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Autore: Luana89    01/10/2017    1 recensioni
Un piede ondeggiava annoiato fuori dal finestrino, l’altro poggiato con noncuranza sul cruscotto della berlina nera e costosa, portava la cravatta allentata, le spalle ricurve come se fosse concentrato a fissare qualcosa sul suo grembo, aveva un cipiglio attento. Nicholas si mosse nervoso sul sedile, solitamente non fissava così sfacciatamente i ragazzi sempre attento a non far sospettare nessuno delle sue ‘’preferenze’’, ma era impossibile non guardarlo. Gli zigomi appena pronunciati, l’arco delle sopracciglia nonostante fossero aggrottate era perfetto, e le labbra lievemente imbronciate; lo sconosciuto alzò lo sguardo, era come se fosse stato richiamato da quei pensieri troppo lontani, i suoi occhi si posarono su Nicholas e si accesero, non riuscì a distinguerne il colore ma non aveva poi molta importanza. Respirò a fatica mentre lo studente in divisa staccava la schiena dal sedile, le labbra si curvarono in un sorrisetto malizioso e crudele tutto per lui. La gola di Nicholas sembrò serrarsi, la gamba ingessata pulsò appena e gli venne spontaneo toccarla, non riusciva a staccare gli occhi dallo sconosciuto. Il semaforo divenne verde, tutto sfocato mentre la berlina nera diveniva un puntino lontano.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Le dita accartocciarono con rabbia la lettera, la firma del padre spiccava alla fine di quel flusso di parole, dentro non vi era un minimo accenno a come stesse il figlio, la benché minima preoccupazione. Si erano ridotti a questo quindi? Lo aveva totalmente cancellato dalla sua mente se non per questioni concernenti il futuro e la reputazione della famiglia? Sembrava girasse tutto intorno a questo in fondo. Preso da un impulso di rabbia e dolore compose il numero aspettando di sentire dall’altro capo la voce baritonale del proprio genitore.
 
– Thomas, ero sicuro avresti chiamato.
– Tu sai sempre tutto, giusto papà?
– E’ per il tuo bene, considerala una specie di uscita secondaria.
– West Point?
– E’ rispettabile tanto quanto la tua amata Yale.
– Andrò a Yale.
– Non ho mai detto il contrario, ma dimmi… hai fatto domanda per altre università?
– Non ne ho bisogno, voglio andare a Yale da una vita e lo sai.
– E se non dovessero prenderti?
– Ho ottimi voti.
– Ma non un liceo decente alle spalle.
– Se tu non mi avessi sbattuto fuori di casa.
– Hai scelto tu di lasciare il collegio.
– Andrò a Yale.
– Me lo auguro, ma ciò non cambia la mia decisione. Hai bisogno di una seconda opzione.
– West point?
– Credo faccia al caso tuo.
– Tu non sai cosa fa al caso mio, ti sei sempre rifiutato di volerlo sapere.
– Ti conosco meglio di quanto pensi. Devo andare adesso, ci risentiamo.
 
Il telefono muto accolse la sua rabbia silenziosa, sbatté il pugno sul muro senza registrare l’acuto dolore che dalle nocche si diramò al braccio. Prese l’accendino bruciando quella lettera che si accartocciò su se stessa tra le proprie dita, finché non morì nelle proprie ceneri. Sedette sulla poltrona fissando un punto a caso della parete, qual’era il suo futuro? Desiderava andare a Yale e poi? Non aveva mai pensato con attenzione al resto, non sembrava avere una passione come tutti gli altri, persino Jeremy era euforico all’idea di studiare giornalismo. Chiuse gli occhi curvando le labbra all’ingiù, desiderava accanto a se Evan ma il ragazzo era in giro ad indagare. Tutti si davano da fare per Chris, tranne lui, lui che non sapeva neppure che diamine fare della propria vita. Il cellulare squillò ancora, lesse il numero e stavolta un lieve sorriso increspò le sue labbra.
 
– Nicholas.
 
