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Autore: Luana89    29/09/2017    1 recensioni
Un piede ondeggiava annoiato fuori dal finestrino, l’altro poggiato con noncuranza sul cruscotto della berlina nera e costosa, portava la cravatta allentata, le spalle ricurve come se fosse concentrato a fissare qualcosa sul suo grembo, aveva un cipiglio attento. Nicholas si mosse nervoso sul sedile, solitamente non fissava così sfacciatamente i ragazzi sempre attento a non far sospettare nessuno delle sue ‘’preferenze’’, ma era impossibile non guardarlo. Gli zigomi appena pronunciati, l’arco delle sopracciglia nonostante fossero aggrottate era perfetto, e le labbra lievemente imbronciate; lo sconosciuto alzò lo sguardo, era come se fosse stato richiamato da quei pensieri troppo lontani, i suoi occhi si posarono su Nicholas e si accesero, non riuscì a distinguerne il colore ma non aveva poi molta importanza. Respirò a fatica mentre lo studente in divisa staccava la schiena dal sedile, le labbra si curvarono in un sorrisetto malizioso e crudele tutto per lui. La gola di Nicholas sembrò serrarsi, la gamba ingessata pulsò appena e gli venne spontaneo toccarla, non riusciva a staccare gli occhi dallo sconosciuto. Il semaforo divenne verde, tutto sfocato mentre la berlina nera diveniva un puntino lontano.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La cerniera si chiuse senza intoppi, Nicholas fissò la valigia sopra il proprio letto, il momento atteso da molti studenti era arrivato. Avrebbero passato due giorni nelle università scelte tempo addietro, avrebbe finalmente respirato l’aria di Harvard e il solo pensiero lo rendeva eccitato. La porta si aprì e il viso di Amanda comparve sorridente.
«Posso?» Nicholas le sorrise facendole cenno di entrare, sedendosi tra le lenzuola ancora sfatte.
«Non ci posso ancora credere.» I loro occhi si mossero nello stesso istante fissando tutti i gadget di Harvard che il ragazzo aveva collezionato in quegli anni.
«Sono sicura andrà benissimo, e sono sicura ti accetteranno. Hai voti ottimi, e poi.. si perderebbero un futuro medico di tutto rispetto.» Gli scompigliò i capelli ridendo, percepiva la tensione provata dal figlio e suppose non fosse solo semplice paura per il college.
«Mamma, quando torno vorrei parlarti. Parlarti di qualcosa, è molto importante.» La voce greve e profonda, pregna di ansia, fece storcere il naso ad Amanda che afferrò le mani del figlio.
«Nicholas, è successo qualcosa?» Il ragazzo sviò quegli occhi indagatori concentrandosi sulle loro mani intrecciate, voleva raccontarle finalmente tutto. Dirle ciò che voleva davvero, dirle di non poter sposare un giorno una ragazza perché attratto dagli uomini. Ma puntualmente finiva con il perdere il coraggio, quindi si era dato una scadenza e l’avrebbe rispettata. Un sordo bussare alla porta interruppe quel discorso improvvisamente scomodo, era Maria.
«Il signorino Underwood sta per andar via, volete scendere a salutare?» Nicholas si alzò in maniera talmente irruente da far trasalire anche Amanda. A differenza loro, lui stava partendo un giorno prima.
«Dio Nicholas, non sta mica andando in guerra.» La donna portò una mano al petto soffocando una risatina incredula ma il figlio era già sulle scale. Christopher in piedi sull’uscio parlava col padre, la sua posa era rilassata, l’espressione del viso non esprimeva alcuna tensione, tipico di lui. D’altronde qualcuno con un QI da 180 di cosa doveva preoccuparsi esattamente? Era già tanto non avesse deciso di diplomarsi prima degli altri.
«Oh, sei qui.» Una semplice frase, ma Nicholas vide il suo sguardo e si sentì improvvisamente riscaldare da dentro. Gli sorrise annuendo appena.
«Fai buon viaggio, Chris.» Lo vide abbozzare un sorrisino probabilmente dovuto all’udire il diminutivo che non usava quasi mai.
«Anche tu, Evan sarà una splendida compagnia per te.» Nicholas lo fissò in tralice, aveva parecchio da obiettare al riguardo, ma al momento poco gli importava. Non poteva abbracciarlo, né stringere la sua mano, quindi si limitò a fissarlo finché non fu in ascensore e anche allora i loro occhi non si abbandonarono mai finché l’ultimo spiraglio non venne sigillato dalle porte.
 
