi sciolse ogni dubbio sul fatto che la sua rigidità fosse solo una maschera. In quel momento Rose non riuscì a nascondere di essere totalmente in balia di quello sguardo. «Mi stai guardando» disse lei.
  «Veramente sei tu che guardi me».
  «Perché non sei con Doyle in giro?»
  «Io non sono come Alan, non mi interessa quello che interessa a lui».
Rose non seppe se con quelle parole volesse intendere altro; per un attimo si sentì piccola e stupida. «Avevate un bel programma per la serata, mi sembra».
  «Di nuovo, Weasley: ti devo dare delle spiegazioni?» disse lui, piegando la testa all’indietro e distendendo le labbra in un sorriso teso.
Rose evitava di guardarlo eppure sentiva il suo sguardo nervoso, mentre si allontanava e poi tornava l’attimo dopo sul suo corpo come in un gesto involontario e premeva su quei punti che il vestito rendeva più seducenti. In quel momento desiderò fortemente indossare la divisa scolastica, quella semplice uniforme che la rendeva se stessa e che non aveva il potere di far mutare lo sguardo ostile del ragazzo. Quello sguardo  che da sempre conosceva.
  «Almeno spiegami perché hai voluto attirare la mia attenzione parlandomi di Vincent». Sì, si sentiva decisamente sfacciata quella sera.
  «E’ per questo che sei qui?».
  «Per cos’altro altrimenti?» disse lei decisa, dopo aver concesso che diversi secondi si frapponessero tra le loro voci.
Malfoy la guardava dall’alto, piegando appena le iridi, ombrose nell’oscurità, verso di lei. Sembrava combattuto, seccato, forse nervoso, ma Rose non capiva se con se stesso o con lei. Sul volto passò un’ombra di disprezzo che lo riportò al solito ghigno altezzoso.
Almeno, rifletté la ragazza, aveva smesso di scrutarla con occhi persi e nuovi. Era disarmante.
Qualcosa si mosse nell’oscurità e fece vibrare le foglie secche sul prato. Albus Potter emerse da un groviglio di rami spogli, camminando cautamente.     «E’ permesso?». Indossava quello sguardo mortificato e languido, di chi sa che gli verrà sempre perdonato ogni male.
L’aria satura d’improvviso sembrava essersi alleggerita e Rose riprese a respirare con più leggerezza, mentre l’annebbiamento precedente lasciava il posto alla lucidità e un lieve imbarazzo le tinse le guance fredde. Allontanò di qualche passo i propri piedi nudi sull’erba dalla figura immobile e rigida di Malfoy.
  Albus si tolse la giacca e la poggiò sulle spalle nude della cugina. «Abbiamo una certa fretta» disse, guardando Malfoy, che annuì. «Vincent non è alla festa», questa volta si rivolse a lei.
Rose lasciò scorrere uno sguardo sorpreso tra i due ragazzi, avvertendo per un attimo la spiacevole sensazione di non essere a conoscenza di qualcosa. Considerando che si era trovata a pregare uno e a trascinare l’altro in una situazione di cui lei si sentiva responsabile e artefice, non poté fare a meno di irritarsi profondamente. Quei due erano capaci di tagliarla fuori anche da ciò che lei stessa aveva creato. «Mi sono persa qualcosa?».
  «E’ la festa di Halloween, noi abbiamo delle regole ben precise da seguire» spiegò Albus, scegliendo con cura le parole da usare «Non possiamo mancare».
  «Voi?».
  «Noi Serpeverde» intervenne Malfoy. Un lume di comprensione iniziò a rischiarare la mente di Rose. «E’ una vecchia tradizione: possiamo dire che noi abbiamo il compito di ravvivare la festa».
  «Quindi il fatto che Vincent non sia presente è considerabile oltraggioso?».
Albus e Malfoy si scambiarono un altro di quegli irritanti sguardi complici. Comunicavano in silenzio con maggior maestria di due legilimens. «Rose, cerca di fare appello ad una calma che generalmente non ti appartiene, se vuoi sapere i dettagli di questa storia» aggiunse Albus con voce pacata.
  «Non mi sembra di poter aspettarmi molto da questa premessa».
Malfoy intervenne spazientito. «Vincent ha il compito di farci uscire dalla scuola».
Rose strabuzzò gli occhi sbalordita. «Siete completamente impazziti?».
Malfoy si lasciò scappare uno sbuffo. «Weasley, cerca di farla breve» commentò, alzando gli occhi al cielo.
