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Autore: Dunettas    01/10/2017    0 recensioni
...Quei due sono la sua vita. La sua serenità. E lui sta bene così. Lo crede. Ne è convinto. Vuole convincersene. Poi suona l'ora della ricreazione e un lieve profumo di muschio gli sfiora le narici... (dal testo)
(spin-off di "se posso, lo voglio". Serie di shot collegate in ordine temporale).
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ed è la sua resa.



Sono passati quattro anni dall'ultimo giorno di scuola. Marco studia ed è anche un ottimo studente. Gli piacciono tutte quelle cose che hanno a che fare con la chimica, la biologia, la scienza in generale. Lo entusiasmano sinceramente. Ma la cosa che adora di più, è senza dubbio il professore di anatomia patologica.
Alto, moro, spalle larghe, vita stretta e quel camice pornografico che si porta sempre appresso. Quando lui spiega, mezza classe è in adorante contemplazione di come si muove, di come parla, e quando sorride. Dio quando sorride.
Con il tempo, Marco ha pienamente accettato di essere completamente, radicalmente e sostanzialmente gay. Era qualcosa di semplicemente inevitabile. Proprio come Saffo, lei lo sapeva, ma se lo teneva nel cuore, perché tutto si può sopportare.
E a Marco sta bene così. Alla sua piccola vuole bene, adora quando la notte si accoccola sul suo petto e lo fissa con quei grandi occhioni scuri, adora sentire il suo calore sul petto mentre fanno l'amore, ed adora quei lunghissimi capelli scuri che non ha mai tagliato dal liceo. Le scendono sulla schiena nuda come filamenti di una luna nera, sembrano quasi luccicare al buio.
Sono emozioni tenui, tiepide, nate dalla semplice constatazione di qualcosa di bello.
A volte se lo concede di essere un po' gay. Si infila nei locali più assurdi, per mettersi in un angolino a guardare, quelli che se lo possono permettere di vivere quella natura, e naturalmente rifiuta tutte le avance.
Una sera però, accetta il drink che gli offre un tipo, si sente particolarmente depresso. Deve andare a casa dei genitori di Giulietta nel fine settimana. E lui odia i genitori della sua ragazza. Li odia perché sono sofisticati, snob e con la puzza sotto il naso. E nonostante sia un fidanzato fedele e premuroso, lo trattano sempre come il più infimo dei randagi.
Da un sorso al Martini e concentra la sua attenzione su una coppia poco più in là.
Uno è alto, bello, piuttosto muscoloso, e indossa una camiciola sottile sottile che lascia intravedere i bei dorsali definiti. Marco si lascia scappare un mezzo sorrisetto sulla soglia del bordo del bicchiere. Pivello.
L'altro è piuttosto gracilino e si ritrae costantemente all'invadenza del compagno.
Quell'immagine gli fa lampeggiare nella mente il ricordo di una mattina di primavera. Un ragazzo, un sorriso e delle mani nelle tasche. Lo incalzava anche lui con un'impazienza nello sguardo, che Marco all'epoca non era stato in grado di capire.
Da un altro sorso al drink e si lascia andare contro la poltroncina di velluto scuro. Gli gira la testa. E nemmeno poco. Lui di solito non beve, no, perché in ospedale hanno sempre bisogno di lui per i turni in pronto soccorso e deve sempre essere pronto. Quindi non è abituato.
Vede confusamente qualcuno avvicinarsi e si accorge che si sta sporgendo verso di lui. Non ci fa caso, o forse non gli importa. Non sente niente, è tutto attutito. Percepisce piuttosto chiaramente che qualcuno lo sta toccando, lo ha afferrato per i fianchi e trascinato in pista. Ma non gli importa, ancora. Si abbandona all'alcol di quella cattiva serata, di quella cattiva settimana.
Poi un altro qualcuno, uno diverso da prima, si china su di lui e lo bacia, stringendogli saldamente il sedere tra le dita. Tanto non ci fa caso. Ha già baciato degli uomini, tanto per capire, tanto per vedere, ma non è stata altro che una conferma scontata e dolorosa di quanto effettivamente già sapeva.
Si sente infilare la lingua in gola e lo lascia fare, tanto è come sentire diecimila volte la stessa musica, la stessa sensazione. Gli fa schifo, si fa schifo. Poi, d'un tratto, sente due braccia afferrargli le spalle e tirarlo via da quella presa insidiosa. Disgustosa.
Vede il tipo innanzi a sé protestare: si sente offeso dal vedersi sottrarre la sua preda. Ma poi quello dietro di lui sembra dire qualcosa di convincente, perché l'altro impallidisce e si volatilizza.
Si accorge che stanno uscendo dal locale e che lo stanno facendo entrare in un taxi. Ma ha una presa fuggevole e inconsistente con la realtà.
“Ma che diavolo fai, Marco?”
Mormora la persona accanto a lui, ma Marco non la vuole guardare, non gliene importa niente nemmeno di dove sta andando. L'indomani si sveglierà, magari un po' dolorante e filerà a casa sua in un baleno, dimenticando ancora, dimenticando di nuovo. Perché tanto quel suo essere lui vuole semplicemente dimenticarlo.