 
I corridoi dell’ospedale sembravano tutti uguali, si guardarono attorno con circospezione finché Thomas non si bloccò.
«Dovremmo dividerci, Robert o Lucas?» Nicholas lo fissò con apprensione finché il suo sguardo non divenne improvvisamente risoluto.
«A Robert ci penso io, tu vai a vedere come sta Lucas, chi finisce prima va dall’altro.» Annuirono nello stesso istante per poi dividersi. Thomas proseguì lungo il corridoio mentre l’amico salì al piano superiore svoltando prima a destra, verso gli ascensori.
I giorni erano trascorsi da un lato con lentezza dolorosa e dall’altro con assurda velocità, la prima udienza si sarebbe tenuta il giorno successivo e in mano non avevano ancora nulla. Nonostante le passate discussioni Thomas voleva salvare Chris, era sicuro della sua innocenza e pensare ad una qualsiasi persona rinchiusa in cella per errore lo faceva star male, figurarsi se quella persona era un amico nonché ex fidanzato. La porta della camera era chiusa, l’aprì lentamente e la prima cosa che vide fu il letto con il ragazzo disteso e incosciente. La testa fasciata e il corpo coperto da miliardi di tubi attaccati a delle macchine, non era mai stato un credente accanito ma in quel periodo si ritrovava spesso a pregare che il ragazzo si svegliasse. Mosse un passo nella stanza accorgendosi solo alla fine di una seconda presenza, un uomo in divisa i gradi in bella mostra, l’aspetto severo e burbero ma gli occhi stanchi. Si fissarono.
«Sei uno degli amici di Underwood.» Il generale lo inchiodò sul posto, i suoi occhi glaciali trasudavano rigore e potere.
«Si.» Perché mentire? Chris era innocente, mostrare paura o vergogna equivaleva a tradirlo. L’uomo lo scrutò qualche istante per poi fargli cenno di avvicinarsi e sedersi, Thomas obbedì risoluto restando in silenzio.
«Sei qui per dirmi che credi nella sua innocenza?» Inarcò un sopracciglio, la voce profonda non conteneva rabbia, solo una latente stanchezza soffocata da anni di rigore.
«Io non lo credo, io lo so per certo.» L’uomo sembrò incassare bene la sicurezza quasi sfacciata del ragazzo, annuì lentamente indicando il proprio figlio.
«Lo vedi? Non sei padre, non potresti capire pur volendo. Mio figlio è lì, rischia di non svegliarsi mai più, cosa dovrei fare? Tu al posto mio cosa faresti?» Sembrava una domanda semplice e complessa al tempo stesso.
«Cercherei il colpevole, e farei di tutto per farlo marcire in galera.» Il generale sembrò soddisfatto.
«Abbiamo un colpevole, domani avremo la prima udienza.»
«Ho detto che cercherei il colpevole, non un fantoccio messo lì affinché quieti il mio dolore e la mia voglia di vendetta.» La voce di Thomas uscì bassa e risoluta, stavolta furono i suoi occhi verdi ad inchiodare il più grande.
«Fino a prova contraria è Christopher il colpevole.» Parlò lentamente scandendo bene ogni parola. «Pensi io voglia incastrarlo? No, io voglio semplicemente giustizia.»
«Giustizia.» Thomas sorrise. «Mio padre è come lei, un uomo tutto d’un pezzo, non ammette errori o sbavature sa? Sempre composto, crede di sapere sempre ogni cosa. Generale ..che giustizia è quella che manda a marcire in galera un diciottenne innocente?» Si alzò fissando il letto nella quale giaceva Lucas.
«Credo tu sia più simile a tuo padre di quanto pensi.» L’uomo sorrise mettendo in difficoltà Thomas.
«Io sono per i deboli, per gli oppressi, sono dalla loro parte. E sempre lo sarò.» Mosse qualche passo pronto a uscire dalla camera.
«Lo sono anch’io, ho dedicato la mia intera vita ai deboli, sai? Sono un soldato. Ma sono anche un padre, sono il padre di ogni singolo uomo che incrocio sul mio cammino, sono il padre di tanti bambini salvati da morte certa.» La voce si incrinò appena per poi tornare stoica e orgogliosa. Thomas si voltò e nel suo sguardo c’era quasi ammirazione.
«Suo figlio avrà giustizia, glielo prometto.»
«Noi soldati spesso facciamo promesse vuote che non possiamo mantenere.» Abbozzò un sorriso, immerso in chissà quale ricordo di chissà quale guerra.
«Beh.. io non sono un soldato.» Thomas inarcò un sopracciglio beffardo.
«Peccato, saresti un ottimo soldato.»
 