  La ragazza scrutò il cugino stizzita. «Lì dentro andate tutti d’accordo perché siete un branco di idioti? Malfoy scusami se ho sempre pensato che fossi l’unico esemplare».
  Il ragazzo inarcò le sopracciglia «Questa è nuova».
Albus rise, perché lui era capace di ridere in qualunque situazione. E la storia su quel misterioso legame con il suo migliore amico era la verità. Poi tornò serio «Se Vincent non si presenta alla festa di Halloween vuol dire che sta succedendo qualcosa. Non sto appoggiando la tua idea, Rose, ma credo sia più opportuno rientrare nel castello».
 
Rose si stringeva nella giacca lunga e stretta di Albus, finché il tepore della Sala d’Ingresso non l’avvolse. Molti ragazzi li guardavano straniti mentre percorrevano la strada nel senso opposto rispetto alla maggioranza degli studenti: la festa era iniziata da poco e loro già erano di ritorno.
Albus e Malfoy camminavano davanti a lei con passo disinvolto ma svelto. Quando voltarono l’angolo lungo il corridoio dei Sotterranei, il ragazzo biondo rallentò e aspettò che Rose lo raggiunse.
  «Ecco la risposta che cercavi» disse.
  «A quale delle tante domande che ti ho fatto?».
Malfoy corrucciò le sopracciglia. «Mi hai chiesto perché ti avessi parlato di Vincent» disse come se fosse la risposta più ovvia. «L’ho fatto perché mi ha insospettito la sua assenza».
Rose voltò la testa nella sua direzione mentre camminavano, lo studiò bene in volto per alcuni secondi, poi continuò a guardare di fronte a sé senza dire una parola.
  «Non mi credi, Weasley?» disse il ragazzo. Non c’era ostilità nel suo tono di voce, solo sorpresa.
  «Penso solo, Malfoy, che solitamente non sei così tanto disposto a darmi ragione».
  «Non ti sto dando ragione».
Rose inarcò le sopracciglia e lasciò che i residui dei fumi le permettessero di dipingersi sul volto un’espressione scettica. «Allora perché mi stai guidando nell’unico posto in cui ti sei sempre rifiutato di farmi entrare? Hai litigato con Albus per sei anni, purché io non mettessi piede qui dentro e invece, questa sera, mi hai sottratto alla festa con i tuoi insoliti sospetti e guarda un po’ dove ci troviamo».
Si fermarono dietro Albus, che si era arrestato improvvisamente e ora sussurrava alla parete rocciosa di fronte a sé. Questa si divincolò con estrema lentezza dalla perpetua posizione alla quale era condannata, per poi disporre le tante pietre grigiastre a costituire un arco alto quanto permettesse il soffitto dei Sotterranei.
Albus lanciò uno sguardo frettoloso ad entrambi prima di varcare la soglia e svanire nell’oscurità. Rose era eccitata all’idea di poter vedere con i propri occhi la Sala Comune dei Serpeverde e si preparò a seguirlo, quando un braccio le tagliò la strada, allungandosi fino a coprire entrambe le pareti dell’arco. Malfoy la guardava divertito.
  «Non entrerai qui dentro. Non stasera».
  «Che significa?».
  «Se con quelle parole intendevi insinuare qualcosa, sono pronto a dimostrarti quanto tu ti stia sbagliando, se intendevi provocarmi, mi stai solamente sfidando al mio gioco preferito, lo sai bene» disse lui, continuando a distendere il braccio teso.
  «Fammi chiamare Albus» disse Rose, sfruttando la propria modesta altezza per arginare quel braccio di ferro. Il ragazzo la afferrò all’ultimo momento e la allontanò da lì senza perderla d’occhio. «Diamine, Malfoy ma cosa stai facendo? Devo entrare nel vostro dormitorio e cercare tra la roba di Nott, non possiamo stare qui senza far niente».
  «Ci può pensare benissimo Albus. Io mi occuperò di evitare che tu varchi questo confine» disse con un luccichio negli occhi. «Cinque sono già passati, devo tenerti a bada per soli altri due anni e il mio compito sarà finito».
Non stasera.
Rose contorse le dita che desideravano percuoterlo violentemente e il piede prese a tamburellare nervosamente sul pavimento: tutto il suo corpo era dominato dall’ira. «Non perdi occasione per dimostrare quanto sei stronzo».
  Malfoy sorrise divertito e ora pienamente soddisfatto «Grazie».
Albus ricomparve alle loro spalle dopo diversi minuti «E’ lecito sapere cosa state facendo?».