 
Era una giornata di fine Gennaio soleggiata quella, la gente correva da una parte all’altra come se avesse il diavolo alle calcagna. Evan accanto a lui si guardava intorno, e Thomas non riusciva a spiccicare parola. Alle volte pensava che tra i due il vero taciturno fosse lui e non il fidanzato.
«Prenditi cura di Nicholas.» Si guardarono per qualche istante, Evan gli accarezzò il ciuffo che ricadeva scomposto sulla fronte.
«E tu prenditi cura di te stesso, e mandami foto di Yale. Ho sempre avuto curiosità sulle voci che circolano.» Sorrisero nello stesso istante, Thomas pensava che non ci fosse nulla di peggiore del dirsi addio. Eppure quello non lo era, in fondo sarebbero stati solo due giorni, quella era solo una sorta di preparazione per il saluto finale e ben più prolungato.
«Sissignore.» Fece il saluto militare beccandosi un’occhiataccia da parte dell’altro che improvvisamente guardò alle sue spalle alzando la mano in segno di saluto. Nicholas corse loro incontro trafelato, il borsone sulla spalla destra e un sorriso stanco tutto per loro.
«Scusate, c’era un traffico atroce.» Prese un respiro profondo in attesa di andare, Evan tornò a fissare Thomas dandogli un bacio leggero sulle labbra, Nicholas scostò il viso imbarazzato e anche un po’ invidioso. Sarebbe stato tutto così semplice se lui non avesse avuto quella fottuta paura, e Christopher… beh se il suo pseudo ragazzo fosse stato una persona normale magari, avrebbe agevolato.
 
 
«Avanti.» La porta dell’ufficio di Scott si aprì e il viso sorridente della moglie sembrò rischiare la sua giornata.
«Caffè?» Sollevò i due bicchierini fumanti e l’uomo sospirò beato facendole cenno di sedersi.
«Ho una moglie decisamente premurosa, ma anche piuttosto preoccupata.. o sbaglio?» Aggrottò la fronte fissando il viso di Amanda che si distese in un sorriso insicuro sorseggiando la bevanda bollente.
«Pensi io sia una pessima madre?» Fissò il liquido scuro soffiandovi sopra osservandone la superficie incresparsi. Nicholas era ormai partito, si erano lasciati in una situazione di stallo e questo la preoccupava.
«Penso tu sia un’ottima madre, perché dici cose così assurde mia adorabile moglie?» Poggiò il bicchiere sulla scrivania sporgendosi verso la figura seduta di fronte a se che si lasciò andare contro lo schienale sbuffando.
«Dovrà pur esserci un motivo se Nicholas non mi ha mai detto di essere..» si stoppò per un istante, era assurdo ma le veniva da ridere. «Beh, di essere gay.» Scrollò le spalle e Scott rise.
«Credo tema di deluderti, è comprensibile.» Allargò appena le braccia con indolenza.
«Appunto, è colpa mia, evidentemente gli ho dato un cattivo esempio.» Tipico di Amanda colpevolizzarsi sempre e comunque. La vide pressarsi una tempia e notò le leggere occhiaie che solcavano gli occhi struccati. 
«Hai proprio la vocazione da crocerossina, come fai ad essere ancora qui? Dovresti flagellarti per ogni paziente morto.» La moglie lo ammonì con un’occhiata.
«E’ diverso, e tu lo sai. Forse ho parlato troppo poco con lui, forse..»
«Forse, forse, forse. L’unica cosa sicura è che te lo dirà una volta tornato.» Sorrise e sembrò la versione adulta di Christopher.
«Dovrò evitare di ridergli in faccia e fingermi sorpresa… anche se ..» Assottigliò lo sguardo sedendosi composta, sporgendosi verso il marito.
«Anche se cosa?»
«Pensi frequenti qualcuno? Lo vedo strano, ho come l’impressione che sia innamorato..» si accarezzò il mento pensierosa, raramente sbagliava ma chi poteva essere? Forse Thomas? Jeremy era escluso, le guardava il culo da che ne avesse memoria, quel piccolo depravato dai capelli infuocati.
«Mi domando chi sia.» Scott sporse le labbra, entrambi ignari di essere entrati nel pieno di una spirale sentimentale.
 