 
Il suono gracchiante di alcune voci poteva essere udito attraverso la porta socchiusa, Nicholas sbirciò dentro osservando Robert steso sul letto intento a guardare uno stupido programma in televisione. Aprì facendo di proposito molto rumore attirando l’attenzione dell’altro che non appena lo vide mutò espressione, dal divertito all’arcigno in un battito di ciglia.
«E’ sempre bello venire accolti con calore.» Nicholas si rivide in Chris, in quella che sembrava ormai un’epoca lontana.
«Mi sembrava strano non fossi ancora venuto a strisciare come un verme, ti ha mandato il galeotto?» I suoi occhi luccicarono di divertimento, l’altro però finse di non scomporsi mentre si piazzava ai piedi del letto, le mani poggiate al ferro ghiacciato si contrassero lievemente stringendolo.
«Io non ho alcuna intenzione di strisciare, Robert. Sono qui per darti un’ultima occasione, confessa o giuro che farò ogni cosa in mio potere per rovinarti.» Sorrise candidamente mentre una risata accoglieva quell’affermazione.
«Non sei nella posizione di minacciare, ho saputo che domani ci sarà la prima udienza.» Prese una pausa afferrando un biscotto che morse e masticò con calma. «E’ un peccato per me non poter assistere al tracollo del grande Christopher Underwood, oh ma non temere mi sono attrezzato..» indicò la televisione. «Lo trasmetteranno in diretta, non capita tutti i giorni che il figlio di uno dei magnati più potenti d’America rischi vent'anni di galera.» Le dita di Nicholas si contrassero contro l’asta in ferro, le nocche sbiancarono.
«Vorresti ti raccontassi la teoria di Chris al riguardo?» Inarcò un sopracciglio e l’altro annuì fingendosi interessatissimo.
«Oh si, ti prego.» Scandì per bene quelle parole mettendosi comodo.
«Secondo lui la pietra contro il cranio di Lucas l’hai scagliata tu. Io volevo invece darti il beneficio del dubbio, insomma.. come ti saresti procurato altrimenti i lividi?» I suoi occhi blu trasudarono finta innocenza e studiato stupore.
«E’ proprio un gran bel mistero.» Robert ondeggiò il capo scimmiottando l’altro che sorrise.
«E poi c’è il bottone, insomma è una prova schiacciante non trovi?» A quel punto il ragazzo steso si sollevò appena, il tono di Nicholas non gli piacque per nulla. «Continuavo a pensare, e pensare, e pensare a come diavolo fosse arrivato lì.» Si fissarono in silenzio.
«Io so come c'è arrivato, l'ha perso Christopher mentre picchiava Lucas.» Gli occhi infidi rimasero però attenti, quasi in guardia.
«Avrei un’altra teoria io, vuoi sentirla?» Si sporse appena abbassando drasticamente il tono di voce, come se temesse che altri potessero sentirlo. Robert mandò giù la saliva restando in silenzio, tacito assenso alla sua domanda. «Sei troppo stupido per aver architettato una cosa simile con largo anticipo, ma il tuo odio ti ha comunque spinto a conservare quel bottone.»
«Non so di cosa parli.» La voce del ragazzo adesso palesemente incattivita e nervosa.
«Io invece penso di si. Ricordi i cartelloni a scuola, vero? Hai aggredito Chris quella mattina, ricordo come fosse oggi il modo in cui hai afferrato la sua giacca.» Una pausa studiata mentre scrutava il viso dell’altro che improvvisamente divenne pallido. «Lo hai scrollato talmente forte da staccargli il bottone. Mi chiedo come mai tu non l’abbia gettato, forse lo hai tenuto come monito per accrescere la tua rabbia.»
«Sei pazzo, nessuno ti crederà.» Robert scostò le coperte rabbioso.
«Io troverò le prove, te lo giuro. Sono sicuro sia andata così, così come sono sicuro che quei lividi che porti addosso saranno la tua condanna..» Reclinò appena il viso sorridendo.
«LUI MARCIRA’ IN GALERA. E tu potrai andarci per farti scopare una volta al mese.» Il viso una maschera di odio e crudeltà.
«Ho pagato alcuni ragazzi della ‘’piramide’’, sono curioso di vedere quanto ci metteranno a trovare il tipo che ti ha ridotto così. Magari un amico che hai pagato.. nessuno andrebbe in prigione per te con l’accusa di falsa testimonianza.» Nicholas non disse altro, Thomas apparve in quel momento nei suoi occhi si leggeva confusione per la scena a cui stava assistendo.
«Andiamo, Robert deve riposare.» Fece un cenno all’amico prima di uscire da quella stanza e solo allora i suoi lineamenti si alterarono, il dolore arrivò ad ondate.
«Nicholas, credo tu lo abbia fatto incazzare, e soprattutto ..la ‘’piramide’’ cosa?»Thomas sottolineò l’ovvietà rimarcandola con un sorrisino.
«Lo so bene che sono poche le possibilità che trovino chi lo ha picchiato su commissione. Doveva aver paura, era questo lo scopo. Se è andata come penso farà un passo falso, adesso andiamo da Evan dobbiamo organizzare i turni.» Si incamminò velocemente lungo il corridoio.
«Che turni?» La voce stupita dell’amico arrivò pochi secondi dopo.
«I turni per tenerlo sotto controllo, te l’ho detto .. farà un passo falso.»
 