  «Me lo domandi pure?» fu la risposta lamentosa di Malfoy. «Tua cugina non metterà piede nel nostro dormitorio».
Albus alzò gli occhi al cielo in una silenziosa protesta, ma decise di non indugiare. «Vincent non è nel Dormitorio, come si poteva facilmente immaginare. Sono curioso di sapere quale scusa abbia trovato per saltare la festa. I ragazzi del Settimo saranno contrariati» disse Albus con una smorfia di irritazione.
  «I ragazzi del Settimo, sul serio Al?» disse Rose, sorpresa nel costatare certe regole gerarchiche che ancora presiedevano i sinistri rapporti tra i Serpeverde.
  «Sono molto esigenti con noi del Sesto, vogliono essere certi di averci preparato a dovere prima di lasciarci il comando».
Per un attimo Rose si figurò in mente la schiera dei suoi coetanei Serpeverde, tra Nott e Malfoy che si contendevano il ruolo di leader, Alan Doyle con la sua viscida personalità, Kate Hastings e il suo sciame di ammiratrici starnazzanti e il cugino Albus che sembrava essere indifferente ad ogni situazione. Dubitò che i Settimi sarebbero stati soddisfatti dei propri eredi. «Spero almeno che tu abbia frugato tra le sue cose».
Una risata sommessa accompagnò le parole di Albus «A quale scopo?».
  «Chi agisce di nascosto lascia sempre tracce del proprio operato, considerando poi che l’unica intimità di cui può godere è quella stanza lugubre che voi condividete. Non mi sembra il luogo più adatto per passare inosservato».
  «Calma Weasley, stai vestendo con troppo gusto i panni dell’Auror» intervenne Malfoy. «Non ti dimenticare che Vincent non è uno sprovveduto».
  «Non lo sono nemmeno io».
Dei passi echeggiavano nel lungo corridoio buio, poi un’ombra alta si stagliò sul pavimento, rincorsa dalla luce delle lanterne, anticipando la comparsa di una figura maschile. Clegar Walder, Caposcuola Serpeverde si fermò davanti a loro, sul volto una smorfia di disappunto. «Potter, Malfoy, mi avevano avvertito di avervi visti entrare nel Castello, ma non pensavo di trovarvi qui» disse, poi alzò lo sguardo su Rose «e in dolce compagnia».
I ragazzi non si guardarono questa volta, ma non serviva la loro eccelsa telepatia per comprendere quanto fossero mortificati.
  «Sono sicuro che ci sia una buona ragione che giustifichi la vostra assenza dalla festa e la presenza di una Grifondoro vicino la nostra Sala Comune».
  «Buonasera Walder» intervenne Albus con i suoi modo accorti. «Ci hai anticipati, stavamo giusto per tornare in cortile».
  «La festa è iniziata ormai da molto e senza di noi. Difatti è una noia mortale» disse Walder con severità, penetrando i due ragazzi con uno sguardo silenzioso ma letale.
Rose trovò tutto ciò ridicolo, ma non fu disposta a lasciare che Albus e Malfoy si prendessero la colpa di quanto era accaduto. «Loro erano alla festa fino a poco fa» intervenne con voce flebile, sotto lo sguardo ammonitore di Walder, che si voltò verso di lei, socchiudendo gli occhi e concedendole la propria attenzione. «Sono dovuti rientrare a cercare Nott. Se si vuole accusare qualcuno di non essersi presentato stasera, io inizierei da lui».
Accanto a sé Albus iniziò a muoversi nervosamente, mentre Malfoy aveva voltato appena la testa verso di lei e la scrutava preoccupato con la coda dell’occhio. Walder irrigidì i tratti del volto e il suo sguardo sembrò diventare ancora più severo «Grazie Weasley siamo lieti di aver ascoltato quanto avessi da dire a riguardo, nonostante nessuno ti avesse interpellato. Vi farà piacere sapere che Nott è alla festa e sta svolgendo il proprio compito meglio di quanto non stiate facendo voi due qui sotto, andando a zonzo con una Grifondoro».
Il Caposcuola li guardava in attesa. Malfoy parlò per liberarli da quella situazione. «La serata è ancora lunga, avrai tempo per ricrederti».
 «Lo spero» disse e guardò i ragazzi dileguarsi lontano dalla parete rocciosa e dal tetro corridoio.
 
  «Cosa diavolo sta succedendo?» ringhiò Malfoy mentre percorreva a grandi falcate i Sotterranei. «Nott è alla festa adesso?».