 
Nonostante la lontananza da Christopher, Nicholas non poté fare a meno di sentirsi felice ed eccitato in quei due giorni. Il campus superava qualsiasi sua aspettativa, persino la compagnia di Evan non sembrò sgradita anzi, era talmente preparato da oscurare quasi la loro guida personale.
Il colloquio col rettore sembrava essere andato bene, anche se l’amico era stato parecchio scettico e pessimista al riguardo giudicando la propria ‘’performance’’ al di sotto delle sue aspettative. Nicholas lo conosceva abbastanza bene da essere sicuro che Evan avesse fatto innamorare di se persino il rettore, e il tempo gli avrebbe dato ragione. Seduti sul prato si godevano l’aria così diversa dal liceo, l’amico impegnato a trafficare col cellulare.
«Mi domando come sopravvivrete tu e Thomas una volta al college, il tuo cellulare sta andando a fuoco.» Evan lo fissò beffardo.
«Parli per invidia? Christopher ti avrà mandato due messaggi in due giorni.» Nicholas lo fulminò con un’occhiata astiosa, era affezionato a quel ragazzo ma continuava a non digerire la sua crudele schiettezza.
«Io e Christopher non abbiamo quel tipo di relazione..» si rese vago di proposito, ma l’altro non cadde nel tranello.
«Ah no? E quando pensi di dirgli che sei innamorato di lui?» Posò il cellulare che sembrava essere divenuto improvvisamente poco interessante, piantando gli occhi color caramello su un Nicholas adesso a disagio.
«Io non.. ma che stai dicendo, è assurdo.» Cercò di ridere ma suppose non gli fosse venuto molto bene visto il modo in cui Evan lo stava fissando. «Piantala Cooper, sei fastidioso.»
«E tu un codardo.» Lo indicò con tono beffardo alzandosi dal prato con agilità. «Vado a salutare la biblioteca, chissà quando vedrò ancora qualcosa di così maestoso e bellissimo.» Mollò così l’altro ancora seduto e sconvolto.
 
 
Il camino scoppiettante donava una sensazione di calore più insolita delle altre volte, Nicholas posò i bagagli sul pavimento correndo ad abbracciare la madre che lo strinse a se con affetto.
«Ci sei mancato.» Lo accarezzò commossa e il ragazzo pensò che sarebbe stata dura allontanarsi da lei una volta finito il liceo.
«Christopher?» Fissò Amanda e Scott che lo guardarono scrollando le spalle.
«E’ uscito, non credo tornerà stanotte.» Nicholas non riuscì a camuffare lo sgomento nei suoi occhi, e la madre gli sorrise.
«Oggi è l’anniversario della morte di William, preferisce stare solo..» adesso capiva, ancora una volta lo aveva escluso in favore della solitudine dolorosa nella quale sembrava essersi chiuso anni prima. Annuì debolmente afferrando il borsone improvvisamente pesante, la stanchezza era tornata a farsi sentire più forte di prima.
«Andrò a dormire, non ho riposato granché in questi giorni.»
 