Il taxi si ferma e la presa sul suo braccio si serra. L'uomo lo tira fuori dalla macchina e lui si dà uno sguardo intorno. Sono in un bel quartiere di Milano. Le case sono aristocratiche e sofisticate, proprio come i genitori di Giulietta. Gli viene un conato di vomito e poi quasi contemporaneamente ridacchia, pensando a cosa farebbero se lo vedessero ora.
“Smettila”
Fa l'uomo di fronte a lui. Gli dà le spalle. Sono larghe, inguainate in una giacca blu. Sembra un uomo benestante. Ha i capelli scuri, leggermente mossi, e da dietro le orecchie si intravedono le stanghette degli occhiali. D'improvviso diventa attento ad ogni particolare.
Gli ricorda qualcuno, e poi, ha un odore familiare. Muschio. Marco sgrana gli occhi e si sente tirato dentro casa.
Matteo si volta verso di lui, rivelandogli finalmente e chiaramente il suo volto. Era esattamente come lo ricordava, a parte la giacca e la cravatta, e una piccola smorfia di disgusto sulle labbra. Labbra su cui aveva fantasticato centinaia di volte. Trattiene un conato, e si piega leggermente su se stesso.
“Vatti a sedere sul divano”
Gli dice poi Matteo, sparendo nel corridoio.
Ormai del tutto incapace di reggersi su due gambe, Marco gli ubbidisce e si lascia cadere su una poltroncina verde marcio, proprio come il muschio.
Poi si passa una mano fra i capelli e cerca di non farsi prendere dal panico.
Matteo Malaspina, il suo incubo ricorrente per cinque anni di fila. Proprio lui doveva beccarlo in locale gay a farsi slinguazzare da un perfetto sconosciuto.
Dei passi, gli stessi passi di allora, solo che stavolta sono sul parquet. Non fanno un suono così diverso dopo tutto.
Lo vede chinarsi e mettere gli occhi alla sua stessa altezza. Occhi blu come il mare, il suo mare. Lo guardano con apprensione adesso.
“Bevi”
Dice, porgendogli un bicchiere d'acqua.
Marco lo fa, se non altro per togliersi quel saporaccio dalla bocca. Ma non lascia il suo viso al di là dell'orlo del bicchiere. È magnetico, assolutamente coinvolgente, come il miele per le api. Naturale.
“Se proprio dovevi buttarti via così, avresti potuto farmi un fischio…”
Sorride Matteo e solleva la mano destra per accarezzare con la punta delle dita, l'attaccatura dei suoi capelli sulla fronte.
Marco sente lo stomaco ingarbugliarsi tutto, un po' per l'alcol, un po' per quel contatto sottile, appena accennato, ma intensissimo. Sente gli occhi farsi lucidi dall'emozione e istintivamente solleva mano, per stringere fra le sue quelle dita che tante volte si è trovato ad immaginare su di sé.
Poi fa la cosa più stupida nella lista di quelle possibili. Si sporge verso di lui e lo bacia. Percependo sotto le sue labbra, la tenera consistenza di quelle del compagno.
Sente il petto esplodere e ogni parte di sé fremere.  
Matteo sta fermo, sta fermo anche quando Marco gli avvolge il viso con le mani e scivola in ginocchio di fronte a lui, per averlo più vicino.
Per quasi dieci anni non ha avuto il coraggio di farlo, ed ora misero come un randagio, se l'è fatto dare dall'alcol.
Sente una lacrima scivolargli lungo la guancia. Si stacca leggermente dall'altro e solleva gli occhi scuri in quelli chiari e limpidi di Matteo.
“Sono patetico lo so... ma io... io non posso. Non posso. Ho Giulietta, e poi la mia famiglia...”
Si morde le labbra per fermare la disperazione. Poi china il capo. Misero, patetico Marco.
Deve andare, deve andare via subito e in fretta.
Si alza, un poco barcollante, e si dirige a grandi falcate verso la porta. Ma poi qualcosa lo blocca, stringendosi intorno al suo braccio. Si volta ed il viso di Matteo è ad un centimetro. Sgrana gli occhi e fa per parlare, ma poi è costretto a tacere. Perché lui lo bacia. E non in maniera normale, lo bacia con anni e anni di frustrazione alle spalle. Marco si ritrova stretto contro il muro del salottino. Sente le sue mani sulla schiena, sulla pancia, sulle spalle, mentre gli fa tenere la testa reclinata all'indietro contro la parete, mentre lo bacia. E Marco lo ha contro di sé, dentro di sé, e non gli fa schifo, non lo sporca, non lo contamina; è una rabbia, una forza che non nasce dal semplice desiderio sessuale. Lo sente dalla scia di baci, umidi, dolci, dolcissimi che corrono lungo la sua mascella e poi sul collo. E da come le sue mani lo stringono, lo saggiano, lo cercano ad ogni carezza. Sorride quando finalmente si ferma, abbandonando la testa sulla sua spalla con un lieve sospiro. Matteo ha le braccia ancora intorno a lui, ma non lo stringono ora, lo avvolgono e basta.
“Mi sei mancato da impazzire. E vederti appiccicato a quel pitone travestito da uomo mi ha tolto dieci anni di vita”
Dice quasi per giustificarsi. Poi chiude lo abbraccia e sospira, ancora.
“Scusa...”
Mormora poi, e lo stringe, appena, e Marco si sente invadere da un calore immenso, da un affetto immenso, mentre si rilassa, muscolo dopo muscolo, e china a sua volta la testa sulla spalla del compagno. Ed è la sua resa.

“Mi sei mancato anche tu”.

   
 
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