 
L’aula iniziò a riempirsi lentamente ma in maniera pressante. Scott, Amanda e Nicholas sedevano tra le prime file. L’uomo fissava l’ex moglie con biasimo ma questa non dava cenni di vederlo né di esserne intimorita. Christopher entrò per ultimo, la sala ebbe un fremito, mille bisbigli si levarono nell’aria, i suoi occhi azzurri cerchiati da profonde occhiaie non vedevano altro che la propria genitrice. Il giudice intimò il silenzio e l’udienza iniziò.
«Lo stato contro Christopher Underwood.» Queste le parole pronunciate, peggiori di qualsiasi sentenza. Nicholas aveva una gran voglia di alzarsi e urlare tutta la sua incredulità, invece non poté fare altro che restare in silenzio mentre Ruth Lewis faceva a pezzi il ragazzo che amava. Non aveva mai visto la madre di Christopher a lavoro, e adesso capiva anche il perché lavorasse per il miglior studio legale di NYC, era metodica e spietata, la voce sicura e gli occhi azzurri simili a pozze di ghiaccio identiche a quelle del figlio. Era sul serio la stessa donna prostrata e quasi uccisa dalla depressione quella? Gli veniva impossibile crederci. L’avvocato Suarez comunque non era da meno, se Ruth poteva paragonarsi ad un Pit Bull inferocito, l’altro era un Rottweiler di tutto rispetto.
«L’accusa chiama al banco dei testimoni Simon Tate.» Christopher a quel nome sorrise in maniera severa, aveva capito perfettamente il tipo di linea che stavano cucendogli addosso. Entrò un ragazzo basso e smilzo, occhiali tondi incorniciavano un ovale ben definito, occhi castani bassi e spaventati che non si poggiarono mai sul compagno di classe. Fece il proprio giuramento con voce tremante.
«Brutta stronza…» Scott mormorò quelle parole con odio, Nicholas capì solo in quel momento chi fosse lo studente della quale al momento vedeva solo le spalle. Il figlio del preside della St.Jules.
«Lei conosce l’imputato?» Simon annuì timorosamente, Ruth continuò. «Può dirci in che modo?»
«Siamo compagni di classe, condividiamo parecchi corsi insieme..» Si torse nervosamente le dita.
«L’imputato le ha mai dato fastidio?» La donna sorrise con calore provando a metterlo a suo agio, cosa parecchio difficile a detta del ragazzino che si sentiva accerchiato e pressato.
«Si.» Chinò il capo stoppandosi per un momento. «Christopher è stato espulso da scuola dopo avermi picchiato.» Nella sala si levò un mormorio udibile, il giudice intimò il silenzio con la minaccia di far sgomberare la sala, chiedendo all’avvocato di continuare.
«Abbiamo il referto medico, ecchimosi evidenti su viso e torace.» Ruth estrasse dei fogli, probabilmente i referti di cui parlava. «Signor Tate, secondo la sua personale esperienza, l’imputato sarebbe in grado di uccidere qualcuno?»
«OBIEZIONE, L’AVVOCATO STA MANIPOLANDO E CIRCUENDO IL TESTIMONE.» Suarez urlò indignato e il giudice annuì.
«Avvocato Lewis lasci gentilmente ‘’le personali visioni’’ fuori da quest’aula. Obiezione accolta.» Nicholas chinò il capo sentendo improvvisamente difficoltà a respirare, non era tanto la testimonianza a turbarlo quanto più il fissare troppo a lungo Ruth consapevole di chi fosse. Non riusciva a credere potesse scagliarsi così contro il proprio figlio, la propria carne. L’udienza continuò in maniera serrata, Suarez dal canto suo demolì il giovane Simon che per poco non pianse chiedendo perdono, questo finché Christopher non venne chiamato a deporre, fu con profondo dolore che Scott lo vide alzarsi in manette e sedere al centro dell’aula, i suoi occhi si inumidirono.
Gli chiesero di fare il giuramento e finalmente Nicholas poté sentire la sua voce, sembrava sempre la stessa tranne forse per la lieve stanchezza che ne sporcava il solito timbro profondo.
«Imputato è a conoscenza dei capi d’accusa mossi contro di lei?» Ruth gli si piazzò di fronte, il ragazzo annuì seccamente.
«Respingo ogni accusa.» Fissò la madre con disprezzo e questa sembrò per un secondo arretrare, come se fosse stata presa in contropiede.
«L’omicidio è un reato gravissimo imputato, lo sa?» Gli si avvicinò poggiando la mano sulla superficie in legno. Christopher restò in silenzio, Nicholas riusciva a percepire il rigore innaturale delle sue spalle. «Alcune testimonianze ci hanno riferito dei suoi continui litigi con le due vittime, lo nega?»
«No.» La voce profonda fu udibile per tutta l’aula.
«Magari in un impeto di rabbia..»
«OBIEZIONE VOSTRO ONORE, L’AVVOCATO FA SUPPOSIZIONI TENDENZIOSE.» Suarez era ormai stanco di urlare obiezioni, il giudice fissò Ruth con cipiglio severo, la donna fece per scusarsi ma Chris la interruppe.
«Se fossi io il colpevole sarei andato a scuola quella mattina come se niente fosse? Avrei lasciato scappare Robert così che potesse accusarmi? Insulti la mia intelligenza. Ma comprendo bene i tuoi dubbi, sono già stato un assassino per te una volta, no?» Suarez fissò Scott con occhi smarriti, Nicholas fece per alzarsi ma Amanda lo trattenne.
«Imputato parli solo se richiesto.» Il giudice lo ammonì mentre la madre fissava il proprio figlio con occhi lucidi di sgomento. Christopher non sembrò sentire l’ammonizione, le spalle tremarono mentre si alzava con violenza dalla sedia sbattendo le mani sul tavolo.
«RISPONDI ALLA MIA DOMANDA, STRONZA.» Urlò quelle parole in faccia alla donna che retrocesse. Nell’aula scoppiò il panico, le guardie fecero irruzione afferrando il ragazzo che non oppose resistenza continuando a fissare con disgusto la madre che dal canto suo sembrava ghiacciata sul posto. Nicholas provò a superare la calca ma la gente gli sbarrava il passo, continuava a sentire il martelletto incessante del giudice sbattuto con violenza.
«LA SEDUTA E’ SOSPESA. PORTATELO FUORI.»
 