Christopher sedeva contro la balaustra di marmo pregiato, il mazzo di fiori poggiato accanto a lui mentre fissava con insistenza l’ovale nella quale vi era incorniciata la foto del fratello. Gli anni erano passati, ma non il dolore e il senso di colpa asfissiante. Chiuse le palpebre, le serrò con forza, ripensando al volto della madre e quei suoi occhi perennemente umidi e arrossati. Se quella mattina non avesse insistito per uscire a giocare, se non avesse avuto sempre quell’inclinazione al comando, se se se. Troppi se. La voce del padre rimbombò nelle sue orecchie strappandogli un sorriso, era sicuro si sarebbe incazzato immaginando il flusso di pensieri che lo tediavano ormai da anni.
Quando lasciò il cimitero il sole era ormai tramontato da un pezzo, pensò a Nicholas era certo fosse già tornato così com’era sicuro fosse incazzato nero nel non averlo trovato. Eppure non tornò sui propri passi, era una serata malinconica quella, aveva indossato la propria divisa scolastica consapevole che quella notte l’avrebbe trascorsa fuori.
Strade su strade, e ancora vie e vicoli, e locali e alcool, e risate strappate a bocche sconosciute, volti mai visti e altri conosciuti chissà dove. La perdizione era facile da conquistare, un po’ meno da lasciare andare. Eppure lui lo fece, non voleva un corpo nudo accanto a se, non se Nicholas appariva a disturbarlo non appena si soffermava un minuto in più a fissare qualcuno. Bevve la birra ghignando, il locale rumoroso, qualcuno bussò alla sua spalla, si voltò e il viso di Lucas gli apparve seguito da quello di Robert.
«Fatemi indovinare, siete qui per rovinarmi la serata.» Si girò con un sospiro fintamente stanco, le labbra del biondo si curvarono all’ingiù mentre mandava Robert a prendere qualcosa da bere.
«Sono qui per farti i miei complimenti, una mossa da vero maestro quella dei cartelloni.» Christopher sorrise arcigno scolandosi la birra sino all’ultima goccia.
«Hai solo da imparare.»
«L’ho mollata.» Era ovvio si riferisse alla propria matrigna. «Ho capito che avere debolezze e segreti è solo uno svantaggio, la prossima volta non mi coglierai impreparato.» Il barista mise loro davanti altre due bottiglie, le afferrarono sbattendole sonoramente l’una contro l’altra.
«Ne avrai altri, e io sarò lì ad aspettare.» Si fissarono in cagnesco bevendo all’unisono, Robert tornò senza alcuna voglia di aggregarsi. I suoi occhi grondavano odio.
«Non sei andato a nessun colloquio universitario vero? D’altra parte, chi vuoi che lo voglia un tossico tra le stimabili reclute di Stanford?» Chris lo punzecchiò con un mezzo sorrisino perfido.
«Non mi fermerò fin quando non ti avrò rovinato Underwood, puoi giurarci.» Il tono trasudava rancore, gli occhi ridotti a due fessure. Lucas sospirò spingendolo.
«Andiamo, si è fatto tardi.» Robert si scrollò dalla sua presa.
«Parli bene tu, il tuo viso non è stato messo alla gogna.»
«Robert non rompere il cazzo, non saresti comunque entrato alla Stanford, è già tanto se un’università pubblica avrà la decenza di prenderti con i voti pessimi dell'ultimo anno.» La cocaina era stata la rovina del ragazzo, lo sapevano tutti, da studente brillante a ultimo dei suoi corsi in un solo anno. Christopher rise ammiccando verso Lucas.
«Ha ragione lui biscottino, vai a casa è tardi.» Il ragazzo voltò ad entrambi le spalle incamminandosi verso l’uscita.
«Andrò anch’io, mi auguro ti possa strozzare con la tua merdosa birra. Ricordati Underwood, io e te siamo ancora in guerra.» Lo indicò con una risatina di sfida e Christopher chinò il capo restando nuovamente solo.
 
 
Continuava a fissare le sue mani sporche di sangue, ritto di fronte il commissariato mentre l’alba spuntava alle sue spalle. Mandò giù il bolo di saliva incespicando nei propri passi, grossi lividi adombravano il viso e graffi profondi sembravano deturpargli i lineamenti. Alcuni agenti lo fissarono sgomenti, i suoi occhi impauriti si poggiarono sul primo uomo sulla sua strada alla quale si aggrappò.
«Vi prego, vi prego.. aiutatemi.» Le ginocchia cedettero e il poliziotto riuscì ad afferrarlo prima che cadesse di schianto a terra, scortandolo in una delle sedie più vicine.
«Ragazzo qual è il tuo nome, sei ferito, che è successo?» Non sembrava avere intenzione di rispondere mentre continuava a fissare il pavimento e poi le mani sporche di sangue, era troppo perché potesse passare per suo.
«Robert. Robert Jefferson.» Fissò l’uomo ritraendo infine gli occhi spaventato, davanti a lui una piccola folla si era formata incuriosita o forse semplicemente apprensiva.
«Puoi dirci cosa è successo, Robert?» La mano insanguinata del ragazzo si aggrappò alla manica dell’ufficiale che lo fissò sorpreso, i suoi occhi si spalancarono.
«Il mio amico è morto. Lo hanno ammazzato, sono riuscito a scappare per miracolo.» Il silenzio calò nella sala per qualche istante.
«Okay adesso calmati, come si chiama il tuo amico e dove si trova.»
«A pochi isolati da qui, il suo nome è Lucas.. Lucas Lancaster.» Gli uomini si guardarono attorno impietriti.
«Stiamo parlando del figlio del Generale Lancaster?» Un senso di disagio serpeggiò tra loro, Robert tremò ancora annuendo.
«Va bene, resta qui.» Il più alto in grado diede l’ordine alla squadra ma Robert lo tirò ancora per la manica, improvvisamente il suo tremore sembrava cessato.
«So chi l’ha ucciso, ero lì.» Ancora silenzio, tutti aspettavano un nome. Un semplice e fottutissimo nome. «Christopher Underwood. E questa è la prova.» Dal pugno chiuso della sua mano venne fuori un bottone intarsiato, lo stemma della St.Jules inconfondibile e in rilievo. Ci fu del trambusto, uomini da una parte e dall’altra, nessuno badò più a quel ragazzo insanguinato. Nessuno notò come avesse smesso di tremare. Nessuno notò i suoi occhi freddi. E nessuno notò il suo sorriso agghiacciante.
 