  «Non avevate detto che non sarebbe venuto?». Rose quasi correva per tenere il passo degli altri due. Svoltarono l’angolo e imboccarono un lungo corridoio, al termine del quale tre ragazzi sostavano immobili, intenti in una fitta discussione.
  «Così pensavamo. Carter ne era certo, ha detto che non sarebbe sceso questa sera» riflettè Albus.
  «Forse sarebbe stato il caso di accertarsene prima di disobbedire agli ordini di papà Caposcuola» disse Rose.
  «Tu sta zitta» esclamò Malfoy, bloccandosi di colpo nel bel mezzo del corridoio e voltandosi verso di lei con un’espressione inferocita. «Non sei in grado di tenere chiusa quella boccaccia una volta tanto?»
Rose spalancò gli occhi. «Stavo cercando di aiutarvi, mentre voi ve ne stavate lì muti …»
  «Perché non c’era nulla che potessimo dire per migliorare la nostra situazione; fare la spia a Walder sulla faccenda di Vincent, dimostrandogli che sei così informata sui nostri piani per la serata non mi è sembrato il modo migliore per toglierci dalla merda. Per non parlare del fatto che fossi vicino alla nostra Sala Comune. Il minimo che avresti dovuto fare in quel momento sarebbe stato sparire o far dimenticare a chiunque della tua presenza» sbottò.   «Voi Grifondoro siete tanto impulsivi quanto stupidi».
La ragazza deglutì a fatica. Non aveva mai sentito Malfoy urlare in quel modo. Si sentì terribilmente in colpa e cercò di nascondere il proprio sguardo, ferito dalla sua irruenza. In quel lugubre angolo dei Sotterranei l’aria era umida e satura di odori dolciastri che ricordavano le lezioni di Arrows. Rose avvertì un senso di nausea «Non credevo di danneggiarvi».
  «Questo succede perché non impari mai ad impicciarti degli affari tuoi, Weasley».
  «Perché non la piantate e venite un po’ qua?». Albus dava loro le spalle e con gli occhi scrutava, in fondo al corridoio, vicino ai tre ragazzi, una porta di legno chiaro che spiccava nel contrasto con le pareti grigiastre e gli infissi neri, ma a parte questo sembrava che il ragazzo fissasse il vuoto.
  «Cosa dovremmo vedere Al?».
Malfoy incrociò le braccia al petto e un lampo di rapacità attraversò il suo sguardo. «E’ il Deposito di Pozioni» disse.
  «In quella stanza tutti i professori di Pozioni conservano i loro ingredienti e gli strumenti necessari per preparare ogni tipo di elaborato. L’ingresso è vietato agli studenti, ma ogni anno quattro ragazzi vengono scelti per assicurare l’ordine all’interno della scuola e ricevono le parole d’ordine di tutte le sezioni proibite» spiegò Albus
  «I Caposcuola, sì lo so» completò Rose.
  «Esattamente» proseguì lui. «Ad ogni festa il Caposcuola Serpeverde fornisce a Vincent l’accesso ai Depositi per fare razzie dalle scorte di Arrows e occuparsi della preparazione di alcune pozioni speciali, che hanno la capacità di far provare esperienze diverse».
Rose guardò il cugino per diversi secondi, cercando di comprendere quanto le stava dicendo. «Non starai parlando di droghe, vero Albus?».
  «Per essere così ottusa, sei incredibilmente perspicace» commentò cupamente Malfoy.
Rose si lasciò scappare un pesante sospiro e decise di evitare altre serate future in compagnia dei Serpeverde. «Mi stai dicendo che, se quanto Walder ha detto corrisponde a verità, Vincent è alle spalle di quella porta?».
  «Senza ombra di dubbio» disse Malfoy.
Albus annuì, continuando a guardare quel punto lontano. «Vedi quei tre ragazzi in fondo? Loro sono l’avanguardia: scelti del terzo anno, hanno il compito di proteggere Vincent se dovesse avvicinarsi qualcuno, come Gazza o professori, e quindi di sacrificarsi per lui».
  «Prendendo la punizione al posto suo?» chiese Rose, strabuzzando gli occhi.
 «E’ un grande onore essere scelti» spiegò Albus come giustificazione e Rose comprese che nessuna propria replica avrebbe scalfito quella incomprensibile convinzione.
Non passarono molto istanti da quelle ultime parole, che un rombo violento riecheggiò nel corridoio. Riconobbero il frastuono proveniente dalle scale all’altra estremità del corridoio, poi un lampo di luce, accecante per occhi avvezzi alle tenebre dei Sotterranei, anticipò l’ingresso zoppicante di una figura massiccia e goffa. Il professor Arrows avanzava stringendo tra le mani grassocce la bacchetta illuminata.