 
Suarez parlava a Scott concitatamente, Nicholas li fissava desideroso di sapere cosa si stessero dicendo.
«Non doveva perdere la calma..» Amanda aveva la voce rotta dal pianto inespresso e dall’ansia, la scena di poco prima indelebile nelle loro menti. La seduta era stata sospesa ormai da mezzora. Videro Scott venire verso di loro con aria furibonda.
«Che vi siete detti?» Fu Nicholas a parlare alzandosi per andargli incontro, l’uomo sembrò non sentirlo mentre si guardava intorno come alla ricerca di qualcosa. E quando l’ebbe trovata superò moglie e figliastro a passo di carica. Ruth parlava con alcuni funzionari pubblici, una mano maschile le afferrò il braccio voltandola con irruenza.
«Sei una serpe.» Scott esordì così il volto tumefatto dalla rabbia. La donna mandò giù il bolo di saliva.
«Faccio solo il mio lavoro.» Provò a scrollarsi dalla sua presa ma quello la rinforzò strappandole un’esclamazione di dolore.
«Quando tutto sarà concluso, quando MIO figlio verrà scagionato.. e posso assicurarti che succederà, perché credimi io so che è innocente e lo sai anche tu.» Si fissarono con gravità. «Quando tutto finirà io te la farò pagare Ruth.» Arrivarono proprio in quel momento Amanda e Nicholas, la donna afferrò il marito per la giacca allontanandolo con sguardo severo. Non voleva finisse in manette anche lui. Il ragazzo invece continuava a studiare colei che aveva messo al mondo Chris, ne era sempre stato incuriosito. Era molto bella anche se la sua pelle portava i segni di tutti i farmaci e del continuo dolore che sembrava scavarla da dentro. Non provava pietà però, era come se avesse sviluppato odio verso chiunque facesse del male al ragazzo che amava.
«La giuria si sta esprimendo a sfavore.» Il silenzio a quelle parole calò tra loro quattro, Ruth continuò. «In mancanza di un colpevole reale prenderanno lui come capro espiatorio, in fondo lo sappiamo bene come siamo noi Americani.. a noi non importa la verità, importa l’apparenza sociale. E finché c’è un colpevole, tutti avranno ciò che vogliono.» Nicholas si sentì mancare il terreno da sotto i piedi.
«Perché me lo stai dicendo?» Scott la fronteggiò.
«Perché voglio che prepari meglio il tuo avvocato.» L’uomo la fissò incredulo e la donna sembrò in difficoltà, voleva per caso redimersi?
«Suarez è il migliore.»
«Lo è, ma non nei casi persi in partenza. Ripeto: trovate il colpevole o preparati a rivedere Chris attraverso un vetro per i prossimi dieci anni, ammesso Lancaster non muoia.. in quel caso raddoppia la pena.» Non disse altro voltando loro le spalle.
 