 
La campanella quel giorno sembrava non aver voglia di suonare e dare il via alle lezioni, Christopher, Nicholas ed Evan sostavano appena fuori i gradini parlando del più e del meno tra uno sbadiglio e l’altro. Improvvisamente delle sirene squarciarono la quiete di quella mattinata apparentemente calma e statica, mille paia d’occhi si voltarono verso i cancelli laddove alcune auto della polizia si erano fermate. Scesero parecchi uomini, in testa a loro colui che teneva tra le mani un foglio. Christopher incontrò i suoi occhi e seppe che era lì per lui, si alzò lentamente con occhi dubbiosi e affilati.
«Christopher Underwood.» Il tono secco, quasi aspro. Nicholas si fece avanti ma venne immediatamente costretto ad allontanarsi.
«Sono io, ma questo lo sai bene, detective Sherman non ci vediamo da un po’.» L’uomo non ricambiò il sorriso, uscì prima un bottone custodito in un sacchetto trasparente, lo poggiò sulla giacca del ragazzo proprio laddove la stoffa scucita ne mostrava la mancanza. Si fissarono, Christopher sempre più consapevole e il detective sddisfatto mentre prendeva le manette che gli serrò sui polsi stringendoli più del dovuto. Nicholas urlò spingendo un uomo, Evan bianco come un cadavere sembrava aver perso l’uso della parola.
«Ti dichiaro in arresto per il tentato omicidio di Lucas Lancaster, e l’aggressione a Robert Jefferson..» Christopher lo fissò incredulo, non riuscì a parlare perché Nicholas si mise nuovamente in mezzo attaccandosi alla sua giacca.
«SIETE PAZZI, LASCIATELO ANDARE NON HA FATTO NULLA.» Spinse ancora alcuni uomini che tentavano di allontanarlo. «Non ti lascio con loro.» Si fissarono con gravità, l’incredulità era improvvisamente sparito dal viso dell’altro in favore di un'agghiacciante fermezza.
«Chiama mio padre, chiamalo e digli di chiamare gli avvocati.» A Nicholas sembrò di essere piombato in un incubo, sembrava avesse iniziato a piovere ma in realtà erano solo le sue lacrime.
«Andiamo, ho una cella tutta per te che ti aspetta.» Il detective lo spintonò con malgrazia beccandosi un’occhiata incendiaria.
«Due minuti, e mi avrai tutto per te.» Il tono lapidario infuriò ancor di più l’uomo che digrignò i denti. Christopher era nuovamente proteso verso Nicholas. «Andrà tutto bene.» Il ragazzo non sembrò sentirlo, mentre bianco come un cencio cercava di non versare altre lacrime. Successe tutto molto velocemente, allacciò le braccia la collo del fratellastro baciandolo con disperazione di fronte a tutti. Sentì Evan afferrarlo per la giacca allontanandolo da lui. Si fissarono un’ultima volta mentre il detective lo scortava all’interno dell’auto per poi sparire lungo la strada. Nicholas sentì le forze abbandonarlo e fu solo grazie all’aiuto dell’amico che non cadde sul prato, mentre tutti gli studenti fissavano sbigottiti e mormoranti. Alcune parole furono peggio di una coltellata ‘’me l’aspettavo’’ e ancora ‘’è sempre stato pericoloso, era solo questione di tempo’’ e ancora ‘’sempre detto fosse un killer mancato’’. Si voltò furente verso quelle voci ma Evan lo trascinò via.
«Non è il momento di litigare con loro, dobbiamo avvisare subito Scott.»
 
Il mondo si era appena rovesciato, aveva preso fuoco e Nicholas riusciva già a vedere cumuli di ceneri e detriti. 
 
  
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