  «Chi è stato?» urlò, puntando  la bacchetta in ogni angolo del corridoio, scrutando con i suoi occhietti da rettile, che per l’occasione si erano dilatati e minacciavano di schizzare fuori dalle orbite. Quando la luce colpì in pieno volto i tre ragazzi, il suo viso ebbe un sogghigno malefico. «Siete stati voi?».
Il bagliore proveniente dalla bacchetta sferzò l’oscurità e invase Rose con una tale irruenza da spaventarla; d’istinto indietreggiò. Malfoy si avvicinò a lei e guardò perplesso il professore infuriato. Un cenno di sagacia e maestria lo indussero a fiutare aria di guai, ragione per cui preferì essere prudente: si posizionò davanti a Rose, nascondendo il più possibile la figura della ragazza con la propria schiena, poi, continuando a monitorare l’ira del professore, cercò con le dita il polso di lei e lo strinse con leggerezza.
   «Professore, non sappiamo di cosa stia parlando» tentò Albus.
La vena sulla tempia di Arrows pulsò terribilmente al suono di quelle parole. «Non si prenda gioco di me, signor Potter» ringhiò.
   «Non era mia intenzione, professore. Se le ho dato questa impressione, la prego di scusarmi» si affrettò a rispondere, facendo sfoggio del suo tono più rassicurante, compromesso da un accenno di mortificazione.
Non ci fu una sola parola di troppo che andò ad aggiungersi a quel mosaico di perfetta e genuina placidità. Come da previsione, l’effetto della condotta serafica di Albus non tardò a manifestarsi e gli occhietti vispi di Arrows persero appena quel luccichio malefico. «Mi hanno avvertito sai! Qualunque sia il piano, sono stato avvertito e nessuno, ripeto nessuno, toccherà le mie cose!» sbraitò.
Rose avvertì le dita di Malfoy stringersi con più forza intorno al proprio polso, mentre la schiena si irrigidiva. Per il resto, rimase immobile.
Da abile incantatore quale era, Albus Potter non tradì alcuna emozione: non fu vinto dalla tentazione di voltarsi verso i suoi due compagni per scambiare con loro uno sguardo perplesso o inorridito. Solo proseguì «Chi sta cercando di  prendere le sue cose?».
  «Se lo sapessi, qualcuno sarebbe già fuori da questa scuola» disse in un basso e sinistro latrato. Con la bacchetta stretta nel pugno continuava a perlustrare, saltellando sulla gamba buona e trascinando l’altra con una tale maestria da far sospettare che non avesse mai avuto difficoltà deambulatorie. Quando la luce avvolse nel suo raggio i tre scelti del Terzo, il ghigno intimidatorio si mutò in una feroce smorfia vittoriosa. «Voi! Siete voi!».
Rose osservò il professore galoppare verso la porta dei Depositi, ancora troppo irrigidita dallo sgomento e dalle dita ferree del ragazzo, per poter sospirare di sollievo, ora che la minaccia di Arrows si era dileguata insieme alla sua ingombrante presenza.
Malfoy sciolse la stretta con titubanza, senza guardarla, ma rivolgendo la propria attenzione all’amico il cui sguardo era perso nel vuoto.
Nonostante le urla di Arrows riempissero il corridoio e l’eco si estendesse in un boato assordante, il silenzio che aleggiava tra i tre ragazzi era opprimente e carico di tensione. Rose non seppe dire se i Sotterranei fossero semplicemente un luogo inospitale per antonomasia o se le dinamiche che si erano svolte e intrecciate negli ultimi minuti accrescessero l’angustia che avvertiva sempre più gravosa, ma, in quel momento, percepì la sgradevole sensazione di essere accompagnata da una presenza nemica: un’ombra sfuggente che la seguiva e la osservava in quell’istante, tra le mura del tetro e umido corridoio dei Sotterranei.
Sollevò lo sguardo e si guardò intorno, incontrando solo tenebre e roccia; poi le scale in fondo al corridoio e la porta in legno chiaro all’altra estremità. Allora si voltò e guardò oltre le proprie spalle verso quel passaggio che conduceva alla Sala Comune dei Serpeverde e vide gli occhi glaciali di Vincent Nott fissarla, prima che lui sparisse oltre il varco.







Inglese. Meraviglia  







 
  
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