 
Evan compose il numero di Nicholas con urgenza, attese due squilli prima di sentire con suo sommo stupore la voce dall’altro capo.
 
– Pensavo l’udienza fosse ancora in corso.
– Se ti dicessi che è stata sospesa perché Chris ha chiamato sua madre ‘’stronza’’ facendo una scenata, tu che mi risponderesti?
– Che il tuo piano ha funzionato, abbiamo trovato il tipo che ha pestato Robert.
– Dove sei.
– Dietro l’ospedale, pensa un po’.
– Non muoverti, non fare niente da solo, arrivo.
 
Evan fissò il telefono adesso muto, il ragazzo di fronte a se lo fissava nervoso. Schioccò la lingua contro il palato riponendo il cellulare nella tasca, avvicinandosi con lentezza all’altro che arretrò appena.
«Quindi, questo tenero uccellino è pronto a cantare? Sai, è stata una pessima mossa quella di venire a trovare il tuo amichetto, scommetto ti ha detto lui di passare per istruirti ancora una volta a dovere.» Lo sconosciuto si sporse come se volesse scappare ma Evan gli sbarrò la strada con un sorrisino.
«AH. AH. AH. Non si fa, che bimbo birichino.» Il tono divenne improvvisamente letale. «Sai, vorrei diventare medico un giorno, ho come missione quella di salvare più vite possibili.. ma non esiterei un istante a stroncare la tua.» Come se volesse dargli una prova concreta le sue dita si chiusero a pugno, lo colpì forte al viso facendolo sbattere contro il muro con violenza.
«Sei.. pazzo.» Evan  lo fissò senza particolare espressione, afferrandolo per il collo che strinse con forza misurata. Lo lasciò andare solo quando vide il colorito dell’altro divenire rossastro, guardandolo accasciarsi e tossire.
«Hai picchiato tu Robert?» Il ragazzo non rispose ancora preso a recuperare ossigeno prezioso. Nicholas arrivò in quel momento, più si avvicinava e più i suoi occhi si riempivano di stupore.
«Non so niente.» La voce uscì flebile e quasi arrochita, Evan roteò gli occhi muovendo un altro passo minaccioso verso di lui ma l’amico lo fermò scuotendo imperiosamente il capo.
«Come ti chiami? Sai che rischi di andare in galera, vero?»
«Sam.» Era il suo vero nome? Probabilmente se lo stavano chiedendo entrambi al momento fissandolo.
«Sam, bel nome.» Nicholas annuì fissando l’amico che dal canto suo teneva le labbra contratte in una smorfia perenne. «Sam, conosci la legge? Il tuo amico Robert ha accusato di tentato omicidio e della sua aggressione un ragazzo innocente.» Il tizio si fissò attorno smarrito.
«Sentite io non voglio guai.»
«I guai li avrai se non parli.» Evan gli si avvicinò ancora e stavolta Nicholas non lo fermò, Sam alzò le mani come a volersi proteggere.
«E’ venuto da me, sembrava un pazzo mentre mi chiedeva di picchiarlo. Io non volevo, chi cazzo picchierebbe mai qualcuno senza motivo?» Li fissò come se cercasse la loro solidarietà e non trovandola chinò il capo. «Gli ho tirato qualche cazzotto, ma lui continuava a urlarmi ‘’ANCORA, COSI’ NON BASTA’’, ero sconvolto. Quando mi rifiutai lo vidi sbattersi la faccia contro il muro, lì...» Indicò un punto non ben precisato, era evidente si riferisse al vicolo dove avevano trovato anche Lucas, vicino la centrale. «Se andate e guardate bene troverete ancora il sangue.. beh a quel punto ho preferito picchiarlo io.» Scrollò le spalle e Nicholas lo afferrò per il braccio, si sentiva nauseato da quel racconto ma non lo fece vedere.
«Devi testimoniare, tu hai visto Lucas a terra agonizzante.» Sam si ritrasse rabbioso.
«Ascoltami bene amico, io sono solo un pezzo di merda qualsiasi che vive in periferia, ok? Mia madre pulisce cessi in un fast-food, mio padre è disperso chi sa dove e mia sorella ha solo tre anni. Se io finisco nei guai, loro muoiono di fame.» Si scrollò dalla presa del ragazzo fissando a intermittenza entrambi. «Robert mi ha pagato, con quei soldi ci tirerò almeno un mese, niente da fare.»
«Okay.» Evan scrollò le spalle e Nicholas lo fissò sgomento. «Ha ragione, ha troppo da perdere.»
«Ti pago il doppio. Anzi il triplo.» Nicholas non sembrava voler demordere.
«Non puoi salvarmi da Robert, non possono i tuoi soldi e non puoi tu ragazzino con più lusso che problemi.» Sputò a terra con sdegno.
«Vai via, sparisci prima che cambi idea e con la saliva ti ci strozzi.» La voce di Evan raggelò l’amico ma fu Sam a sembrare il più stupito di tutti mentre si allontanava con circospezione, quasi avesse il timore che quello cambiasse idea.
«CHE CAZZO HAI FATTO.» Il biondino gli si scagliò contro venendo bloccato con una sola mano che lo spinse appena.
«Mi fai così idiota? Non avrò un QI da 180, ma credimi ..per intelligenza vengo subito dopo il tuo ragazzo.» Nicholas sapeva di doversi sentire offeso ma non ci riuscì mentre fissava il cellulare che l’altro aveva appena preso dalla tasca, stava ancora registrando prima che Evan mettesse pausa.
«Non accetteranno mai questa prova, è stata presa con l’inganno…» eppure non riuscì a frenare e mascherar la speranza nella sua voce.
«Non me ne frega un cazzo, l’importante è che sia udita da chi di dovere. Come il generale Lancaster, sarà lui il nostro ‘’cane da caccia’’, credimi.. Robert è rovinato.» Un sorriso trionfante si dipinse sul suo viso. «Ed è merito tuo Nicholas, lo hai salvato. Tu hai salvato Christopher.» Il ragazzo a quelle parole piene di sentimento, come libero da un peso, si sciolse in lacrime.
 
 Christopher sedeva in una sala vuota, i polsi trattenuti dalle manette erano il male minore. Lo aveva sempre saputo, era ciò che predicava da una vita: in un mondo simile avere una debolezza costava la rovina. Lui l’aveva e adesso eccolo lì, vittima del suo stesso dolore. Mandò giù il bolo di saliva, le spalle si curvarono come se avessero ceduto a un peso disumano. Portò le mani a coprire il viso distorto dalla rabbia e mentre i suoi occhi si serravano un altro paio, molto distanti da lui, tremarono appena prima di spalancarsi nuovamente alla vita.
 
 

 
  
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